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55- L'amore e l'innocenza

P.O.V.
Rais

Molte cose stanno cambiano nella nostra vita. In primo luogo noi. Subito dopo il mio nome.
Stringo la mano di Francis pregando di avere ancora un po' di tempo da rubare alla calma. Da prelevare da questo luogo, il suo lago, che ci vede ancora soli, fianco a fianco.

Alle volte mi stupisco della strada che abbiamo percorso, così come un maratoneta che corre, corre, e solo per un attimo, nello stupore, alla vista dell'arrivo si ritrova a pensare a quanti monti, a quante curve, a quanti ostacoli è riuscito a superare prima di arrivare fino a dove è ora.

La differenza, tra noi è lui, è che il nostro percorso non è affatto giunto al termine, dovendoci trovare invece pronti alla nuova sfumatura di novità che sta per cambiare le nostre vite.

Da lunghi minuti Francis è rimasto in silenzio, segno che sta pensando a qualcosa di importante ma nonostante quelle cupe riflessioni gli stiano oscurando lo sguardo non ha abbandonato la mia mano, fumando addirittura con la sinistra per evitarlo.

Alla fine è quello che mi sarei aspettato da lui, essendo stato il primo a dare inizio a questo contatto.
Mi ha afferrato la mano senza dire una sola parola, come se fosse normale e per me non lo è affatto.
Prima d'ora non sono mai stato seduto alle rive di un lago, mano nella mano con un uomo senza guardare intorno chi ci vedesse o senza ritrarmi.

Sempre all'erta, sempre a caccia di quel nemico che avrebbe potuto uccidermi dentro la fragilità ero finito per amare un uomo che mi aveva tratto in salvo. Spogliato, amato di tutti quei dubbi e quelle paure che nutrivo verso di lui e verso me stesso.

La cosa mi riempie di terrore.
Mi spinge a chiedermi, sollevando lo sguardo in direzione del suo, cosa davvero ci accadrà non appena mi lascerà per entrare in accademia.
So che ormai non manca molto, solo la chiusura di quest'ultimo caso degli incendi ai Garcia che, ormai, sembrano aver trovato una loro conclusione.

Dunque cosa avverrà? Un anno è parecchio, specie per il mio carattere che è duro a morire.
Forse si troverà di nuovo dinanzi un ragazzo scettico, non più tanto disposto come me a subire il suo romanticismo, e dunque chissà se riuscirà ancora una volta a sconfiggere le sue difese.

La prima volta sembra esserne stato in grado.
Magari è ancora più capace di quanto creda...

«Si può sapere a cosa stai pensando?» Mi chiede, continuando ad osservare il lago e aspirando un importante boccata dalla sigaretta.

«E tu, invece?» Lo rimbecco in risposta, facendo passare come un gesto casuale quello di allontanare dalla sua la mia mano. Non gli sfugge, serra la presa.
Sorrido.

«Alla tua espressione, quando Cedric ti ha chiesto se eri ancora in contatto con i Lee.»

La risposta mi raggela. «Credi che lo sia?»

«No, non è questo. Il fatto è che sembravi pronto ad esserlo, in modo tale da esserci d'aiuto» espira, rilasciando il fumo contro l'aria ed evitando ancora di guardarmi.

«E c'è qualcosa di male, nel pensarlo?» Chiedo esitante ma capisco, prima ancora di una qualsiasi sua reazione, di aver sbagliato nel porgere una simile domanda, ma negare sarebbe inutile dinanzi la sua giusta certezza.

La testa si volta nella mia direzione, consegnandomi un verde sguardo fisso sotto una cascata di neri riccioli, perfetti nel corniciargli il viso.

«Ci eravamo fatti delle promesse. Non vado da nessuna parte, se non so che sono vere.»

Decido di giocare con la sua pazienza e lo faccio, riuscendo persino a liberare la mano.
Segue con gli occhi quell'addio che si deposita sui sassi bianchi di queste rive.
Lascio che mi osservi, riposando con tranquillità in questa posa, a sedere, che mi permette di scaricare il peso sulle mani e l'incoscienza su di lui, mentre gli rivolgo il torace assieme alla mia sfrontatezza.

«Questo gioca a mio favore, non credi? Così tardo la tua partenza.»

