26- Vivere il presente andando a caccia del passato
P.O.V.
Rais
Delle voci provengono dalla strada e, trattandosi di un evento alquanto raro, mi spingono ad allungare il collo per fissare oltre i vetri senza alzarmi da questo divano.
Riesco a scorgere Attila parlare con la mia infermiera e per un attimo il terrore mi assale.
La vedo anche allontanarsi, però, poco dopo dalle mie paure dandomi ancora del tempo per sopravvivere da solo.
Anche se essere soli ormai è un inconveniente impossibile.
«Non mangerai niente?» Lo sento chiedermi da dietro le spalle, lontano, sulla postazione che ormai ha occupato del soggiorno. Una sedia, spostata fino alle vetrate in modo da osservare me e Attila allo stesso tempo.
Io, invece, non guardo altro che la bottiglietta d'acqua presa dentro il frigo questa mattina, nell'unico attimo di solitudine durante il quale lui era al primo superiore, ad occuparsi delle valigie.
Per giorni non ho fatto altro che bere litri d'acqua, in modo togliere il sapore amaro incastratosi nella mia gola e causato dalla lingua ormai completamente parte del palato, dopo di che ero stato costretto a reclinare la testa e vomitare anche quel poco. La fame non si era fatta sentire ma adesso la avverto, per quanto latente.
Arrivo ad alzarmi in piedi e a decidere di cucinare qualcosa di veloce solo per impedirgli di supporre, facendogli credere in uno stato di salute decisamente troppo stabile rispetto alla realtà.
Che cosa posso preparare?
Prendo una teglia e dell'olio, senza nemmeno pensarci troppo, recuperando a seguito qualcosa dalla dispensa sopra la mia testa.
È ben rifornita di una serie di prodotti che non vedevo da tempo: cibo in scatola, sacchi di pasta e addirittura delle spezie.
Però... la polizia vuole davvero illudermi di essere riuscita a donarmi una nuova vita.
«Immagino che si prendano loro carico di tutto... la polizia, intendo» commento ad alta voce, in una riflessione volta a rompere questo pesante silenzio.
Non ricevendo risposta, sono costretto a inclinare la testa per osservare il suo sguardo crucciato. Fortuna che anche il sole è calato così posso vedere con precisione gli attimi in cui dei frammenti emotivi si intrappolano tra le sue rughe di espressione.
«È una vostra abitudine? I toast al formaggio, intendo» replica la sua voce, in una mia imitazione priva di qualunque enfasi, ma io non sono in grado di capire.
Osservo il toast che ho preparato e lasciato abbrustolire nella padella per poi tornare a lui a caccia di spiegazioni.
«L'ho cucinato per Oliver, il giorno che è venuto a casa mia.»
«Oh, Oliver è venuto a casa tua mentre invece io non so nemmeno il tuo cognome...»
«Allora non sapevo che fossi tu, né che pure quel povero ragazzo fosse invischiato in questo schifo. Altrimenti...»
«... Altrimenti non gli avresti concesso nemmeno un pasto caldo?» Concludo la sua frase, afferrando uno degli utensili per sollevare dal letto di olio il toast.
Dovrei... dividerlo, per servirlo anche a lui?
L'indecisione mi blocca, nell'abitudine che ormai possiedo di non cucinare mai solo per me, quando la sua voce mi spaventa per la traduzione dei miei pensieri.
«Io non mangio.»
Con un pugno chiuso e la mano sollevata, al fine di permettere alla testata in ferro dell'utensile di dividere il pane cotto, compio il gesto di scatto servendomi intero il toast su di un piatto.
Prendo posto, al seguito, nell'angolo più lontano a lui del tavolo.
«Certo, fumare toglie l'appetito.»
Lo affermo solo per rendere noto il fastidio che quell'odore mi ha provocato per tutte queste ore: non ha smesso di fare altro, intossicandomi nonostante la finestra aperta e portandomi più di una volta ad andare verso il bagno con nuove nausee.
Forse, ad un certo punto della routine, ha preso a farlo apposta.
«Non è per togliermi l'appetito che fumo.»
Certo, lo fa solo per infastidirmi.
«Mh, allora sei nervoso per caso?»
Francis resta a fissarmi, accomodato alla sua sedia e con il corpo in torsione, al fine di non essermi del tutto rivolto.
