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2- Meritare di meglio

P.O.V.
Amy

Da lunghi minuti sto osservando il banco vuoto al mio fianco, sempre più convinta che Francis non manterrà la promessa fatta. Avrei dovuto rimanere con lui, stare al suo fianco nella battaglia che, so per certo, sta continuando a condurre ma una parte di me è persino troppo consapevole del suo bisogno di restare da solo.
Il mio migliore amico ama l'indipendenza eppure, molte volte, un confronto gli permetterebbe di cambiare idea. La scuola è importante almeno quanto ciò che è andato a svolgere, specie per persone come noi già destinate a non avere futuro.

Non potevo mancare a questo test scritto e, inoltre, non avrei voluto farlo.
Sollevo lo sguardo in direzione del mio professore di storia e lo osservo con interesse: si sta occupando di spartire i compiti partendo dalla prime file, per poi venire sempre più in giù. La camicia celeste che indossa è slacciata nei primi due bottoni e piegata nel resto della stoffa, segno che la fretta ha vinto contro la decenza di cui fa sempre mostra, impeccabile in ogni giorno della sua vita.

Persino i capelli castani, intervallati da piccole chiazze grigie, sono disparati e confusi sulla sua testa, a rendere ancora più smunto e ovale il suo assottigliato viso.

Una mia collega gli porge una domanda relativa al test, prima ancora che abbia portato a compimento il suo compito di distribuzione, e lui la liquida con una frase veloce. Arriva alla mia fila lasciando il compito sul banco della ragazza di fronte per poi raggiungermi.

Avverto le sue dita sul dorso della mano prima ancora del suo profumo, e chiudo gli occhi di fronte a quella debole carezza accennata.
Proprio questa mattina gli avevo pregato di essere più discreto, di lasciarmi respirare, di non toccarmi così. Specie, non con la mano in cui è presente la fede di sua moglie.

Sposto, con finta noncuranza, il braccio, facendogli credere che si sia trattato di un caso ma sollevando gli occhi capisco bene come non se la sia bevuta. Dietro le lenti dei tondi occhiali i suoi occhi mi fissano attenti, nel loro celeste chiaro imbottito dei miei sogni, e tentano di capirmi.

Era esattamente questo che intendevo. Non dovrebbe guardarmi così mentre siamo in classe, non dovrebbe dopo la scorsa notte... ma non gli sembra importare. Ancora una volta, mi vuole dalla sua parte e gli è difficile ammettere la sconfitta.

«Grazie» gli dico, afferrando il foglio con le domande stampate, che non sembra volermi cedere, e tentando in una maniera patetica di liquidarlo prima che altri possano rendersi conto di quell'insolita attesa.

Si trova ancora al mio fianco quando la porta di classe si apre e richiude, lasciando entrare uno dei due alunni assenti della giornata.

Nohan si volta nella sua direzione, trattenendosi il bottone della giacca con la mano che, poco prima, mi aveva sfiorata.

«Signor Garcia, di nuovo in ritardo? Mancava giusto lei, oltre il signor Dowson. Si accomodi a uno dei posti liberi.»

Ferita dalla freddezza della sua voce, resa più gelida dalla mia resistenza, tento di sfuggire al mio professore e mi concentro su Cedric Garcia che si sta dirigendo, con la sua solita calma controllata, verso il secondo banco, più lontano da me, rimasto vuoto.

Non concede alcun saluto agli altri, come al suo solito, e lasciandosi addosso il giubbotto in jeans si accomoda posando la sua borsa per terra, passandosi quindi una mano tra i capelli privi di gel e afferrando una penna.

Nohan sfrutta il suo arrivo come distrazione dei miei compagni per far passare un biglietto nella mia mano.
Il cuore corre a mille e non posso evitarmi di reagire da colpevole, nascondendolo di colpo sotto il tavolo.

Riprende la distribuzione dei fogli di esame mentre mi occupo di leggere. Le mani mi tremano mentre riescono ad aprire, in fretta, il cartoncino ripiegato a nascondere la sua grafia elegante.

