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42- Nuovi intrecci di conoscenze

P.O.V.
Ercole

Quando sopraggiungono cambiamenti importanti, nella vita di tutti i giorni, la mente è costretta a reagire in una sorta di sorpresa che cede presto il posto all'abitudine, perché le persone possono adattarsi a tutto tranne che a ciò che non simboleggia il vivere. Scegliamo di accontentarci, decidiamo che le cose possano starci bene e così impariamo a convivere con le nuove realtà senza, però, non potersi non dimostrarsi arresi dinanzi l'inevitabilità degli eventi.

Per questo entro in cucina a testa bassa, convinto di stare per vivere una giornata come sempre, immerso nei miei pensieri quando noto una figura al tavolo centrale alla stanza e non si tratta della piccola Valerie. La bambina è presente, porta ogni mattina il giornale e come sua abitudine, comandata dai miei nonni, si siede alla nostra tavola per bere un succo ai mirtilli. Normale routine. Ma stavolta, al suo fianco, è presente un'altra figura femminile che riconosco, nonostante il colorato foulard che si è intrecciata attorno al viso.

«Eccolo, è arrivato! Ciao, Ercole! Ciao!» Esclama la piccola, tendendo le mani verso di me ed io mi avvicino con esitazione. La osservo con un sorriso ma per quel poco tempo che basta per potermi concentrare su Lèa, la sola che sfugge al mio sguardo.

Anche i nonni sorridono della benevolenza che la piccola mi dimostra. Le voglio bene come a una sorella e mi domando se sia suo il merito di aver fatto arrivare Lèa fin qui.

«Ciao piccola, come stai?»

«Tutto bene, Ercole.»

«Bene... e tu come stai, Lèa?»

La domanda fuoriesce con una nota di esitazione, la stessa che anche lei mi rivolge, afferrando con dita tremanti la stoffa colorate che le avvolge la testa, salvaguardandole i capelli come se stesse per salire su una macchina scoperchiata in corsa, oltre al ripararle la parte del viso che tutti in questa stanza, a eccezione di Valerie, sappiamo essere sfigurata.

«Bene, grazie.»

Ermetica, come al suo solito ma non posso lamentarmi. Per lo meno mi ha risposto.

«Caro, ti va di sederti qui con noi prima di andare a lavorare? Hai fatto colazione?» Mi domanda mia nonna con dolcezza, tendendo la mano in avanti e mostrando così alla luce del sole il tremore che avvince la sua vecchiaia.

«No, nonna. Mi accomodo subito.»

«Bene, tesoro, vieni...»

Mio nonno, al suo fianco, sta leggendo il giornale che la piccola ha portato, e mascherato come è da dietro quelle immense pagine di lui si può scorgere solo la nuvola di fumo proveniente dal tabacco della sua vecchia pipa. Alle volte mi domando se gli occhiali enormi che porta siano come una lente di ingrandimento per tutte quelle parole che mastica quotidianamente, ad ogni ora del giorno. Da lui ho preso la seriosità dell'introspezione, il mio essere assurdamente timido nonostante abbia lasciato l'adolescenza alle spalle, mentre da mia nonna ho guadagnato la prontezza.

Grazie a quest'ultima caratteristica, infatti, nonostante la sedia che Valerie sembra essere in procinto di spostare decido di accomodarmi all'altra rimasta libera, proprio di fronte a Lèa. Non di fianco, non lontano. Assolutamente di fronte per poter assistere a ciò a cui il velo non fa schermo, tanto da costringerla ad abbassare la testa per potermi sfuggire.

In qualche modo, la mossa la porta a vincere. Noto ben poco di lei a causa dei capelli lasciati sciolti, del foulard, della fronte china eppure conosco ciò che vi è mascherato al di sotto e mi auguro che questa sorta di nascondino sia stato mosso solo dall'idea di non spaventare la piccola. Un'alternativa non la accetterei e mi piacerebbe molto che Lèa se ne rendesse conto.

«La colazione è buonissima, signora Armstrong.»