«Stiamo parlando di sbagliate abitudini? Perché potremo discutere pure di come tu abbia iniziato con l'eroina, anche quella toglie l'appetito.»
«Ti priva di un sacco di cose, lei» commento a voce bassa, prendendo in mano il toast senza riuscire a mangiarlo, consapevole di avere il suo sguardo addosso.
«Stai vivendo una vita a metà e ti sta pure bene. Vieni protetto da dei mafiosi e ti sembra di stare svolgendo un semplice lavoro statale.»
«Mh, quante cose che sai di me. Perché, piuttosto, non mi racconti qualcosa di te?» Lo prendo in giro, spostando l'attenzione di quel discorso omicida, riuscendo persino a masticare un boccone del mio pranzo.
In un primo momento lo stomaco reagisce con uno scatto violento ma poi accetta il pasto, spingendomi a chiederne ancora.
«Non saprai niente di me.»
Mastico lento e poi deglutisco, fissando dritto negli occhi la sicurezza che ostenta.
«Questa è la tua seconda promessa, dopo quella di non toccarmi?»
Avevo usato anche io l'ironia, poco fa, nel fargli credere di essere riuscito in parte a conoscermi. Non credo che l'abbia fatto sul serio perché, altrimenti, un uomo come lui avrebbe provato del rispetto, proprio come ha fatto la scorsa notte tornando per rassicurarmi su Oliver.
Se solo sapesse quanto nella mia vita sia sempre stata importante l'accettazione, il bisogno di sentirmi amato e compreso, al sicuro nel calore allora non ci giocherebbe così. O almeno me lo auguro perché, in caso contrario, significherebbe che sia io quello notevolmente indietro all'interno di questo giorno di reciproca conoscenza.
«Quando sei arrivato all'eroina?»
«Avevo tredici anni» confesso, chiudendo velocemente quella spiacevole frase.
«È molto presto.»
«Tu quando alla nicotina?»
«Non è certo la stessa cosa.»
«Non le sto mettendo a paragone, sto solo parlando. Nemmeno questo mi dirai?»
La richiesta è tanto semplice da suscitargli una risposta dopo qualche attimo.
«Due anni fa.»
Anche a lui qualcosa deve essergli scattato, nel cervello, per condurlo a quella che sembra essere, ad ogni modo, anche una sua dipendenza.
Gyasi.
«Abituati a parlare, le riunioni continueranno. Sarò io ad accompagnarti.»
«Le riunioni non servono a niente» affermo, prendendo un sorso d'acqua per buttar giù un pesante boccone che sembra raschiarmi la gola.
«Come il metadone?»
Non commento, lasciandogli il modo di sbilanciarsi quanto desidera verso le sue personali considerazioni.
«Sembri molto sicuro di te nell'affermare cose simili» commenta, infatti, poco dopo. «Quasi alla stregua di uno che ci è già passato. A questo proposito ti va di dirmi come sapevi dell'uscita data dalla finestra?»
«C'ero già stato.»
«Hai già provato a disintossicarti una volta?»
Parlare di un simile argomento mi obbliga a cambiare posa sulla sedia, movimentato da un fastidioso disagio come di piccole punture di insetti.
«Oliver mi aveva costretto ad andarci dopo un incidente. Come puoi intuire da solo, non mi è servito a niente parlare. Allo stesso modo non servirà a niente raccontarti dei miei capi: credi che non abbiano già preso provvedimenti di fronte a una mia denuncia? Tutte le prove delle loro cospirazioni saranno già andate, lasciandovi niente che non sia l'ipotesi delle mie parole vuote.»
«Questo non è importante, una confessione ha comunque il suo peso come lo ha scegliere di fare la cosa giusta.»
Nella parte finale della frase decide di puntarmi i suoi smeraldi addosso, rendendomi indigesto il resto del panino. Lo poso, in una mossa stizzita, per poi sollevarmi in piedi in modo da ragionare su cosa sia meglio fare.
Francis non si arrenderà tanto facilmente e a me in questa casa mi sembra di impazzire. Passo entrambe le mani lungo il cranio per verificare che non scoppi così, da un momento all'altro, per tutto ciò che devo sopportare.
I moralisti sono sempre stati i peggiori perché possessori dello stesso disgusto rivisto persino negli occhi dei membri di famiglia che passeggiavano per il corridoio dell'orfanotrofio, scegliendoci come prodotti al supermercato.
Ognuno chiedeva da dove provenissimo, se fosse stata reso noto qualcosa dei genitori biologici in modo da riscontrare o meno malattie ereditarie e quanto fosse acuta la nostra intelligenza. Non per merito loro ho imparato che la scaltrezza potesse essere qualcosa di necessario da possedere, ma è inevitabile che mi abbiano indirizzato.
Per questo motivo ancora arrivo a sopportare, nonostante l'evidente stato di adrenalina e ansia, di confusione mentale, data dall'astinenza, le domande indiscrete e le supposizioni rivoltemi da Francis, in attesa come è di vedermi cadere.
Nemmeno mi sorprenderei nel credere che in qualche modo ci stia provando gusto, piuttosto mi ha stupito il suo gesto di prestarmi soccorso sul pavimento del mio rifugio, avendo confessato di non volere alcuna mia ammissione, se espressa mentre vergevo in quello stato.
Che sia stato un atto di pietà? Se così fosse, saprei dove fare leva eppure, nonostante stia analizzando dentro il caos mentale, sempre più da vicino, il mio nemico riesco a fare ben poco per riuscire ad attaccarlo.
Ed ecco la mia, di debolezza: provare rispetto per un uomo che mi detesta tanto. Continuare a desiderare l'amore di una famiglia nonostante costringessi ognuna di loro ad allontanarsi da me, nel momento della scelta.
«Questo non può funzionare» commento, continuando a sfiorarmi la testa e avanzare in direzione del divano. «Io non ti voglio qui!»
«La cosa è reciproca» commenta, avvicinando pollice e indice della mano destra solo al fine di togliere un minuscolo residuo di polvere da sopra il pantalone della gamba intrecciata.
Inutile dire che anche quel gesto mi provoca del prurito.
«Che fine ha fatto la tua fiducia in Attila, eh? Il tuo "se ti ha fregato una volta può farlo ancora"? Resterà semplicemente di guardia?»
«Visto che hai tirato fuori l'argomento "Attila" parliamo di lui. Quale dei tuoi amici sa che la sua copertura è saltata? Non essere timido, puoi pure dirmi dei nomi.»
«Giuro, sto per impazzire...»
«Ti assicuro che lo farai davvero quando andrò dal capo della polizia e dirò che è il caso di tenerti più a lungo di quanto credessimo.»
«Mh, vi siete dati un tempo?»
«No, ma ognuno di noi spera di risolvere le cose in fretta quindi ci auguriamo che tu presto parli.»
«Avanti...» commento ridendo di fronte alla sua caparbietà. Va bene essere insistenti, ma non ci sta nemmeno provando ad essere ragionevole...
Forse perché non vuole ancora creare un contatto tra di noi. È quello che sono costretto a fare ogni volta, dinanzi ad un nuovo acquirente; capire che tipo di persona sia, cosa realmente voglia e cosa fare per soddisfarla. Ammetto di non essere il compratore più semplice da soddisfare eppure i suoi tentativi sono patetici, pure per un uomo come lui.
«Stavolta nessun ricatto» lo sento sussurrare a un tratto, continuando ad osservare verso il basso come ha fatto poco fa, pulendosi il tessuto del pantalone. Le mani intrecciate tra loro, sulle cosce, gli donando la posa di una stabilità assurda mentre io continuo a ruotare.
«Non userò Oliver né alcuna tua paura. Farò una semplice considerazione.»
Rallento, senza riuscirmi del tutto ancora a fermare costretto come sono a vivere tra instabili momenti di assurda stanchezza e di seria iperattività, concentrandomi sulle sue parole mentre passeggio a fianco al divano. Certo di non attirare il suo sguardo in un momento tanto delicato non riesco comunque ad evitarmi di fissarlo, vedendo la luce incastrarsi tra i suoi riccioli neri.
«Hai già avuto modo di notare la riserva della dispensa. La polizia ha un fondo monetario in grado di andare in aiuto ai collaboratori di giustizia, ma che può essere indirizzato anche verso molto altro.»
Vuole corrompermi con dei soldi? Non me ne faccio di niente, non sono mai stati importanti le grosse cifre. Da sempre mi è occorso quanto basta per vivere e per comprare l'eroina, vantaggiosamente a buon mercato in una città di povere come la nostra. Pessima strategia, quindi, almeno che non si rivolga ad altro.