Torna in classe, al termine delle lezioni di oggi.
Ho bisogno di parlarti.

La campanella suona nell'attimo esatto in cui finisco di tradurre nella mente questa breve frase ed il panico mi abbraccia in un'asfissia che porta i miei occhi a correre in direzione di ciò che accade intorno. La classe è pronta per affrontare questa prova, penne alla mano, ma il posto alla mia sinistra è ancora vuoto e so, per certo, che così resterà per tutto il giorno.

Avrei voluto Francis al mio fianco per chiedergli cosa questo criptico messaggio potesse significare. Ero stata una sciocca a chiedere a Nohan una piccola distanza, perché la mia richiesta sembra avere appena complicato ulteriormente tutto.

Vuole che tra noi finisca? Si è stancato? Non posso saperlo, ma ho tutta la giornata per rifletterci e torturarmi in un'agonia senza fine alla quale ho voluto dare inizio, io per prima.

Afferro la penna con la mano che leggermente trema, pregando con tutto il mio cuore che questa giornata presto finisca.

P.O.V.
Francis

Siamo rimasti immobili per un tempo indefinito, privi entrambi della spinta che ci serve per scappare ma l'incantesimo sta per rompersi dal momento che vedo qualcosa mutare in Halima.

«Halima, ti prego, aspetta!»

Le vado incontro notando come il sole, risorto da dietro le nubi grigie e temporalesche, le illumini la pelle nera donandole sugli zigomi una leggera linea bianca, a contrasto con il cromatismo dei suoi abiti.

Indosso ha un lungo vestito arancio, legato dietro il collo a lasciarle solo le spalle scoperte, con raffigurante una fantasia blu e verde. Sono i suoi colori preferiti, me ne ricordo. Riuscì a comunicarmelo quella giornata al mercato, durante la quale avevamo iniziato a conoscerci meglio.

Adesso, invece, sta scappando da me mostrandomi i dorsali naturalmente levigati della sua pelle, poco più in sotto del cespuglio di ricci che è la sua testa, e non posso permetterle di fuggire. Riesco a velocizzare il passo e afferrarle il polso, incastrando sotto le dita la pelle avvolta dallo spesso bracciale in oro, grande quanto il palmo della mia mano.

Il modo in cui mi si rivolge, furiosa, mette in luce un'espressione che non le appartiene. Devono essere stati altri a crearle questo odio, lei non mi ha mai riservato rancore.

«Halima, ascoltami...»

«Non voglio, vattene!»

Nei suoi sandali sottili, quasi del tutto privi di suola, tenta di scappare da me che sono più alto e più grande di lei.

Perché sono il destinatario della sua protesta?
Non è a me che dovrebbe rivolgersi così.
Ma la piccola Halima scalpita e cerca di sfuggirmi, avvicinandosi quanto basta a concederle di spingersi all'indietro, pur di distanziarsi da me. Non dovrebbe nemmeno cadere...

«Per favore, parlami. Ho bisogno di sapere dove...»

«Ti consideravo un amico, Francis!»

Il veleno con cui urla una simile frase mi porta a trasalire. «Lo sono...»

«No, non lo sei! Mio padre ci ha raccontato tutto. Hai idea dei danni che hai provocato alla nostra famiglia?»

«Che cosa ti ha raccontato tuo padre, eh?» Le domando, cercando di farmi più vicino a lei, con il cuore ridotto in mille pezzi.

Il pudore le fa abbassare le palpebre. «Ti prego, lasciami.»

«Stai andando al refettorio, non è vero? Io vengo da lì.»

«E dovrei ringraziarti delle buone azioni che fai? Sei un'ipocrita!»

Fa troppo male, sentirle pronunciare simili frasi, tanto che il mio corpo si abbandona al dolore e le permette di sfuggire alla mia presa, divenuta ormai debole. Contrariamente a tutte le aspettative, però, Halima non si allontana.

