Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

50- Agnelli e lupi

P.O.V.
Rais

Una volta vidi un film, in casa mia, assieme a Oliver. Era girato secondo una sequenza di azioni lente, riflessive, che miravano a mettere in mostra il carattere indagatore dei personaggi in gioco.
Il riflessivo uomo di indagine, l'arreso amico ad angolo della scena e lo stanco distacco assunto dall'ultima figura che aveva sollevato il problema, senza volervi porre una conclusione.

Rispettivamente, Francis, Ercole e Cedric.
L'unica cosa che non conosco è quale sia il mio ruolo qui. All'interno del film non esistevo e a quanto pare nemmeno dentro le volontà di Francis.
Avrebbe preferito che non mi intromettessi ma farlo è impossibile; non lo lascerei mai solo dinanzi a situazioni simili, poco importa se avrebbe voluto evitarlo e sparire, dopo averle risolte, senza farmene una sola parola.

Ormai sono a conoscenza di ciò che è successo, per questo regna il silenzio.
Francis, a braccia incrociate, è in piedi alle mie spalle intento a fissare oltre la finestra lo scheletro del fienile bruciato.
Cedric, invece, seduto di fronte a me sulla scrivania sembra perso in ben altri pensieri e dall'espressione che sfoggia capisco bene come possano essere rivolti a quella donna da cui tanto ho cercato di allontanare Francis. Mi domando cosa abbia di tanto speciale, solo per un attimo però perché a incuriosirmi, straordinariamente, è l'espressione calma sul viso di Ercole.

Non ne ho visti molti, come lui.
Dinanzi ai problemi pare non scomporsi. Nei servizi di copertura sarebbe un asso, imbattibile se posto faccia a faccia con l'orrore.

«Credo di sapere cosa possa essere successo» informo tutti, ricevendo tre tipi di sguardi contro.
Attendo qualche attimo per mettere in ordine le mie idee, così da esternarle come si deve a questo pubblico difficile. «Se si tratta dei Lee, allora chi ha organizzato tutto questo è William. Non è la prima volta che appicca dei fuochi. Svaluta il terreno, rendendolo impraticabile alle coltivazioni, per poterlo acquistare una volta che i proprietari sono allo stremo e comprarlo come lotto di edificazione.»

«Non dovrebbe. La proprietà già gli appartiene. Ho un contratto di mia nonna che lo dimostra. Ci deve essere un altro motivo.»

«E quale altro? Magari quel contratto è falso.»

«Mia nonna non mentirebbe mai, a certa gente.»

«Allora tuo nonno?» Chiede Ercole nella direzione di Cedric, e questi sospira.

«Qualunque sia il motivo» mi inserisco di nuovo nei loro pensieri «so come agisce. Per primo chiede ad uno degli operatori, offrendo una ricompensa monetaria in cambio di risposte, di che tipo di fertilizzanti la società fa uso. Approfitta dell'uomo affinché agisca per suo conto, poi, fin tanto che la colpa non gli impedisce di continuare, così come per mille altri motivi che metterebbero in dubbio l'efficacia dell'operazioni, lo sfrutta. Dovrebbero essere avviati dei controlli sul personale: se questi non è morto, abbiamo un'altra testimonianza diretta, dal momento che si tratterà di un pentito.»

«Che altro?» Mi chiede, vorace di risposte, Ercole e mi rendo conto di aver offerto dei punti di osservazione su cui prima non si erano soffermati.

«Escluso qualcuno interno al personale, William agisce con gente esterna.»

«Persone che possono avercela con noi?» Chiede Francis d'un tratto, dopo lunghi minuti di silenziosa auto riflessione.
Deglutisco appena e scuoto il capo, fissandolo.

«No, tenta sempre di evitare qualsiasi figura che possa avere una sorta di connessione con le vittime. Metterebbe in crisi il suo lavoro e non farebbe capire, con efficienza, lo scopo della sua azione.»

«Vuole farsi notare» commenta Cedric, per poi ridere sommessamente.
Forse sta pensando all'egocentrismo di William.
In effetti, è motivo di stanca ilarità anche da parte mia, o forse è solo esausto da tutta questa storia.

«Che cos'altro possiamo fare?» Chiede nella mia direzione Ercole ed io mi stringo nelle spalle.

«Ricercata la spia tra il personale, trovare la nuova persona che si occupa di tutto questo è quasi impossibile. Se la polizia collabora, però, possiamo provare a capire se sono state acquisite nuove case; solitamente è con un tetto sopra la testa che la gente come loro ripaga i propri collaboratori.»

Francis è stranamente silenzioso, probabilmente disgustato dalla mia conoscenza in materia o peggio ancora intento a chiedersi se la casa dove abbiamo fatto l'amore e ci siamo ricongiunti fosse un dono di William, in segno di ricompensa.
Non lo è... ma nemmeno tutti i miei sbagli sono invisibili. Delle tracce sono rimaste ma sto cercando, in tutti i modi, di celarle.

«Tutto questo non servirà a niente» afferma Cedric, rialzandosi dalla sua seduta e appoggiandosi, stavolta, con i reni alla scrivania. Si sporge verso di me. «Sei ancora in contatto con loro?»

Non lo vedo, è ancora alle mi spalle, ma percepisco chiaramente la rotazione della testa di Francis.

«Scordatelo» ringhia, precedendo qualsiasi mia risposta pur essendomi accorto, a un tratto, di non averla.
Non conosco più il mio posto, dentro questo infinito gioco. Come mi vedono, adesso, i Lee?

«Non credi che sia un'opzione plausibile?»

«Non lo è. Non coinvolgerlo, altrimenti ce ne andiamo.»

«Francis» lo richiamo, voltandomi verso di lui ma ricevo un suo sguardo d'odio.

«No» ribatte secco, puntandomi un dito contro. «Mi hai fatto una promessa. Vedi di mantenerla.»

Sarei stato sotto la protezione della polizia, al sicuro.
Evito di riferirgli che si, sarebbe stato contemporaneo solo al suo periodo in accademia per non farlo infuriare di più.
Francis non accetta mezze verità o mezze promesse; mi vuole al sicuro e non gli interessa se questo possa preclude la strada più semplice. Per lui c'è sempre un'alternativa.

«Troveremo un altro modo» dice, infatti, tornando con lo sguardo oltre la finestra e chiudendo la conversazione da qualsiasi contesa.

P.O.V.
Hasim

Riposo circondato da un profondo silenzio e da un profumo delicato di rose. Nella mia vita non l'ho sentito molto spesso ma lo riconosco: è un sapore delicato, nell'attraversarti il naso e posartisi sulla lingua quando inali, ed ha in se come il ricordo della primavera.
Devo stare davvero male per pensare a cosa del genere ma non importa, sono sufficientemente intontito e convinto che la stessa persona che mi ha salvato abbia tentato, forse riuscendoci, di farmi ingoiare delle pillole grazie al supporto di un bicchiere ricolmo d'acqua che mi ha accostato, con delicatezza, alle labbra.

Oltre un iniziale stato di confusione, direi che nel resto del corpo sto bene: il dolore al braccio è diminuito ma è come se percepissi ancora il desiderio di far muovere la dita della mano.
Eccomi tormentato da un nuovo fantasma.
Mio fratello non bastava.

Ruoto la testa contro la seduta di questa sorta di rigido divano e in un primo momento riesco a vedere con chiarezza il colore del soffitto ed il modo in cui questi mobili antichi presenti lo sfiorino, creando piccoli cavedi in cui si annida la polvere in risulta. Dopodiché, riesco a ruotare ancora di più la testa e vedere in piedi, a fianco la porta di ingresso alla stanza, la figura della donna che mi ha salvato.

Cazzo... è davvero bellissima. O almeno credo. Come dicono anche le persone di mia conoscenza, sono sempre affiancato da donnacce e per di più sono intontito, la ragazza è distante e indossa come un vecchio foulard intorno alla testa. Mi chiedo se sia, come me, mussulmana.

«Come ti senti?» Domanda esitante, quasi colpevole dinanzi la possibilità di avermi svegliato.

Non sono mai stata una persona gentile, o riconoscente.

«Mi hai dato delle pillole?» Mormoro con tono di rimprovero, e la ragazza si tortura le mani.
Noto la lunghezza delle sue gambe, vedendo riposare le vittime della sua incertezza, le dita, sulle cosce fasciate dai jeans e mi domando dove arriverebbe, in altezza, a mio confronto. Che strana domanda.

«Si trattava di antidolorifici ma non preoccuparti. Ho chiesto al mio medico se potessero andare bene, anche con una possibile infezione della tua ferita, e lei mi ha dato il via libera. Arriverà presto per visitarti.»

"Lei"? Sono stato curato da una donna?

Stanco di tutta questa storia, torno con la testa direzionata al soffitto e sospiro, ma la ragazza non si accorge di nulla. Pare più preoccupata di riferirmi la situazione generale.

«Tra poco sarà qui, sì, ma non ti potrai trattenere per molto. Questa non è casa mia; anche io sono in cura e al momento siamo soli, non posso chiedere a nessuno, a nome tuo, di restare.»

Sollevo un sopracciglio e mi limito ad analizzare il suo stato. Dal modo in cui mi si rivolge non sembra certo avere qualche forma di disturbo psicologico, anche se quelli sono mali invisibili, così come sulla pelle non vi è traccia di gravi ferite.

Abbassa la testa, dinanzi a questo mio insistente sguardo, e dispiega l'orlo della manica destra con lentezza oltre il palmo della mano, attirando il mio sguardo.

«Come ti senti?»

A pezzi, questa è la giusta riposta, ma ancora una volta evito di dargliela perché mai nessuno mi aveva trattato con tanta gentilezza, nemmeno mia madre.

«Come ti chiami?» Prova ancora ad avanzare nel proprio interrogatorio, ed io sospiro.

«Perché vuoi sapere il mio nome se non rimarrò per molto?» Le replico a tono, sollevandomi dal divano con fatica e vittima di un capogiro.
Non appena mi accorgo di averle risposto troppo impunemente, sollevo appena gli occhi per una frazione di secondo... il tempo di vedere quell'espressione amareggiata che sfoggia in una profonda smorfia.

«Solo per educazione. La stessa cosa che mi ha spinta a venirti in soccorso mentre eri steso per terra mezzo morente. Hai perso molto sangue.»

Eco spiegato il perché dei miei continui capogiri. Un uomo migliore la ringrazierebbe sul serio, senza invece sbranarla a parole e sguardi.
Un uomo che non sono io.

«Devo andarmene» commento, ma a voce troppo bassa. Lei non mi sente, e così continua a parlare.

«Io mi chiamo Lèa.»

Arresto la mia azione. Mi immobilizzo, di colpo, a sentire queste parole.
Lèa. Lei è Lèa.

Un emozione completamente diversa mi governa quando torno esitante a sollevare lo sguardo, per poter fissare dritto negli occhi questo candido agnello innocente che aveva soccorso, con purezza, il lupo che già l'aveva azzannato.

Si tratta della donna del fienile, la vittima dell'incendio che ho io stesso appiccato. Il mio modo di scendere con gli occhi lungo tutto il suo corpo, adesso, è dato dall'attenzione cosciente con cui mi soffermo sui vari punti in cui avevo visto le fiamme del fuoco avvicinarsi.

Quando l'incendio era impossibile da essere domato, quando stavo quasi per andarmene via da quel rogo... l'avevo vista riversa a terra dentro quel fienile e non ho potuto fare niente per aiutarla.
Stavo per entrare ma poi un rumore, il grido disperato di quell'uomo che le stava accorrendo in soccorso, mi aveva raggelato e spinto ad andarmene. Non avrei potuto farmi vedere da nessuno quindi non rimaneva altro che sperare che per lei non fosse troppo tardi.

E non lo era stato, quell'uomo l'aveva salvata... ma a che prezzo, la mia azione?
Quali... cicatrice sono nascoste sotto la sua pelle?
Voglio scoprirlo.

Lèa tira ancora il suo indumento oltre la linea della manica, quasi come se stendendo il materiale potesse tirar via anche i miei occhi, da li. Non apprezza di essere guardata, ma ormai non posso evitare di farlo.
Non ha idea di chi io sia e forse non lo scoprirà mai ma ho un dovere nei suoi riguardi. Mio malgrado sento il bisogno di espiarlo.

«Hasim. Mi chiamo così.»

Un sorriso a trentadue denti si affaccia sul suo viso ma io non lo ricambio, rimanendo piuttosto a fissarlo e potremo essere comici visti dall'esterno, diametralmente opposti, ma non mi governa alcun buon umore.
Tra tutti i posti in cui sarei potuto finire eccomi tornato qui, dinanzi la mia vittima.

«Ti preparo qualcosa da mangiare...»

«Non ce ne è bisogno.»

«Perché?» Perde di consistenza, immediatamente, il suo sorriso. «L'infermiera deve ancora arrivare, in questo modo sarai più in forze e potrai aspettarla.»

«Non occorre. Me ne vado.»

Ora più che mai sono deciso e riesco persino ad alzarmi dal divano. Sposto il peso su una gamba, alla ricerca del mio nuovo baricentro dentro questo offuscamento di sensi, per poi aggrapparmi con la mano rimasta alla testiera del letto.
Avanzo di un passo ma la sua voce mi arresta.

«No, Hasim, aspetta!»

Le dita si stringono con più forza al legno del letto, e una parte di me ne maledice l'altra per averle confessato il mio nome.

Che cosa ridicola trovarmi qui, incapace di muovermi.
Io, che non sono mai stato incline a lasciarmi dominare accettando solo l'imposizione dei miei genitori, come asseconda la mia religione e cultura, mi trovo in dovere di prestare attenzione a questa magra ragazza che, se volessi, potrei spingere con forza da parte per essere così in grado di passare.

Già... che cosa ridicola.

«Per favore, non andartene.»

Altro non vedo che lo sguardo supplichevole con il quale me lo sta chiedendo.
Stesa su quel pavimento in legno del fienile aveva gli occhi completamente chiusi, il volto gettato all'indietro... una bambola di porcellana dentro un negozio di antiquariato abbandonato dai proprietari, ma ora che è cosciente mi rendo conto di quanto l'anima fomenti la sua espressione, rendendo il tutto completamente diverso.

Dei passi ci raggiungono e poco dopo una figura si affaccia sulla scena di questo soggiorno: si tratta di un uomo dall'aspetto molto più trasandato del mio, tanto da farmi storcere la bocca alla vista dei suoi dread confusi sulla testa.

Sono un simbolo della mia cultura e la prima cosa a infastidirmi è il suo sfoggiarli con disinvoltura.
La seconda, il modo sconcertante con cui sembra mostrare la totale assenza di regole, nel vestire come nell'approcciarsi.
La terza... il modo in cui osserva Lèa giungendo.

«Che sta succedendo, qui?»

La quarta l'apprendere che la sua voce appartiene alla stessa di quel giorno di fuoco e di salvataggio.

Dunque si trattava di lui.

«Scusa, Ercole, avrei dovuto chiedertelo prima di farlo entrare ma l'ho trovato disteso in giardino, pieno di sangue. È ferito, ho chiamato Nerissa.»

Gli occhi del ragazzo, perché uomo non è al confronto dei miei anni, scivolano veloci lungo il mio braccio e si accorgono del moncherino che esso rappresenta.
Grazie agli antidolorifici parte del dolore è passato, ma non sono ancora pronto ad essere accolto per pietà.

«Non c'è nessun problema, Lèa. Hai fatto la cosa giusta.»

«Non intendo restare» mi intrometto, troncando di netto la loro conversazione.
Lèa appena sobbalza, al tono tra i denti con cui è uscita la mia voce.
Ercole, invece, nemmeno si scompone.

«Invece dovresti. L'infermiera è una nostra amica e senza dubbio starà già venendo qui. Ad occhio e croce la ferita che perde ancora sangue ha bisogno di una visita medica.»

Stringo tra loro i denti, in uno scricchiolio che forse è avvertibile anche dall'esterno, dopodiché non dico altro.
La testa di Ercole si volta verso quella di lei, a caccia di informazioni.

«Come si chiama?»

«Sono Hasim.» Mi presento all'estraneo, sporgendo il mento all'indietro nella fierezza che mi ha insegnato mio padre. Mai abbassare la guardia dinanzi un altro uomo.

Ercole solleva un sopracciglio, mostrandomi quanto il disprezzo possa essere reciproco.

«Hasim... benvenuto in questa casa. Potrai rimanere il tempo sufficiente per guarire che comunicherà la nostra infermiera... dopodiché te ne andrai via da qui.»

Soffermo lo sguardo su Lèa alle sue spalle, comparando la sostanziale differenza tra di loro.

«Affare fatto.»

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro