23- La nuova notte degli imbrogli
P.O.V.
William
Esistono molte cose per le quali mio padre può essere accusato; azioni criminali, tradimenti, persino qualche inutile bugia ma mai nessuno potrebbe affermare che non sia un appassionato di arte e conoscenza.
Quando ero piccolo, ricordo che mi leggeva molte storie, alcune persino impegnative ma non importava. Era il suono della sua voce a calmarmi e, alle volte, persino gli intrighi celati negli importanti misteri dei suoi racconti scelti.
Ricordo una notte di essere rimasto particolarmente stregato da un racconto, nello specifico. Avrò avuto poco meno di sette anni, motivo per il quale ho scoperto dopo molto tempo che la storia altro non era che una rivisitazione. Tratta da un'importante romanzo italiano, la mia fiaba infantile riportava l'intrigo della "Notte degli imbrogli".
Il titolo già parlava da solo ma era comunque sorprendente come, durante la lettura, ogni evento si concatenasse ad un altro, portando alla luce una fantasiosa rete di argomenti che non avresti mai immaginato essere connessi tra loro.
Più o meno è quello che tento di fare adesso, mescolando le carte in tavola per poter ricevere un compenso adeguato per tutto il faticoso lavoro di cui mi sto occupando da anni. La famiglia Lee non può permettersi alcuno sbaglio, perché gli errori si pagano con una moneta più cara rispetto a tante altre, quindi è il caso di dover vedere bene all'interno di quali occhi si celi la giusta disperazione.
Sfioro, con la punta delle dita, il vetro dell'orologio d'oro che ho al polso credendo persino di percepire il lento ticchettio delle lancette. Sì, il tempo corre ed io sono il secondo che scandisce il minuto, facendosi largo tra le ore.
Di fronte a nuovi acquisti però è sempre il caso di farsi trovare i calmi.
Sorrido continuando a osservare l'uomo che ha attirato la mia attenzione, destreggiandosi tra alcolici e donne in una discontinua perdizione decifrabile in risate di divertimento.
Allora paghiamoglielo, questo conto...
Sollevo la mia mano destra, quella riportante il mio d'oro orologio, solo per attirare l'attenzione del cameriere. Come una gazza ladra, egli si avvicina alla vera ricchezza, riconoscendo il figlio della proprietaria di questo posto.
«Metti il conto di quell'uomo a mio nome e assicurati che possa avere le donne migliori» gli comando, ricevendo l'inchino del suo capo e l'infida dedizione a mio carico.
«Certo, signore.»
Con un cenno del capo lo esorto a fare quanto promesso e lo vedo dileguarsi, in un attimo, per poter sussurrare all'orecchio del bodyguard del SaPlaya al fine di chiamare a raccolta le donne migliori. Dopo di che lascia lo scontrino sul tavolo dell'uomo da me analizzato, che si trova a storce la bocca alla vista di tale pagamento, accartocciando le rosee e grandi labbra in segno di disgusto da sotto la sua curata barba. L'espressione però muta in una specie di assenza quando viene informato della mia generosità.
Il cameriere si distanzia dal nostro campo visivo giusto il tempo di permettere all'uomo di colore di alzare il calice nella mia direzione, brindando alla mia salute mentre una delle prostitute si siede al suo fianco.
Mi sollevo in piedi, comandando con la mano alla mia guardia del corpo di rimanere ferma sulla sua poltrona a godersi lo spettacolo della spogliarellista, e così mi avvicino da solo al mio più gradito invitato.
Tento di sorridere con tutta la compiacenza che possa mai essere in grado di dimostrare, non assentandomi però dall'incentivare con lo sguardo anche la nuova arrivata ad andarsene. L'uomo non si lamenta dell'addio e mi osserva curioso, dalla sua postazione, in un mesto sorriso di risposta.
«Molto gentile da parte del proprietario di questo locale offrirmi da bere» commenta la sua voce bassa con quel velo di ferocia rabbia che è miele per le mie orecchie.
«Si figuri, non l'ho mai vista da queste parti.»
«Non vengo da molto lontano, sono del South Side, ma questo posto è famoso quindi, mi sono detto, perché non scoprirlo?»
Continuo a sorridere con astuzia, fissando il contorno del suo viso e comparandolo alla fototessera presente su uno dei fascicoli presentati dai miei uomini. Il foto ritratto era particolarmente datato ma noto all'istante che quell'aria da ragazzino smarrito è stata completamente diradata dal suo sguardo, facendo riemergere la scintilla che ho avuto modo di notare fin da subito, portandomi a sceglierlo.
«Possiamo parlarci con estrema sincerità?» Domando retoricamente, rendendomi partecipe del silenzio sorpreso proveniente dalla seduta a me dinanzi. «La conosco molto bene, in verità. Per questo motivo le ho offerto quei drink.»
«Vuole assumermi per un lavoro?»
Sospiro con naturalezza, liberandomi dell'unico bottone presente sulla mia giacca che tanto mi impedisce di accomodarmi lungo lo schienale di questa poltrona rossa con più tranquillità.
«Sfortunatamente nell'ultimo periodo ho avuto molti imprevisti e, devo ammettere, alcuni di loro si sono rivelati piuttosto spiacevoli.»
«Che cosa vuole che faccia?»
Sollevo entrambe le sopracciglia, divertito dalla sua richiesta immediata. «Ritengo che la sua sicurezza sia data da una conoscenza anche da parte sua.»
«In molti conoscono il suo nome, William Lee, per questo sono particolarmente felice di entrare a far parte della sua cerchia.»
Mh, sì, questo ragazzo mi piace. Si presenta devoto al punto giusto e anche particolarmente astuto. Una specie di volpe che non dovrei affatto farmi sfuggire dalle mani.
«Questo mi fa molto piacere, allora parliamoci chiaro Hasim...» mormoro a voce più bassa, dimenticando ogni tipo di formalità per poter andare dritto fino al punto della questione. «... La tua famiglia verte in uno stato di povertà, non è vero? Tua sorella doveva essere data in sposa a un'importante commerciante di petrolio ma è fuggita di casa, nessuno sa dove sia.»
Hasim ricambia il mio sorriso compiaciuto, tenendo il suo drink tra le mani e ruotando lento il contenuto dentro il vetro cristallizzato. «A quanto pare è al corrente persino delle ultime novità.»
«Ti aiuterò a ritrovarla, se è in mio potere, e ti ricoprirò di soldi se permetterai che quelle stesse banconote entrino anche nelle mie tasche.»
Tace, rimanendo in ascolto, ed io sono pronto a chiarire qualsiasi dubbio possa esserci ancora da chiarire.
«La polizia ha sequestrato un importante carico di droga ma non ti occuperai di quella. Rivestirai un ruolo che ho dovuto rendere vacante per poter favorire un ricambio del mio personale. Tramite esso, permetterai una grossa entrata alla mia famiglia per la quale ti ricompenseremo.»
«Quando devo iniziare?»
«Subito, appena uscito da questo locale.»
«Di cosa si tratta?»
Ed eccoci arrivati al punto più divertente della questione, lo stesso che mi ha spinto fino a lui.
Mi chino in avanti con le mani intrecciate, soffermandomi solo per un attimo sul tavolino in vetro che ci divide prima di tornare con lo sguardo su di lui, sulla sua pelle nera di pantera, sul suo sguardo affilato e sulla mia stessa voglia di fare a pezzi questo mondo, un passo alla volta.
«Dimmi, Hasim... quanta paura hai del fuoco?»
P.O.V.
Amy
Da parte della mia formazione scolastica ho ricevuto un'importante messaggio che mi sono ripetuta nella testa per molti anni, in un mantra perseguito in ogni spiacevole situazione che era stata possibile prevedere: studiare il passato è un modo per anticipare, e comprendere, con interezza il futuro.
Questa è una delle leggi sulle quali si basa ogni studioso di storia e ogni tipo di veggente, impegnato come membro attivo di una società legata al capitale.
Comprendere ciò che è stato vuole dire giocare in anticipo una partita a scacchi della quale puoi conoscere solo le regole ma non l'imprevedibilità.
Ed io posseggo un debito, nei confronti del passato. Avverto come se qualcosa stesse sfuggendo della mie mani, come se esistesse qualcosa che io, da sola, non sono in grado di comprendere ma che può aiutarmi a concepire, con più chiarezza, ciò che si sta svolgendo nel presente.
La cosa più difficile risulta essere quella di andare a cercare indizi su dove possa essersi nascosta. Quali scacchi poter muovere, poi, per giocare una partita contro il divino caos è alquanto impossibile ma ho voglia di tentare.
Salutando Cedric con una scusa e con un bacio mi sono allontanata dalla sua nuova casa, a caccia di verità.
Ho sorriso tutto il tempo che sono rimasta con lui, fingendo che stesse andando tutto bene e che non ci fosse nulla per cui preoccuparmi. In fondo, se lui non parlava, quale motivo avrei avuto per interpellarlo? Con che scusa poi? Che domanda?
"Vuoi dirmi quante cose conosci di me?"
Sarebbe patetico.
"Da quanto tempo è che ti interesso davvero?" Sarebbe ancora più strano ed, in fondo, non desidero conoscere solo questo.
Quello che desidero davvero fare è fidarmi, sperando che possa essere possibile.
Discendo lungo il pendio di questa scivolosa terra bagnata dalla pioggia, augurandomi di non cadere, in modo da raggiungere la mia destinazione dignitosamente.
La notte sta per calare, sono passate le nove, ma so per certo che la persona che cerco sia ancora a lavoro tra i campi.
Procedo a caccia di Ercole, aggirandomi tra le spighe dopo aver messo metri di distanza tra me e i miei dubbi, ma in cambio ricevo solo delle nude spighe che dondolano e si alternano nel cromatismo della terra in un tormento continuo.
Le osservo agitarsi, mentre procedo all'indietro per poter non perdere la vista del terreno di raccolta finché un suono sordo non desta la mia attenzione, facendomi ruotare di scatto.
Lèa è ancora affianco al suo furgone, impegnata a impilare una cassa sempre più alta di prodotti. Si volge verso di me in un attimo, con sguardo sorpreso.
«Ciao! Cerchi qualcuno?» Mi domanda cordiale, continuando a sollevare quelle merci pesanti.
Io la osservo in risposta, non potendo non pensare che anche quello fosse, un tempo, uno degli incarichi di mia madre.
«Sì, Ercole.»
«Ah! Sei la sua amica, giusto? Amy» commenta in un sorriso, facendo ondeggiare i minuscoli puntini che ha sul suo abito leggero bianco e nero, al di sotto del quale indossa stivali texani. «Sei anche amica di Cedric, se non mi sbaglio. Molto amica di recente, giusto?»
Il tono ironico con cui lo domanda ha la stessa confidenza che possono detenere due amiche di vecchia data, seppure non le abbia mai rivolto parola. Conosco molti aspetti del suo carattere, sì, avendoli vissuti attraverso Ercole e Francis ma non abbiamo mai parlato direttamente se non l'una dinanzi all'altra, sulla porta di casa sua, il giorno in cui avevo chiesto di Francis affinché potesse recarsi alla tomba di Gyasi.
«Te lo ha detto lui?»
«Sì, anche noi siamo amici. Alle volte ci confidiamo delle cose.»
Rimango sorpresa del fastidio che mi provoca una simile frase, seppure innocente. «Sai dove posso trovare Ercole?»
«Non sta ancora lavorando?»
«No, non è rimasto nessuno.»
«Ultimamente è molto strano. Non so bene cosa gli prenda, è scostante.»
Al contrario di Cedric, a quanto pare.
Il pensiero deve essere stato espresso a tutto volume, perché Lèa torna a sorridermi, esprimendo il suo giudizio espansivo.
«Sai, sono contenta di quello che sta succedendo tra te e Cedric. Ercole non ha mai creduto che un giorno poteste fare sul serio ma io, ti assicuro, che sono da sempre stata dalla vostra parte! Nonna Zelda se la meritava una fine così!»
«Che cosa c'entra... sua nonna?»
La mia domanda la obbliga a chinare solo un attimo la testa, presa dalla sprovvista e dall'imbarazzo. «Scusami... so che non sono fatti miei ma le persone parlano. Casualmente ho ascoltato.»
«Ti riferisci a quello che è successo a mia madre?»
«Ho saputo che era stata sorpresa a rubare.»
Nonostante l'innocenza che so essere covata dietro questa sua affermazione, forse per la disinvoltura con cui ha parlato di Cedric o per la naturalezza tramite la quale porta avanti dei discorsi a me tanto scomodi, arrivo a stringere la mano in un pugno, con insolita forza. Si tratta solo di un modo per controllarmi, non mi muovo di un passo, sforzandomi con tutta me stessa al fine di fare uscire un tono di voce calmo.
«Non ha rubato niente ma è l'accusa più facile da smuovere, specie se indirizzata a una persona povera che ha ascoltato più di quanto avesse dovuto.»
«Intendi dire che l'hanno incastrata? I Garcia?» Domanda con attenta curiosità, ponendosi una mano sul fianco mentre l'altra rimane stretta alla portiera del pickup.
Raddrizzo la schiena, tentando di dimostrarmi più sicura nei confronti di questa ragazza alquanto donna, sperando di non mostrarmi patetica.
«Quello che voglio dire è che è difficile proteggersi se si viene accusati di un crimine non commesso, soprattutto se si è da soli. Non abbiamo tutti la fortuna di avere persone al nostro fianco, pronte a difenderci.»
Giurerei ad ogni vivente di questo mondo di non essere una ragazza particolarmente acida, non essendo neanche mai stata in grado di ammettere quanto io possa diventare odiosa, se stuzzicata su argomenti che mi colpiscono nel profondo.
Lèa non è una sciocca ed è per questo motivo che capisce bene di doversi porre anche l'altra mano sul fianco, dimenticandosi così completamente del suo lavoro, in modo da prestarmi la giusta attenzione. Al contrario mio, però, non è affatto infastidita o altro. Sembra solo non comprendere a pieno tutte le fortune che la circondano.
«Che cosa vuoi dire? Ti riferisci a me?»
«Ercole ha notato che dal carico di fertilizzanti di cui ti occupi mancavano dei prodotti. Per dimostrare che non sei stata tu ad appiccare gli incendi mi ha esortata a venire al magazzino fuori orario, alla ricerca del colpevole. Non ritengo l'abbia ancora trovato ma crede molto in te e sei fortunata, non verresti mai accusata di nulla.»
«Ercole sta indagando sugli incendi?»
«Ne sai qualcosa?»
«No...» mormora, perdendo ogni forza nelle braccia che tornano esanime lungo i fianchi. «No, non so niente.»
Quando riprende a lavorare lo fa dandomi le spalle, mettendo così tra di noi un'invisibile distanza.
«Credo che tu stia mentendo» affermo, osservando la sua schiena e l'abitudine che ha nel svolgere la propria mansione.
«Però, supponi un sacco di cose.»
«Se sai qualcosa dimmelo. Cedric è in pericolo?»
«Siamo tutti in pericolo, se non fermiamo quei piromani.»
«Credi che sia più di uno?»
Sospira e si rialza, passandosi il dorso della mano sulla fronte per potersi asciugare dalle gocce di sudore.