«Sai benissimo cosa avesse significato per Gyasi il carcere di detenzione minorile, te lo ha raccontato... e a causa tua aveva rischiato di tornarci. Ma no, c'è di peggio, c'è tutto questo!»

«La colpa non è mia, quello che abbiamo fatto...»

«Quindi è di mio padre?»

Non mi lascia finire, ma entrambi conosciamo bene la direzione delle mie risposte ed eccoci giunti al punto cruciale della questione.

«Che cos'altro vuoi fare alla nostra famiglia, eh?» Mi chiede, procedendo verso di me con una piccola serie di passi. Arriva a essermi poco distante, a fronteggiarmi in un soffio di respiro. A causa della sua scarsa altezza sono costretto a tenere gli occhi bassi, inchiodato ai suoi neri che non mi lasciano scampo.

La bocca rosea, più pallida verso l'interno, è contratta in una smorfia di disgusto, dal momento che quello che vede non sembra piacerle affatto, e non posso non capirla. Mi sono odiato per molto tempo.

«Mio fratello era sempre stato un ragazzo fragile, pieno di dubbi e costantemente a caccia dell'affetto che la mia famiglia non è solita dare. Il tuo arrivo ha decisamente peggiorato tutto, ci hai portato a litigare tra noi! E Gyasi si è allontanato, sempre di più, a causa tua!» D'un tratto mi urla addosso, accrescendo sempre di più il tono di voce.

Trasalisco, per un attimo, e poi trovo la forza di risponderle.

«Si è allontanato per un motivo, Halima, e lo sai bene.»

«Che cosa vuoi, Francis?»

«Sapere dove lo avete seppellito.»

Intravedo qualcosa, nel suo sguardo adirato. Forse, un moto di delusione.

«Mio padre non mi perdonerebbe mai se te lo dicessi. Io non me lo perdonerei mai.»

«Ti prego, devo saperlo.»

«Perché?» Mi domanda lei, azzardando un altro passo, e scorgo la cattiveria con cui è pronta a parlare prima ancora che possa rivolgermisi. «Così puoi dire alla sua lapide quanto lo amavi?»

Le corde vocali si sono arricciate in uno stretto cappio, e la saliva che faccio scendere lungo la trachea inghiottendo riesce a malapena a liberarle, dando vita a un sussurro.

«Ci sarebbe qualcosa di male?»

«Tutto. Tutto c'è di male.»

Per mia sfortuna capisco immediatamente quanto lo pensi davvero, quanto non si tratti di sola rabbia, e tento di sorridere, pieno di rammarico.

«Finalmente la vedo» commento, sottovoce.

«Che cosa?»

«La tua grinta. Gyasi me ne aveva parlato ma non ero riuscito a credergli... è molto bella, ma la stai rivolgendo alla persona sbagliata.»

«Io, invece, vedo il tuo fascino, Francis. Ma non avrei mai creduto si trattasse di una bugia.»

«Halima!»

No... non lui, non adesso.

Volto lento la testa di novanta gradi, in direzione della persona che, immobile, con molta probabilità aveva assistito al nostro sipario.

Gyasi aveva un carattere molto particolare, nella sua tristezza era solare. Halima, invece, nella sua paura sembra nascondere una leggera rabbia per qualcosa che non comprendo, che non so a chi essere rivolta, ma lui... lui è il peggiore dei tre fratelli, perché la furia che sfoggia è mescolata alla cattiveria.

Hasim, il degno figlio del padre. Il primogenito della famiglia e la copia perfetta di tutto ciò che posso detestare al mondo. Persino nell'acconciatura dei capelli assomiglia al patriarca, con la cute quasi del tutto rasata ai lati, unita a una sottile basetta che consente una connessione alla barba folta, dal taglio perfetto.
Un piccolo dettaglio che è traduttore della dose informe di controllo che esercita.

Con delle enormi falcate è giunto fino a noi e sta passando lo sguardo dall'uno all'altro, concentrandosi su di me.

«Avanti, vieni via, nostra madre ti sta aspettando» le dice, fissando me dritto negli occhi. Rispondere al suo sguardo è come rimanere a tu per tu con un toro, al centro di un'arena durante una corrida, e temo di aver indosso una maglia rosso acceso, provocatrice del suo odio.

Parlare con Halima, invece, significava riuscire a comunicare nonostante il dolore, il rimpianto che continuo a provare... dunque, tutt'altra esperienza.

«Che vuoi ancora, razza di depravato?» Domanda il primo dei fratelli, a un tratto, e devo recuperare tutta la pazienza in mio possesso per rispondergli con calma.

«Niente.»

«Voleva sapere dove è seppellito», mi tradisce lei, facendo schizzare all'attaccatura dei radi capelli le sopracciglia del fratello.

«Oh, è così? E per quale ragione? Te lo vuoi fottere di nuovo?»

«Mh, è questo che ti ha insegnato tuo padre? Solo "a fottere"

«Ah, vuoi dirmi allora che te lo scopavi con amore mio fratello, eh» sibila, vendo verso di me e intravedo la mano della sorella posarsi sul suo addome.

«Hasim, per favore...»

È inutile supplicare, ormai questo gioco patetico è in atto, quindi vale la pena di rispondere.

«Sì.»

Hasim strabuzza gli occhi di fronte alla mia audacia, e il bianco dell'iride assume una rotonda forma di contrasto alla pelle nera, che lo esalta.

La mano di Halima ormai è inutile tra noi, e poco dopo la consapevolezza raggiunge tutti e tre.

Con una forte spinta, Hasim ha caricato il suo pugno ed eccolo che si abbatte contro il mio viso. Sento la mascella bruciare, la testa ruotare nel contraccolpo. Per una specie di miracolo riesco a non cadere a terra ma a mantenere l'equilibrio, mentre avverto il sangue colare persino lungo il labbro. Cielo, penso pulendomi da quella lacrima scarlatta, avrei dovuto controllarmi.

La rissa scatta, come la scintilla di un motore, in poco meno di un attimo. Mentre il mondo prende fuoco io mi ritrovo addosso ad Hasim, con una mano che gli intrappola il tessuto degli abiti, l'altra chiusa in un fendente e l'animo pronto a ricambiare la benevolenza mostratami.

Le nocche raggiungono con un impatto atroce il suo viso, a causa della velocità con la quale ho compiuto l'azione, e sono consapevole che si è trattata di semplice fortuna. Questo stronzo è bravo a picchiare e lo so per certo... ma io, dalla mia, non ho mai smesso di schivare e agire.

Altri cazzotti, un bruciante schiaffo contro il mio volto e un affondo nelle sue costole grazie alla collisione con il mio gomito. Il respiro è rotto per entrambi ma abbiamo atteso per troppo tempo questo momento e niente ci distrae dall'impeto della lotta.

«Basta! Basta, smettetela, per favore, basta!» Urla Halima, ma nessuno dei due l'ascolta. Riesco a spedire il bastardo a terra e contro l'asfalto la sua testa si divincola da una parte all'altra, per sfuggire al giogo delle mie mani.

«Ah!» Urlo, quando mi colpisce in pieno petto togliendomi il respiro e ribaltando la situazione. Mi bracca in poco meno di un attimo e il macabro sorriso che mi rivolge ospita tutte le violenze che vorrebbe destinarmi.

«Adesso. Basta!»

Halima lo proclama ed io le do ascolto, riuscendo a scalciare con un piede l'uomo su di me e a spedirlo più lontano.

La suola delle mie scarpe è rimasta impressa sulla sua maglietta nera, mostrando il punto su cui ho fatto forza per spingerlo indietro e Hasim sarebbe pronto a ripartire da zero se non fosse per la sorella, che si interpone tra noi due.

«Ti prego, fratello, basta. È a terra, non fargli del male.»

«Halima, togliti di mezzo.»

«Andiamo da nostra madre, ci aspetta a casa, per favore...»

Non ho idea del perché Halima mi stia proteggendo ma vuole veramente che il fratello si allontani da qui... mentre io rimango disteso a terra, con i polmoni che mi bruciano, una fitta di dolore lungo la schiena e il sangue che sento sgorgare dal labbro inferiore, inserendosi nella mia bocca in un sapore dolciastro.

«Per favore...» la sua ultima supplica, perché di colpo sembra darle ragione e perdere ogni interesse nei miei confronti.

Mi lascia un solo ultimo saluto, da bestia che è, spuntando per terra vicino alla mia faccia. Stringo le palpebre nella speranza che non mi colpisca e li riapro solo una volta avvertiti i loro passi marciare più in lontananza.

Non è rimasto molto qui, nel South Side, che Gyasi potrebbe invidiare. L'ignoranza è la malattia peggiore presente tra queste strade, e alle volte condanna a morte anche l'amore, nonostante la purezza dalla quale era stato generato.

P.O.V.
Amy

Prima d'ora non avevo mai notato quanta distanza ci fosse da percorrere tra la hall dell'edificio e l'aula di storia. Ero riuscita a far intendere, ai miei compagni di corso, che stessi tornando a casa, proprio come loro, ma sono dovuta tornare indietro, a causa di quel foglietto che Nohan mi aveva lasciato.

Non ho smesso per un attimo, durante tutto l'orario scolastico, di pensare a quelle due brevi frasi, elucubrando fino a scenari più inverosimili ma da tenere di conto.

La moglie che ci aveva scoperti, lui che doveva trasferirsi in una nuova scuola e lasciare la cattedra, me, per vivere felice e altrove la vita con la sua famiglia.

Ciò che aveva preso piede, tra noi, era qualcosa di moralmente sbagliato, per questo motivo in passato ho imparato, sotto suo consiglio, a soffocare ogni forma di paura che sentivo crescere in me, dotandomi di un'indifferenza che non mi appartiene.
Non avremo dovuto iniziare fin dal principio, quindi sarebbe giusto concluderla qui...

Lo penso, ma la mano mi trema quando la tendo in direzione della maniglia. Ciò che mi attende dietro la porta sta per cambiare ogni cosa.

Prendo un sospiro profondo e poi... la apro.
Il giorno è ancora presente oltre le finestre che, con le loro tapparelle rialzate, consentono alla luce di entrare. Ma altri non vi è che lei, la luce del sole. Nohan non è presente nella stanza e io sono sola... o almeno, credo di esserlo prima di chiudermi la porta alle spalle e osservare il vuoto della sala.

Cedric è in piedi sul fondo della stanza, a fianco a un mobile pieno di piccoli oggetti di studio che passa in rassegna, con uno sguardo stanco.
La borsa con la quale l'ho visto arrivare questa mattina è stata posata su di un banco delle ultime file, a fianco alla postazione che ho occupato per due anni consecutivi, e la mente viaggia sul motivo della sua presenza qui.

In un primo momento temo di aver sbagliato aula, ma la disposizione dei manifesti appesi alle pareti chiarisce senza ombra di dubbio un rapporto con la storia e l'esattezza della mia locazione, dunque non si è trattato di un errore.

Attirato dal suono di chiusura della porta, Cedric si volta verso di me prima con il suo solito sguardo apatico. Dopo, notandomi, qualcosa varia nei suoi occhi e credo quasi di scorgere la sorpresa.

Non è mai facile capire che cosa gli passi per la testa perché Cedric non comunica niente, né con il corpo, alto, slanciato e possessore di due spalle amplie ma costantemente molli in una posa di calma, né tantomeno con il volto.
Difficile trovare qualcosa che lo interessi, ad ogni modo.

La sua presenza qui rimane un mistero che non mi decido a chiarire a parole, limitandomi a prendere posto a una delle prime file.
Se Nohan non è ancora arrivato lo farà presto, specie se deve occuparsi anche di Cedric.

Irrigidita dalla tensione, la mia schiena rimane perfettamente perpendicolare alla seduta sulla quale staziono mentre mi torturo le mani.
Alla sinistra ho l'amplia fila di vetrate. Dietro di me, invece, avverto i lenti passi di lui mentre si decide a imitarmi, tornando seduto come forse era rimasto fino a poco fa.

Tento di non far caso alla sua presenza, preparandomi mentalmente delle risposte adeguate ai diversi tipi di situazioni che mi attendono.

Vorrei avere qualcosa di più decente addosso che questa ridicola maglietta rossa con una leggera trina, bordata di un filo nero, sullo scollo del seno e al limite delle maniche. Ha un aspetto infantile, e affatto paragonabile alla donna che ci si aspetterebbe al fianco di Nohan.

La prima volta che l'ho visto entrare in classe, con la ventiquattrore in mano, ricordo che rimasi folgorata dall'astuzia che trasmettevano i suoi occhi e dalla sicurezza del suo sorriso. Inoltre, è un bell'uomo ed è per questo che la mia mente aveva generato l'ipotesi della sua inaccessibilità.
Mettendo da parte la differenza di ruoli e età, allontanando da noi il contesto, non avrei comunque avuto speranze... e questa giornata può essere il monito, scritto su due striminzite righe, che me lo ricorda.

Intreccio le gambe, una sull'altra, avvertendo le nere e scure calze sfregare tra loro, muovendo verso l'alto la gonna in camoscio rosso corta al ginocchio.
Se avessi anche dei tacchi, ai piedi, in questo momento starei facendo un baccano tremendo ma il tremore alla gamba si arresta quando lo sguardo cade sull'anello che Nohan mi aveva regalato.

Le parole che avevano accompagnato quel dono riescono a rassicurarmi solo un poco.

Alle mie spalle Cedric lascia uscire un profondo sospiro che mi allontana dai pensieri, e mi fa ruotare appena la testa.

Dovrei concentrarmi su quello che sta per accadere ma la sua presenza qui, fuori dall'orario scolastico, è comunque fonte di curiosità.
Insomma... parliamo del più bravo della classe, con voti eccellenti in ogni materia (eccezione fatta per storia), che viene trattenuto in un sequestro quasi punitivo oltre l'orario.

Sono curiosa di sapere cosa può aver combinato di tanto grave. Quale strano evento abbia sradicato la sua costante apatia per farlo congiungere a noi, il resto del mondo che non vive su una nuvola soffice di indifferenza.

Setaccio, veloce, con gli occhi la sua figura, per capire se ha fatto a botte o altro. Niente di niente. Il giubbotto in jeans è ancora al suo posto, così come la maglietta blu, i pantaloni in jeans leggermente scuri e le scarpe di tela.

Potrebbe vestirsi meglio di così... in fondo appartiene alla famiglia più ricca del paese ma non ha mai sfoggiato niente di eccentrico.
Magari è indifferente anche ai soldi.

Mi viene da ridere.
Chi ha non merita, è il giusto detto per una situazione simile.

Torno dritta con la testa, cercando di focalizzarmi solo sul nero della lavagna che ho di fronte ma qualcosa, oltre il vetro della finestra, torna a distrarmi... e quello che vedo mi distrugge.

Nel giardino scolastico Nohan sta baciando sua moglie, sorridendo sulla bocca di lei mentre le sfiora le ciocche bionde, perfettamente modulate.
Le persone passano loro a fianco e si voltano appena ma non è niente di nuovo, sappiamo tutti con chi è sposato e con che tipo di avvocato.
Una bellissima donna bionda alta più di un metro e ottanta con la quale non posso nemmeno scendere a confronto.

Vederli da dentro questa stanza mi disintegra sempre di più e, senza che me ne accorga, una lenta lacrima mi scorre lungo la guancia.

«Sono davvero una bella coppia, non trovi?»

È la voce di Cedric a chiedermelo, di nuovo alle mie spalle ma probabilmente più vicino. Deve essersi accostato alle finestre.

Con le poche cose che gli interessano non mi aspettavo certo una riflessione sulla coppia dell'anno.

Mi asciugo le lacrime con il dorso della mano e, come accade sempre dopo un pianto, la voce nel rispondere non mi trema.

«Sì... la moglie è particolarmente bella.»

«Chissà dove si sono conosciuti...»

Non mi interessa e nemmeno voglio saperlo ma per verificare se il suo interesse è autentico mi volto verso di lui, confermando la sua presenza alle vetrate.
Pare sinceramente colpito e, come tutti i maschi, non riesce a distogliere lo sguardo da lei.
Come farlo, con un abito sensuale del genere.

«Come mai sei qui?» Gli domando, voltando le spalle alla coppia felice e concentrandomi su altro, al fine di distrarmi.

Le dita con le quali teneva sollevate le tapparelle si allontanano di scatto da queste, facendo produrre alla plastica un breve schiocco. Poi il suo sguardo si rivolge a me e vengo intrappolata da un colore ambrato e brillante.

«Ho fallito allo scorso test di storia e Wood voleva parlarmi.»

«Tu? Hai sbagliato un esame?»

Sorride al tono ironico della mia voce e non lo avevo mai notato ma quell'estranea curva alla sua bocca, capace di illuminargli persino lo sguardo, è davvero molto bella da vedere. Attira lo sguardo... e credo di aver appena assistito a un miracolo più unico che raro.
In qualche modo, ciò mi rende fiera.

«Non sono molto bravo in storia.»

«Dovresti impegnarti di più, allora, ti rovina la media scolastica e il tuo futuro ingresso all'università di Harvard» gli dico, prendendolo velatamente in giro, e Cedric sorride senza dire altro. Indecisa se spingermi oltre, mi approccio a lasciare un piccolo consiglio. «Storia è una materia ricca di date e di eventi, è impossibile ricordare tutto ma se ti poni delle domande sui fatti, e costruisci un filo logico, puoi riuscirci.»

«È quello che fai tu?»

«Ho un sacco di domande, per la testa.»

«E riguardano anche loro?»

Il suo dito puntato contro la coppia felice mi raggela, e all'improvviso quello che era buonumore si tramuta in leggero fastidio.

«Perché me lo domandi?»

«Tranquilla, non dirò niente a nessuno, non mi riguarda.»

Cedric sa di me e Nohan... e da quando? La cosa mi riempie di terrore. Se lo ha scoperto lui allora possono averlo fatto anche altri, e Nohan rischierebbe la carriera.

«Rasserenati, dico sul serio, non avere quella faccia contrita.»

«Non sai quello che dici...»

«Sarà, ma non importa. Come ti ho detto non mi riguarda, ero solo curioso.»

«La curiosità è pericolosa.»

«Lo è di più andare a letto con il proprio insegnante, non credi?»

Gli ho servito la risposta su un piatto d'argento, ecco quello che credo, e nella sua astuzia sa come approfittarne.

«D'accordo, ti sei divertito abbastanza...»

«Se può consolarti credo che la moglie sia una bella donna, ma che tu non abbia niente da invidiarle.»

Rido, debolmente. «Sì, certo...»

«Dico sul serio. Sai, se sei tu la prima a svalutarti non otterrai niente. Anzi, ti dimostrerai pure più insicura ed è una cosa che generalmente non piace a noi uomini...»

La mente fa ribalzare, in un contrappunto di reazioni, le sue parole, saggiandone la consistenza come di un cibo per la prima volta assaggiato.

«Meriti più di un uomo che bacia sua moglie di fronte alla stanza nella quale sei, dico solo questo. La scelta poi spetta a te.»

Forse non c'è menzogna nelle sue parole e mi colpisce il carico di dolore che ne ricavo, più forte del vedere Nohan baciare una moglie che so esistere nella sua vita, più crudele di me che sono rimasta ad aspettarlo in patetica attesa e ne capisco anche il motivo.
Si tratta di una nuova consapevolezza con la quale non sono mai voluta scendere a patti e che seduce il mio dolore, conquistando la mia mente.

Merito di meglio, ma che cosa?
Francis saprebbe dirmelo, per quanto la vita anche con lui si sia mostrata ingiusta.

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