«Chiamami Iris, tesoro. Sono molto contenta che ti sia piaciuta» dice mia nonna in direzione di Lèa, con il sorriso sincero che ha nel rendere grazie per un complimento del tutto inatteso. «Per tutta la mia vita ho dovuto sfamare questi due grandi uomini! Ne ho avuto di che esercitarmi!»

«Nonna...» commento divertito, mentre mio nonno di risposta piega, solo per un attimo sforzando la presa dell'indice, l'angolo di pagina del giornale per poterla fissare con ironia. A seguito, con un colpo deciso delle braccia, la pagina torna in piedi e lui ben protetto dalla sua corazza.

«Zio Ercole non è grasso» afferma Valerie, prendendo le mie difese e mia nonna la spalleggia, mettendo a punto la sua questione.

«No, affatto. Tuo zio è fin troppo magro, ma a tavola fa sempre sembrare che non gli abbia dato da mangiare per giorni.»

«Secondo me non sei troppo magro» sussurra Lèa, lanciandomi un'occhiata mentre ancora tiene la fronte bassa. «Stai bene.»

«Ti ringrazio» commento, con un calore al cuore che scioglierebbe anche le più fredde notti di questo inverno. «A parlare è il cuore di una nonna.»

«Nonna un corno! Ti ho fatto da madre» commenta l'anziana che tiene tutti noi in riga, alzandosi dalla sedia per mettere apposto le varie pentole sparse per la cucina. «Mia figlia aveva fatto un lavoro egregio ma, pace all'anima sua e a quella di suo marito!, non ha avuto il tempo per continuarlo.»

«Che cosa gli è successo?» Interviene la voce esitante di Lèa, ed ogni azione in questa stanza si arresta. Persino il fumo proveniente dalla pipa di mio nonno sembra cristallizzarsi nell'aria, divenendo una statua di ghiaccio.

A rompere l'incantesimo dell'immobilità è solo la testa piccola di Valerie che ruota lenta, in direzione della mia amica, per poterle confidare la legge implicita che è stata eretta all'interno dei muri di questa casa.

«Qua dentro non si parla di quella storia, mette tristezza!» Afferma la bambina, e non posso fare a meno di sorridere del modo in cui si è posta la mano di piatto, vicino alla bocca, per riuscire a parlare con lei soltanto. Peccato che la sua infantile voce sia troppo stridula e ancora capace di far nascere un sorriso, sulle labbra di tutti noi.

«Quello che dice è vero. Qui dentro non se ne parla» confermo, sentendo alle mie spalle mia nonna continuare a trafficare con gli utensili.

«Mi dispiace, non lo sapevo...»

«Non potevi saperlo, ma è stata una disgrazia, accaduta molti anni fa. Parlarne è difficile e non vorremmo nemmeno annoiarti» commenta mio nonno, il solo che tra noi sembra aver affrontato meglio il lutto grazie al suo praticismo che, involontariamente, lo ha messo in salvo e gli ha permesso di divenire un forte sostegno per l'intera famiglia.

«Ma certo, scusate se ho tirato fuori l'argomento...»

«Non importa, ma per ora è così. Nonostante gli anni che sono passati, per tutti noi è difficile parlarne» torno a confermare, così da non farla sentire in colpa. In fondo, io e lei ci conosciamo da molti anni ma mai così bene da chiederci, l'un l'altra, i dettagli delle reciproche vite.

Immagino sia triste per entrambi veder morire il suo primo tentativo di porre un passo verso la mia direzione, prima ancora che quel passo possa divenire un cammino. In certe cose siamo davvero distanti, mentre in altre incredibilmente vicini. Credo sia un gioco di magnetismo al quale nessuno dei due riesce a far fronte.

«Non per cambiare argomento, ma ho una constatazione da fare» proclama mia nonna e con la coda dell'occhio riesco a notare il suo immancabile gesto di posare le mani sui fianchi, nella sua abituale posa d'autorità.

«Sentiamo, nonna. Che ci devi dire?»

«Lèa non può continuare a dormire sul divano del soggiorno. Sappiamo tutti che è scomodo. Prenderà la tua stanza, Ercole, e sul divano ci dormirai tu.»

Lèa sgrana gli occhi, a quest'affermazione tanto decisa.

«Che cosa? No. No, io sto bene, non dovete affatto...»

«Penso anche io che sia giusto. Dormirò sul divano» affermo con convinzione, riuscendo a ricevere addosso come uno sguardo di rimprovero, da parte di lei.

«Ercole, no.»

«Le scelte di nonna Iris non si discutono.»

«Vero» conferma mia nonna, facendomi sorridere. Nel frattempo, continua a trafficare con i piatti sporchi.

«Non è giusto, siete voi ad ospitarmi ed Ercole non può dormire sul divano!»

«Potreste dormire insieme» afferma Valerie, e gli occhi di tutti i presenti sgranano. La piccola si stringe nelle spalle. «Che c'è? Io e Ercole lo facciamo, qualche volta.»

Detta così suona alquanto male, sono costretto a giustificarci.

«Solo qualche volta ed è perché Valerie ha paura del buio.»

«Io non ho paura del buio, quindi non ne ho bisogno» afferma Lèa, guardando la bambina dritto negli occhi per poterla convincere. La frase un poco mi ferisce, perché se non è il buio che teme sono cosciente che siano, per ora almeno, una serie di molte altre cose ed anche la piccola ne sembra cosciente.

«No. Tu non hai paura del buio ma della luce» commenta, sollevando appena la mano che non è macchiata dell'abbondante marmellata spalmata sulla sua fetta di pane, sporcandole tutta la mano destra, per poter afferrare il piccolo mantello che si è tessuta intorno alla testa Lèa, scappando dal sole che tiene alle spalle.

Lèa si ritrae, facendo trarre a tutti noi una conferma ma nessuno emette una sola parola.

«Questo è vero. Ma Ercole non può difendermi dal sole. A lui piace, sta fuori tutto il giorno, non gli farebbe certo battaglia.»

Per lei lo farei, ma non è qualcosa che posso dire di fronte a tutti i presenti. Lascio che il pensiero possa raggiungerla nell'istante in cui si volta verso di me, a caccia di risposte che ritiene scontate ma ecco che, ancora una volta, alla routine si interpone la sorpresa di una nuova scoperta, perché nessuno di noi può credere davvero di conoscere ogni evento inaspettato.

«Anche se non hai bisogno di me, nonna Irirs ha ragione. Sul mio letto starai più comoda. Al divano ci sono abituato, per cui me lo prenderò io.»

«Ercole...»

«Te l'ho già detto, non si discute.»

Sono riuscito a mangiare a malapena qualche boccone di un succulento dolce che mia nonna ha preparato per noi, ma quel poco l'ho finito perché mi hanno educato a non lasciare mai niente di iniziato sulla tavola. Sprecare il cibo è un peccato capitale, simile all'ingordigia di mascelle che triturano più di quanto veramente abbiano bisogno dinanzi ad un popolo affamato, più di quanto siamo noi.

«Sai perché si chiama proprio "Ercole"?» Domanda entusiasta la piccola, riferita alla sua nuova amica, proprio mentre sto recuperando il giubbotto per uscire in direzione della Garcia dentro questo tempo gelido.

«No, perché?»

«Perché mio zio è forte come un leone! Forte così!» Afferma, sollevando le braccia per tendere i muscoli che non possiede al cielo, mostrando la mia forza eroica. «Forte più di tutti loro!»

Cullato dal suo amore, mi avvicino verso di lei per poterle lasciare un bacio sulla testa. Il gesto scioglie ogni sua manifestazione di aggressività, portandola con le spalle verso il basso e gli occhi chiusi e ricevere il mio tocco.

«Tu sei troppo di parte» affermo, accarezzandole anche la tempia con il pollice dopo averla baciata.

Rialzando la testa, poi, provo il bisogno irrefrenabile di replicare lo stesso saluto anche sul volto di Lèa. Accarezzarla, prima di uscire, in modo da ricevere la mia dose di fortuna per questa giornata. Non posso far niente, per cui mi trovo immobile a fissarla.

«Quando ritorni, raccontami come è andata e dì a tutti loro che sto bene, specie a Issa.»

Annuisco con convinzione, rassicurandola di quella richiesta che ha espresso a bassa voce, dopodiché torno a fissare i miei nonni, rivolgendo loro un sorriso cordiale.

«Adesso vado.»

«D'accordo, tesoro, buona giornata» afferma mia nonna, seguita da mio nonno che ancora legge il suo giornale.

«Non farti mettere i piedi in testa da quell'altro. Sappiamo tutti che è diventato l'uomo che è solo grazie a te.»

Scoppio a ridere. «Cedric non deve rendermi conto di niente, direi che ci siamo contagiati» commento, rimanendo a fissare Lèa nell'istante in cui un pensiero mi attraversa. «Le nostre vite sono più simili di quanto chiunque possa pensare.»

P.O.V.
Cedric

In questo freddo inverno un piumone riveste i nostri corpi stretti, completamente nudi, ed intrecciati tra loro in un incastro all'apparenza perfetto. Abbassando gli occhi, nella vicinanza riesco a scorgere gli scuri capelli di Amy, la sua fronte stretta, l'avvallamento dolce della sua bocca leggermente aperta, in prossimità al mio petto, e non posso fare a meno di sorridere e stringerla più forte.

Dentro questa casa che ci ha protetti, abbiamo trovato una fissa dimora in grado di tenerci uniti e non avrei potuto scegliere posto migliore. Abbonda unicamente di distrazioni, ma vista la pausa invernale scolastica la nostra scarsa concentrazione, di cui risento i libri rimasti aperti sul tavolo, non riceve serie conseguenze.

«Cedric... sei già sveglio?» Mormora la voce assonnata di Amy, tentando di trovare ulteriore conforto nel contatto con il mio corpo. Le stringo, con più certezza, il braccio intorno e rimango ad osservare l'angolo buio della stanza nel quale sono intrappolati tutti i miei pensieri.

«Sì, ma è ancora presto. Puoi continuare a dormire.»

«Tu non lo farai?»

«Devo andare a lavorare.»

«Allora vengo con te...»

«Non è necessario, puoi restare qui e studiare. Nessuno ti disturberà.» La sento sorridere e di riposta sorrido anche io, inclinando la testa per vederla. «Che c'è?»

«Se tu sei via è ovvio che nessuno mi disturberà.»

«Mi stai dando la colpa per la tua scarsa concentrazione nello studio?»

«Devi ammettere che queste pause non giocano a nostro favore...»

«La penso diversamente, invece...» commento, rientrando maggiormente all'interno del letto in modo da non averla più stretta tra le braccia. Così, la vedo sorridere più chiaramente e resto spiazzato dalla bellezza che mostra.

Amy è sempre bella ma così, dopo avermi amato, nell'essere nuda tra le mie braccia, sorridente, è qualcosa di indescrivibile, ed impossibile da imitare su qualsiasi pellicola di film.

«Ci avrei scommesso, che l'avresti pensata diversamente» afferma sorridendo ed io, in risposta, la bacio, prima di soffermare una mano sulla sua schiena in modo che possa posare il seno nudo contro il mio corpo.

«Vuoi venire con me a lavoro, allora?» Domando, vedendola poi annuire. «Non sai stare lontana da me neppure per un'ora, ormai, mh?»

Non me lo confessa, ma è come se lo facesse dal momento che si distende in avanti, e mi bacia. Chiudo gli occhi, trafugando la bellezza di quest'attimo.

«Questa è una bella risposta...»

«Quando usciamo?»

«Appena sarai pronta.»

«Non ho vestiti, qui. Credi che dovrei passare da casa?»

«Prendine alcuni dei miei.» Un suo sopracciglio si incurva verso il basso, alla mia affermazione. «Che cosa c'è? Le persone non si accorgeranno di niente. Specie perché fa fin troppo freddo, là fuori, per cui sarai costretta a rimanere per tutto il giorno con il giubbotto. Che cos'è che vorresti fare alla Garcia, ad ogni modo?»

«Mi piacerebbe essere d'aiuto, nel ruolo che svolgeva Lèa.»

«Adesso c'è Halima, al suo posto.»