«Ritengo solo che questa proprietà è troppo grande, e che si tratti di qualcosa di organizzato. Ercole non parla molto ma sono certa che la pensi allo stesso modo, altrimenti non sarebbe tanto guardingo.»
«Chi potrebbe odiare i Garcia?» Domando e alla mia richiesta la testa della castana ragazza si volta, appuntita della stessa spada con la quale l'ho punzecchiata fino ad ora.
«Dimmelo tu. La tua famiglia non è il primo nome in cima alla lista?»
Per anni ho ammirato la forza con la quale si era fatta strada in questo maschilista mondo del lavoro, nel quale occupa una posizione particolarmente elevata, ma ora scopro parlandole che la sua carta più potente è quella di provocare fastidio. Sa bene dove ferire e in che modo farmi scattare, tanto da portarmi di un passo avanti nella sua direzione prima che una voce, richiamandomi, arresti la mia avanzata.
«Amy! Che cosa ci fai qui?»
Ercole si sta facendo spazio tra le spighe, avanzando fino a noi e scorrendo gli occhi dall'una all'altra. Non so davvero come un ragazzo del genere possa essersi infatuato di una simile donna ma forse è vero che le stronze attirano i bravi ragazzi.
«Ero venuta a cercarti. Volevo parlarti di Cedric.»
«Perché, è successo qualcosa? Dove si trova?»
«Credo che sia tornato dalla casa di suo nonno. Ci siamo separati questo pomeriggio, credo che stia aspettando che torni.»
«E cosa aspetti ad andare?»
«Prima vorrei parlare con te...» torno a chiarire, sperando che possa avere del tempo da dedicarmi. Ercole distanzia da me lo sguardo fino ad arrivare a Lèa, non ancora tornata al proprio lavoro.
«Ci vediamo domani, d'accordo? Non fare tardi e torna presto a casa» si assicura di dirle, esercitando un tono autoritario particolarmente estraneo alle sue labbra.
«Non preoccuparti, vai con la tua amica simpatica. Io finisco di caricare le ultime casse presenti nel fienile, poi me ne vado.»
«Quante ne sono rimaste?»
«Solo dieci. Puoi andare, Ercole, davvero.»
Esortato dall'incentivo di lei, parte a camminare di nuovo nella direzione dei campi aspettando che lo segua passo dopo passo, cosa che per altro faccio. Lancio un'ultima occhiata a Lèa, tornata alle proprie mansioni, senza aspettarmi la cordialità con la quale mi aveva accolta.
Davvero, non l'avrei ritenuta tanto antipatica ma forse, tra le due, sono stata io a mostrarmi più scortese.
«Che cosa le hai detto per farla reagire così?» Mi domanda pochi minuti dopo Ercole, continuando nella sua marcia. Perfetto, anche lui è arrabbiato. Non avrei dovuto far agitare tanto la donna per la quale prova qualcosa ma non sono davvero riuscita a trattenermi. Per questo motivo ho poche amicizie femminili; non ragiono con la stessa gentilezza della loro mente, andando dritta al punto quasi in una maniera spietata.
«Non le ho detto niente di che, solo che è fortunata ad averti.»
«Le hai parlato di me?!» Sobbalza nel chiedere, finendo persino per voltarsi in modo da vedermi negli occhi. Prima d'ora non gli ho mai visto un simile sguardo e mi sorprendo di scorgerne l'agitazione.
«Calmati, Ercole! Le ho solo detto che sei dalla sua parte ma che non la incolpi di niente, specie non degli incendi.»
«Le hai parlato degli incendi?» Continua a chiedere storcendo la bocca, in una lamentela che mi porta a sbuffare con impazienza non appena riprende poco dopo a marciare.
«Ti prego, basta, non voglio parlare di lei. Sono qui per discutere con te di Cedric.»
«E che cosa c'è tanto da discutere?»
«Si sta comportando in un modo strano» confesso, continuando a procedere alle sue spalle e scansando un grosso ramo, prima che con le sue foglie potesse colpire la mia faccia. «L'altro giorno, lui e Francis hanno discusso a causa mia. Desideravo informare Francis che abbiamo iniziato ad uscire insieme ed ora lo sa, ma non è questo ad essere strano. Il fatto è che ci siamo incontrati al lago e Cedric già conosceva la strada.»
«Ci è stato altre volte» mi confessa, procedendo ancora con più velocità tanto da far ondeggiare le braccia, abbandonate lungo il corpo. Dove diavolo stiamo andando? O forse questa camminata è solo il suo modo di sbollire la rabbia nei mie confronti, per aver parlato male alla sua bella?
«Che cosa? Perché?»
«Per vedere te.»
Ad una simile risposta mi immobilizzo e la cosa non lo esorta minimente a fermarsi. Non che me ne importi. Sono troppo sorpresa solo di sentire una affermazione simile.
«Perché...» sussurro, non immaginando affatto che potesse sentirmi.
«Perché gli piaci. E anche parecchio» continua a riferirmi, facendo ondeggiare nell'aria gli scacchi della sua camicia.
Reagisco di scatto in un attimo, correndo per recuperare i passi che ho perduto e ritornare al suo fianco.
«Da quanto lo sai? E dove diavolo stiamo andando?!»
«Ti sto riportando da lui.»
Sgrano gli occhi senza capire. «Come? Perché?!»
«Queste domande devi rivolgerle solo a lui. Avanti, andiamo.»
Per costringermi a percorrere gli ultimi tratti di questo percorso che solo ora riconosco arriva persino a stringermi il polso in una mano, velocizzando così anche la mia andatura.
Arriviamo in un attimo alla porta della casa di suo nonno e al di sotto della tettoia in legno, centrali all'ultimo spazio tra le colonne, Ercole batte forte il suo pugno contro il legno, richiamando l'attenzione del suo amico.
I passi oltre il divisorio ci raggiungono poco dopo, lasciando aprire la porta a un Cedric alquanto sospeso della situazione.
«Che cosa succede?»
«Amy è venuta fino a me per parlarmi. Voleva chiedermi cose riguardo a te ma direi che è meglio se sei tu a risponderle.»
«Di cosa si tratta?» Sussurra con dolcezza guardandomi negli occhi, ed io ormai libera dalla stretta di Ercole intreccio le mani presa dal disagio, di fronte a parole che non sono in grado di dire. Poco fa le affermazioni del mio amico mi avevano spaventata ma ora, rimanendo al cospetto di questo dolce sguardo, mi domando con quale diritto potrei mai provare emozioni simili e, se sono tanto pure, perché non si sforza di parlarmene.
Forse perché è difficile per lui proprio come lo è per me, che ancora non sono in grado di formulare una frase.
«È il caso che vi lasci. Si avvicina la notte e Lèa è da sola al fienile. La cosa non mi piace, devo andare da lei.»
«Grazie per aver riportato Amy da me.»
«Sempre al tuo servizio» lo prende in giro l'altro già pronto per andarsene prima che la mia voce lo arresti.
«Ercole, aspetta!»
«Che cosa c'è, Amy?» Chiede con voce stanca, voltandosi nella mia direzione poco dopo aver superato la tettoia. Recupero tutto il coraggio che ho nel corpo per poter parlare chiaramente, lontana da qualsiasi sorta di fraintendimento.
«Stai ancora indagando in merito agli incendi contro i Garcia?»
Il silenzio che ne consegue è eloquente ma non ha paragoni rispetto allo sguardo che Ercole scambia con l'uomo presente alle mie spalle. Mi volto verso Cedric che, addosso, veste un'aria colpevole e non posso fare a meno di essere sorpresa di una simile fatto. «Lo state facendo entrambi?» Mormoro, rendendomi solo al momento conto di essere stata completamente esclusa dai giochi.
Passano dei secondi all'interno dei quali è mio il compito di passare lo sguardo stavolta dall'uno all'altro, mostrandomi ferita dai loro segreti. Ho litigato con Cedric per questo, perché credevo che non gli interessasse abbastanza della sua proprietà per poi scoprire che l'unica cosa a non andare probabilmente era la mia presenza, all'interno di quel macabro gioco.
«Ercole, vai. Ti scrivo più tardi» dice Cedric in direzione dell'amico, per poi posarmi una mano sulla spalla e incentivarmi ad entrare nella casa.
Nemmeno riesco ad imporre una sufficiente resistenza, confusa come ormai sono della svolta di questi strani fatti. Ercole dal canto suo non esita ad andarsene, a passo decisamente più lento rispetto a quello con il quale mi ha condotta fino a qui ma comunque sufficiente per farci dichiarare già soli, pochi minuti dopo.
La porta della casa si chiude alle mie spalle mentre Cedric mi comanda come un abile burattinaio, esortandomi a ruotare il corpo per poter finire dinanzi al suo con interezza, senza alcuna sorta di autodifesa a disposizione.
Con entrambe le mani, esercita una piccola pressione sulla sfera delle mie spalle, nell'articolazione più alta del mio braccio, dopodiché si piega leggermente in avanti per fare in modo di fissarmi, direttamente negli occhi.
«Che succede, Amy? Quali sono queste domande?»
Il tono gentile all'interno della sua voce è rimasto, così come è gentile anche il tocco delle sue mani. Si tratta di Cedric, in fondo, ed io sono ancora più confusa tra i miei sentimenti. Tra la sensazione che possiedo di familiarità, a suo cospetto, quasi avessimo passato gli ultimi anni fianco contro fianco, a condividere ogni evento della nostra vita, ma al contempo il corpo si divide secondo tutt'altra sensazione; quella di non conoscerlo affatto, non abbastanza, non a sufficienza.
«Cosa provi davvero per me?» Sussurro a voce bassa, perché non ho affatto la forza di dimostrarmi più decisa. L'intonazione però non si dimostra importante perché comunque in grado di generare la sua sorpresa; le sue labbra, dolcemente, si separano e le pupille dei suoi occhi corrono lungo il mio volto, quasi a rilasciare delle dolci carezze.
«Perché io non lo so» proseguo nel dire «parlo sul serio. Non so cosa sento. È come se fossi divisa.»
«Ercole ti ha parlato?» Mi domanda, sicuro ma gentile, focalizzandosi sul mio sguardo spiazzato.
