34- Nuove priorità
"Amarti m'affatica
Mi svuota dentro
Qualcosa che assomiglia
A ridere nel pianto
Amarti m'affatica
Mi dà malinconia
Che vuoi farci è la vita
È la vita, la mia
Amami ancora
Fallo dolcemente
Un anno un mese un'ora
Perdutamente".
Amandoti - CCCP , 1990
P.O.V.
Francis
I prodotti scorrono lungo il nastro trasportatore, trascinati in avanti dai movimenti meccanici della cassiera.
«Ha la nostra tessera soci?» Mi domanda, masticando una gomma e osservandomi dietro i suoi spessi occhiali. Muovo la testa in un diniego che la fa risentire, solo per un attimo.
Manifesta come una bassa propensione al sorprendersi, quasi ne avesse viste fin troppo dietro il suo bancone di lavoro che le comanda di masticare la gomma in fretta, solo anti stress in questa vita di ansie.
Scannerizza la barra di prodotti, afferrando con strana facilità ogni pezzo nonostante la mostruosa lunghezza delle unghie laccate di porpora. Poi mi lancia uno sguardo. Uno di quelli a occhi stretti, spinti dalla curiosità.
«Dormito male stanotte?»
La domanda genera nella mia testa il ricordo della voce di lui, di quei sussurri al mio orecchio e deglutisco con difficoltà, tentando di concentrarmi.
Betty, come riporta il suo cartellino, mi sta ancora analizzando ma io non vedo lei quanto, nella mente, l'immagine della testa di lui contro le lenzuola, la curva morbida della bocca leggermente aperta, il drastico profilo del naso, la sporgenza del pomo d'Adamo a metà del collo...
«Alquanto» replico amaro una volta recuperato fiato, certo che la mia risposta fosse per lo meno scontata.
Sento gli occhi gonfi e lucidi. Probabilmente ho già le occhiaie.
«Se è così le consiglio un rimedio, l'ultimo dei nostri prodotti. È esposto proprio qui, vede?»
L'indice appuntito di Betty si solleva, mentre l'altra mano continua a scannerizzare i prodotti e la gomma non cessa di ruotare contro il palato e la lingua.
Mi sta indirizzando verso l'espositore alle sue spalle, vicino al nastro trasportatore ma non vedo affatto quello che mi indica.
Ciò che noto è una scatola di preservativi e un lubrificante.
Abbasso di nuovo la testa, senza dire nessun'altra parola.
P.O.V.
Rais
Il corpo si risveglia in un bagno di sudore e in un leggero tremore che mi comanda la mano.
Ruotandomi di schiena, osservo subito il posto al mio fianco, non sorprendendomi di vederlo vuoto dentro questo letto. Ma non è importante perché nell'aria c'è ancora il suo profumo e tra quelle pieghe anche il suo ricordo.
Scorro gli occhi lungo la maglietta bianca, attaccata all'altezza delle ascelle e nella piccola apertura a V del collo. La testa è pesante quando mi sollevo a sedere ma niente in confronto a quello che mi ha raggiunto ieri notte: il risultato sono è questo sudore e questa sorta di mal di testa, per quanto del primo non sia io solo la causa.
Premuto contro di me, alle mie spalle, mi aveva trasmesso un profondo calore di cui non sono riuscito a privarmi. I ricordi non sono chiari ma la percezione della stretta delle sue braccia, addosso, sì, ed è quanto basta a farmi tornare sdraiato a fissare il soffitto.
Non ho idea del perché abbia compiuto un simile gesto ma lo ha fatto. Mi ha cercato. Mi ha stretto. È rimasto, per tutta la notte.
Che sensazione assurda che provo nel cuore, destabilizzante quasi non appena a lei sopraggiunge il timore di un ripensamento da parte sua.
Da che sono in questa casa ho provato a dimostrarmi forte, pronto a qualsiasi urto ma questa mattina non so se sarò in grado di farlo.