Non replica niente ma sorride, per poi tornare a fissare il lago nell'aspirare quel poco che ne è rimasto della sigaretta prima del termine.

«L'ironia ucciderà questo rapporto» lo sento replicare, e la cosa mi fa alzare fino ai capelli le sopracciglia.

«Credi che stia mentendo?»

«Ho detto questo, Rais? No. No, dico che stai ironizzando, il che è piacevole ma non quando questo ti permette di scappare dalle domande.»

Non sarà piacevole ma ancora sorride, e a me quel sorriso piace.
Ne rimango stregato mentre continuo a parlare.

«Quanto vorrei rivolgere questa risposta al te di un mese fa. Che ne dici? Sarebbe servito a qualcosa, dirti una frase del genere, mentre mi tenevi chiuso in quella casa e fuggivi, letteralmente, dalle mie domande?»

«Non vedo di cosa tu debba lamentarti tanto. Sono venuto a letto con te, dopo, no?»

Sollevo gli occhi al cielo, ancora una volta stanco di non sapere cosa replicare alle sue risposte pungenti ma c'è di più. Nemmeno sulle nuvole riesco a sfuggirgli perché l'attimo dopo Francis si erge in piedi di fronte a me, e nonostante non stia occupando tutta l'inquadratura dei miei occhi cattura lo stesso l'interesse principale del mio sguardo.

«Dove stai andando?» Gli domando.

«Non mi seguirai?»

«Dipende dal perché.»

Stavolta è suo il tuo di sollevare un sopracciglio, dinanzi la mia risposta pungente. Mh, si aspettava che lo seguissi in capo al mondo, eh? Mi diverto nel fargli credere che non sia così, al solo scopo di attardare questo reciproco momento di pausa che mette in pace i nostri animi.

«Ti ho già raccontato di ciò che ho scoperto dei Garcia. il legame della nonna di Cedric con i Lee...»

«Ha fatto un gesto tanto coraggioso quanto stupido» constato.

«I gesti più coraggiosi sono stupidi.»

«Mh, su serio, eh?» Gli domando, solo per mettere alla gogna il bisogno che possiede di correre un rischio.

Ormai dovrebbe accorgersi che non è più il solo a viverlo.
Ci sono delle inevitabili conseguenze date dal mantenere un rapporto, ed io, dall'alto della mia indagine approfondita nei suoi riguardi, sono pronto ad illustrarglieli punto per punto volendo però solo sottolineare, con una doppia riga nera, il primo: si è sempre in due nelle scelte.

Ecco qui. Se si gioca la vita, io mi gioco la mia.
Non crederà certo che me ne stia immobile.

«Ti distrai, Rais, cerca di tornare concentrato» mi prende in giro, ed io in risposta mi accomodo più tranquillamente contro questi sassi, distendendo il corpo al sole e rimanendo a fissarlo, mentre se ne resta in piedi dinanzi, dal basso.
In effetti, sono distratto.

«Illuminami.»

«Quello che sappiamo è che la nonna di Cedric, complice del marito, ha istituito dei documenti falsi, al fine di far versare ai Lee dei soldi su conti correnti inesistenti. Di conseguenza, sappiamo che i Lee hanno bruciato i terreni, che il contratto pareva aver loro promesso, in modo da svalutare la terra, comprarla a metà del prezzo e renderla edificabile. »

«E...»

«Quella che manca è la persona che ha bruciato la terra. Se la troviamo, abbiamo un testimone da usare contro i Lee. Notare qualsiasi anomalia, tenere gli occhi puntati su questi posti, potrà servire a scovarlo.»

«Ottimo, allora andiamo» esordisco alzandomi in piedi e arrivandogli dinanzi, ma Francis inclina la testa di lato con un'espressione che ha un che di impedimento. Sospiro. «Cosa c'è?»

«Tu non te ne occuperai.»

«Perché me lo hai detto, allora

«Per farti capire che mi occorre solo quest'ultima persona da consegnare alla polizia, prima di chiudere il caso ed entrare in accademia» sussurra, e di risposta io deglutisco, abbassando gli occhi.

Ma certo, capisco... Una sorta di conto alla rovescia.

«Non ci rimane molto tempo» sussurra, infatti. «So che ne sei consapevole anche tu, ma stai cercando di non dirlo.»

«A che cosa servirebbe dirlo?» Lo affronto, ferito da questo modo che ha di farmi male.

Francis mi analizza affondo, rimanendo dentro i miei occhi a caccia della verità.

«Serve a dirci chiaramente quello che proviamo.»

Espiro, privo di fiato. Che cosa vuole? Un "ti amo"? Perché non l'avrà. Se lo scorda che glielo possa dire: è già così presuntuoso, alle volte, da rendere quasi impossibile il pensiero che possa fare di peggio ma ci riesce, persino con una certa arroganza.

Affondo le mani nelle tasche, continuando a fissarlo negli occhi.

«Se ci rimane poco tempo allora perché non vai al punto? Stavamo andando da qualche parte, no?»

Gli occhi verdi di Francis scivolano fino alle labbra che hanno osato fronteggiarlo tanto, finendo poi per sorridere loro in modo arreso.

«Smetterai mai di scappare via?»

«Smetto di scappare non appena ho un buon motivo per restare» lo inforno, rendendolo partecipe di un altro lato del mio carattere.
E forse, anche, del mio aver smesso di correre da tempo, incastrando l'ironia delle nostre frasi solo in una bugia.

«Avanti, seguimi.»

La maggior parte delle nostre passeggiate si sono compiute l'uno a distanza dall'altro.
Persino adesso lo lascio camminare di fronte a me, per non dare troppo nell'occhio.
Si tratta di una cosa che ormai Francis ha accettato, per quanto alle volte tenti di fregarmi rallentando il passo. Riesco, però, sempre a farlo desistere, trattandosi di qualcosa che non mi piace fare.

Che cosa si aspetta? Forse, nella sua follia, anche che camminiamo a braccetto dinanzi gli occhi degli altri. Sempre così pronti a squadrarci e a far discendere lo sguardo su noi.
No... no, non lo farò mai, se lo sogna che ci provi.

Ma nonostante ogni mia ferrea convinzione, lui non molla un colpo, continuando i suoi tentativi persino adesso.
Rallenta sempre di più il passo e quando mi arriva vicino stringo le dita in dei pugni che lasciano affondare le unghie sulla superficie della carne, mentre sono nascoste nelle tasche, permettendo agli occhi di sfrecciare da una parte all'altra, impaurito come sono dal mondo.

«Sai, ho un sogno» mi dice Francis vicino all'orecchio, ed io vorrei ritrarmi. Lo faccio appena, infastidito dalla sua voce sibillina.

«Che cosa?»

«Che un giorno tu possa amarmi in modo spudorato.»

Resto senza fiato alle sue parole. Le mani rallentano la loro stretta ed è solo il cuore a marciare più veloce mentre i passi rallentano.
Francis torna a precedermi e nella confusione di persone vedo solo la sua schiena. Solo il suo cappotto. Solo il modo differente, elegante, con cui incede, diverso da tutti gli altri.

Non ha idea di come lo guardi, mentre resto alle sue spalle, ma può stare certo che nonostante ogni mia resistenza il suo sogno diviene, ora dopo ora, sempre più vicino mio malgrado.

La nostra passeggiata prosegue per altri lunghi metri che si quantificano nello scorrere di pochi minuti, distesi dal silenzio.
Tutto mi sarei aspettato che la vista di un campanile religioso, sullo sfondo di due edifici. Uno dei due, quasi sicuramente rappresentate la chiesa.

Osservo Francis scettico, dinanzi la porta del secondo, ma lui distende la mano e mi invita a entrare.
Il buio ci accoglie, una volta dentro l'edificio, assieme all'odore come di umidità, di area rarefatta che viene stemperata però dall'incedere in direzione di una luce, l'accoglienza di un corridoio illuminato.

Lo percorriamo rimanendo vicini, vedendo poco dopo degli scaffali semivuoti raggiungerci, e nonostante la confusione che sfoggio in merito alla natura di questo posto il suo sguardo mi rassicura di continuare a procedere ed è una questione di fiducia.

Quando gli scaffali terminano, è la voce di un anziano uomo a raggiungerci per cui, avendo la vista ancora otturata da un insieme di pareti e svicoli, ci facciamo guidare da essa fino a trovare la nostra meta.

«"Se poi, mio caro corvo, tu avessi anche un cervello non ti mancherebbe altro per diventare re!"» proclama la voce, ed un coro di genuine risate accompagna il termine di quella che sembra essere, a tutto gli effetti, una fiaba.

«Leggicene un'altra, Don Giulio!»

«Calma, calma! Quale volete che vi legga?»

«Quella del lupo sazio e della pecora!»

«Ohh! Ma quella accade di rado, il lupo non è mai sazio e mai tanto gentile con la pecora.»

«Allora quella della lepre e della tartaruga!» Si pronuncia un altro, lasciando all'oratore il turno di decidere.

«Mh! Sì, quella mi piace. Chi di voi andrà a prendermi quel libro?»

«Io, io!» Proclamano in coro quelle voci bianche, ma nonostante l'avvertenza di tutte quelle risposte non sono affatto pronto a ciò che sto per vedere.

Un enorme sala si presenta di fronte a noi completamente dipinta di bianco, arredata da mobili colorati e per terra, in ogni dove, tappeti in gomma a rallegrale la postazione delle letture che presiede, a quanto pare, Don Giulio. Un uomo dai capelli bianchi e dal sorriso gentile che veste i suoi abiti pastorali, ovvero la tunica nera con bottoni bianchi che si conclude nel bianco colletto, proprio al di sotto del mento.

E ai suoi piedi, entusiasti, con gli occhi brillanti... tutti i miei bambini di strada.
Hanno abiti scuciti ma sorrisi splendidi. Mani sporche ma cuori puri mentre fissano, da sopra i loro tappeti colorati, sorpresi la meraviglia che produce la lettura, la fantasia ed io non posso che perdermi dinanzi ai loro sorrisi entusiasti. Alle piccole abitudini che non riescono a perdere.

Il modo con cui il piccolo Benjamin si struscia l'occhio destro con un pugnetto chiuso. Il carattere di Patrick nel litigare, falsamente, con Jonathan, spintonandolo non appena il prete si distrae o lo sguardo che ha Tobia non appena fissa Nadia.

«Poco fa, al lago, hai ricordato i momenti in cui eravamo chiusi nella casa della polizia. L'ho fatto anche io. Mi sono ricordato del giorno in cui ti parlai di questa opportunità, proponendola come ricompensa al tuo aiuto... sappi che non si tratta di questo, ho solo provato a fare qualcosa che potesse renderti felice» sussurra la voce di Francis vicino a me, eppure arretrata di un passo, mentre continuo ad osservare quei miei piccoli amici tristi adesso dispersi nel mondo dell'allegria.

«I tuoi orfani di strada sanno cavarsela dinanzi a tutto, sono marchio South Side... ma sempre dei bambini, Rais.»

Intreccio le braccia al petto, affondando le unghie nei bicipiti, al di sotto del mio nero giubbotto, per poter controllare la reazione del mio corpo mentre stringo tra i denti il labbro inferiore, evitando qualsiasi parola.

Ma Francis si accorge di tutto ed è così che si sporge, maligno, a fissarmi con un mezzo sorriso che vuole rendersi partecipe del mio cuore.

«Puoi piangere, se vuoi, lo sai?»

Se lo scorda che lo faccia. Ma ho a malapena il tempo di pensarlo prima che uno dei piccoli si accorga di me e parta a corrermi incontro.

Maledico il mondo, il cielo e qualunque casualità spinga noi umani a compiere azioni sulla terra per aver scelto proprio Teo, tra tutti loro.

Non dice una parola agli altri, invidioso come è di essere il mio preferito, ma non esenta i suoi passi dal correre ed io, di risposta, non aspetto un attimo a chinarmi a terra.

Finisce tra le mie braccia, contro il mio petto, e l'attimo dopo ci tiro su. Le sue gambe si intrecciano al mio busto mentre con le braccia, simpatica scimmia, mi si avvolge attorno al collo. Al contempo preservo il suo piccolo corpo tra le braccia, ringraziando che non gli sia successo niente.

«Raiiis!»Mi richiama la sua voce, proprio mentre è vicina al mio orecchio, ed io rido ma sento scendere dagli occhi le lacrime.

«Ehi, ragazzino! Felice di trovarti tutto intero.»

«Dove sei stato?»

«Lontano, ma come vedi sono tornato.»

«Don Giulio ci stava raccontando delle storie.»

«Ho visto.»

«Mi piacciono molto.»

«Ne sono felice.»

Non ha idea di quanto lo sia. Di quanto avvertire il suo profumo, sul suo collo, sia di conforto.

Passo una mano sulla sua testa e gli accarezzo lento i capelli, per poi voltarmi appena verso Francis e trovandolo già a fissarci.

Nemmeno lui può immaginarsi cosa io stia provando.
Inutile che mi prenda in giro per le mie lacrime, per quanto l'ironia sembri aver abbandonato il suo sguardo.
Quello che ha dato è stata protezione, sicurezza per le generazioni future. Sopravvivenza per quelle figure tanto fragili che il mondo dimentica.
I miei coraggiosi orfani di strada che tanto ridono della loro semplicità...
Ha investito su un mondo che viene dopo di noi. Su qualcuno più importante di qualunque problema e lo ha fatto compiendo quello che sa fare meglio: amare.

Francis ha messo in atto un altro gesto d'amore che cancella tutto il dolore del nostro passato, lo spazza via, permettendoci di vivere dentro cuori più puliti, privati di dolorose lacrime.

Persino dai suoi occhi una scivola via, e potrei prenderlo in giro per sempre ma mi limito a sorridere, proprio come sta facendo lui, con ancora Teo stretto addosso e la certezza che in questo schifoso mondo dal quale tanto ho cercato di fuggire disperatamente, con tutte le mie forze, tramortendomi l'anima ci possa essere ancora qualcosa di tanto buono, di così puro.

Siamo noi. Loro. Qualsiasi persona disposta ad ammetterlo.

«Adesso vai, altrimenti ti perdi la storia» incoraggio Teo a scendere e lui non esita un attimo.
Scivola via e torna dai suoi amici, lasciandoci soli in uno strepitio di suole gommose infantili che strusciano sui pavimenti lucidi, di urla, di grida, di gioia, di risate e di calore.
Più calore di quanto si potrebbe mai ricevere.
Ed il merito di tutto questo è suo.

Rimango a fissarlo, dopo un momento in cui la confusione generale mi aveva distratto, e poi retrocedo, ripercorrendo la strada di arrivo e vedendomi inseguito dalla sua confusione.

Compio passi lenti, i suoi li imitano e con calma raggiungo di nuovo gli scaffali tempestati dai libri, quel posto dove possiamo essere lontani da occhi di indiscreti.

C'è poca luce, qui, ma in sottofondo ancora i rumori di gioia e quando arrivo ad una delle pareti mi volto, fronteggiando il suo viso.

Poco importa dell'orgoglio, quando si ama. Poco importa di dimostrarsi i più forti nel resistere.
Afferro entrambi i baveri del suo cappotto e lo avvicino a me, in modo tale da baciarlo.

La sua esitazione è manifestata dal tremore della sua mano destra non appena si solleva e tenta di accarezzarmi il viso. Si posa sulla mia pelle, mi sfiora. Scivola dalla tempia alla guancia mentre ci baciamo e nel suo discendere chiudo gli occhi che per tutto il tempo avevo tenuto contro i suoi, chiusi, serrati, persi dentro quello che stiamo provando.

Mi concedo di perdermi anche io non appena la sua lingua mi raggiunge, toccandomi con maggiore sicurezza della sua mano ma ancora con premura.

Non so davvero cosa potrà accadere, quando starà via. Come riuscirò a gestire tutte queste emozioni troppo forti che mi ha lasciato addosso ma ho un compito; vincolarlo alla stessa agonia, perché questo momento è solo nostro.

«Potrai tornare qui quando vorrai» dichiara con voce rotta, interrompendo per un attimo il nostro bacio prima di richiederne ancora. «Non avranno più niente da temere, e nemmeno tu.»

Le mie mani si stringono più forte al suo cappotto. Una delle due scappa per posarsi sulla sua nuca, attirandolo più vicino e quando il bacio termina ci stringiamo in un abbraccio riparato dai libri. Nel silenzio che è rispetto per un amore incredibilmente forte.

P.O.V.
Francis

Non avrei voluto lasciarlo da Don Giulio ma sono stato costretto dai doveri, assicurandomi solo di riuscire a scorgere la sua gioia nel vedere anche Oliver al sicuro in quel posto.

Sì, ero riuscito a radunarli tutti e la cosa non era passata in osservata, né in città, né dentro le mura di casa mia.
Ho dovuto ospitare alcuni degli orfani, per delle ore, dentro la mia casa, in modo tale che non scappassero via come comandato dal loro animo nomade e la piccola Megan li aveva notati.

Curiosa, mi aveva chiesto chi fossero. Le avevo raccontato della mia iniziativa. Mi aveva promesso, da più grande, che si sarebbe presa carico di leggere, a qualunque bambino passasse da Don Giulio per ascoltarla, una storia.
Spero che mantenga la sua promessa perché nel South Side c'è bisogno di fantasia.

Mia madre, invece, era rimasta alquanto sorpresa mentre mio zio, in casa con lei, si era immedesimato nei panni di divertente giullare per intrattenerli.

Ora, mentre cammino per strada, mi accorgo che ogni cosa è andata come dovrebbe e che avevo bisogno di vedere quella gioia, negli occhi di Rais.
Tutto quello che sta succedendo ha offuscato l'intero mondo, e se ho modo di tappare gli occhi al dolore, almeno per qualche ora...

Espiro profondamente, rendendomi conto che aver illuso quel demone lo aveva reso mio compagno di giochi, entusiasta di passare con me il resto della giornata, piena di doveri, che mi aspetta.

Uno su tutti: parlare con Cedric. Dal giorno della pioggia di ceneri mi è apparso distrutto. Sconfitto dal gesto compiuto da sua nonna per cui è il momento di un nostro confronto.

Ho compiuto quel gesto incauto, improvviso, di bruciare le terre dei Lee, solo per accorciare i tempi della nostra agonia ma ciò aveva comportato una veloce rivelazione di tutto ciò che vi era nascosto al di sotto e temo di aver condiviso con lui il demone del dolore.

Sto pensando a questo mentre cammino lungo la strada che mi congiunge alla sua proprietà, passando per la via vecchia, quando mi rendo conto di una discussione tra due uomini, proprio vicino alla ormai ex dimora dalla quale ho fatto uscire Oliver.

Con attenzione, mi avvicino a passo lento ad uno degli edifici che affaccia sulla via della casa "dei giovani piaceri", lasciando un orecchio all'ascolto di quelle incaute discussioni che sembrano prendere vita a dispetto di ogni prudenza.

«Non devi credere alle storie che ci raccontano, ci stanno mentendo» dice il primo dei due all'altro, grattandosi con forza un braccio, preso dai tremori di una febbre che ormai so riconoscere.

«Ti preoccupi troppo.»

«No, invece. Dobbiamo trovare i soldi per pagarlo, altrimenti Taigar ci ammazza!»

«Taigar non ha mai ucciso nesssuno...»

«Lo credi sul serio? E quel coltello, quelle persone a proteggerlo, sono di figura?»

«Avanti, piantala.»

«D'accordo, allora senti questa: ricordi di Liam? Quel ragazzo giovane che viveva al terzo piano assieme al rosso.»

Sgrano gli occhi dinanzi questa domanda, e presto maggiore ascolto, muovendo un passo che mi possa avvicinare ancora di più a loro.

«Sì, e allora?»

«Ci hanno raccontato che è morto di ipotermia, dormendo per strada, ma non è così! Aveva provato a tornare, aveva trovato i soldi. Taigar, però, aveva smesso di fidarsi di lui, si era stancato dei suoi problemi, del suo continuo andargli contro. Ricordi come litigavano?»

«E...?»

«Ho visto il suo corpo, la mattina dopo. Ho visto Taigar che ripuliva il coltello. Lo ha ucciso alle spalle, ferendolo alla schiena.»

«Che diavolo stai dicendo?»

«Si sente il padrone del mondo perché è la famiglia Lee a proteggerlo, ma solo un codardo uccide così.»

Le loro voci continuano a discutere sull'idea di lasciare quel posto ma io non le sento più perché un'idea vortica nella mia testa, dandomi la soluzione ad una domanda che mi ha tormentato per delle ore, confermandomi quanto poco si possa credere alle coincidenze.

Non sempre arrivo a dare ragione alla mia amica, ma stavolta Amy ne ha da vendere: il passato contiene le risposte che occorrono al presente, ma mai prima d'ora si erano dimostrate tanto utili.

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