«Che cosa mi avrebbe dovuto dire? Parlami, Cedric, ti prego...» lo supplico senza fiato, guidando la sua voce affinché possa comandare il battito tramortito del mio cuore. In risposta, Cedric si sofferma con l'attenzione sulla mia bocca, sulle labbra che hanno emesso quella preghiera, mostrandosi indeciso sulla possibilità di donarmi veramente questa pace che richiedo con tutte le forze.
«Va bene, Amy, ti dirò la verità. Eccola qui. Tutto è partito molto prima del nostro accordo, un pomeriggio di un'estate fa. Sapevo chi eri, eravamo nella stessa classe già da tempo ma quel giorno, al lago, ti vidi con occhi diversi. Avevi appena iniziato la tua storia con il professore mentre noi non avevamo mai parlato. Ero geloso fin d'allora ma posso spiegarti il perché, Amy, posso spiegarti tutto.»
L'ultima frase viene sussurrata dalla sua voce ancora più vicina al mio viso mentre il cuore vola in tachicardia per parole che non si sarebbe mai aspettato di sentirsi dire, tanto potenti da tramortirlo.
La dolcezza è rimasta all'interno di ogni parola e gesto di Cedric, così forte da trasmettermi un calore immane, ed è la sua presenza a confondermi e a cullarmi.
Non ho il tempo però di vivere ogni sensazione perché un odore acre filtra tra le pareti raggiungendo le nostre radici, portandoci ad allontanarci per respirare e per fissare oltre la cornice della finestra.
Entrambi iniziamo a tossire e gli occhi si rendono sempre più sfocati da lacrime causate come da un silenzioso gas ma niente ci impedisce di vedere lo scenario che si presenta oltre il vetro: Ercole sta correndo verso il fienile in fiamme e, al suo fianco, le spighe di grano bruciano reincarnandosi in lingue di fuoco in grado di rendere arida la terra e di aggrapparsi, sempre con maggiore pericolosità, ai suoi vestiti mentre continua a correre nella speranza di poter raggiungere il casolare di legno in tempo. Quanto basta per metterla in salvo.
P.O.V.
Halima
Confesso di non essere mai stata capace di entrare in piena comunione con un luogo estraneo, eppure devo ammettere quanto risulti difficile fare altrimenti all'interno della casa di Issa.
Ogni aspetto di questo posto, ogni scorcio ed angolo di particolare antichità e eleganza, a causa della presenza della carta da parati e degli antichi mobili, rievoca come il ricordo di regge imperiali, in grado di ospitare importanti ospiti. Il che è particolarmente ironico vista la povertà nella quale versa il proprietario dell'immobile e di tutte le disgrazie di questo mondo, alla pari con ogni componente della nostra stramba città.
Chi lo avrebbe mai detto che dietro quei muri sfiniti dal tempo e schiariti dal sole ci fosse un simile tesoro. Già... non mi aspettavo affatto una simile sorpresa, ed il pensiero non è rivolto unicamente alla casa.
Lancio uno sguardo ad Issa, intento a distendere la tovaglia per la nostra cena sull'unico appoggio della sala dandomi le spalle, non potendo fare a meno di chiedermi per quale strana ragione il suo sguardo trasudi sempre allegria.
Più volte abbiamo incrociato i nostri sguardi e ho cercato di trattenermi dal sorridere, per quanto non possa dirsi lo stesso di lui. Probabilmente è il trovarmi, costantemente, a farmi curiosa esploratrice di ogni particolare frammento della sua vita a renderlo tanto allegro. Mi è impossibile trattenermi; questa casa trasuda storie e tra i molti racconti di questi oggetti, privati del tempo, sono certa esserci anche la sua. Occorre guardare solo con più attenzione perché Issa tende ad essere particolarmente riservato... dunque qualsiasi oggetto di sua proprietà deve essere particolarmente piccolo, e difficile da catturare a primo impatto.
«Finito di curiosare in giro?» Mi domanda senza nemmeno vedermi mentre io continuo a procedere lungo il pavimento in parquet della sala limitrofa.
«Non ancora» sussurro, intenta nel carpire l'anima di un nuovo soprammobile: un musicista intento a suonare una chitarra. Nonostante lo strumento sia scorretto, sono certa che, tra i molti oggetti ereditati da questa proprietà, questo possa essere solo suo. Deve avere un significato ma ancora mi è impossibile da conoscere.
«Quando tornerà tua sorella?» Chiedo, in risposta al suo interrogatorio. Sobbalzo leggermente, poi, nel tendere il braccio al fine di afferrare la piccola statuina per ricevere, come conseguenza, una fitta atroce all'altezza della ferita. Premo con il palmo dell'altra mano lungo il bruciore, sperando che tanto basti.
«Tra pochi minuti, vedrai, sarà felice di saperti qui e accetterà senz'altro! Ma fai come ci siamo detti, non farti vedere subito. Lascia che prima le parli» mi ricorda con una voce calante, rubata come è stata dal pensiero di dispiegare alla perfezione la tovaglia. Issa è anche un tipo particolarmente preciso, l'ho notato in più di un'azione, ed il che mi fa ridere: se non sorvegliata da alcun vigilante, sono in grado di generale una grande confusione in poco meno di un attimo.
«Ho capito, non preoccuparti» commento, sforzandomi di non far trasparire il dolore dal mio tono.
Dei colpi veloci contro il portone di casa, poi, fanno passare completamente la mia voce in secondo piano riuscendo a catturare la sua attenzione e permettendomi di risparmiarmi così un ulteriore controllo del bendaggio.
«Deve essere lei. Rimani dove sei, mi occupo io di tutto» dice, accorrendo verso l'ingresso e generando il mio sospiro.
Gliel'ho promesso poco fa ma a quanto pare a niente è servito...
Attendo paziente come promesso, avvertendo il suono della porta aprirsi e, sorprendentemente, un insieme continuo di passi procedere insieme a un coro di voci.
«Aiutami a stenderla su qualche letto!»
«Che cosa è successo, si può sapere?» Domanda la voce terrorizzata di Issa, all'apparenza più lontano degli altri passi. Non riesco a vedere niente dalla mia postazione e una strana paura mi immobilizza. Inoltre, gli ho promesso di non muovermi ed è quasi impossibile che io trasgredisca a un comando.
«C'è stato un incendio. L'ho tirata fuori prima che il tetto crollasse» afferma una voce bassa e sconosciuta, con un velo di tristezza difficile da esprimere.
Proviene da un ragazzo con i dread che poco dopo compare di fronte a me, dandomi la schiena. È coperto di nera cenere e riesco a vedere, nonostante la distanza, le sue mani tremare.
Un altro uomo sopraggiunge ed è seguito da una ragazza; tra le braccia stringe un altro corpo femminile del quale riesco a vedere solo il chiaro colore della cute ed il braccio che pende oltre la stretta del ragazzo, lasciando ondeggiare nel vuoto una mano ricca di bracciali.
«Issa, va tutto bene. Adesso chiameremo qualcuno. Andremo in ospedale» lo rassicura la ragazza cosciente, poco più bassa di me, che si interpone tra Issa ed il ragazzo che sta posando la donna ferita sul tavolo rivestito della tovaglia.
Capisco in meno di un attimo, dalla reazione di Issa, che quella donna distesa è proprio sua sorella. Lèa.
«Ho già chiamato un'ambulanza, ma sono troppo lontani, ci occorre qualcuno di più veloce» afferma il ragazzo che ha trasportato Lèa fino alla tavola e che adesso è finalmente libero di tornare eretto, valutando la situazione con una lucidità che solo l'altra ragazza sembra possedere.
La figura con i dread, invece, pare devastata.
«Nerissa... possiamo chiamare Nerissa» sussurra Issa guardando sua sorella, perso nella valutazione di tutte le abrasioni del suo corpo.
«Chi è?»
«La sorella di Marcus. Conosce Francis, le occorre poco per venire fin qui.»
Marcus...? Francis?
Udire quei nomi mi gela del tutto e la mente, ora, non si sofferma altro che sulla semplicità con la quale Issa ha esposto una simile idea.
Lui e Francis sono amici.
Concepirlo mi spedisce vicino al baratro e rompe ogni promessa che gli avevo destinato.
In un attimo mi desto dal torpore e fuoriesco dalla mia tana, passando lontana dallo sguardo dei preoccupati presenti fino ad uscire del tutto dalla casa che mi ha ospitato per queste poche ore, certa che al mondo non esista alcun luogo per me che possa essere simbolo di libertà.
P.O.V.
Rais
Ormai mancano solo pochi metri, nient'altro, ripeto al mio corpo stanco e alla mente che sta iniziando ad arrendersi. Il mio rifugio, però, ormai è proprio qui dinanzi a me, nella notte più nera: si mostra nella sua striscia continua di strette finestre e nel portone, quasi del tutto rotto, del piano terra ad assicurarmi il felice ingresso che sto per compiere, nella mia caccia alla felicità.
Devo recuperare le banconote sotto il pavimento, le mie scorte di droga, uno zaino e poi addio South Side per sempre! Nessuno potrà più trovarmi, se non Oliver non appena gli avrò confidato con certezza la mia posizione.
Andare da lui è troppo pericoloso, Attila può essere già lì ad aspettarmi... ed io non voglio mettere in pericolo il mio amico più caro. Non voglio farlo, ripeto alla mia mente confusa, mentre arranco alla ricerca della maniglia del portone di ingresso ed entro, spingendo la porta con la spalla.
Percorro i gradini in uno slalom riportante l'esempio della mia condizione mentale e raggiungo così il piano superiore. L'enorme sala con i quattro pilastri, il pavimento scricchiolante in parquet e l'opposta fila di finestre quale torre di vedetta di ogni mio controllo.
Sorrido mestamente ai raggi di luna che filtrano tra i vetri, immaginandomi in un posto esotico ad osservare quel riflesso lunare, finalmente in salvo.
Dentro l'orfanotrofio, durante le notti insonni, ho sviluppato la capacità di viaggiare con la mente immaginandomi già in posti lontani. Ciò mi ha permesso di non pensare a quanto fosse raccapricciante vomitare e continuare a inghiottire demoni che, da solo, mi ero iniettato in vena, al fine di schierarli come eserciti contro altri.