«Vuol dire che avrò modo di conoscerla.»

Prendo un profondo respiro, accorgendomi solo ora che questa era la sua meta fin dall'inizio. Non posso certo giudicare la sua voglia di scambiarci qualche parola: l'ho assunta a nome di Issa, perché consapevole che il suo impiego potesse beneficiare l'entrata economica necessaria alle cura di Lèa, senza nemmeno farle un colloquio come si deve. Inoltre, è più piccola di noi e non possiede un contratto. Se qualche ente sanitario dovesse venire a fare un controllo fingerebbe, semplicemente, di non essere dei nostri e come è entrata dalla porta farà presto a sparire.

«Vacci piano con lei, non la conosciamo ma sappiamo che ha avuto una vita difficile. E non tessere molto le lodi di Francis, la faresti solo scappare via.»

«Ricevuto, capo.»

«Non ricordo di averti assunta, sai?»

«Allora pensa alla mia offerta... starei con te ventiquattro ore al giorno, tutti i giorni...»

Sorrido. «E quale sarebbe la differenza? A stento sono riuscito a lasciare questa stanza, nelle ultime settimane. Mi hai intrappolato qui.»

«Non mi sembrava che ti stessi lamentando, ed ad ogni modo so essere utile: riesco a fare un sacco di cose, sai? Puoi pure assumermi sulla parola senza nemmeno pagarmi... arrivo a lavorare con il solo scopo di vederti.»

«Di cosa hai parlato prima? Di distrazioni?»

«Attento a come ti giochi queste tue parole, staremo insieme tutto il giorno» commenta divertita, prima di liberarsi dal mio abbraccio e scivolare via dal letto.

Osservo il suo corpo nudo, di spalle, prima che lei possa appropriarsi di un paio di miei abiti.

«Ad ogni modo, se desideri un contratto puoi passare da mia nonna... a quanto pare lei li firma senza nemmeno pensare» commento sottovoce, parlando più con me stesso che con lei ma riesce a sentirmi.

Mi lancia un'occhiata mentre fa passare la felpa oltre la testa, rivestendosi di un'ulteriore strato oltre che quello della maglia a maniche lunghe blu scura al di sotto, fissandomi in piena confusione.

«Cosa intendi?»

«Te lo racconto mentre camminiamo» le prometto, fuggendo dalla questione in termini solo momentanei.

Quando ci ritroviamo, armati di tutto punto da abiti pensati, da soli dentro il bosco le mie parole vengono reclamate dai suoi occhi in attesa, agonizzanti di ogni mia spiegazione possibile. Le racconto così poco di mia nonna che appena ne faccio parola le sue orecchie si drizzano impettite e l'attenzione le sale a mille.

Perché sa bene cosa significhi per me l'intervento di quella parente nella mia vita e non vuole, nella sua dolcezza, in alcun modo che possa ferirmi, il che è dolce, ma difficile da commentare quando devo trovare parole che giustifichino tutta la difficoltà di ciò che ho scoperto.

«Diversi giorni fa ho trovato un contratto a nome di mio nonno. Me ne sono ricordato e l'ho ricercato, tra le carte di Zelda. L'ha firmato con il proprio nome e ha così concesso un prestito a una certa famiglia Lee, dandole parte delle nostre terre. Credo che gli incendi di questi ultimi tempi siano dovuti a quel contratto.»

«Questo cosa significa?»

Mi stringo nelle spalle. «Che la famiglia Lee è una famiglia importante e che adesso vuole, con interezza, tutto ciò che aveva richiesto a mio nonno. Tutte le nostre terre. Non posso esserne certo, non sono a conoscenza di cosa Zelda abbia ceduto ma questi roghi sono guidati dalla rabbia, quindi qualcosa deve essere successo.»

«Come possiamo far luce su tutto questo? Tua nonna sembra essere in una situazione difficile, e dalla loro parte. Dobbiamo capire che cosa è capitato!»

«Di lei non mi interessa, ma non permetterò che quello che è successo a Lèa capiti ad altri.»

«Allora come intendi agire?»

Cammino imperterrito, trascinando i suoi passi al mio stesso ritmo ed in lontananza riesco a scorgere una nuova figura, nel contesto della mia equipe di lavoratori. Fiero della sua presenza, il mio animo si acquieta quanto basta da permettermi di sorridere.

«Dove non posso arrivare io, arriverà la legge. Se mia nonna è dalla parte dei criminali io non starò al suo stesso gioco. Credo che sia arrivato il tempo, quindi, di far cadere le carte e cercare aiuto da gente più esperta.»

«Hai chiamato qualcuno?»

«Ho chiamato la polizia, e loro hanno mandato un uomo. Credo proprio che ci stia aspettando.»

Ed in effetti, è così. Per quanto mi sarei immaginato tutt'altra figura di spicco, l'agente di polizia che mi è davanti ha abiti civili ed una posa formale. Dei capelli molto scuri che mi ricordano quelli di Francis, di suo zio Damien, ed anche un'espressione assorta che segue il mio cammino.

Attorno a lui si è radunato un cerchio, composto da tutti i miei dipendenti, di cui ne è l'esatto fulcro.
Riesco a soffermare lo sguardo su Ercole di fronte a me, su Issa poco più distante, su Halima presente a pochi passi e su tutta quella schiera di persone fidate che, immobili, hanno atteso il mio arrivo, creando protezione alla terra nello schierarsi attorno a quest'estraneo.

Deve essersi sentito in soggezione ma anche noi siamo una famiglia, e gli ultimi eventi ci hanno spinto a proteggerci con più attenzione. A salvaguardarci da tipi con lo sguardo losco come il suo, che sembrano osservare tutto ma non essere inclini a proferire una sola parola.

«Perdonami per l'attesa. Sono Cedric Garcia. Dirigo questo posto a nome dei miei genitori, al momento fuori città» mi presento, tendendo la mano nella direzione del poliziotto dal gilet imbottito e nero che, con un solo sguardo, sembra setacciare il mio effettivo rammarico e cedergli il consenso.

«Samuel McGuire, mi ha mandato Carlail dalla centrale.»

«Grazie per essere venuto. A nome di tutti noi. Lascia che ti presenti alcune persone di qui.»

Sollevo una mano e faccio segno a Ercole di raggiungerci. In un attimo, il mio amichevole spaventapasseri mi affianca, mantenendo lo sguardo su McGuire come un rapace, ed è mio compito svolgere le dovute presentazioni abituali.

«Signor McGuire, questo è Ercole, un mio stretto collaboratore. Quando non sarò presente nella proprietà può rivolgersi a lui, o ad Amelie, proprio qui al mio fianco.»

«Molto piacere» commenta Ercole, abbassando la testa in un saluto di conoscenza. Il poliziotto lo ricambia.

«Piacere mio.»

«Anche mio» commenta Amy, e Samuel le sorride. Dopodiché, lascio spazio ad un'ulteriore figura di spicco.

«Lui invece è Issa. Issa, fatti avanti.»

Comandato dal mio incoraggiamento, quello spilungone dalla pelle nera muove i propri passi, fiancheggiando il poliziotto, finendo per fermarsi al fianco di Amy.

«La sorella di Issa, Lèa, è la ragazza di cui ho parlato alla polizia, la stessa che è stata colpita dall'incendio giù al fienile.»

«Mi dispiace molto per le ferite che ha riportato» afferma Samuel, manifestando una stretta conoscenza del nostro caso che sorprende a dir poco tutti noi, Issa per primo.

«La ringrazio.»

«A capo dei braccianti, poi, c'è il signor Simons. Lui è a conoscenza del periodo di ogni nostra coltivazione o del trattamento di ogni centimetro della nostra terra, può rivolgersi a lui per qualsiasi domanda pratica. Dopodiché le presentazioni finiscono qui.»

«Direi che sono state alquanto esaustive. »

«Ottimo, in questo modo possono tornare a lavorare. Ercole, ti occupi di tutto tu?»

Il mio amico annuisce e si prende carico dell'intera situazione lavorativa, incentivando con una serie di sguardi le persone a ritornare ai campi. Io, invece, mi rivolgo ad una Amy completamente vestita dei miei abiti, certo che possa cavarsela benissimo persino in mia assenza.

«Starò via solo per poco, mi occupo della questione. Tu segui i consigli di Ercole e vedi di non creare troppi trambusti. La tua follia mi diverte ma non approfittare del mio favoritismo» commento divertito, osservando il suo volto ricevere la stessa dose di ironia.

«D'accordo, capo, farò quanto richiesto.»

«Bene» commento, prima di lasciarle un bacio a stampo sulle labbra che riceve, pur ricevendo a seguito il marchio della vergogna. Si ritrae quanto basta per poter sfuggire a una mia richiesta più spinta, come accade nella maggior parte dei casi. A seguito non si estranea dal commentare con un fastidio alquanto arreso ciò che è appena successo.

«Giusto perché gli abiti non rendevano il tutto già abbastanza evidente...»

«Meglio così, in questo modo nessuno ci prova con te. Sei la preferita del capo, adesso lo sanno anche loro.»

«Ti prego, vattene.»

Eseguo tale ordine e torno in direzione di McGuire, concentratosi sulla figura di Halima intenta a seguire passo dopo passo l'ombra di Issa, dopodiché torna a me costringendomi a compiere un'ulteriore prima mossa.

«Venga, mi segua. Le mostro ciò che, per il momento, ho scoperto.»

Ripercorro, assieme a lui, la strada che mi riporta fino alla casa di mio nonno ed è così che, insieme al poliziotto, torno nel calore del camino del soggiorno lasciato acceso, poco prima di uscire di casa con Amy.

Lancio un'occhiata alla camera e, prima che il mio visitatore possa accorgersi delle lenzuola in disordine, chiudo la porta della stanza, celandovi all'interno i miei segreti. Il tutto senza che lui se ne accorga, intento come è ad analizzare la sala che ancora riporta lo stile rustico di mio nonno.

«Mi scusi per il disordine. Non ho molto tempo per occuparmene.»

«Non è importante, la sua prova?»

Afferro il contratto di mia nonna e lo pongo di fronte al suo sguardo. Dopodiché analizzo la reazione che vi proviene.

Una semplice alzata di sopracciglia, che sono certo però manifesti tutta la sua sorpresa.
McGuire non sembra il tipo in grado di sorprendersi con molto eppure è sinceramente colpito dal nome riportato sul contratto. Lo capisco, lo intravedo... specie dalla fierezza con cui sembra tornare a parlarmi, dopo aver letto le righe di quelle poche clausole.

«Complimenti. La sua è una bella prova, senza alcuna importanza giuridica, però, al momento.»

«Sono convinto di poter cambiare le cose. Sbaglio nel credere che questa famiglia Lee sia importante?»

«Affatto. L'hai mai sentita nominare?»

«Solo dai ricordi che ho di mio nonno.»

«Si tratta di un clan mafioso, che la polizia tenta di incastrare da anni.»

«Addirittura» commento, affatto sorpreso di ciò. Mia nonna è la persona migliore per scegliere di intromettersi in simili problemi.

«Vedo che il fatto che si tratti di un incendio doloso non la sorprende.»

«Un giorno, io e Ercole ci eravamo convinti di poter prendere il piromane in una giornata di vento, ma non è nato alcun incendio. Ci ha fatto pensare che la persona in questione non volesse che l'intera proprietà bruciasse, spinta dal vento, ma solo certi punti specifici.»

«Molto astuto, ma le mafie lo sono. Temo che la tua famiglia si sia messa in un grosso guaio.»

La cordialità con cui ha perso, presto, la terza persona mi fa presupporre di essere divenuto più vicino alla sua cerchia di affetti a causa della mia difficile situazione e cosa posso dire? Avere dalla propria parte un agente della polizia, specie in situazioni simili, fa alquanto comodo.

«Temo anche io.»

«Vedrò di tirarvi fuori tutti, sani e salvi, il prima possibile.»

«È quello che mi auguro anche io» rispondo a tono, ed il volto del poliziotto si dispiega in un lento sorriso certo, proprio come me, di aver trovato un nuovo ed importante alleato. 

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