56- La colpevolezza degli assassini
P.O.V.
Cedric
Dal portone di casa mi raggiungono pesanti colpi che richiamano la mia attenzione in direzione dell'ingresso. Mi avvicino veloce, per evitare che si ripetano, ma l'impazienza si trova dall'altro lato della barricata e continua a far rimbombare la sua ritmica, colpendo ripetutamente in risposta.
Quando la spalanco sospiro e mi arrendo alla figura che mi trovo di fronte, immaginando non potesse trattarsi di nessun altro.
«Francis...»
«Dobbiamo parlare.»
«Lo avevo capito dal tuo modo di bussare.»
Nemmeno aspetta che glielo suggerisca. Si fa strada dentro la mia nuova casa e sembra come a caccia di indizi in direzione dell'intorno.
«Cerchi qualcosa?» Chiedo, tenendo le braccia conserte di fronte la sua ansia.
«Questa è casa di tuo nonno?»
«Sì.»
«Come è morto?»
Per un attimo tento di non fare caso alla coincidenza della sua richiesta, avendo scoperto solo di recente, grazie a Zelda, la verità.
«Mia nonna mi ha raccontato che è stato ucciso in un vicolo, a notte fonda. Accoltellato con tre colpi alla schiena.»
Francis si arresta solo un attimo nella ricerca, sfoggiando negli occhi come una consapevolezza.
«Perché me lo domandi?» Richiedo una risposta che possa giustificare la sua impazienza di mettere a ferro e fuoco questo posto, a caccia di inizi che si augura non siano stati corrosi dal tempo.
«Perché credo di sapere chi lo ha ucciso, e ho bisogno del tuo aiuto per incastrarlo.»
P.O.V.
Halima
Pochi aggettivi descriverebbero Issa in questo momento, e credo che "strano" possa essere il solo tra essi.
Da lunghe ore non fa altro che ruotare lo sguardo intorno, quasi come se si sentisse osservato, ma sono certa che non si tratti di paura.
Issa non teme niente quanto gli scenari peggiori che può proporgli la mente, e vederlo indossare certe vesti è sconcertante vista la contrapposizione che hanno del ragazzo solare con il quale ho imparato a convivere.
Da che lo conosco non c'è mai un giorno che trascorra senza una sua tempesta di battute, e nei primi tempi era sfiancante sopportarlo, lo ammento, ma ora scopro che certi nostri momenti mi mancano.
«Issa... va tutto bene?»
«Tutto bene, ho solo una strana sensazione.»
«Che tipo di sensazione?»
Si stringe nelle spalle. «Solo una sensazione.» Non indago oltre, lasciandogli il tempo di scegliere da solo quale percorso mentale assecondare. «Dove sei assegnata, oggi?»
«Ai campi di lavanda. O meglio a quel casolare, Cedric mi ha chiesto se posso mettere in ordine dei registri.»
«Quindi staremo lontani» commenta, fissandomi dritto negli occhi. In un primo momento non comprendo il suo umore, ma quando lo faccio arrivo ad abbassare le spalle dopo un sussulto di incredulità.
«Issa, non mi capiterà niente! Al diavolo le tue sensazioni!»
«Dici così, ma non sai quante volte ho avuto ragione.»
«Sì, come no, hai il dono della veggenza.»
«Quando dovrai raggiungere il capanno?»
«Tra circa un quarto d'ora. Il tempo per gli altri di finire di mettere apposto le casse di vino all'interno.»
«Che ne dici nel frattempo, allora, di parlarmi di tuo fratello?»
«Mio fratello? Hasim? Come ti esce questa?»
«Solo a causa di ciò che mi hai raccontato su di lui» parte a spiegare, mentre continua ad aggiustare le casse destinate al mercato sotto il mio sconcerto. «Me lo hai descritto come un fratello oppressivo, che amava tenerti sotto controllo quasi alla stregua di tuo padre.
Ormai sono passati dei mesi da che te ne sei andata di casa, e ancora non ti hanno cercato...»
«Forse non sanno dove cercarmi.»
«Sei rimasta nel South Side, nigeriana. Quindi le alternative sono tre: o loro non sono troppo capaci e qualcosa è andato storto nel cercarti, o ti hanno già trovata e aspettano il momento giusto per riportarti a casa o ti sopravvaluti troppo e a loro non importa niente di te.»
«Mi auguro che sia l'ultima di queste, sai?»
«Sì, me lo auguro anche io...»
«Non mettermi sotto pressione con queste domande!» Lo rimprovero, arrabbiata con il suo cattivo umore. «Io qui sono felice, non rovinare tutto!»
«Sei la sola felice, in questo posto» lo sento borbottare, mentre recupero le mie cose per poter raggiungere il casolare.
«E questo non rende un po' felice anche te?» Provoco, avviandomi per la mia strada senza ricevere risposta.
Non è felice di lasciarmi e ne sono consapevole, ma in fondo distiamo solo qualche centinaia di passi. Il casolare non è visibile dall'interno ma se mi succedesse qualcosa di preoccupante potrei sempre uscire fuori.
Non vedo il perché dei suoi continui timori, ma dovrei trovare un modo per giustificarlo, con ciò che è successo a sua sorella.
Lascio l'impiegati abbandonare tutto quello che stavano riponendo, con ordine, sui ripiani prima di poter prendere posto all'unico tavolo presente in quest'unica sala.
Niente di troppo grande, anche questo piccolo riparo è in legno e dentro vi teniamo i prodotti meno interessati ai danni provocati dagli agenti atmosferici dal momento che una parete, quella rivolta verso la coltivazione di lavanda, è completamente assente.
Per questo motivo riesco ad essere parte stessa del viola scuro, non appena mi accomodo a tavola, godendo di una vista e di una tranquillità che mi raggiunge non appena questo posto si rende deserto da qualsiasi altro visitatore.
Non passano in molti, qui, ed è per questo che pochi minuti dopo il mio arrivo rimango sola, persa dentro gli incarichi che mi ha affidato Cedric a soddisfa della mia richiesta, rivelata a Issa, di voler magari assumere il ruolo di segretaria alla Garcia.
Dispersa tra il conteggio dei vari importi, con una matita incastrata in bocca e vittima dei denti, mi domando come abbia fatto Lèa a star dietro a tutto. Alla raccolta dei prodotti e alla suddivisione dei pancali per il mercato, al conteggio di questi, assieme al danno dei vari seminativi che possono aver comportato delle variazioni.
La stima per lei accresce del suo valore, spingendomi a chiedere se mai potrò imitarla.
Il pensiero manifesta la mia tranquillità, nel procedere con più convinzione dentro il mio lavoro, ma è rotta dalla visione di uno smalto nero sopra delle unghie particolarmente lunghe.
Una femminile mano si è posata sul tavolo, facendo risalire i miei occhi veloci lungo il pallore del suo braccio fino a raggiungerla in volto.
La prima cosa che noto è il bianco lucente del suo sorriso, circondato da un rossetto scuro e viola, la seconda la lunga coda bionda, e alta, dei suoi lisci capelli. Per ultimo lo sguardo affilato dentro i suoi occhi chiari.
«Scusami, non volevo certo spaventarti. Ho provato a chiamarti più volte, ma sembravi così assorta...»
La voce, a suo modo seducente e roca, è piegata in una nota di ironia che punta a prendersi gioco di me come fa il suo sguardo, correndomi addosso.
«Mi scusi, lei chi è?»
Quella stessa mano, decorata di uno modesto diamante solitario, viene testa nella mia direzione, in segno di nuova conoscenza.
«Mi chiamo Nathalia. Sono una giornalista.»
«Una giornalista?»
«Tu come ti chiami?»
«Io sono Halima.»
Non so per quale ragione, ma ho come l'impressione che, a seguito della mia risposta, qualcosa brilli divertito nei suoi occhi. Forse è la reazione che hanno tutti i giornalisti, non appena riescono a incastrare una nuova vittima dentro un'intervista.
«Halima...Mi scusi, per che cosa è qui?»
«Semplice indagine. Ho sentito che ci sono stati degli incendi... ti va di parlarmene?»
Sono ancora confusa dal suo arrivo. Dalla sua presenza destabilizzante e da un milione di altre cose, tanto da non riuscire a proferire una sola parola, eppure non credo che mi stia mentendo. Ha proprio l'aspetto di una donna in carriera, vestita in un tailleur elegante ma anonimo.
Avrei potuto vederla in una rete locale sulla cronaca, se solo anche in casa mia, come nei bar, ci fosse una tv.
«Non sono convinta di poterlo fare...»
«Per quale ragione? Il tuo capo non ti fa esercitare i tuoi diritti?»
«No, lui è un uomo buono...» commento, cercando di reagire a questo continuo scambio di opinioni, troppo veloci per me.
«Bene! Purtroppo non sono in molti a potere dire lo stesso. Quindi screditeresti l'ipotesi che si tratti di incendio doloso, o di vendetta?»
«Scredi-... cosa?»
Sorride. Adesso sono certa che abbia pena per me ma che tenti di non darlo a vedere.
Il suo sorriso è sconcertante per la perfezione di quei denti immacolati eppure sono gli occhi a tradire i più crudeli segreti: verde chiaro, con pagliuzze dorate, sono fissi su ogni mia espressione da che si è presentata alla mia consapevolezza.
Vorrei non lo avesse mai fatto.
«Non ti ruberò molto tempo. Puoi parlarmi di ciò che vuoi.»
«Senta» mi faccio avanti, sollevandomi dalla sedia con i palmi aperti verso il tavolo e suscitando la sua sorpresa. «Le ho detto che non parlerò. Se vuole dichiarazioni posso condurla dal mio datore di lavoro, sempre che non stia usando una ragazza nera per avere consensi popolari ad un suo prossimo articolo accusatorio.»
Sì, gli occhi le brillano. E mentre sono in piedi dinanzi a lei, che se ne resta appoggiata con un fianco a questo tavolo, noto l'incompatibilità tra di noi.
Questa giornalista sembra provenire da un altro mondo in confronto al mio, pieno di gioielli, di trucco, di abiti eleganti e di scarpe a tacco alto, capelli perfetti, ma non ha idea di come si cresca nel mio. Sono diventata grande scoprendo, e apprendendo, cosa fosse l'educazione e quando fosse il momento di perderla. E lei ha già, da tempo, superato la linea.
«Non occorre» mormora, squadrandomi attentamente con stavolta, sembra, quasi maggiore rispetto. «Non è con i superiori che voglio parlare ma con i lavoratori. Puoi essere reticente a parlare ma ormai è chiaro a qualsiasi cittadino del South Side che questi incendi sono nati per una ragione precisa. Sei giovane, in questo mondo di affari sporchi, ma in fondo credo che tu lo sappia, no? La giustizia tutela, è il caso di dar voce a certi dissapori, non credi? Fare scandalo metterà a tacere i fautori di tutta questa faccenda...»
Vorrei tanto non riuscire a capirla ma la speranza che potesse usare dei grandi termini è scomparsa dal momento in cui ha deciso di volersi far capire con chiarezza.
Quando la vedo tendere un biglietto da visita, poi, non ho più alcuno scampo.
«Questa è la nostra sede. Se hai qualcosa da aggiungere sai dove trovarci.»
Ed è così che si allontana, lasciandomi queste ultime parole mentre la osservo soffermarsi, con lo sguardo, per un momento sulla casa di Ercole poco più lontana. Ma vedendola riprendere a camminare non ci faccio caso, governata come sono da un unico pensiero che fuoriesce, nella mia mente, solo una volta rimasta sola.
"Che serpe".
P.O.V.
William
«L'ho trovata.»
La voce di Dalia mi raggiunge prima ancora del suo corpo in questa stanza. Chiudo la clip dell'orologio, senza venire troppo destabilizzato dalla sua ammissione.
«Chi?»
«Come chi? La ragazza! Halima.» Fisso il lago oltre questa finestra, mettendo in chiaro le idee. «William?»
«Dove si trova?»
«Alla Garcia Coltivazioni, e c'è dell'altro. Ho visto anche Hasim.»
Quel cane.
Afferro il revolver, inserendo la sicura, per poi trasferirlo alla fondina presente al di sopra della mia bianca camicia. Gesti lenti, scaramantici, che mi consento di agire secondo una veloce interazione di conseguenze.
«Quindi è riuscito a trovarla... questo vuol dire che sta scappando da noi, che ci ha voltato le spalle e che sta pensando a un modo per andarsene, magari con lei...»
Immaginavo che fosse più furbo e servile, che per lui valessero solo i soldi... e invece scopro che ha cercato rifugio in un luogo vicino le gonne della sorella, sancendo per sempre il suo schieramento in questa guerra.
Taigar mi aveva parlato della sua volontà di ritrarsi ma non avevo voluto crederci, immaginando occorresse aggiungere solo una somma più ingente di contanti sul piatto.
Quale viscida canaglia.
«William, cosa devo fare?»
«Chi è rimasto dei nostri, nel South Side?»
«Solo Taigar, e i suoi uomini.»
«Ordina loro di uccidere Hasim. Non mi importa come. Lo voglio fuori dai giochi.»
«E cosa faccio con la ragazza?»
«Che cosa vi siete dette?»
«Le ho parlato del mio lavoro di giornalista e ho giocato sulla sua rabbia. Le ho detto che se desidera farsi sentire dovrà venire da me.»
«E verrà?»
«Ho fatto ricerche su di lei. Se è agguerrita quanto credo, e lo ha dimostrato, la risposta è sì.»
«Allora lasciala per dopo. Ora abbiamo affari più urgenti da svolgere» affermo, finite di sistemare le pistole.
Avevo percepito nell'aria la difficoltà di questa giornata già da questa mattina, ma non mi sarei mai immaginato fosse tanto ricca di eventi.
In fondo, ogni sbaglio va pagato ed Hasim lo ha imparato sulla propria pelle.
Da parte mia, invece, c'è stato l'erroneo fatto di essermi fidato di un uomo come lui, per svolgere il mio volere. Il risultato? Mio padre è arrabbiato con me per delle proprietà che sono andate distrutte, è sparito di casa e mi ha lasciato il compito di prendermi carico tutto.
Gli dimostrerò il perché non può, per nessun motivo, pentirsene.
«Tu che cosa farai, invece?» Chiede la voce di Dalia, e per poco non rido della maschera da brava ragazza che si è messa addosso. Quel tailleur nero, e a tratti quasi scolorito, non lo avrebbe indossato nemmeno sua madre, e ricordo bene quanto amasse infangare il nome di noi tutti quella intelligente donna.
«Io mi occuperò di Cedric Garcia, questa notte. Taigar di Hasim, allo stesso tempo, e tu, se deciderai di muoverti con precauzione, tornerai allo studio di giornalismo che hai lasciato scritto alla ragazzina, in modo tale che, se come dici avrà il coraggio di presentarsi, ti trovi lì, proprio al termine dell'orario di lavoro ai campi, pronta per lei.»
«Avevi già pensato a tutto» sussurra, senza rendersi conto di quanto lo abbia davvero fatto.
Non tradirò, per una seconda volta, la fiducia di mio padre.
«Cambiati d'abito» le dico, camminandole a fianco prima di uscire. «Con questi vestiti non sei credibile.»
P.O.V.
Samuel
La ragione per cui i miei occhi si soffermano tanto su quella ragazzina dalla pelle più nera dell'inchiostro è un semplice sesto sesto, che mi esorta all'attenzione.
Nessuno si muove come lei, con spigliatezza e una buona dose di ingenuità. Entrambi fattori che possono mettere in pericolo, specie una mente ancora immatura.
E credo di non sbagliarmi nell'affermare che, nonostante qualsiasi ruolo possa essermi tolto dalla divisa, gli anni comportano la loro esperienza, almeno in ambito lavorativo.
In amore, ho ben visto da quella sera in casa di Nerissa, devo ancora percorrere un territorio pieno di mine non ancora dissotterrate.
«Halima, stai bene?» Le domando, non appena mi passa vicino, afferrandole un braccio.
Lei analizza la stretta, me, con sguardo perso. «Sì, io... io credo di sì.»
«Ma sembri confusa...»
«Non è niente, solo che ho appena finito di lavorare e per tutto il tempo non sono riuscita a smettere di pensare a...» non termina la frase, ma un suo dito si distende in direzione del capanno dinanzi la lavanda. «È venuta una donna, poche ore fa, qui» afferma poi decisa, rimettendo in ordine l'intera faccenda.
«Una donna?»
«Una giornalista. Venuta a fare delle domande, in merito agli incendi...»
La polizia, però, non aveva, a detta di Carlail, ancora rilasciato alcuna informazione sugli incendi, ed in paese sono in pochi a saperlo...
«Come era quella donna, Halima?»
«Mh, era... particolarmente alta. E bella. Sì, era bella, bionda, magra e indosso aveva un completo nero.»
«Ti ha lasciato qualcosa?»
«Conosco solo il suo nome, Nathalia, e poi ho questo.»
Fortunatamente mi porge un biglietto da visita. Il lato negativo è che affianca simili parole al contempo dell'azione, per cui so già cosa trovarmi sopra quel biglietto.
Nathalia... una reporter. Già, magari così fosse...
Prendo un profondo respiro e leggo l'ennesimo, falso, cartellino da visita che le ho visto stipulare in questi anni. Oltretutto, uno di quelli durante la creazione dei quali partecipai, come riporta il logo idealizzato in alto a sinistra, frutto della mia invettiva.
«Vi siete date un appuntamento?» Le chiedo, privo di forze.
«No, ma sembrava come se si aspettasse presto il mio arrivo. Era molto sicura di se e curiosa nello scoprire opinioni su questa faccenda.»
Sicuramente una trappola e mi domando il perché Dalia si adoperi tanto nella ricerca di Halima. Così duramente da utilizzare persino l'identità della reporter, un vecchio classico di cui non abusa.
«Non fare una sola parola a nessuno di quello che ti è successo oggi, Halima, è chiaro? Né a Issa né a Cedric» mi procuro di raccomandarmi, con un pensiero che si aggiunge nella mente ma che lei non può cogliere. "Tanto meno a Francis", ma fortuna vuole che le reciproche famiglie siano ancora in litigio, dall'amore con Gyasi.
Halima annuisce, dandomi un vantaggio che aspettavo da mesi.
Stavolta sarò io a sorprenderti, Dalia.
P.O.V.
Francis
Ormai non riesco più a ricordare quante sono state le volte in cui, preso dalla noia, mi sia soffermato a contare persino le lettere delle certificazioni appese in questa stanza.
Il primo anno in cui mi sono trovato a lavorare nella centrale soffermavo l'attenzione sul tagliacarte, passando il tempo a bucherellare foglio bianchi, ma il divertimento era scomparso presto.
Quello che c'è da dire è che mi sono sempre augurato che fosse meno noiosa, l'attesa, se trascorsa in compagnia ma la figura al mio fianco non ha rilasciato un solo fiato dal nostro arrivo qui.
Inclino la testa e guardo Cedric di sottecchi, rigido come un soldatino, abituato come è alla diligenza.
Solo un sospiro mi fa rendere conto della sua umanità, accompagnato come è, troppe emozioni in una volta!, dalla mano che di colpo tende la pelle della sua fronte, offrendogli un modo per scaricare la tensione.
«Va tutto bene?»
«Come sei certo che fosse il pugnale giusto?» Mi domanda, inclinando la testa in direzione del vuoto lasciato sulla scrivania dal grosso contenitore fotografico che Carlail ci aveva posto davanti, a caccia dei nostri ricordi in merito al serramanico di Taigar.
«Ho una buona memoria, ed inoltre l'ho visto molto da vicino» gli rispondo in un sorriso, ricordando quante volte io mi sia accostato alla rabbia di quello zingaro nei primi tempi, quando tentavo di carpire delle informazioni da Oliver riguardo a Rais.
Cedric, però, non si rende complice del mio divertimento e mi fa desumere che ci possa essere altro, in grado di adombrarlo.
«Stai pensando a tuo nonno?» Mormoro piano, sedendomi con maggiore compostezza sulla seria.
Cedric, in compenso, continua a fissare quel punto disperso nel vuoto.
«Mi era stato detto, da bambino, che era morto per un semplice attacco di cuore ed ho pensato che fossero state tutte quelle pressioni, la proprietà, la casa, mia nonna, ad aggravare la sua salute. Poi mi era stata raccontata, da mia nonna stessa, colei che ho odiato per anni solo per scoprire che mi voleva bene, la verità, ed ora la balistica mi ha confermato la sua morte, il suo assassinio. Tu pensi di aver trovato il responsabile, e l'arma che l'ha ucciso. La polizia sta indagando nell'altra stanza... credo che sia molto da affrontare, anche per una persona sola, non pensi?»
La sua testa si volta a cercare la mia conferma ed io le sorrido, semplicemente.
«Hai dimenticato la cosa più inquietante» lo informo, e la sua fronte si corruga nell'incomprensione. «Io e te che collaboriamo» chiarisco, guadagnandomi un sorriso.
«Oh! Certo, quello...»
«Lo svaluti tanto? Io ti odiavo sul serio.»
«Al passato?»
Mi stringo nelle spalle. «Non eri l'uomo che credevo, me lo hai dimostrato.»
«In che modo?»
«Confessandomi di avere un cuore.»
Ricordo il nostro scontro al lago come se fosse capitato solo poche ore fa. Quel giorno ero arrabbiato con Rais, con ciò che mi faceva provare, ed ho sfogato la mia rabbia su di lui. Su Cedric e Amy, vendendo l'abbandono di lei come specchio delle mie nuove confusioni.
«Perché ho ammesso di amare la tua migliore amica?»
