36- Le paure del sole
P.O.V.
Ercole
Dall'opaco riflesso, restituito da questo vecchio vetro, ricevo l'impressione della vestizione di questi nuovi abiti. Fino ad ora hanno preso solo polvere all'interno dell'armadio mentre quest'oggi pendono dalle mie spalle magre con ancora meno dignità della stampella che, per lungo periodo, l'ha tenuti prigionieri.
Vorrei strapparmeli di dosso e maledire la mia pessima idea ma devo mantenere la calma dal momento che noto, alle mie spalle, la figura di mia nonna che mi osserva con orgoglio.
«Sei davvero bello, Ercole.»
«Sul serio lo pensi?» Domando in un mezzo sorriso, felice ascoltatore della lentezza che domina la sua voce.
«Quei capelli non mi piacciono.»
«Questo lo so» commento, ancora più divertito, e mia nonna solleva un sopracciglio osservandomi fiera, dietro tutte le sue rughe.
«Il resto è davvero elegante, stai molto bene. È per quella signorina stesa lungo quel divano, come una principessa delle fiabe, se stai facendo tutto questo?»
«Nonna...»
«Domandavo solo! Prendi e conquista, Ercole. Voglio altri nipoti oltre a te.»
«Io non ti basto?» Commento, provocatorio e lei sospira prima di andarsene.
Anche io sospiro con forza, divertito ma esausto dal recepire nuovamente questa sua richiesta.
Immagino che a una certa età divenga un bisogno viscerale il tornare a contatto con un piccolo neonato, una sorta di rito di passaggio da affrontare per dire di avere davvero portato avanti la vita con completezza.
Ad ogni modo non commento niente. Principalmente perché già se ne è andata, per cui altro non mi resta da fare che lasciarmi addosso le vesti della sua approvazione e tornare nel soggiorno, dove le tende sono tutte tese a rilasciare buio nella stanza.
Arrivo fino a lei che ancora riposa distesa, inginocchiandomi al suo fianco e sfiorandole esitante il braccio.
«Lèa... avanti, dobbiamo andare. Devi farti vedere da quello specialista che ci ha consigliato l'ospedale, ricordi?»
Tento di parlarle con maggiore tenerezza possibile, impaurito dal pensiero di disturbarla e quando tace precipito nello sconforto.
«No. Non voglio uscire.»
Forse era meglio il silenzio al dolore trasmesso all'interno della sua voce, in grado di stringermi il cuore in una morsa assieme alla trachea.
«Dobbiamo andare. È importante.»
«Non voglio che nessuno mi veda, nemmeno tu. Ti prego, va via.»
Credo che in passato le avrei ubbidito senza ribattere, tornando sui miei passi come da lei richiesto per non poterle essere di intralcio, ma adesso non posso farlo perché la sua voce tradisce una vibrazione in grado di indicare il suo bisogno della mia presenza.
«Perché non vuoi?»
In risposta la vedo contrarsi ancora di più in se stessa come mai prima d'ora le ho visto fare per nascondersi e non lo accetto.
Monto, con un ginocchio, sopra il materasso di questo divano letto e mi sporgo per poter afferrare le tende blu elettriche.
«No, Ercole, ti prego, no! Non farlo!»
Devo, invece.
Le sue mani si aggrappano a me con tutta la loro forza, dal momento che il mio gesto l'ha costretta ad essere seduta per poter vincere la mia resistenza.
In qualche modo, si può dire che sia in grado di farlo perché la sua disperazione, unita alla tenue forza delle sue unghie contro la pelle, riesce a farmi scorgere solo un piccolo raggio di luce riuscito a filtrare dalla finestra prima che questo torni ad essere parte dell'ombra, non appena abbasso di nuovo la tenda.
Ed è in questa artificiale notte blu che la sento, di colpo, singhiozzare.
«Lèa...»
Avvertirla piangere è una violenza che non sono pronto a subire per cui mi trovo costretto a cercare presto una soluzione, in modo da poterla tramortire.
Trovo un unico modo.