La difficoltà tramite cui mi parla mi fa percepire un seguito.
«Prima che tutto questo avesse un inizio, prima del raid della polizia alla stazione e dunque prima ancora che ci conoscessimo Attila mi ha detto delle cose, sul tuo conto. Mi ha fatto notare che, per convincerti a cooperare, la violenza non sarebbe stata necessaria. Anzi, controproducente piuttosto e l'ho potuto da solo verificare. Ma mi ha detto anche un'altra cosa e la capisco solo adesso.»
Una simile anticipazione mi ferisce data la sua centralità ed effettiva verità. Attila mi conosce bene, sa quanto possa rispondere ad uno schiaffo con un pugno e sa anche con quanta velocità scatto all'azione, in poco meno di un attimo. La droga mi ha reso fin troppo calmo ma in un diverso momento di completa lucidità con Francis mi sarei divertito davvero, forse ancora più di quanto ho fatto nel giorno in cui ci siamo parlati per la prima volta.
Lo vedo sollevare lo sguardo, adesso, solo per indirizzarlo fuori dalla finestra in direzione della strada sottostante. Lo scorrere dei pensieri è visibile in ogni movenza che compie, per quanto risultino sempre troppo inaccessibili da comprendere.
«Mi ha fatto notare che ti muovi sempre con dei bambini affianco ma che non permetti a nessuno di loro di entrare dentro i tuoi affari. Questo perché, un tempo, sei stato parte di loro. Eri un orfano, e quindi sai che cosa voglia dire offrire una vita migliore di quella che hai passato tu. In un orfanotrofio del South Side, privo di qualunque parvenza di casa... girano delle storie su posti simili, proprio come girano sul carcere. Molti bambini vengono picchiati, è per questo che tenti di radunarli vicino a te?»
Prima d'ora non mi ha mai rivolto un discorso tanto lungo ed è difficile da accettare adesso, trattandosi di supposizioni che si incastrano nel mio corpo come frecce. Adesso dovrei correre io molto lontano, più distante possibile da lui e dal suo cervello, mettermi in salvo.
Dopo averlo tanto stuzzicato, sono costretto a farlo. In fondo, è il passatempo migliore che si possa avere dentro questa casa.
«La polizia potrà garantire a loro cure migliori, se decidi di aiutarci. Li porteremo via dalla strada, possono essere affidati ai servizi dell'oratorio cittadino, sotto la guida del nostro prete. È un uomo buono, puoi fidarti che non farà loro alcun male. Piuttosto li toglierebbe dalla strada, garantendo loro un tetto sopra la testa sponsorizzato dal distretto.»
«Sei omosessuale e pure cristiano? Ma da che favola provieni?»
«Non sono cristiano ma credo nella bontà delle persone. Don Giulio è un uomo buono ed è amico del capo distrettuale.»
Ci mancherebbe solo che affidi i miei piccoli fratelli ad un prete, dopo averli salvati da delle suore...
«Puoi scordartelo, non mi fido quindi non lo farò.»
«Se non a lui, allora potremo indirizzarli verso qualcos'altro.»
Il suo tentativo di assoluto divieto di resa non è caratterizzato da una voce che accresce di tono quanto da un'assurda fermezza tramite cui, al seguito della mia domanda in merito alla sua omosessualità, era tornato a fissarmi negli occhi. Il resto del suo corpo, invece, rimane intrappolato dalla sua rigida posa.
Non è molto ma mi spinge a sorridere, perché intuisco che qualcosa è inevitabilmente cambiato: ecco, Francis si è spinto alla creazione di un contatto, senza ferire o mietere vittime, usando solo l'ingegno, sforzandosi di capirmi.
Ecco... adesso ci siamo. Eppure, non è quello che voglio.
Arresto i miei passi e con il sorriso stampato in volto mi mostro deciso quanto basta a mettere fine a tutto questo suo mucchio di parole che, ammetto, mi stanno facendo esplodere la testa. Non sono certo pronto a passare dal suo mutismo a un'improvvisa esternazione di pensieri ma sono piuttosto pronto a tradurgli, con secchezza, il mio fastidio, mettendo a tacere ogni suo tentativo di attacco.
«Quelli sono orfani del South Side. Hanno già imparato da soli come crescere. Non hanno bisogno della protezione di nessuno.»
Ecco fatto, verità nero su bianco. Piacevolmente noto che il suo sapore è tanto amaro da fargli storcere la bocca, quasi da provocargli la stessa nausea che ho avuto per tutto il giorno.
Che sfortuna, il suo pacchetto di sigarette è terminato, penso con malignità, volgendogli le spalle. Dovrà scendere giù in strada per acquistarne un altro.
P.O.V.
Francis
Parlare non è affatto semplice, specie se mi viene richiesto di rivolgermi a lui con una spigliatezza che non possiedo.
L'unica cosa che vorrei veramente fare sarebbe alzarmi da questa sedia e andarmene, prendermi la giusta pausa che merito ma è quello che lui vorrebbe che facessi, mentre mi indirizza quel suo mezzo sorriso ed il suo sguardo astuto, quindi ci rinuncio presto.
Quello che mi domando è come possa, nonostante gli scatti improvvisi di vomito, il prurito lungo tutto il corpo e gli improvvisi tic, mostrarsi tanto lucido da reggere il mio discorso con ferocia.
Ho sempre considerato i tossici al pari di un popolo di zombi, decerebrati e stanchi quanto basta ad occupare solo gli angoli delle strade su letti di cartone. Forse la maggior parte di loro è così ma lui no. È quasi come se possedesse un'involucro, intorno alla mente, fatto di ferro in grado di contrarsi nel dolore tanto da soffocargli il cervello in certo momenti, certo, eppure capace anche di isolarlo completamente in una lucidità che spaventa.
Sfruttare le frazioni di quei momenti di debolezza è quantomeno da codardi, per questo motivo mi sono tratto indietro la notte in cui ho dovuto trattenerlo per i polsi, ma mi domando se un'altra persona che non fosse avrebbe fatto lo stesso.
Probabilmente sì, ma la fragilità, la debolezza, l'ho sempre considerata come una forza.
Mi ha costretto a parlare, adesso, secondo tutta un'altra mentalità, seguendo una nuova strada che purtroppo percorresse le vie della sua mente in un tortuosissimo che dà alla testa, eppure eccomi qui, di fronte a un nuovo muro da valicare.
Nemmeno quest'idea è andata a segno eppure sento di aver scalfito con una crepa la sua corazza. Non è molto ma mi indirizza verso la giusta strada.
Altri non sono stati in grado di percorrerla.
Torno con lo sguardo verso Samuel per strada, risentendo nelle orecchie la mia voce che chiede a Rais quante persone invischiate nella droga sappiano della sua copertura saltata, pensando in verità a ben altra domanda.
Ragionavo su che cosa l'avesse fatta davvero scattare, poiché un presentimento mi annuncia dell'arrivo di nuovi problemi.
Mi sollevo dalla sedia attirando lo sguardo del mio carcerato e permettendogli così di fare quello che accidente vuole in questo assurdo soggiorno, collegato senza porte alla sua stanza. Al momento ho altro di cui preoccuparmi, oltreché di lui e di recuperare dalle valigie un nuovo pacchetto di sigarette a sostituire questo vuoto.
Arrivato nella mia nuova stanza, faccio scorrere la cerniera del sacco con cui sono arrivato per poter estrarre un libro preso in prestito, proprio dall'oratorio del nostro prete, dal momento che mi trovo a caccia di risposte.
Riporta la storia del condottiero Attila, "il flagello di Dio", per cui stendendomi sul nuovo materasso ho solo due desideri capaci di esortarmi nella lettura; mi auguro che questo libro possa essere in grado, nell'avventura delle intrepide pagine, di strapparmi via dalla realtà che sto vivendo e, al contempo, arrivo a sperare che mi conduca nel passato, offrendomi risposte.
Donandomi la natura di quel desiderio che aveva spinto sì Samuel a combattere ma anche a mandare a monte tutto. Carlail mi aveva parlato di imprecisioni, date dalla velocità comandata dagli ordini di capi superiori, eppure sento che c'è dell'altro. Lo stesso mistero che, se svelato, può aprirmi le porte per la mente di Samuel e forse, a seguito, per quella di Rais, risvegliando il passato e, al contempo, mettendomi in sicurezza anche del futuro.
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