«Perché tieni a lei, e tuo malgrado tieni anche a questo posto. A tua nonna» sussurro, sperando di non aver toccato un tasto ancora troppo ostile ma, dentro lo studio di Carlail, Cedric sembra essersi semplicemente arreso agli eventi.
«Non dovresti apprezzarmi tanto. Te l'ho detto, io e Amy abbiamo litigato.»
«Vi siete lasciati?»
Cedric abbassa lo sguardo, fissandosi le mani intrecciate sopra le gambe. «Amy è tornata con Wood.»
Ah... la mia amica ha scelto prima il coraggio e poi la codardia. Ma non è niente di sbagliato se la aiuta a capire che cosa vuole davvero.
«E sua madre ci ha scoperti, me e Wood» continua le sue confessioni, lasciandomi interdetto davanti agli eventi e permettendomi, anche, di trarre le mie conclusioni.
«Non deve averlo accettato facilmente.»
«Non ho avuto modo di tornare, con tutto quello che è successo, ma sembrava sconvolta alla notizia del professore.»
«Si tratta di un uomo sposato...»
«... che ha anche lasciato sua moglie, pur di stare con Amy.»
Resto in silenzio, davanti a questo fatto estremo che segna la svolta di un crescendo di pensieri.
«Per Amy ne vale la pena» affermo semplicemente, augurandomi che possa prendere la mia frase con la semplice amicizia che cela, e per fortuna annuisce, lieve.
«Sì... per Amy ne vale la pena.»
Carlail entra nella stanza stringendo un rapporto e sfoggiando un espressione alquanto preoccupata dalla nostra presenza ancora in questa stanza. Si domanda, riesco a intravederlo, come riferirci lo sviluppo del caso.
«Vai dritto al punto, Carlail. A me e al mio nuovo amico non piace la suspense.»
«La ferita di quel tipo di coltello corrisponde ai tagli che hanno causato la morte di Fernando Garcia. Questo vuol dire che, presumibilmente, abbiamo il colpevole e l'arma del delitto.»
«Ma nessun'altra prova che affermi che sia stato lui» sussurro piano, concludendo una frase che potrebbe essergli dolorosa da esprimere.
«Taigar non è un uomo particolarmente intelligente, lo illuderemo che non sia così. Se pensate che possa essere lo stesso uomo, il mandante dei Lee, che provoca gli incendi nelle proprietà Garcia allora vuol dire che lo terremo sott'occhio in modo da catturarlo. Una volta in sala interrogatori gli riveleremo quanto scoperto su Fernando Garcia. Lo esorteremo a confessare quello che noi diamo quasi per certo e gli faremo credere che l'omicidio, aggravato dall'incendio doloso da lui messo in atto, comporterà un accumulo di anni di detenzione scontabili con una sua testimonianza.»
«E glieli sconterete?» Domanda Cedric, interrompendo la spiegazione di Carlail. Non sono in molti ad avere il coraggio di minare la sua autorità ma il Garcia presente sembra voler ottenere le proprie risposte. «Sconterete gli anni della sua detenzione, se testimonierà contro i Lee?»
«Questa è la prassi.»
«Ha ucciso mio nonno.»
«Faremo in modo tale da convincere il giudice a dargli l'ergastolo. Così gli anni della pena diminuiranno, certo, ma non abbastanza da consentirgli una vita nel South Side. Che cosa ne pensate di questa opzione, signor Garcia?»
«Fatelo marcire in carcere ed avrete la mia approvazione.»
«Cedric» tento di intervenire, ma questi si ribella ad ogni mio incentivo alla calma.
«Sono stanco di tutta questa storia. Dei Lee, del fuoco e di tutte queste colpe! Sono assassini, tutti loro, lo volete capire? Devono pagare per i loro crimini, uno alla volta.»
Non oso dire nient'altro, a favore di simili parole ed è Carlail a notare che persino il mio appoggio sembra essersi dissolto.
Ora davanti a se ha due ragazzi di soli diciott'anni che sembrano già fin troppo distrutti da ciò che hanno vissuto, e la colpa riporta la firma sanguinolenta del South Side.
«Non perderemo di vista Taigar nemmeno un secondo. Al primo passo falso i nostri uomini lo prenderanno.»
Ed è così che arrivo a sperare che le scarpe dalle rosse suola dello zingaro possano posarsi, quasi per sbaglio, sul territorio minato che è quello dei Garcia.
Fatti avanti, zingaro, balla con noi. Saranno fuoco e fiamme, un corredo di esplosioni continue.
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