Mi sento come un corpo nudo esposto in piazza, alla mercé di un pubblico malvagio. Insicuro, debole e agitato nei confronti di nuove parole maligne per cui mi auguro che questa sensazione scappi via presto, in modo da tornare padrone dei miei pensieri, i soli in grado di proteggermi.
La chiave di casa ruota nella toppa con giri lenti, facendomi scattare seduto per quanto non riesca, a seguito, a muovere un solo passo.
Mi ritrovo giusto in grado di aspettare il suo ingresso sulla scena, cosa che non tarda ad essere eseguita, fissando poi il suo silenzio mentre tiene in una mano la bianca busta della spesa.
In tutto il tragitto che compie dalle scale ai fornelli della cucina non ruota la testa, né tantomeno mi guarda, continuando a camminare spedito fino alla sua meta.
Il gesto provoca tanti campanelli d'allarme da essere esortato da me stesso a raggiungerlo, per scoprire cosa c'è che non va.
Insomma, sono molte le cose a non andare ma dovrebbe offrirmi il suo punto di vista per poter riuscire a capire.
L'esitazione comanda le mie mosse quando vengo condotto fino al frigo della cucina, in modo da affacciarmi appena nell'area dei fornelli, senza dare fastidio.
Analizzo la sua figura da capo a piedi, abbeverandomi alla vista di quelle ampie spalle e di quel corpo snello, vestito di nero, che sembra mostrare l'ipotesi di una normale convivenza. Ma non c'è niente di normale in questa mattinata.
«Preparo la colazione.»
È una cosa che fa spesso, ad esempio, ma solo per se ed inoltre non la annuncia mai. Però non vi alcuna forma di indecisione o mancato controllo nelle sue parole ed è questo a farmi uscire di testa.
Io a malapena riesco a deglutire, figuriamoci esternare una frase tanto distaccata.
E di colpo avverto una sensazione orribile, quella di essere tornato mille miglia indietro.
Mi avvince di colpo il pensiero di essermi immaginato ogni alternativa impossibile di questa notte. La giusta opinione è che si sia trattato di molto meno di quanto io, da solo, pensi e che lui fosse solo preoccupato per la mia salute, nient'altro.
Ma nonostante il distaccato risvolto che offre la voce all'interno della mia testa, il mio braccio si distende lo stesso lasciando una mano ad afferrargli il bicipite, gesto che provoca l'immediata cessazione di ogni sua attività e i suoi occhi indirizzati contro.
«Giuro che non capisco. Sul serio» commento, ridendo appena nella disperazione. «Sei distaccato. Lo sei sempre stato ma credevo che questa mattina sarebbe stata diversa.»
La mia voce è rotta quando prende a parlare, schiava ancora delle coperte come della fragilità che mi avvince.
La sua mancanza di espressione, invece, la porta a frantumarsi ancora di più.
«Non conosco il motivo di questo mio pensiero» continuo a dire, cercando un minimo di coraggio in più per poter proseguire nel districare a voce i miei pensieri. «Non ho una spiegazione per un sacco di cose in verità, come la disperazione che ho provato quando mi hai detto che il solo toccarmi ti disgusta, che non lo avresti mai più fatto.»
Questa mattina è ancora più difficile avere i suoi occhi puntati addosso, perché sembrano non trasmettermi niente, portando in loro stessi solo il desiderio di ascoltare le mie parole stentate.
«Siamo ritornati indietro, Francis? Hai ripreso ad odiarmi? Stanotte ho dormito tra le tue braccia e non ci capisco niente. Non capisco niente, è tutto così confuso.»
Avverto come la sensazione di cadere nell'oblio quando la mia mano perde il contatto con il suo corpo, a causa di una veloce mossa che lo ha portato a ritrarsi. Cado leggermente avanti e poi vengo spinto all'indietro, contro un muro al quale faccio aderire le spalle.
Precipito completamente, poi, quando la sua bocca si posa sulla mia ed inizia a baciarmi.
Penso, solo per una frazione di secondo, che se questo è il solo modo che ha per chiarire ogni mio dubbio non funziona abbastanza bene, dal momento che lascia generare un altro milione di interrogativi.
Quando la sua lingua entra nella mia bocca non penso più a niente.
Sono semplicemente esortato a sollevare le braccia per poterlo stringere più forte a me, mentre già mi si preme contro, con entrambe le mani posate sul mio viso.
Avverto nuovamente la pressione del suo caldo corpo ma il contatto con la sua lingua è un gioco nuovo che mi manda su di giri.
Le tengo testa nonostante la sua determinazione, vivendo con tristezza il distacco a cui mi condanna in una serie di schiocchi che fanno incontrare le nostre labbra. Le sue sono morbide, voraci e si appropriano di me con un desiderio tale da mandarmi le vertigini.
Riesco a vedere, aprendo appena le palpebre, la mossa veloce che compiono le sue spalle nel compito di levarsi di dosso il cappotto, che poi cade a terra nell'attimo esatto in cui Francis introduce una mano sotto la mia maglietta, posandola sul basso ventre per poi stringermi un fianco.
Non mi sta solo toccando; mi sta reclamando, rendendomi sempre più parte di sé con un'esigenza tale da rispondere a malapena al bisogno della mia.
Quella mano che mi sfiora la pelle, sollevandomi sempre di più la maglietta, è come una stretta allo stomaco tale da farmi rabbrividire ma il tremore non è che il piacere che si manifesta poco dopo, con rabbia, nel mio corpo.
Teso, eccitato per la sua bocca che va a posarsi lungo il mio collo mentre una mano mi sorregge dietro la testa, con le sue lunghe dita, e l'altra continua a stringermi il fianco.
Vorrei ricambiare queste carezze improvvise ma non riesco a fare altro che tenere le mie mani premute contro il suo petto, assaporando il calore al di sotto di quella camicia che indossa.
«Vuoi sapere cosa non capisco io, invece?»
Mormora con voce roca, lasciandomi un ulteriore bacio poco più in basso del mio lobo, per poi tornare occhi negli occhi ai miei. La loro serietà mi conquista.
«Come tu sia arrivato a pronunciare più volte il mio nome a tarda notte, mentre ti stringevi addosso a me. Ho pensato che il tuo fosse un gioco ma a quanto pare non lo è.»
No, che non lo è! Lo urla il mio corpo, il mio respiro rotto, l'incertezza delle mie dita e forse, solo per ultimo, anche il mio sguardo appannato. Come ha potuto non rendersi conto di ciò che provavo, ogni volta che mi sono ritrovato al suo fianco? Mentre lui mi odiava io già non riuscivo a togliermi il suo volto dalla testa, ed ora mi bacia, mandandomi in piena confusione.
Rendere conto a questi verdi occhi, che al momento si focalizzano su di me con attenzione, di tutto ciò che provo è difficile ma non nascondo loro niente, consapevole che se hanno incontrato adesso la verità non possono privarli di nulla di ciò che sento.
Intreccio una mano ai suoi neri riccioli e lo attiro nuovamente a me con incertezza, sperando che ancora una volta si lasci andare.
La mia bocca è aperta ancora prima che la sua la raggiunga e quando un nuovo contatto prende vita tra di noi mi ricordo del giorno in cui lo vidi la prima volta, sotto indicazione del piccolo Teo. Alle emozioni che provai mentre la sua testa si sporgeva all'indietro, espirando il grigio fumo. La sua freddezza è sempre stata un intralcio ma in una sola notte è riuscita a morire.
«La tua vendetta...» sussurro contro la sua bocca, nell'angoscia che tutto questo sia una bugia.
«Non c'è più nessuna vendetta.»
«Il tuo ruolo...»
«Rais...»
Sollevo la testa a quel richiamo, sporgendola all'indietro mentre le mie mani stanno già stringendo nei pugni il tessuto della sua camicia e le gambe stanno iniziando a cedere.
«Stai zitto e baciami» mi dice ed io arrivo a sorridere.
Sì è visto mai che Francis rinunci alle parole. Deve essere davvero coinvolto da quel bacio che riprende vita tra noi e da ciò che ne consegue.
Con il solo comandare del suo corpo riesce a farmi allontanare dalla parete per iniziare a retrocedere fino alla mia stanza, rimanendo attaccato alla sua bocca.
Mi sento così indifeso, intrappolato in questo flebile pigiama e a piedi nudi mentre lui è vestito di tutto punto, con tanto di lucide scarpe ai piedi che lo rendono, per qualche centimetro, ancora più alto. La sensazione però è piacevole, affatto degradante, specie perché Francis non mi toglie le mani di dosso e capisco solo ora quanto la sua promessa, recentemente infranta, sia stata crudele.
Il suo tocco significa molto perché le sue mani, che si aprono per accogliere nel palmo la mia pelle, sono intense e lente, pronte a ricevere quanto a donare, lasciandomi in un attimo la percezione che mi stia sfiorando ovunque, imprimendo il proprio marchio.
Gli stinchi incontrano la base in legno del letto prima ancora che il corpo vi si posi, disteso, sotto il suo sguardo.
Mi raggiunge in meno di un attimo, sdraiandosi su di me e continuando ad accarezzarmi.
Questa sua camicia è di troppo e vorrei togliergliela, vorrei vederlo. Vorrei far passare oltre la testa anche la mia maglietta e stringermi al suo corpo nudo... il desiderio è tanto intenso da farmi spostare le mani dalla sua schiena fino ai piccoli bottoni lungo il suo petto.
Lascio sfuggire dalle labbra una piccola protesta, sinonimo di impazienza, quando allontana la bocca in un bacio a stampo e scende con le labbra lungo il mio collo, mentre le mani mi sollevano la maglietta, permettendogli poi di raggiungere i miei capezzoli scoperti.
Passa la lingua attorno ad uno di loro e le mie mani si fermano nell'operazione. Rabbrividiscono, poi, quando al posto della sua lingua attorno all'aureola sopraggiunge un piccolo morso.
Tento di non far uscire alcun suono; stringo le labbra tra loro ma mi aggrappo alla sua camicia, combattendo quella mossa con un debole pugno contro il suo corpo ed è così che ricevo un bacio, molto lento, sull'altro capezzolo. Mi toglie il fiato.
Quando è stata l'ultima volta che un uomo mi ha trattato così, durante i preliminari? Francis sembra possedere tutta la pazienza del mondo ed il bisogno innato di farmi perdere completamente la ragione, affinché non rimanga un solo pensiero che non sia lui.
Ad occhi chiusi, avverto le sue dita scendere lungo la linea centrale che divide a metà il mio corpo, sfiorando l'avvallamento dei miei addominali e scendendo in giù, fino all'elastico dei pantaloni.
Attendo, trepidante, il momento in cui la sua mano si introdurrà in essi per potermi toccare, vivendo l'attesa con un'aritmia al cuore.
Ma non accade niente, per cui sono costretto ad aprire gli occhi trovandomi, dinanzi, i suoi pieni di malizia, con tanto di sopracciglia sollevate.
Inclina la testa e mi osserva in attesa ed io non so cosa stia accadendo, almeno in un primo momento.
Abbasso la testa fino al contatto tra i nostri corpi, avvertendo la pressione della cintura dei suoi pantaloni che corre, leggermente di traverso, lungo l'interno della mia coscia e al di sopra del pube. La pressione dei suoi fianchi contro i miei e l'accostamento del suo corpo teso contro il mio... completamente morto.
Spalanco gli occhi ed agito la testa, provocando nei suoi occhi un breve lampo concupiscente.
«No! No, no, no! Mi piaci davvero, è colpa del metadone» affermo con sincerità, sperando sul serio che mi creda.
Sono omossessuale fino al midollo ed ho provato, per lui, un'attrazione quasi istantanea ma ecco che, al momento centrale che sancirà lo sviluppo del nostro rapporto, faccio cilecca per una cura tanto stronza da essere in grado di lasciare dubbi, anche sul nostro rapporto.
Cosa diavolo sta pensando, che lo stia ingannando e non lo voglia davvero? Dannazione, vorrei sotterrarmi... eppure, per qualche ragione, Francis non sembra crederlo sul serio. Che sia stato tutto quello che ho fatto, senza nemmeno pensarci e senza ricordarlo lucidamente al sole del giorno, stanotte a convincerlo tanto?
Arrossisco sotto il suo sguardo e la cosa non gli sfugge, facendogli scendere gli occhi fino alle mie guance.
«Il metadone, mh?»
«Ti prego, non prendermi in giro anche su questo. Se solo sapessi da quant'è che voglio-» mi blocco, arrossendo ancora di più in faccia. Dannazione, sembro un bambino ma dinanzi al suo sguardo serio non posso reagire diversamente.
«"Vuoi", cosa?»
«Questo» replico in un respiro, incerto sulla reazione che può arrivare a mostrarmi.
«Quindi da molto?»
Sarà un mese intero, oramai, ma desidero davvero dargli tutto questo potere, che ancora non è certo di avere?
«Desideri così tanto sapere da quanto ti voglio, in modo da riprendere il controllo?»
«L'ho perso il controllo, Rais, già da ieri sera. Ancora di più oggi, che ho deciso di baciarti.»
A seguito di queste parole si solleva dal letto e mi fissa dall'alto, lasciandomi addosso una serie di brividi assieme ad uno sguardo assorto difficile da dimenticare.
«Ma la colpa è tua per la disperazione con cui hai pronunciato il mio nome ieri notte. Sembravi volermi al tuo fianco davvero. Questa è l'unica cosa di cui mi è importato.»
Queste frasi mi spingono ad afferrare di nuovo il suo braccio, trattenendolo dall'andarsene. In ginocchio tra le mie gambe, sotto tutti quei riccioli fitti, scuri, e gli abiti neri, tiene sotto osservazione la mia trepidanza, decidendo il modo migliore per acquietarla.
Si distende di nuovo, con lentezza, contro il mio corpo, facendomi rabbrividire nella percezione di quella giuntura in ferro al termine dei passanti, che preme sulla porzione di pelle lasciata scoperta al termine della mia pancia, poco al di sopra del pube, ma non lo lascio allontanarsi nemmeno di un piccolo spazio.
Sotto le dita percepisco la sua forza nella percorrenza dei miei polpastrelli lungo la scolpita precisione dei suoi muscoli, sollevando il mio tocco poi per poterlo soffermare per un attimo sulla sua nuca e subito dopo lungo il suo collo, scivolando in avanti così da entrare nell'apertura della sua camicia e sfiorarlo al di sotto.
Francis si lascia toccare, permettendomi l'esplorazione lungo un mio personale tragitto e immagino di stare per realizzare la prima delle mie molte fantasie; quelle di essere sempre più nudo contro il suo corpo ugualmente spoglio, quando il telefono che ha in tasca all'improvviso squilla.
Fisso dentro il verde smeraldo delle sue iridi, consapevole che mi stiano per lasciare, rimuginando su un triste fatto. Ovvero che prima d'ora, mentre eravamo insieme, quel maledetto telefono non ha mai suonato ed ecco che decide di farlo mentre siamo a letto.
«Sì, pronto.» Gli sento dire all'interfono mentre si allontana da me, prendendo a camminare a passi stanchi verso il soggiorno.
Le sue parole sono impossibili da udire ma non mi importa ascoltarle. Resto steso lungo questo letto, sollevato sui gomiti, per poter fissare la sua figura longilinea, vestita di quella camicia che gli mette in risalto i muscoli delle braccia, mostrarsi in una posa abbandonata.
Una mano in tasca e l'altra attorno al telefono. Fissa avanti a sé oltre le finestre della sala e nel contorno della scena la perfezione dei morbidi ricci risalta nel suo nero cromatismo, in tinta con gli abiti rispetto al chiarore completo della sala.
Attratto dai miei pensieri su di lui, volta la testa e rimane così, direzionato verso di me. La voce in chiamata forse gli sta ancora impartendo degli ordini ma è come se pensasse a qualcosa, nei miei riguardi.
«D'accordo, andrò da lui. Ci sentiamo tra settantadue ore» lo avverto dire, prima che il suo dito prema quel rosso bottone di termine chiamata ed i suoi passi si avvicinino di nuovo a me.
Intreccia le braccia al petto e posa una spalla contro una delle pareti, osservandomi con una distanza di sicurezza e di dolce approccio che viene affiancata dalla sua espressione seria, ma non focalizzata.
«Il mio capo mi ha detto dove posso trovare Attila. Vado da lui, devo parlargli. Farò tardi.»
Annuisco appena, sconvolto che mi renda partecipe così dei suoi piani senza che glielo domandi, e comprendendo che se solo non si trattasse di un ordine direttamente impartito non mi lascerebbe.
Nonostante mi stia abbandonando per ore, comprendo come le sue priorità siano cambiate dal modo in cui mi osserva. Forse teme che avrò freddo, di nuovo, come questa notte o che possa avvertire qualche spossatezza per questo, mentre lui mi rivolge una simile espressione, sono costretto anche io a farmi avanti.
«D'accordo. Starò bene, non preoccuparti.»
«La casa non deve essere distante. Appendi le scarpe fuori dal cornicione della finestra di sala se stai male, così tornerò in casa.»
Sorrido dinanzi a questa richiesta quasi sfrontata di un tema che è stato fonte di dolore, per lui, fino a poco fa e mi domando cosa l'abbia spinto a cambiare così. Se sia stata solo la mia condizione di salute o fosse sopraggiunto a lei altro.
Di qualsiasi cosa si tratti porta in sé la scritta "progresso" a caratteri cubitali, lasciandomi solo a sorridere persino una volta che se ne è andato.
P.O.V.
Francis
Non provo alcun rimorso per ciò che ho fatto. Non ne sento il bisogno, perché si è trattato dalla prima azione sincera che io abbia compiuto, da che sono entrato nella casa attraverso questo portone che mi lascio alle spalle.
Volevo baciarlo e l'ho fatto. La chiamata di Carlail mi ha provocato una ferita al petto, sinonimo di tradimento, ma mi era bastato vedere Rais sdraiato sul letto e notare la paura che avesse di un ripensamento per ricredermi.
Nemmeno so quando sia nato quello che sento adesso. Forse, fin dal primo istante in cui il lutto per Gyasi oscurava il mio cuore. Forse, quando ha scelto di iniettarsi il metadone in vena e di lottare.
In qualsiasi ipotesi un simile sentimento sia nato, eccolo che era tornato, prepotente, a chiedere il conto ieri notte mentre Rais pronunciava disperato il mio nome, cercando rifugio in me. Ho avuto le sue labbra, le sue mani, il suo fiato, il suo intero corpo premuti addosso per otto ore, in una tortura continua che mi ha fatto credere, all'inizio, a un suo stato di coscienza.
Sapeva che fossi gay e ho temuto che giocasse su questo per muovermi in direzione di una nuova debolezza, ma quante smentite ho avuto finora? Dal rendermi consapevole del suo effettivo stato di sonnolenza nel quale richiamava il mio nome all'espressione di delusione che ha avuto dipinta addosso, in cucina, credendo a un mio ripensamento.
Non lo avrò. Non lo lascio. Questo ho deciso, anche se è da folli ragionare in certi termini in una condizione simile.
Trovata la casa, salgo al piano indicato da Carlail in chiamata e raggiungo la sua porta, bussando poche svogliate volte.
Passano lunghi minuti prima che Attila mi venga ad aprire, affatto sorpreso di trovarmi qui. Deve avere una buona visuale sulla strada, come pensavo.
«Posso entrare?»
Si fa da parte e mi lascia varcare la soglia. Il silenzio accompagna il mio ingresso e mi porta a ricordare come ci siamo lasciati l'ultima volta; io che gli urlavo contro, con la cartella di Rais in una mano, e lui che mi pregava di mettere da parte la freddezza, senza usare punti deboli e mortali per il mio avversario, in modo da giocare lealmente.
Scorro lo sguardo lungo questa unica stanza, notando la quadratura di finestre a nastro interrotte solo dal pilastro all'angolo dell'edificio. Permettono una visione completa della strada e di casa nostra, è vero, senza però riuscire a vedere all'interno a causa dell'inclinazione delle vetrate del soggiorno.
Ciò vuol dire che non è in grado di conoscere gli ultimi sviluppi tra me e il mio carcerato, ed io non sono certo incline a volerglieli raccontare.
«Quindi è qui che stai?»
«Ti ha detto Carlail come raggiungermi?»
«Era preoccupato per te. A quanto pare la vostra ultima discussione non deve essergli andata molto a genio.»
«Voglio tornare sotto copertura. Credi ci sia qualcosa di male? Non ho niente da perdere.»
Affondo le mani nelle tasche del cappotto che ho messo di nuovo addosso, per poi prendere posto all'unica sedia presente contro il tavolo alle finestre.
«Dovrei pensarci bene. Corri molti rischi. Tra cui, devi ammettere che succeda, anche quello di poter morire.»
«Le voci in merito alla mia uscita di scena sono solo delle voci. Nient'altro. Posso riuscire a smentirle.»
«Vuoi tornare da tua moglie?»
«Non è mia moglie, inoltre abbiamo litigato. Il motivo è perché non l'ho mai amata, ho dovuto servirmene.»
«Sul serio non l'hai mai amata?»
Samuel tace, il che mi da modo di riflettere. Tutti noi, alla fine, compiamo degli errori o affrontiamo strade che non avremo mai pensato di percorrere.
La mia è rinchiusa in una stanza, vittima di numerosi brividi e non riesco a credere alla facilità che mi è occorsa per stringerla a me, abbracciandone l'amore.
«Io credo che tu l'abbia fatto, invece. Che non ti sia presentato all'altare solo perché non volevi che rimasse sposata con un uomo che per tutto il tempo le aveva mentito. Ed ora sei disposto a tornare indietro pur di rivederla, anche se per te prova solo rabbia. Hai delle motivazioni, certo, vuoi trovare i capi dell'organizzazione... ma vuoi più di tutti rivederla, mi sbaglio?»
«Carlail ha ragione, sei bravo a spulciare nella testa delle persone. Che mi dici di Rais? Da lui che risultato hai tratto?»
«Non preoccuparti, Attila. Sono entrato anche io in empatia e ora lo capisco molto meglio di quanto potessi fare prima» commento amaro ma con un mezzo sorriso, osservando le finestre del soggiorno da questa postazione di vetta, sperando che il nodo di quelle scarpe non penda oltre il profilo del balcone.
«Per cosa sei venuto qui, Francis? Volevi che mi congratulassi per il tuo ottimo lavoro?»
«No, volevo solo scusarmi per tutto ciò che ti ho detto e per il modo con cui mi sono rivolto a te. Ho sbagliato e lo comprendo solo adesso, quindi nella speranza che tu faccia la scelta più giusta decidendo di rimanere ancora qui, nel South Side, mi auguro che possa anche perdonarmi. Vivere una situazione rende tutto completamente diverso rispetto alla visione di un giudizio esterno. Devi avere avuto le tue buone ragioni e una buona dose di coraggio, per portare a termine il tuo lavoro.»
«Ti ringrazio.»
Sorrido, intuendo la dolcezza celata dietro la sua faccia da duro e poi sollevo la testa, dinanzi la sua postura da soldato. Mani unite dietro la schiena e sguardo fisso verso di me, gambe aperte e impiantate nel terreno con stabilità. I capelli mossi, e sciolti fin sotto le orecchie, sono l'unica pecca a tutta questa perfezione ma lo rendono straordinariamente umano, simile a me più di quanto credessi.
«Allora, perdonato?»
«Sei venuto dalla persona sbagliata, io non perdono. Ma sei sulla buona strada per guadagnarti il mio rispetto.»
Scoppio a ridere dinanzi alla sua risposta, ricevendo in cambio il suo mezzo sorriso, illuminato dal chiarore del sole di un nuovo giorno.
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