Decido di accostarla a me ed è così che Lèa prende posto tra le mie gambe, adesso distese ed aperte lungo il letto, ponendo la spalla sinistra contro il mio petto in modo da poter inclinare la parte sana del volto nel rifugio tra il mio collo e la mia spalla. Scossa dai singhiozzi, avverto la freddezza della punta del suo naso contro il mio mento, il suo respiro rotto lungo il mio collo e al di sotto di tutto questo anche il suo profumo, incastrato all'interno della sua pelle ormai come un'aroma eterno.
«D'accordo, Lèa. Oggi non usciremo ma presto dovremo farlo. Troveremo un modo, te lo prometto... ma devi farti vedere, hai bisogno di consigli e cure.»
«Ercole...»
«No, nessuna alternativa» affermo categorico, spinto più che mai dalla necessità di prendermi cura di lei e di assicurarmi che vada tutto bene.
«Sei molto severo» commenta, all'apparenza quasi sorridendo ma non posso vederla ed esserne certo.
«Tu mi costringi ad esserlo» commento, intrecciandole le braccia intorno per poterla stringere con più certezza.
Il gesto compiuto porta la sua testa ad inclinarsi leggermente indietro, sollevando così il suo naso contro il mio collo.
Ora, leggero, vi è lo sfioramento delle sue labbra contro la mia gola.
«Hai l'odore del sole...» mormora con voce bassa, per cui devo chiudere un attimo gli occhi in modo tale da cercare la mia calma.
«Tu, invece, hai immagazzinato il profumo di mobili antichi di questa sala» commento amaro, non riuscendo a farle compiere alcun passo falso.
«Non voglio uscire né tornare. Cosa penseranno le persone, fissandomi?»
«Cosa importa, quello che penseranno.»
«Importa a me!» Replica, sollevandosi dritta con la schiena e lasciandomi così un'incredibile freddo lungo tutto il petto. «Sono una donna, Ercole, nel mondo dell'industria. Ho sempre dovuto lottare con le unghie e con i denti per far emergere il mio lavoro! Mi sono dovuta mettere addosso la maschera di ragazza forte, ma ora come posso farlo? Si prenderanno tutti gioco di ciò che vedranno, faranno battute squallide, non mi ascolteranno.»
«Se così fosse, la colpa sarebbe loro di non essere abbastanza uomini dal momento che si troverebbero a minimizzarti per poter fare affari.»
«Poco importa di chi sarà la colpa, Ercole. Accadrà. Ed io non sarò mai abbastanza forte da sentire le loro voci. Le ho ascoltate per una vita intera, fingendo di non sentirle.»
Crede di essere rimasta in silenzio tutta la vita quando la verità è che tutto questo già lo conoscevo, perché una persona che l'ha a cuore sa già cosa stia passando. Bastava osservare il suo volto, non appena voltava le spalle dopo la chiusura di un accordo con quei suddetti uomini, che continuavano a parlare.
Dai campi vedevo la sua stanchezza e la sua forza. Ho sempre visto tutto, provando costantemente il bisogno di tirarla via da lì e stringerla a me. Tirare un pugno dritto in faccia a quegli uomini osceni che fissavano l'orlo della sua gonna alzarsi leggermente, mentre svolgeva il proprio lavoro.
Io, che sul serio ho lottato tutta la vita per non rivolgerle uno sguardo di troppo che fosse spiacevole o sconveniente, mi ero sentito disgustato da quelle occhiate dunque posso solo immaginare cosa abbia passato lei.
Ma ho un'altra domanda fondamentale da porle, la sola che al momento richiede la nostra più totale concentrazione.
«Perché le tende sono tirare, Lèa?»
Oltre quei vetri c'è solo la campagna. Nessuno potrebbe vederla dunque ciò significa che non sa vietando al vetro presente di tramandare a un visitatore il suo riflesso... ma che stia lottando, proprio come poco fa, per impedire al sole di mostrarmi la rovina sul suo viso.
«Non ti considero uno di quegli uomini...» mormora a bassa voce, rivelandomi nella penombra la sua schiena inclinata in avanti. «... ma non voglio farmi vedere, così, da te.»
Ripeto: un tempo le avrei ubbidito. Ora le sue parole non generano che rabbia.
Afferro le tende e le spalanco di colpo, vedendo in un attimo il suo corpo schizzare via, saltando in piedi per poter raggiungere l'altro lato della stanza.
«Ercole!» Esclama sconvolta, mentre tenta di fuggire via, probabilmente perché, come mi ha sempre detto, considera perfetto il mio mostrare rispetto per il volere di chiunque. Una specie di sottomissione che mi auto impongo, ponendomi con costanza un gradino al di sotto degli altri, in grado di rendermi tanto unico ai suoi occhi.
L'aver perso tale caratteristica del mio carattere, specie nei suoi riguardi, la stravolge al punto tale da renderle acuta la voce ma non mi importa di niente.
Mi alzo in piedi per tempo e le afferro un braccio perché, oltre che impedirle di scappare, voglio che mi ritorni vicina e che capisca la verità con cui le sto parlando a cuore aperto.
Detesta essere trattata come una bambola di pezza ma in questo caso è costretta a subire un tale trattamento perché sono più forte di lei, oltre che spinto da credenze di ideali più saldi dei suoi.
Distesa supina lungo il materasso ha le mani sollevate oltre la testa, intrappolate ai polsi dalle mie solo perché sono certo che se le lasciassi mi lancerebbero uno schiaffo, e gli occhi gonfi di pianto, lucidi all'inverosimile e rossi.
Capisco la sua rabbia, dal momento che non mi sto mostrando come un uomo tanto migliore degli altri agendo così, ma essendo spinto da una precisa ragione so anche come farmi perdonare.
Intrappolando i suoi polsi in un solo palmo, lascio libera la mia mano sinistra di scendere lungo il lato del suo volto ferito dall'ustione, sfiorandolo appena nel timore di farle male.
In risposta i suoi occhi si riempiono ancora di più di furore e pianto per cui sono costretto a compiere un'ulteriore mossa, così da riportare in loro la pace.
Mi inclino lungo il suo corpo fino ad arrivarle faccia a faccia, spostandomi lento lungo la destra del suo volto, e poi... poso la bocca in dei baci lenti lungo le sue ferite.
Lèa non dice niente ma sembra aver stretto più forte, in dei pugni, le mani. Lo avverto dai muscoli divenuti più rigidi nella mia stretta e per un attimo temo di averle fatto male.
A seguito, mi raggiunge il caldo contatto delle sue lacrime, dai suoi occhi alla mia guancia, ormai quasi appoggiata al suo naso.
Non le sto provocando dolore, almeno non fisicamente, per cui decido di continuare finché non la sento rilassarsi.
Sarebbe bello arrivare a baciare le sue labbra, rifletto, pur trattandosi però di un contatto rubato e non voglio questo per noi.
Prima d'ora non ci eravamo nemmeno mai sfiorati così da vicino. Mi sto spingendo fin troppo oltre ma sono un uomo avaro. Desidererei tutto, al momento, ma capisco di non poter ancora ottenerlo.
«Dimentichi che ti ho accompagnata io in ospedale, Lèa. Ti ho già vista. Ti ho salvata da quel fienile in fiamme... e devi sapere che mi sono sentito morire quando ho visto l'incendio trasformarsi in un rogo» le sussurro piano all'orecchio, sensibile ai miei stessi ricordi.
Sollevo la testa per poter valutare la condizione del suo pianto, notando piacevolmente il suo essersi arrestato.
«Vuoi sapere cosa ne penso? Ti servirà tempo per guarire e non nella pelle. Ne avrai a disposizione quanto ti occorre perché questa casa è pronta per diventare la tua tana... ma queste tende non saranno più distese ad ostacolarci. Da me non ti nasconderai, perché sono l'ultimo uomo da cui dovresti farlo. Mi hai capito, Lèa?»
Ed un'altra cosa, dolce sole: sei ancora più bello con tutte le tue ustioni.
Annuisce lenta in un assenso di comprensione, senza offrirmi un'ulteriore scusa per trattenerla.
Sciolgo la stretta intorno ai suoi polsi ed in meno di un secondo mi raggiunge il prevedibile schiaffo.
«Non provare più a toccarmi così!»
Sorrido del timore che la avvince di me e che la porta a schierarsi in difesa contro i miei attacchi, pensando che qualsiasi altra donna avrebbe semplicemente ricambiato la carezza mentre lei risponde al mio amore con una violenza.
Devo essere il ragazzo più masochista sulla faccia della terra a provare quello che provo per lei e a farmelo andare bene... o forse il più fortunato poiché unico a ricevere una sua reazione. Qualsiasi altro uomo sarebbe stato ignorato mente io ricevo uno schiaffo, quello sì, ma offerto come sinonimo di una risposta.
«Esco, per delle ore. Vado da Cedric e poi riprendo a lavorare. Con te restano i nonni. Sono entrambi fin troppo svegli quindi non preoccuparti, non hanno bisogno di niente da parte tua. Sentiti libera di fare quello che desideri ma non rispondere alle loro domande: sanno essere sconvenienti.»
«Quanto il loro nipote?»
«Oh no, sono molto peggio. Fidati: non vuoi scoprirlo.»
Credo quasi di vedere un accenno piccolo di sorriso all'angolo della sua bocca dunque decreto che sia la mia ricompensa, per questo sforzo immane che compio nel lasciarla.
«A stasera» le sussurro, retrocedendo verso la porta.
In cambio ricevo un suo sguardo profondo e intenso, fatto d'occhi in grado di rimanermi in testa per sempre e come di una gratitudine inespressa, per sempre mia.
A stanotte, dolce Sole.
******
Raggiungo i campi di grano con l'odore di bruciato intrappolato nelle radici ed evidenziato dallo scheletro di cenere del vecchio fienile, quale fondale della scena.
Cedric vi è in piedi a pochi passi e dinanzi a lui è presente Issa, con alle spalle una ragazzina che ho già visto, pronto a tendergli la mano.
Il mio amico la stringe nell'istante in cui sopraggiungo, facendomi trarre la conclusione di un loro accordo dalle poche parole che recepisco.
Issa lavorerà al posto della sorella mentre la ragazzina... per lei troveremo senza dubbio un ruolo. La Garcia Coltivazioni ha appena assunto nuove braccia. Di certo non vorrà farsele sfuggire.
«Ti ringrazio dell'opportunità.»
«Tua sorella si è ferita sul posto di lavoro per un'azione violenta che non sia riusciti a impedire» afferma con risolutezza Cedric, ed il tono drastico della sua voce mi mette in allarme. «È il minimo che potessimo fare.»
Issa si limita a sorridere tristemente, dando le spalle alla ragazzina, ed in quel congedo Cedric ha il tempo di andarsene via.
«Cedric, aspetta, volevo parlarti!» Esclamo, muovendo un passo verso il vuoto dal momento che parte con il marciare dal lato opposto, voltando appena la testa verso di me per rispondermi.
«Dopo, Ercole. Dopo.»
Blocco i miei passi e rifletto sulla possibilità che questa sia una pessima giornata.
Da dove arriva la certezza? Dal respiro che Issa intrappola nei suoi grossi polmoni, mentre tortura le dita tra loro facendo scontrare quei grossi anelli che porta mentre mi fissa.
La sensazione che ne risulta è quella di sentirsi più piccoli di una formica e forse è l'impressione che vuole dare.
Tramite l'espressione arresa e sorridente della ragazzina di colore alle spalle capisco che lo può essere. Questa scuote la testa ed è solo grazie al foulard arancione a farle da elastico, attorno all'enorme ciuffo contenente i suoi voluminosi e neri ricci, se l'acconciatura non le si sparpaglia da un lato all'altro del viso.
«Ercole... come stai?»
Un po' sotto pressione al momento, visto che un uomo nero e più alto di un canestro da basket mi viene incontro a passo lento e sguardo deciso.
«Tutto bene, ti ringrazio.»
«Sarei venuto a cercarti in modo da ringraziarti per quello che stai facendo per mia sorella, ma sfrutto l'occasione visto che sei qui.»
«Non è un problema per me, Issa. Dico sul serio. Poi, visto che lavoriamo entrambi ad oggi, Lèa sarà più al sicuro insieme ad altre persone che possano occuparsi di lei.»
«Come sta?»
Storco la bocca al ricordo di ciò che ho appena vissuto ma consapevole, al contempo, di non volerlo far preoccupare.
«Sta lottando molto con la sua condizione ma sono certo che presto imparerà a conviverci. Lèa sopravvive a tutto.»
In risposta, Issa sorride e stavolta lo fa molto più sinceramente: rilassato e con le spalle distese del tutto. Persino gli anelli cessano di urtarsi tra loro il che direi che è un gran sinonimo della sua tranquillità.
«Sì, questo è vero.»
«Quando vuoi, ad ogni modo, puoi andare a trovarla. Adesso devo lavorare nei campi. Ci vediamo dopo, se non sarai ancora tornato a casa.»
«D'accordo, Ercole. Ci vediamo dopo.»
Con quest'ultimo saluto abbandono la scena, lasciando il gigante più rilassato di quando l'ho incontrato e ancora in compagnia della ragazzina, alta la metà di lui, che lo segue come un'ombra, imitandolo persino nel gesto di torcere il collo e stringere gli occhi per vedere con attenzione la mia ritirata.
P.O.V.
Halima
«Non avresti dovuto intimidirlo» commento, fissando quello strano ragazzo allontanarsi da noi per tempo prima che la lingua sagace di Issa possa infliggere la sua stoccata da tre punti.
«Quel ragazzo prova qualcosa per mia sorella. Lo so, quindi non la passerà liscia. È un miracolo per lui che al momento non possa occuparmi di Lèa.»
«Perché non lo lasci vivere tranquillo, invece?» Commento sorridendo, spostando ora l'attenzione sulla schiena ampia del mio protettore. «Non dovresti intrometterti negli affari di tua sorella, riguardano solo lei.»
«Ti ho già detto che genere di ragazzi ha condotto alla nostra porta? Stavolta se lo scorda che ne passi un altro senza prima la mia conferma.»
«Lui però sembra buono...» commento, tornando con gli occhi a quel ragazzo alto, anche se non quanto Issa, e magro, che lascia dondolare le braccia nell'incedere quasi fossero tronchetti di legno legati con nastro adesivo alla sfera della spalla.
«Vedremo con il tempo» mi informa, prima di prendere un profondo respiro ed intrecciare le braccia al petto.
I suoi occhi captano il collinare paesaggio ed il lavoro di quelle attente formiche, più lontane, coperte da piccoli cappelli in paglia che si occupano di seminare nuove piantagioni su determinati campi già passati a mietitura. Sorrido della contrapposizione tra noi e loro, senza trovare alcune assonanze nel contesto, specie in Issa.
«E quindi... da ora in poi lavorerai qui, eh?» Dichiaro con ironia, a caccia già della situazione perfetta nella quale poterlo prendere in giro.
«Noi lavoreremo qui. Niente male, no?»
Mi stringo nella spalle valutando il sole cuocente, gli ettari di terreno di fronte, il cumulo di detriti rappresentanti il fienile alle nostre spalle ed il lavoro che andremo a svolgere.
«Sai, sono una ragazza molto precisa. A catalogare sarei stata perfetta, magari anche in un ruolo di segretaria.»
«Non perdere la fiducia, Hasima, lo puoi sempre diventare» commenta con distrazione, tenendo lo sguardo fisso su di un luogo che mi è imprecisato mentre raggiunge il pick up, apre lo sportello anteriore e monta sopra lo spazio adibito a porta carichi.
Valuta la merce con distrazione, sfiorandola appena con le dita.
«Sono convinto che i Garcia nascondono molti segreti. Vediamo se alla fine sarai abbastanza come mia segretaria per riuscire a ricordarli tutti.»
Ora è chiara la destinazione del suo sguardo, vista la mobilità alla quale condanna il corpo lasciando gli occhi mirati in un solo punto: una residenza, che credo essere proprio dei Garcia, al termine dei campi di coltivazione e oltre un piccolo recinto.
Il silenzio tra noi è rotto unicamente dalla sua sistemazione di bancali, verso lo spazio in cui risultano più utili, oltre che dall'onda di pensieri che ci raggiunge.
Issa non compie mai nessuna scelta senza che prima non fosse accuratamente pensata, e in qualche modo in questo assomiglia a Francis, dunque ecco il suo nuovo scopo.
Il mio amico ha un nuovo obbiettivo ed ora leggo in lui la speranza che, insieme, uniti, possiamo riuscire a raggiungerlo.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro