3- Le luci del lago
P.O.V.
Francis
Percorro con lentezza gli scalini di casa, sentendo il dolore saltarmi sui nervi e ballare sopra ogni specifico centro di dolore.
Una porta si apre quasi alla fine del mio percorso e una luce calda si abbatte su di me, portandosi dietro il piacevole profumo di un piatto caldo.
La signora Hill si è affacciata sulla scena, sentendomi rientrare, e si copre la bocca con una mano vedendo lo scempio che il mio volto presenta.
«Francis! Ma che cosa hai fatto?! Stai bene?»
«Va tutto bene, la ringrazio ma non si preoccupi.»
«Mamma...»
La piccola Megan la affianca, mostrandosi da dietro le gambe della madre. Le sorrido, sperando di non rivolgerle la parte di volto ferita e mi sciolgo nella dolcezza quando lei mi ricambia.
Ha nove anni, proprio come mio fratello, e uno sguardo dolcissimo.
«Voi state bene?» Chiedo, e la piccola debolmente annuisce. Ha gli occhi verdi quasi più brillanti dei miei.
«Sì, Francis, ti ringrazio. Siete una famiglia fin troppo gentile.»
«Lei fa lo stesso con Caleb, come potremo non ricambiare? La gente del South Side si aiuta, non è così?»
Storce la bocca debolmente, non del tutto convinta della domanda.
«Purtroppo non tutte le persone della nostra città sono persone buone ma grazie al cielo sono lontane da noi.»
«Ringraziando il cielo» confermo, allungando una mano per sfiorare i capelli alla piccola. Mi sorride di nuovo, dopo che tutti questi discorsi l'avevano intristita, e sarei quasi tentato di prenderla al posto di mio fratello. Lui non sorride quasi mai.
«Adesso devo rientrare, signora Hill, ma se le servisse qualcos'altro...»
«No, Francis, pensa a te stesso ora. Quelle ferite vanno disinfettate quindi procurati un po' di acqua ossigenata a piccoli impacchi, toglierà la polvere e le impurità dai tagli, e poi del ghiaccio su quel labbro.»
«La ringrazio.»
«Vai, ti aspettano a casa.»
Annuisco debolmente e mi allontano di nuovo per percorrere l'ultima rampa che mi è rimasta. Solo una volta raggiunto il portone, sento la porta delle Hill chiudersi. La premura caratterizza madre e figlia, sono le protettrici di questa città e le più rivoluzionarie. Danno e soluzione assieme. Questo ciò che posso dire di loro, ed il pensiero mi fa sempre sorridere essendo affezionato a moti tanto rivoluzionari.
Se non avessi vicine del genere non riuscirei a divertirmi allo stesso modo.
Inserisco le chiavi nella toppa e entro nella mia dimora, venendo circondato dal buio del corridoio e da uno strano silenzio, rotto dal leggero sottofondo di una partita in tv.
Solo l'abitudine mi permette di posare le chiavi sul piccolo mobile, evitando di farle cadere per terra ma il mio ingresso non passa comunque inosservato.
Resto immobile quando avverto lo stridulo acuto prodotto da una delle sedie, risospinta all'indietro, e poi dei passi che, lentamente, si dirigono verso di me.
La notte che si presenta, con un filtro blu scuro, all'esterno di questo condominio superando i vetri della nostra abitazione garantisce anche l'illuminazione al piccolo corridoio che ho davanti, proiettando sui muri l'ombra degli alberi al di fuori.
Sfilo il soprabito mentre vedo la figura di lui incedere. Le proiezioni esterne corrono lungo il suo volto persino e sulle ciocche bianche che hanno iniziato a schiarirgli la cute che, sono certo, nel giro di non molto diventerà completamente bianca... ed eccolo di fronte a me, con i suoi occhi blu scuro che valutano i danni.
La sua espressione non tradisce nessuna emozione, ed io resto in attesa della sua voce.
«Credo che avresti dovuto picchiare l'altro più forte» mi dice, ed io sorrido dolcemente.
«Ciao, papà.»
«Bentornato a casa.»
«La mamma?»
«È fuori con Caleb, stanno prendendo la cena.»
«Devo andargli incontro?»
«Tra poco arriveranno, non preoccuparti.»
Rassicurato dalle sue parole, lo seguo in cucina per prendere quanto la signora Hill mi ha consigliato.
Nel frattempo, Richard Dowson torna ad accomodarsi alla propria seduta, riprendendo a vedere la partita dopo un lunghissimo turno di lavoro alla guida del taxi.
«Come è successo?» Chiede, non staccando gli occhi dal piccolo schermo a bassa risoluzione.
«Niente di che, una semplice discussione a scuola.»
«D'accordo, allora possiamo parlare di una cosa più importante, prima che tua madre ritorni.»
La frase è uscita dalla sua bocca nell'istante durante il quale sono rimasto occupato a cercare il piccolo contenitore di acqua ossigenata, al di sotto del lavello.
Non conosco il motivo per il quale mia madre continui a tenerla in un simile posto ma riesco a trovarla, e tornare dritto di fronte ai suoi occhi e al mio nuovo peccato.
Tra le dita, mio padre tiene un pacchetto delle mie sigarette, e nemmeno provo a mentire.
«Mh, l'hai trovate.»
«Che cosa ti avevo detto riguardo al fumo, Francis? Non mi piace l'odore di questa merda e non voglio che tu ne faccia uso.»
«Ti ricorda troppo tuo padre?»
«Al diavolo mio padre, non metterti questo catrame in bocca.»
«Allora ti preoccupi della mia salute?»
«Di certo non sei un uomo corazzato. Ricordi? Cagionevole, ha detto il medico.»
Scoppio a ridere. «Nemmeno so che significhi...»
«Significa che sei debole come un neonato e riesci ad ammalarti gravemente anche con un raffreddore.»
«Fortuna non siamo tutti istruiti come te, papà.»
«Da quanto ti piace questa merda?»
Imbevo un piccolo stralcio di acqua ossigenata nel cotone, e lo applico sulle ferite del mio volto, non sentendo fortunatamente alcun bruciore.
«Da circa un anno.»
«Dalla morte del tuo amico?» Resto in silenzio. «Ad ogni modo devi smetterla, fumare fa schifo.»
«Vedrò cosa posso fare, signor Dowson.»
«Così va già meglio. Sei tutto rigoroso, una specie di soldatino secondo tua madre. Non peccare di questi vizi e fai le cose per bene.»
Ho diciassette anni, quasi diciotto, e mai, fino ad adesso, ho risposto male a mio padre, forse a causa del timore che genera la sua figura ma, se volessi, a una simile affermazione potrei rispondere per le rime.
Lui non ha alcun vizio sfrenato; il fumo, l'alcol o le scommesse non sono cose per lui ma ha la brutta abitudine di spendere soldi e tempo per cose da ricchi. Questa tv ne è stata un chiaro esempio come lo era tempo fa la radio e le lezioni di ballo.
Dentro casa, però, non voglio essere io a generale inutili discussioni, motivo per il quale lascio perdere e mi dirigo verso il bagno nell'istante stesso in cui sento la chiave di casa tornare a inserirsi nel portone di ingresso.
Mia madre annuncia il suo arrivo, con una richiesta infinita di aiuto e sento mio padre, silenziosamente, andarle in soccorso senza pronunciare una sola parola.
Davanti allo specchio, invece, valuto i danni che mi ha lasciato Hasim... quel maledetto bastardo.
«Ahh!» La voce rilascia un breve lamento quando applico un impacco disinfettante su di una ferita più profonda, e il corpo sobbalza appena, colpito dal dolore.
Grazie al gesto, però, gli occhi notano al margine dello specchio e lontano dal mio riflesso la piccola copia in miniatura di me, che se ne sta attaccata con le spalle alla porta.
Mi volto e analizzo il suo volto imbronciato ma anche curioso rispetto a quello che sta succedendo. Avesse avuto un poco più di forza sono certo che gli piacerebbe anche a lui colpirmi.
«Beh? Che ti guardi?» Chiedo, reggendo la pesantezza di quello sguardo infante verde scuro.
«Cosa hai fatto?» Mi risponde per le rime Caleb, ignorandomi.
«Che ti sembra? Ho fatto a botte.»
«E mi dici che essere violenti non serve a nulla...»
«Giuro che in quel momento serviva» ma sarà vero? Non ne sono del tutto convinto.
Lascio cadere il cotone imbevuto e già macchiato di sangue dentro il cestino e mi volto verso questo piccolo mostriciattolo, chinando la testa per fargli credere di essere al suo stesso pari.
«Tu ancora devi smetterla con le bugie. Quando sarai diventato più sincero ti insegnerò anche a fare a pugni ma solo per le occasioni speciali e non contro di me, capito?»
Il suo sopracciglio destro si innalza e vedo che la proposta lo intriga, ma fin da quando era ancora più piccolo si ostina a non mostrarmi affetto e così solleva entrambe le spalle, con disinteresse.
«Fai come ti pare, c'è Amy alla porta.»
«Come?»
«Io e mamma l'abbiamo vista salire le scale.»
Poso le mani sulle spalle di mio fratello per spostarlo delicatamente da parte, visto i passi minuscoli che compie e avendo fretta di arrivare fino a lei.
Non capita molto spesso che si presenti alla mia porta dunque quando lo fa vuol dire che si tratta di qualcosa di importante.
Temo che sia così... visto lo sguardo cupo che è perso nel vuoto prima di venire attratto dalla mia presenza, e peggiora ulteriormente alla vista dei tagli.
«Sapevo che era successo qualcosa di brutto» dice in un mezzo respiro, percorrendomi da parte a parte.
«Amy... sarei voluto venire a scuola ma ho incontrato Halima, poi Hasim e...»
«È stato lui a ridurti così, vero? Te lo avevo detto di stargli lontano.»
«Mi hai detto di farlo dal padre, e lui non c'era.»
«Grazie al cielo, altrimenti sarebbe scoppiata una catastrofe.»
«Può scoppiare anche adesso se entri. Mia madre non mi ha ancora visto e non voglio che si preoccupi.»
«Potremmo andare al lago.»
«A quest'ora?»
«Facevo per farti uscire di casa.»
«Va bene, allora aspetta. Recupero le chiavi.»
Ma nemmeno il tempo di pensarlo che Caleb mi si presenta di nuovo davanti.
«Dove andate?»
Quante domande che mi fa questo ragazzino...
«In un posto segreto, usciamo.»
La bocca gli si storce in una smorfia.
«Ma sei appena tornato...»
«Mh, quindi ti mancherò?»
«No.»
«Bene, allora non ti dico niente. Quando avrai un posto segreto anche tu, e sarai abbastanza grande per raggiungerlo, potrai uscirtene di casa liberamente. Per il momento limitati a dire a mamma che sono fuori.»
«Guarda che io già ce l'ho!» Esordisce con un tono arrabbiato, e la sua faccia aggressiva mi fa ridere. È incredibile quante storie questo bambino si inventi pur di stare al mio stesso passo.
«Allora ti conviene nasconderti lì se scopro che hai fatto la spia su tutto questo» gli dico, ruotando un polpastrello a formare nell'aria un cerchio attorno al mio volto.
Caleb gonfia le guance dalla rabbia e mi viene istintivo: gli passo le mani tra i capelli neri scombussolandoglieli, e il nano si ritrae come scottato.
Cosa avevo detto? Prendere Megan per Caleb, sarebbe un ottimo scambio.
«Avanti, fila dentro, sto per chiudere» gli dico, e almeno ho la soddisfazione di essere ascoltato.
Una volta che siamo da soli, Amy ci tiene a rilasciare una propria recensione di questo piccolo scambio fraterno.
«Il bambino è aggressivo.»
«Sì, ma sto cercando di addolcirlo sempre di più.»
«Con successo?»
«Spero che non diventi rigido come mio padre, quello è certo. Lo scopriremo tra un paio d'anni.»
«E tra un paio d'anni anche Hasim si addolcirà?»
«Credo che sia decisamente impossibile.»
Tendo ad essere negativo ma per fortuna non rinuncio mai nemmeno alla speranza.
Il percorso che compiamo in direzione del lago avviene in un completo silenzio, grazie al quale passiamo inosservati lungo le strade.
Correrebbero troppo veloci le voci nel nostro quartiere riguardo la condizione della mia faccia, ne sono certo. Le novità riescono a farsi sentire fin troppo forte e farebbero nascere discussioni tra balconi di vecchie signore per giorni.
Avvertire il selciato sostituire l'asfalto, poi, nel compiere la strada più lunga per sfuggire ai pettegolezzi è una sensazione inestimabile.
La via dei coltivatori, nella notte, non è che illuminata dal chiarore delle stelle e da piccole luci sparse. Noi abbiamo fatto molto meglio, attorno al nostro lago, facendo passare tra i rami degli alberi fili con appese piccole luci rotonde e gialle, collegate a un generatore già presente vicino ai campi.
Spostando l'ostacolo dei secchi rami di alcuni pini leggermente ammalorati riesco a raggiungerlo, e mentre Amy mi aspetta vicino alla sponda faccio partire la corrente.
Sotto il suo sorriso si rischiara l'intorno, e le piccole luci della riva occupata da noi si riflettono anche sul profilo dell'acqua, prima che la notte le inghiotta più lontano, lasciando il resto del paesaggio al buio.
«Molto meglio, così posso vedere quanto ti ha distrutto bene la faccia.»
È brava con le battute e un asso a prendere in giro le persone, specie me, che sono il suo migliore amico per cui la lascio vincere ancora una volta e cedo, stanco, all'alternativa di raggiungerla.
Assieme ci accomodiamo sui bianchi sassi e ascoltiamo lo sciabolare delle falciatrici contro il grano che, solo questa mattina, mi ero immaginato.
«C'è molta calma...»
«Se solo non fosse per le rane» faccio notare, ricordando il nostro primo tentativo di dormire su queste sponde, non valutando gli spiacevoli coinquilini presenti.
«Avanti, lasciale in pace, senti piuttosto le macchine in azione.»
Seguo il suo consiglio e rimango in ascolto, immaginandole percorrere gli ettari coltivabili delle nostre terre.
«È la sola cosa che funziona, qui» commento, con quei suoni nelle orecchie e lo sguardo disperso verso il nero vuoto che ci è di fronte. «Il resto è tutto marcio.»
«Parti dall'inizio e raccontami cosa è successo.»
«Cosa pensi ci sia di nuovo, Amy? Sono andato da Marcus, il volontario che si occupava di lui e ho lasciato un offerta. Dopo ho visto che poco più lontana c'era la sorella e gli ho chiesto dove l'avessero seppellito.»
«Non ha voluto dirtelo?» Domanda, dolce, la voce della mia amica, e io scuoto lento il capo.
«Non ho nemmeno avuto il tempo di convincerla, Hasim era poco distante da lei.»
«Non passeggia mai da sola.»
«Lo sai come la pensa il padre.»
«Sì, ma non riesco a crederci. Come è possibile che una simile cultura permetta di far esercitare, a questo modo, il controllo?»
«Vengono dalla Nigeria Settentrionale, Amy... laggiù è tutto più difficile.»
«Anche vivere una storia d'amore omosessuale...»
Abbasso la testa, sconfitto dalla pesantezza di quel masso enorme che Amy, involontariamente, mi ha posato di nuovo sulle spalle.
«Secondo le loro leggi, quel genere d'amore è punibile con la pena di morte.»
«Come si può pensare di dare un simile destino al proprio figlio? Se lo si ama... allora...»
Le risulta impossibile concludere la frase per cui sono io a dover mostrare il giusto coraggio che serve a proseguire.
«Questo non è più importante, Gyasi non è morto per questo.»
«Non direttamente, ma cosa pensi che lo abbia spinto fino all'overdose?»
Il silenzio che accompagna la mia assenza di risposta è un film proiettato di immagini, rappresentante i vari stati d'animo del suo volto. Felice, arrabbiato, divertito, triste. Euforico e depresso, nel giro di pochi attimi.
Nessun tipo di bipolarismo, solo il suo tentativo patetico di mostrare la realtà che gli altri si aspettavano di vedere.
Io non avrei mai voluto conoscere quella menzogna.
«Marcus mi ha parlato dei suoi giorni buoni, credo che si trattasse della disintossicazione. Chiamava il mio nome, voleva avermi vicino.»
«Sei rimasto nei momenti in cui ne aveva avuto più bisogno. C'eri anche alla fine, Francis.»
«E non è bastato... queste cose le direi direttamente a lui se solo mi confessassero dove si trova la sua tomba. Che cosa può fare un amante di fronte a un morto? Come potrei infangarli di più?» Amy si stringe nelle spalle, non volendomi lasciare del tutto solo di fronte alle mie incertezze. «Non importa, lo scoprirò. I volontari mi avevano detto di stargli lontano durante il recupero, che la mia presenza avrebbe comportato un rischio per la loro riuscita.. ma ora non lo voglio più lasciare. Credi che sia un pensiero giusto?»
«Lo è, Francis. Certo che lo è.»
«A te che cosa è capitato? La prova è andata bene?»
Prende un profondo respiro, accavallando le sue gambe secche l'una sull'altra e lasciando dondolare il piede rimasto al di sopra. Lo fa sempre quando è nervosa e il che non preannuncia niente di buono.
«Nohan ha richiesto la mia presenza dopo l'orario scolastico. Ha voluto dirmi di essere d'accordo ad allentare la stretta per far perdere l'interesse su di noi dal momento che anche sua moglie sembra essersi accorta, a quanto pare, di qualcosa e si aspetta che mantenga le distanze da me, finite le ore di laboratorio.»
«Lo devi lasciare, Amy, non fa per te.»
«Lo credi sul serio?»
«Sei una ragazza molto buona e so che l'attenzione che ti ha riservato ti è sembrata un premio... ma quell'uomo ti sta solo usando e non meriti questo» confesso in tutta sincerità. Nonostante le abbia introdotto questo argomento più volte, stasera sembra essere la sola occasione nella quale desidera rimanere a sentirmi. È inevitabile domandarsi quale sia stato l'evento scatenante che le abbia permesso, finalmente, di prendere in considerazione questo dato di fatto.
«Allora cosa dovrei fare, secondo te?»
«Lasciarlo, anche con una scusa inutile. Dì che sei preoccupata per i tuoi esami e che i tuoi genitori ti stanno facendo pressioni. In fondo è vero, concluso quest'anno ci aspetta l'università e tu non puoi preoccuparti anche del problema della moglie... una volta che sarai stata in grado di lasciarlo vedi di uscire di più con qualcuno della nostra età.»
«Ah! Un nuovo appuntamento, eh?» Mi domanda in una presa in giro, quasi stessi dicendo una cosa assurda.
«Sì, Amy, un appuntamento. Quanti uomini ti hanno portata fuori a cena?»
«Solo tu.»
«E lo meriti, dico sul serio. Questa relazione con il professor Wood non è altro che uno sfogo per lui, e deve essere lo stesso per te. Se hai finito di divertirti allora puoi chiudere quella storia.»
«Ne parli con molta facilità» commenta, abbassando la testa e spostandosi con una mano i pochi capelli che le sono finiti davanti agli occhi. Ecco il motivo palese che la spingeva, da bambina, a mettersi tutti quei fermagli. «Ma sai bene che non ho avuto altre storie importanti. C'è stato qualcosa con altri, poi ci sei stato tu e poi lui...»
Rido, divertito da questo fatto e mi distendo di schiena, portandomi le braccia incrociate dietro la testa.
«Almeno posso essere convinto del fatto che il professore fosse più bravo di me a letto. O almeno più coinvolto, ricordi la questione della mia omosessualità?»
Si copre il viso con entrambe le mani, e la cosa mi fa ridere più del dovuto.
«Ti prego, finiscila altrimenti ti uccido.»
«Dall'altra parte, però, mi darebbe una soddisfazione immensa sapere di essere stato comunque più bravo di lui...»
«Era la mia prima volta, Francis» mi ragguarda lei, voltando la testa verso la mia e dando un peso a quell'evento che non mi sono certo dimenticato. «È ovvio che sia rimasta qualcosa di speciale.»
«Era anche la mia prima volta» le ricordo, e Amy sbuffa.
«Sì, e da quanto sono stata brava ti ho fatto correre verso la sponda opposta della sessualità...»
Il fatto che parli così di sé stessa mi fa arrabbiare. Si svaluta, svaluta entrambi.
Mi rialzo a sedere e tento di recuperare il suo sguardo che, ferito, spera di scappare da tutt'altra parte.
«Amy... quello che dici non ha senso. Non sei stata tu a farmi cambiare, sono nato io così e questa cosa mi ha fatto male per anni...»
«Scusami...»
«Non importa, so che non lo dicevi per cattiveria ma solo perché hai la testa più dura di qualsiasi muro, e questo ci porta al secondo punto. Sei stata brava, quella volta. Perché non la pensi nel modo opposto? Sei riuscita persino a convincere un ragazzo gay a venire a letto con te!»
«Tu sei mio amico, ed eravamo curiosi.»
«Sei bella, Amy» le confesso, sfiorandole la guancia con la punta delle dita. La mia piccola strega mi sorride con le lacrime agli occhi. Come può credere di non essere bella, in questo momento? È una delle ragazze più particolari dell'intera scuola e ha un carattere bellissimo. «Un giorno troverai un ragazzo che ti farà capire quanto vali. E una volta che l'hai trovato tienilo ancora più stretto di quanto tieni me, perché è riuscito dove io ho fallito.»
«Tu non fallisci mai, Francis, non fare lo sciocco.»
Sorrido, constatando di essere riuscito a consolarla e di poter tornare steso sul mio tappeto di lisci sassi. «Forse è vero, ma con Hasim non vinco di certo.»
Resta in silenzio e insieme osserviamo i bordi appena percettibili del lago. Abbiamo fatto bene a decidere di uscire stanotte: casa mia sarebbe stata troppo stretta per tutta l'orda di pensieri che mi sta vincendo, bramosi della solitudine fino all'inverosimile. Stare con Amy in silenzio, senza provare imbarazzo è uno dei momenti inestimabili della mia vita che mi trasmette sicurezza.
Riusciamo a viverlo appieno per una buona sequenza di minuti quando poi, in lontananza, udiamo dei passi avvicinarsi.
Sollevo la testa quanto basta per osservare la discesa di ingresso e vedere Ercole comparire con un il suo solito sorriso calmo.
Nonostante la pacatezza che lo caratterizza, stanotte sono io a essere inquieto per cui, con un solo cenno della testa rialzandomi, lo saluto in un mezzo sorriso per poi accarezzare il volto della mia amica. Li lascio soli, iniziando a percorrere il sentiero che traccerà il perimetro di questo specchio d'acqua, trascinandomi alle spalle i pensieri.
I piccoli sassi vengono smossi dalla suola delle mie scarpe e sembrano essere la cosa più luminosa del sentiero che mi si prospetta dinanzi. Nemmeno la luna, stanotte, si erge nel cielo riflettendosi nell'acqua del lago: la sola illuminazione resta quella delle nostre dorate luci, ed è voltandomi verso di loro che non mi perdo, vedendo in lontananza Amy e Ercole parlare insieme.
Dopo ciò che ci siamo detti, la mia migliore amica sembra essere più tranquilla, ma sono molti i problemi che ancora ci si prospettano di fronte. Mantenendo queste luci accese, lasciando sempre intuibile la rotta, però, sapremo orientarci, perché non possiamo fare affidamento che l'una sull'altro.
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