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52- Cenere

"Chi s'amo come noi? Cerchiamo
le antiche ceneri del cuore bruciato
e lì cadano a uno a uno i nostri baci
finché resusciti il fiore disabitato".

Pablo Neruda

P.O.V.
Halima

Prima di vivere dentro questo mio nuovo mondo avevo la pelle immacolata.
Nessun bacio aveva raggiunto le mie labbra ma ora, sotto mia specifica richiesta, avevo ricevuto quello di Issa.
Nessun animale aveva stretto, in un cappio, il polso della mia mano destra ma temo che quel serpente, la scorsa notte, lo abbia sul serio fatto. Ricordo di un tempo in cui lessi che animali del genere, certi predatori, sono soliti testare la propria preda con attente osservazioni. Passano con lei le giornate, provano a carpirne la velocità e le prestazioni, dormono assieme a lei e la tengono stretta fingendo un amore che in verità si manifesta essere solo il tentativo di capire se si è capaci di poterla mangiare.

Un carattere tanto astuto da essere ignobile, per cui è da tempo che sono convinta di detestare, senza ombra di dubbio, i serpenti e tutti quegli animali silenziosi che strisciano di soppiatto per coglierti alla sprovvista... ma cosa dire in merito alle sorprese? Provengono da ogni luogo, da ogni persona, da ogni istante.

Solo un momento prima di entrare a far parte della loro conoscenza credi di sapere tutto, di essere in pari con i resoconti della tua vita, per poi accorgerti di quanto tutto possa essere sovvertito in un attimo.

Di come l'aria possa appesantirsi di pesante anidride quando oltrepassi un sentiero che ti è noto e che percorri, ormai, ogni giorno accanto all'amico che ti fa da spalla e che stringe, con te, gli occhi per poter far fronte alla nuvola di fumo che genera tosse.

Tracce di cenere volteggiano nell'aria spente, scariche di fuoco, lasciando intendere quanto di brutto possa essere nuovamente capitato.

«Mettiti al sicuro, Halima! Mi hai capito? Vai da Cedric, entra in casa sua, ma vattene di qui!» Mi ordina Issa, ponendosi di fronte a me come un cavaliere pieno di coraggio.
No, non ha capito. Io ho smesso di scappare, e per dimostrarglielo lo spalleggio e poi lascio dei metri a correre tra di noi, non appena prendo a camminare.

«Halima!» Grida, iniziando a correre per starmi dietro. È un uomo grande e grosso ma io sono leggera e sono veloce. Vado incontro alla nuvola di fumo che ci appesantisce i polmoni, e attraverso cui filtra la luce del sole pallido di questa mattina, solo perché sento delle voci al loro interno.

Issa mi reclama ancora ma ormai ho raggiunto la nostra gente che, intenta a non concepire l'origine di questo nuovo rogo, si osserva intorno senza capire.
Controllo che le persone che conosco non si siano fatte del male ma Amy non c'è e nemmeno Ercole. Di Cedric, poi, nemmeno l'ombra ma forse è con quel poliziotto, quel Samuel che mi ha soccorso davanti al serpente. Sì, magari sono insieme, ma senza certe colonne portanti l'intero sistema crolla dall'insicurezza, fomentato da un susseguirsi di congetture che destano scalpore sulla possibilità che il vecchio piromane possa essere tornato in azione.

«Qualcuno sa che cosa è successo?» Domanda una voce maschile.

«Nessuno, siamo arrivati da poco, speriamo non sia stato distrutto niente!» Mormora un'altra, femminile, a tono basso quasi temesse di un possibile complotto.

«Speriamo che il signor Garcia torni presto!»

«Si speriamo!»

Avvistando una figura fin troppo nota, sul finale scenico di questa scenografia, mi volto di fretta per poter sfuggire al suo sguardo ma mi scontro contro Samuel che rimane immobile, ad analizzarmi.

«Stai bene?» Domanda con tono serio, poco prima che Issa ci raggiunga con fiato rotto e le mani sulle ginocchia.

«Va tutto bene, dove è Cedric?»

«Sta arrivando. Presto avrete tutti delle spiegazioni.»

Annuisco, partecipe della sua risposta, e prima che possa spingermi a raggiungere nuovamente il gruppo scappo via per tornare da Issa ma, più di tutti, per sfuggire a Francis.

Cammina al fianco della signora Zelda Garcia, la nonna di Cedric con la quale non ho mai potuto parlare ma che ho avvistato fissare, costantemente, la proprietà dall'alto del suo balcone.

Non sono ancora pronta per fronteggiarlo per cui richiedo la protezione di Issa che, capendo la mia posizione, mi sospinge di nuovo verso la casa dei Garcia, certo che posa arrivare per me un momento più propizio per fare pace ma non è questo il giorno.
Tra le nuvole di fumo serpeggia ancora l'odio e vecchi rancori che stanno per essere rivelati.

P.O.V.
Hasim

Ricordo chiaramente questo odore: è l'odore del fuoco, della distruzione, della scomparsa, ma stavolta non sono stato io a generarlo.
Ormai sono vincolato a questa casa strettamente, come dentro a una prigione caratterizzata, però, da bianche tende e da continui rumori. È una famiglia molto numerosa quella che ha accettato, con compiacenza, il mio arrivo assieme ad una dose di strano sospetto quasi come se la bambina, o la nonna, o il nonno, sentissero che ci fosse qualcosa in me di profondamente sbagliato.
Non gliene faccio un torto, dal momento che l'unica a vedermi diversamente è la ragazza a cui ho fatto più male ed il ragazzo, di conseguenza. Pare quasi che non voglia affatto tradirla. Chi lo sa... magari è innamorato.

Sorrido nel pensarlo poiché la congettura si affianca a una strana sorta di discussione, proprio tra di loro. Il ragazzo vorrebbe uscire ma Lèa tenta di dissuaderlo.

«No, Ercole, ti prego, resta! Non voglio che vai lì fuori, sta bruciando tutto, non lo vedi?»

«Lèa, il fuoco è spento, il fumo è per via di questo. Devi stare tranquilla, ti lascio ma torno subito, tu promettimi che non uscirai di casa.»

«Ercole...»

«Promettimelo, Lèa.»

«Te lo prometto...»

«Se succede qualcosa prendi tutti quanti e vattene, mi hai capito? Ci sono dei soldi nella mia stanza, dietro il ritratto dei miei.»

Vista la casa in cui mi trovo, mi domando a quanto potrebbe ammontare la cifra ma registro l'informazione, trattandosi di una somma che si immagina possa garantire una nuova vita.

Socchiudo gli occhi e vedo Lèa annuire, poi l'altro uscire e quindi entrambi allontanarsi dalla mia vista.
Mi sollevo sul divano con difficoltà, avvertendo il dolore nei punti in cui aveva premuto le mani l'infermiera per poi far passare punture di ago, e scosto le tende per potermi rendere conto da dove provenga il costante fumo di questo barbecue e rimango sorpreso da ciò che vedo.

Mia sorella sta scappando, quasi correndo, in una casa molto lontana e particolarmente maestosa per poter sfuggire a qualcuno. Lo capisco di colpo. Per questo lascio scorrere lo sguardo e, con fierezza, noto che si tratta di Francis.
Se avessero fatto pace non glielo avrei mai perdonato ma per quanto pazza mia sorella è cosciente di quale sia il suo ruolo, e quali persone sia il caso di frequentare e quali no, al contrario di me.

Lèa mi raggiunge nella stanza, sempre torturandosi le mani.
La sua non è solo preoccupazione. È paura. Del fuoco, di quello che c'è fuori.

Lascio cadere la tenda contro il vetro, impedendo al sole di filtrare nella sala.

P.O.V.
Cedric

Tento di farmi largo tra la folla ma è quasi impossibile. Udendo la mia voce qualcuno si allontana. Qualcuno si rivolge a me con disperazione. Qualcuno fugge via sperando di non essere visto.
Ercole solo mi affianca, intrecciandosi una sciarpa al collo a causa del freddo e fissandomi con uno sguardo di pura preoccupazione.

«Che cosa sta succedendo?»

«Non ne ho idea» rispondo, continuando a procedere nella direzione del raduno attorno al quale sembra essersi circoscritta la folla. «Nella notte c'è stato un nuovo incendio.»

A simili parole, udite e dette, entrambi velocizziamo il passo riuscendo così a raggiungere il baricentro di quest'assemblea ma in fondo, ragiono, avrei voluto non averlo fatto.

Zelda si erge nei suoi abiti scuri, completamente neri, affianco ad un uomo che non si veste diversamente. Francis la accompagna al centro della scena, infatti, e le sue mani sono sporche di nera cenere che lo colpevolizza come di un fatto che non comprendo se può essere stato, sul serio, da lui commesso.

«Sono qui perché desidero parlare a voi tutti» annuncia mia nonna in un proclamo che mette a tacere gli schiamazzi e le ipotesi generatesi al confine di questo nostro cerchio. «Vi sarete chiesti il motivo di questi incendi e senza dubbio vi ricorderete anche di mio marito, il secondo capostipite Garcia che fondò questo posto... ebbene, le due situazioni sono connesse. Molto tempo fa io e mio marito abbiamo fatto un torto ad un'importante famiglia. Li abbiamo ingannati. Siamo scesi a patti con loro solo per consegnarli alla giustizia.»

Inclino la testa, senza davvero riuscire a capire ciò che mia nonna sta dicendo. Senza riuscire a comprendere dove si attarda la verità e dove, invece, la bugia... ma mia nonna, mentre parla, osserva solo me, dritto negli occhi per cui mi chiedo anche quanto sia possibile mentire in un modo tanto spudorato a chi è sangue del tuo sangue. A decidere di fare questa sceneggiata così, davanti a tutti, a proclamare una verità alla quale non si vuole sul serio credere... a convincere Francis a essere presente.

Lui, paladino di giustizia e sincerità, crede sul serio a mia nonna? È davvero... dalla sua parte?

«Mio marito sapeva che genere di persone fossero. Sapeva che si trattava di cattiva gente e mi convinse a fare la cosa più giusta; far rendere conto a loro di tutte le malignità commesse. Di comune accordo decidemmo di sottoscrivere un falso atto di proprietà che potesse fargli credere di investire azioni su un capitale che, in realtà, era inesistente: in questo modo li avremo imbrogliati, spinti alla banca rotta ed esortati a rivelare prove utili alla polizia per incastrarli, ma si resero conto della truffa troppo presto e decisero di farci vendetta. La famiglia Lee brucia i nostri possedimenti da quel giorno, ma stavolta è la loro proprietà a bruciare.»

No... no, non credo a una sola parola.
Per tutta la vita ho pensato che fosse mia nonna dalla parte del torto. Che usasse mio nonno. Che lo odiasse. Che lo avesse spinto alla trappola di quel vicolo in cui aveva trovato la morte... ucciso da un altro.

«Si può sapere cosa stai dicendo?» Sibilo, rivolto a mia nonna ma è Francis a intervenire.

«Cedric, devi ascoltare. Quello che dice tua nonna è vero.»

«Mi dispiace, Cedric» mormora lei, e la bocca mi si spalanca.

«Ti dispiace? E per che cosa? Sei tu la colpa di tutto questo! Ora che cosa pretendi, delle scuse da parte mia?» È la mia voce a richiederle, per quanto l'animo non vorrebbe affatto rilasciarle.

Un tempo, quando ero molto piccolo, io e mia nonna eravamo amici ma adesso... Da tempo... da tempo no, tra noi vi è solo odio, e ora lei non può permettersi di dirmi che è stato tutto vano.

La dolcezza nei suoi occhi mi disgusta come il pensiero di tutto ciò che vi è scaturito a seguito.

«Mi dispiace, Cedric. Lasciare che mi odiassi era il modo più semplice per tenerti al sicuro.»

Davvero lo crede sul serio? E con che coraggio?

Le ho detto delle parole... le ho rivolto certe frasi che non avrei detto a nessun altro ed ora lei mi dice che essere state tutte parte di un suo piano per tenermi al sicuro.
Non riesco a pensare a niente. Sono così confuso da voler vomitare.

«Non mi importa di quello che dici, ormai non posso più crederti. Chi ha appiccato questo incendio?»

«Sono stato io» informa tutti Francis, generando un moto di sorpresa, ma non da parte mia.

«Per quale motivo?»

Mi odia tanto per aver ferito la sua migliore amica che è scomparsa, di colpo, da qualsiasi posto io sia andato a cercarla come un disperato per poter, finalmente, chiarire le cose tra di noi?

«Ho avuto la prova di un notaio che quell'atto era falso. Dopodiché sono andato nei catasti comunali per scoprire quali fossero i possedimenti legalmente registrati dei Lee e ho messo a ferro e fuoco quello che tuo nonno gli aveva concesso. Per questo motivo, secondo quanto ha confessato anche Carlail, quello che dice tua nonna è vero. Dovresti, sul serio, stare ad ascoltarla.»

No, non voglio farlo. Quello di cui ho bisogno è di reagire.

«Perché sei stata in silenzio tutto questo tempo? Eh?!»

«Avrebbero fatto del male alla nostra famiglia» risponde mia nonna, senza perdere il contatto con i miei occhi. «Avrebbero fatto del male a te.»

Sospiro e sbuffo, in un solo colpo, agitandomi sul posto per poter aver pace da tutto questo.
Sul serio, questo amore non lo sopporto, e vorrei scappare via, distrutto come sono adesso, a caccia di un luogo che mi faccia sentire al sicuro.
Di una persona, ancora meglio, che mi ci faccia sentire.

«E ora, invece? Cosa è cambiato?»

«Ora qualcuno più forte di me ha avuto coraggio» replica lei, ed è chiaro di chi sta parlando.

Perfetto. Davvero perfetto. Un altro dei suoi dannati misteri risolti. Può essere felice, ora, Francis di aver archiviato questo suo caso e cosa importa se il resto del mondo cade a pezzi. A me non niente di certo, ho solo poche cose da dover sapere, prima di poter andarmene.

«Dove è l'atto di proprietà?»

«D'ora in poi la tua famiglia e te sarete sotto controllo della polizia. Ho dovuto bruciare quella prova per poter essere certo che nessun membro corrotto del distretto la riportasse tra le prove della centrale e la usasse a loro favore. Questa fase è importante, dobbiamo smettere di perdere» risponde il soldatino integerrimo, lasciandomi sospirare contro il cielo.

Dannazione, avrei dovuto dare quel foglio ad Amy quando ne ero in tempo. Per Francis può non valere niente ma non ha idea di cosa significhi per la sua migliore amica.
Anche se, in verità, sarebbe solo stata la strada più veloce per guadagnarmi la sua fiducia ed io non voglio farlo così.

Voglio Amy al mio fianco, sempre. Specie in momenti tanto complessi.

«Cedric...» mi richiama mia nonna ma io sollevo una mano per manifestare il bisogno che ho di una pausa, da tutto questo, essendomi già voltato per andarmene.

«Ho bisogno di pensare, nonna. Per favore... lasciami solo.»

Adesso è tutto nelle loro mani, della mia famiglia e della polizia. Io ho solo il bisogno di scappare lontano per rifugiarmi in una pace che è solo mia.

Mentre cammino, uscendo dalla proprietà, penso al giorno in cui Amy venne a casa di mio nonno con quei libri per studiare insieme. Quel giorno fu il giorno della nostra prima volta.
Leggemmo un paragrafo del libro di storia, prima di toccarci, e lo ricordo: era la donazione di Costantino. Un editto che era una bugia, una menzogna per mascherare un'altra verità... lo stesso che è capitato a me, alla mia famiglia.

Ed è con questo ricordo che i pensieri piacevoli si mescolano a quelli oscuri, iracondi, ricolmi di ferocia che mi incentivano ad aumentare sempre di più il passo per non soccombere.

L'asfalto del South Side accoglie prima i miei passi, poi la mia corsa, poi il mio dolore.
Su di esso riverso ogni cosa e quando arrivo a destinazione sono stanco di tutte le bugie.

Stanco dei segreti, stanco di soffrire. Semplicemente stanco e in lacrime... a pezzi dinanzi ai sentimenti, ma provo comunque ad avere la forza necessaria per bussare a questa porta e rivelare il mio cuore.

Gli occhi di sua madre sono molto simili ai suoi ma la genitrice è più bassa, con più curve, con più sorpresa. Anche la sua mescolata alla rabbia? Non saprei dirlo, ma mi trovo qui, sul pianerottolo dinanzi l'ingresso di casa sua dentro questo condominio, ad erigere la schiena facendo uscire un profondo sospiro mentre le lacrime continuano a correre lungo le guance.

«Sono innamorato di sua figlia, signora Reyens. Per questo motivo le chiedo di mettere da parte tutti i rancori contro la mia famiglia e permetterci di vivere felici.»

Sì, che la sorpresa fosse macchiata di altro ne ero certo ma mai mi sarei aspettato che fosse dolore, e pena, insieme ad uno strano scompenso.

Karoline Reyens, madre di Amelie Reyenes, piega la testa di lato nel suo stesso modo ma mentre la figlia, in quella posa, era solita sorridermi in attesa dei miei baci la madre mi compiange con dolore, essendo quasi certa che un simile momento potesse giungere.

«Ho appena saputo, da delle signore in città, della sua relazione con il professor Wood... e sono rammaricata dell'accaduto, signorino Garcia, ma loro due sono tornati insieme.»

Il dolore può essere condiviso dentro reciproche lacrime. Di delusione, da parte sua. Di terrore, da parte mia.
Quello che non può essere condiviso è la sensazione di cadere giù nel baratro, verso l'oblio, quasi attratti con più prepotenza dalla gravità che assicura morte certa.

Prima di questa giornata non mi sono mai sentito tanto fragile ma dentro queste lacrime di uomo ferito altro non vi è da rivelare che questo.
Sono a pezzi, decomposto dentro piccole particelle di cenere, in libera caduta oltre un precipizio, e non vi sarà alcuna mano dall'altra parte a rendere più piacevole l'atterraggio.

P.O.V.
Hasim

Quale strana persona quella che manifesta le proprie debolezze a un completo estraneo. Verrebbe quasi da pensare che non gradisca rivelarle a nessuno di sua conoscenza o che, in alternativa, le risulti più semplice trattare argomenti delicati con chi non sapeva nulla di lei, prima di allora, e non può permettersi di giudicare.

Le paure sono un tema serio così come i limiti che la mente ti impone. Non ne so molto, ma sembra quasi che siano in grado di tenerti in gabbia dal momento che Lèa pare non sapere affatto come uscire da qui ma c'è una porta, c'è una finestra, c'è un ingresso... se solo volesse potrebbe rendere il sole partecipe delle proprie giornate ma invece preferisce la notte, preferisce l'oscurità, rimanere con me chiusi in una stanza con le tende serrate per parlarmi di tutti i suoi problemi, con tono sommesso.

«Prima dell'incidente ero una donna forte, lo sai? Ma il fuoco cancella tutto... la corrosione... è distruttiva, lascia solo brandelli di cenere. Solo questo ti può far rendere conto di quanto sia crudele... non lo capisci?» Mi domanda, sollevando i suoi occhi chiari verso i miei, scuri più del nero dell'inchiostro.

«L'imporsi, l'esercitare oppressione non serve a niente sulle persone. Non rende te una persona. Chi ha fatto tutto questo dovrebbe saperlo, chi ha fatto questo alla tua mano... Nerissa mi ha detto che l'osso è stato fratturato e la mano recisa, non può essere stato un caso.»

Evito di dirle quanto già sembra supporre e nel mio silenzio, interpretato come un assenso, è l'animo di Lèa ad incendiarsi, risospinto da una nuova grinta che ho visto, da piccola, solo negli occhi di mia sorella.
Cattura il mio sguardo, mi strega per la sua audacia e per il modo concitato con cui torna a parlare, con maggiore forza.

«Lo capisci, vero? Tutto questo è sbagliato! Nessuno dovrebbe opporsi, non dovrebbe esserci violenza.»

Da quando è arrivata qui, esitante all'uscita di scena di Ercole, mi aveva chiesto se fosse stato possibile parlare insieme, tenerci compagnia, ed aveva iniziato a farlo timidamente ma si era accorta, nel corso dei minuti, di quanto fossi favorevole all'ascolto pur senza volerlo ed eccoci arrivati qui, al suo fervore. Al sorriso smagliante che mi rivolge, certa che stessimo parlando la stessa lingua nonostante sia lei la sola a disperdere nell'aria il suo pensiero.

Io non sono così. Tengo per me le mie riflessioni e non cerco affatto di convincere, di fare pace. Piuttosto schiero in campo la guerra ma Lèa mi dice, di colpo, mi istruisce sul fatto che tutto questo possa essere sbagliato.

«La violenza genera paura, fomenta l'odio. Nessuno di noi ha bisogno di tutto questo, ci sono molti altri sentimenti puri da vivere. La felicità, l'allegria, la serietà, la correttezza... non lo pensi anche tu? Tutta questa cenere è inutile, tappa solo gli occhi e ci impedisce di vedere quello che meritiamo.»

Oltre la finestra, la cenere in verità è neve, che cade fitta dai tetti dei palazzi e dalle nuvole del cielo, rendendo l'esterno un paesaggio grigio e bianco, completamente tappato alla vista, che non ha confini né limiti, che non ha caratteri.
Un posto che è un enorme pagina bianca, un luogo da riscoprire e di cui mi rendo conto di essere curioso.

Negli occhi di Lèa scopro il bisogno di qualcosa di nuovo; in una vita comandata dall'imposizione, dal controllo, dalla rabbia, dalla ferocia io desidero solo il suo perdono. Voglio il riscatto da questi occhi. Voglio che mi concedano il lusso di poter essere visto come loro mi promettono potrebbero vedermi ed è sfibrante, senza logica, un simile desidero.
Conduce alla reinventiva. Ad una sorta di nuova vita. Ad un riscatto che, prima di entrare in questa casa, non avrei richiesto.

La cenere, neve bianca sul mondo, simboleggia la rinascita di una nuova vita incapace di smacchiare i vecchi peccati ma promettendo il non generarsi di nuovi, dentro il futuro che è prossimo ad attendere.

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