Sì, è sempre stato bello sognare anche se stavolta l'immaginazione sta per divenire realtà capace di condurmi lontano da tutti i problemi. Addio William, addio Attila. Solo io, una spiaggia di Portorico e l'eroina in vena, come ultimo vizio della mia vita scadente, nient'altro.
Avanzo verso il fondo della stanza, passando all'interno del quadrato formato dai quattro pilastri, pronto a sollevare la lastra di legno che fa da tappo al nascondiglio dei miei tesori. Sto per raggiungerla quando qualcosa, proveniente da dietro uno dei pilastri più lontani, si interpone tra me e la mia meta, arrestando la mia avanzata.
Gli occhi vedono solo il nero di un pesante cappotto.
No... non lui, ti prego...
Sollevo la testa quanto basta per cadere nei suoi verdi occhi e trovare Francis immobile a fissarmi.
Il terrore mi conquista e mi porta a retrocedere una conseguente melodia di lenti passi, al fine di distanziarmi dal suo petto.
Sento il cuore battere in una tachicardia che è solo paura quando Francis solleva lento la mano e recupera qualcosa dalla tasca interna del cappotto. Non mi sfugge che sia quella destra in alto, ma deve essere solo una spiacevole coincidenza con le mie abitudini dal momento che gli vedo estrarre una bustina trasparente, con all'interno una granulosa sostanza bianca.
Mi fissa negli occhi, senza dire una parola, prima di strappare la confezione con la forza degli indici e dei pollici facendo cadere il contenuto, in una cascata di polvere, a terra prima di allontanarlo con un calcio.
Scatto in avanti impedendogli il gesto ma sono troppo lento e gli precipito addosso: mi tiene strette le braccia tra le sue mani, con una furia che a malapena visibile nell'assenteismo del suo sguardo, e non posso credere a quello che ha appena fatto.
La polvere è quasi del tutto invisibile tra le assi di legno ma se mi chino a raccoglierla, forse, riesco ancora ad avere indietro qualcosa.
Lecco la punta dell'indice, lottando contro la sua forza per chinarmi fino a terra, pronto come sono ad attirare sul mio polpastrello quanta più droga possibile in modo da spalmarmela, come un dentifricio, sulle gengive dei denti nel modo più lento, ma comunque ottimale, di percepirne gli effetti.
Non me lo permette e proprio quando sto per raggiungere terra mi spinge, con forza, all'indietro, facendomi cadere di schiena. Dopodiché mi sale addosso, trattenendomi i polsi con le mani.
«Levati di dosso, ne ho bisogno!» Urlo, lottando contro di lui faccia a faccia con la sua impassibilità, tanto da arrivare alle lacrime per quelle unghie che stanno scavando così nella mia pelle.
Non voglio tutto questo, se solo mi permettesse di raggiungere l'eroina allora...
«Francis, togliti!»
Gridare il suo nome fa ancora più male perché desta il mostro di rancore che vive in un continuo dormiveglia dentro di lui, portandolo più vicino al mio viso per parlarmi con serietà.
«Non farai niente finché sarò qui: non te ne andrai, né toccherai quella roba.»
Tento di fare forza sui talloni, sollevando tremanti le ginocchia per poter permettere alle gambe di fare leva su di lui ma non posso fare niente. Ha le ginocchia a terra, nello spazio concesso all'apertura delle mie gambe ed è chino in avanti verso il mio viso al solo scopo di tenermi fermi i polsi, al di sopra della mia testa.
Non posso fare niente, dall'alto mi controlla e rende nullo ogni mio tentativo di attacco.
Inclino la testa di lato senza avere la forza di fissare dentro i suoi occhi, con le lacrime che si fanno specchio della mia disperata anima.
«Lasciami andare, farò quello che vuoi.»
Lo prometto credendoci davvero. Sono disposto a vendere William e tutte le persone a capo della banda solo per i grammi di droga sparsi sul pavimento di questo posto. Sono arrivato a tanto ma non me ne importa niente; non provo vergogna perché quelli come me non possono vantarsi di possederla.
Quello che non mi aspetto è il fatto che, poco dopo, le sue unghie cessino di farmi del male, allentando la presa delle sue mani che comunque si mostrano decise, in grado di trattenermi, ma non crudeli tanto da esortarmi a tornare a fissarlo negli occhi, mantenendo la testa di lato.
Di sottecchi, mi sento al riparo di fronte al modo con cui sta ricambiando il mio sguardo offuscato, con quell'espressione lucida che sembra leggermi qualsiasi emozione dentro, tanto da impaurirmi.
«Non così» sussurra, continuando a fissarmi e provocandomi un disprezzo, verso me stesso, che mi spinge a stringere occhi e denti al fine di non gridare.
Ma non emetto una sola parola e lui fa lo stesso, continuando a stringermi perché certo che non mi sia ancora calmato e così restiamo in eterno. Stretti e stesi su un pavimento mentre la notte ci illumina, tra lacrime di una disintossicazione cruenta ed immensi silenzi di una pietà ancora più letale.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro