19- Peccare di presunzione
P.O.V.
Samuel
Durante gli anni nei quali ho vestito gli abiti di cadetto non mi sono mai sporto verso un opinione che non fosse concorde al pensiero dei miei superiori.
Ero una recluta particolarmente diligente, sempre propensa alle regole. Qualcosa deve essere andato storto il giorno in cui mi hanno affidato la mia prima missione.
Lo ricordo chiaramente.
L'esaltazione offerta dalla divisa. La pesantezza della pistola. L'importanza del distintivo, appuntato come una medaglia al petto.
Dentro la mia testa, qualcosa deve essere scattato come un incendio, dando inizio a tutto.
Catturare i giusti criminali non è mai stata un'impresa facile, in primo luogo perché quei bastardi sanno e sapevano da sempre nascondersi molto bene. In secondo luogo perché sparare senza che il ricercato ti rivolga contro un'arma è una colpa che ottieni come marchio di infamia direttamente dal distretto che ti ha assunto, nonostante tutte le ragioni che potessi possedere.
Nessuna persona si merita un bossolo di proiettile nel corpo. Nemmeno il peggiore dei criminali. L'ho capito con il tempo e con l'esperienza. Da giovane mi guidava la rabbia ed il grilletto, troppo facile da premere, era la tentazione di un diavolo che non smette mai di sussurrarti all'orecchio.
Quel demone è ancora qui, posato sulla mia spalla destra, che continua a sibilare frasi aspre alle quali non ho più dato credito. Grazie al loro cinismo, però, riesco a mettermi in guardia dai problemi... e Francis è un'enorme problema.
Dalle ore passate di ronda ho potuto osservare ogni suo scatto nervoso, ogni pausa durante la quale il suo sguardo si è disperso nel vuoto così come l'attraversamento abbagliante di ogni sua singola e geniale trovata, in momenti di stallo. Sua era stata l'idea di chiedere a Carlail il materiale di quella cartella, nei preparativi del piano.
Nonostante il carattere, a suo modo glaciale, di Rais nel non assumersi le colpe aveva inteso che quella strada fosse la più facile da percorrere e la sola che potesse portare il nostro bastardo spacciatore sotto una forma di ricatto. Avrebbe utilizzato Oliver per avere in pugno Rais.
Una mossa degna del nemico più acerrimo, chiudere gli occhi di fronte agli affetti e servirsene. Inoltre, una trovata psicologicamente valida che lo rende già in comunione con il nostro carcerato.
Sì, Francis è un problema enorme perché nonostante tutta la distanza che può essere interposta tra di noi riesco a notare il rosso acceso della rabbia, all'interno dei suoi occhi, e la pressione del suo dito contro il grilletto di una pistola armata, come era accaduto a me nell'apprendistato. Il tutto, però, macchiato di una nota di astuto distacco.
Mai ho temuto qualcosa più dell'intelligenza e Francis la possiede eccome. Solo la giovinezza dei suoi anni e il dolore che detiene lo conducono a sbagliare, ma mi domando cosa sarebbe in grado di produrre nelle giuste mani, messa da parte tutta quella follia di rivalsa.
Non fa parte del suo carattere, deve averla ricevuta dal grande padre South Side che tutti condanna a una medesima fine. Però si può sempre crescere, maturare. Chiudere gli occhi e imparare a inghiottire il dolore con le lacrime, per poter diventare più forti.
Ed è tempo che Francis si sbrighi a farlo, prima di mandare a monte tutto con l'impulsività.
Ormai la tiene sotto controllo come un cane randagio, al guinzaglio mentre scende senza fiato le scale del palazzo e arriva in strada, proprio come adesso. Lo fisso dall'altra parte della via senza dire una parola, osservando il gesto che fa di porsi una mano sopra gli occhi in modo da costringere le palpebre a piccole rotazioni che comandano la ragione.
Rais deve avergli detto qualcosa per ridurlo così, a cercare le risposte in una strada deserta. Nemmeno sono certo di potergliele offrire io, visti i numerosi sbagli commessi vestendo i panni di Attila.
Dovrà imparare a farci i conti, proprio come me. Andare avanti e capire che la vita ti condanna a una lotta continua.
Non poteva affiancarmi novellino peggiore, Carlail, nonostante tutto ciò che crede esserci di positivo in lui.
Ribadisco, è solo un'enorme problema, come una bomba ad orologeria priva di timer e molto vicina ad esplodere.
Già... nemmeno mi nota mentre avanza per strada, per cui sono costretto a chiedere io per primo quale sia la meta di questa sua autodistruzione.
«Dove stai andando?»
Trafitto dalla mia voce, sobbalza di scatto.
Solo l'altro giorno l'ho spiato parlare, dentro la casa, con Rais in un tono arcigno che lo rendeva, in tutti i sensi, simile ad un uomo di ghiaccio ed ora, invece, mi accorgo che è solo un ragazzo di quasi diciotto anni, trafitto dal dolore che sobbalza se qualcuno lo prende di sorpresa.
«Sono costretto a rimanere qui per tutto il giorno, Attila?» Modella la voce nel domandarmi clemenza, lasciandosi alle spalle la tristezza.
«No, non lo sei ma vorrei comunque sapere dove vai.»
«Ho bisogno di pensare.»
«Perché? Cosa ti ha detto? Usare il suo amico si è rilevato utile?»
Domandarglielo significa sperare, quasi, che non si sia spinto tanto oltre.
Anche Carlail gli ha fatto presente, la sera della sua preparazione in centrale, che uomini del genere per quanto sporchi di colpe considerano gli affetti e la famiglia qualcosa di intoccabile. Mettere mano su di loro significa cessare di essere onorevoli, mutare la vendetta in una ripicca infantile e mi chiedo se Francis non sia stato esortato dalla parte peggiore di sé a ricavare un nuovo occhio per un altro tolto.
«Come concordato gli ho fatto presente che Oliver è a rischio, sprovvisto della sua protezione qui fuori, e che gli uomini per cui lavora potrebbero presto trovarlo. Era impaurito, forse tra poco parla.»
«Che bravo» sibilo «una splendida mossa.»
I suoi occhi verdi si sollevano di scatto, assassini in risposta alla mia voce.
«Disapprovi?»
«Se così fosse? Il piano è tuo, non posso intervenire» ricordo a entrambi, maledicendomi per la limitazione alla quale sono stato costretto.
In fondo, la colpa è mia e questa la mia pena. Vedere un ragazzino sprovvisto di preparazione fare sbagli enormi quanto gravi.
«È vero, non puoi fare niente.»
«Mh, non approfittartene. Questo lascia intendere che la responsabilità di questo caso è solo tua.»
«Parlerà.»
«Lo credi davvero? Secondo me, invece, proverà a scappare e, semmai sarai in grado di riprenderlo, non ti dirà niente.»
«Quindi cosa vuoi dirmi, Attila? Non siamo ancora partiti e già vuoi rinunciare?»
«Rais non ti dirà niente, Francis. Ha troppo timore e rispetto per chi gli ha permesso di vivere qua fuori per tutti questi anni.»
Muove un passo nella mia direzione, fronteggiandomi nel farsi più vicino. È alto per la sua età e ha lo sguardo di un adulto, i lineamenti già marcati, le mascelle squadrate e decise di una statua. Una di quelle greche raffiguranti un dio arrabbiato, pronto a scagliare fulmini e saette contro noi mortali, e l'immagine da un lato mi fa ridere.
Però... mi domando se anche io, da giovane, possedessi questo stesso sguardo.
«Se scappa, tu lo prendi. È il tuo solo ruolo, Attila. Mi dispiace, ma è così. Non credo rimarrà in silenzio tanto a lungo.»
«Ricordi cosa ti ho detto, la prima volta, di lui?» Chiedo, fissando negli occhi questa bestia inferocita con la solita calma che mi ha tratto in salvo da molte situazioni difficili. «Con lui, imporsi non funziona. Devi entrare in empatia.»
«Puoi scordartelo che lo faccia.»
«Perché? Fa troppo male? Per questo, quando sei sceso, avevi quell'espressione? Che vi siete detti?»
Ho colpito in pieno centro, ed è soddisfacente. Specie il pensare che, in fondo, Francis non possieda una testa completamente vuota e che, scuotendo quel cranio con la giusta forza, si riesca quasi a far risorgere la vera natura del suo animo, facendo uscire a zampilli l'odio dalle orecchie.
Insomma, l'ho detto. Il ragazzo di cui ho letto, lo stesso che è stato in grado di risolvere tutti quei casi, non agisce con la ferocia ma con l'astuzia, sempre nella mia più corretta espressione di giustizia. Questo avevo apprezzato di lui, all'interno di un dipartimento tanto corrotto come quello di una centrale di polizia.
Troppe mele marce sono tra noi, ma non è ancora il caso di classificare Francis parte di esse.
«Lascia stare» mormora, voltandosi e riprendendo a camminare, senza volermi dire la verità. Non importa, hanno avuto un contatto. Un dialogo di unione che li ha resi, per un istante, in sintonia. Può essere la giusta chiave per aprire molte strade.
«Devi dirmi dove vai...» gli urlo dietro stanco, fissando il prospetto del palazzo piuttosto che il suo corpo macabramente monocolore.
«Te l'ho detto, a pensare» replica.
Rimango per un attimo immobile ma poi scuoto il capo, ridendo.
Questo ragazzo è complicato da gestire, penso addentando una mela, recuperata dal mio giubbotto, che mi farà da pranzo, ma sicuramente renderà meno monotone le mie giornate.
P.O.V.
Amy
Confesso di non essere mai stata una felice amante delle sorprese. Da bambina quando i miei genitori preparavano, a mia insaputa, la mia festa di compleanno mi sono sempre trovata spiazzata di fronte all'evento e in qualche modo inadeguata, per i vestiti che indossavo e per la confusione che mi sentivo in testa.
Quando poi, negli anni dell'adolescenza, mi sono vista di fronte qualche ragazzo, non avente alcuna premura per il mio stato di perenne angoscia, pronto a confessare un palliativo derivato dell'amore ho dovuto fare i conti anche con l'estremismo massimo dell'inadeguatezza: l'impreparazione.
Mai mi sono dimostrata pronta di fronte alle molte sorprese della vita, e altrettante volte mi sono rivelata incapace di prenderle al balzo, eppure devo confessare a me stessa che se solo le avessi conosciute prima ancora della loro effettiva rivelazione non le avrei mai affrontate sul serio.
Per questo motivo ci stiamo dirigendo senza alcuna motivazione precedentemente rivelata verso il lago e verso Francis.
Vedendolo attraversare, a testa bassa, la città, ho ben compreso in questa giornata feriale la sua meta. Dunque, il nostro solo spiraglio per farci avanti.
Confessare il motivo della nostra visita avrebbe impedito al mio amico di venire, almeno quanto saperlo condanna l'uomo al mio fianco a procedere con passo stanco.
Rivolgo il capo verso di lui, fissandolo nel suo corto e ampio giacchetto in jeans mentre tiene le mani nelle tasche.
Trafitto dal mio sguardo, si blocca sul posto ma non in uno scatto improvviso: con un sospiro, piuttosto, alla stregua di un bambino costretto ad andare a scuola contro il proprio volere. Non vorrebbe davvero presentarsi, nonostante tutta la tranquillità con la quale ha cercato di mettere a mio agio ogni mia richiesta. Ecco qui, il vero volto di Cedric Garcia. L'erede della famiglia che per anni si è dimostrato scontroso con tutto e tutti, rivelando un piccolo bagliore di luce buona solo a me.
Sì, adesso lo riconosco nell'esitazione di quei passi che tanto vorrebbero tornare indietro e che adesso, data la mia immobilità, sperano in un ripensamento.
«Questa è la strada che percorro per raggiungere il lago di cui ti ho parlato. Non manca molto, una decida di minuti circa.»
«Che allegria» commenta, sollevando lo sguardo per dirigerlo introno a sé, nel contorno boschivo dentro il quale siamo capitati.
«Mi avevi promesso che non ci sarebbero stati problemi» gli ricordo, e Cedric solleva le spalle.
«E infatti non ce ne saranno. Vuoi dire al tuo amico di noi. D'accordo, sono qui con te.»
«Voglio essere insieme a te, nel dirlo.»
«Rendi le cose più divertenti.»
«Cedric...» mormoro, andandogli incontro quando noto l'inclinazione strana assunta dal suo tono.
In piedi di fronte a lui, calpestando le foglie di questo sottobosco, tengo il suo volto tra le mani affinché lo sollevi e lo eriga all'altezza del mio. Il dislivello del terreno ci aiuta, in questo modo siamo occhi contro occhi. «Di che cos'è che hai paura? Qualsiasi cosa dirà Francis non mi farà cambiare idea.»
«Sul serio?» Domanda la sua incertezza, portandomi verso un'espressione di presa in giro, affatto di buon umore.
«Me lo domandi ancora?»
«Sai che il nostro rapporto non è rose e fiori. Inoltre, lui lo conosci da più tempo. Potresti dargli retta e questo ti porterebbe ancora più lontana da me.»
«Francis sa cosa è giusto per me. E ormai te l'ho detto, sono dalla tua parte.»
Cedric sospira, chiudendo gli occhi e piegando la testa in avanti, verso le mie carezze.
«E che cos'è che ti ha convinto? I miei baci?» Chiede, mettendo in evidenza il poco tempo che abbiamo avuto per conoscerci l'un l'altro. Sorrido, però, possedendo già la risposta a una simile domanda.
«No... quello che credo di aver scorto al loro interno» replico, facendo riferimento proprio a ciò che Cedric possiede quando mi direziona contro il suo sguardo. Esattamente come adesso.
«Questo è sdolcinato» ammette, con la sua luce brillante negli occhi che provoca il mio sorriso.
«Lo so.»
Francis dovrà comprenderlo per forza, è sempre stato più bravo di me a capire le persone e non importa il loro passato, non importa di niente.
Lascio scivolare una mano lungo il suo volto affinché si intrecci alle dita della sua, in modo da riprendere a camminare insieme.
Cedric mi permette di farlo e così procediamo in questo fitto bosco. Non dice più niente ma sento il suo corpo alle mie spalle ed è come se da esso provenisse un dolce calore, in grado di offrirmi conforto.
Anche io ho paura di ciò che sta per succedere ma se Cedric rimarrà con me saprò farmi andare bene tutto.
Con una mano sollevo i rami di un antico albero e rivelo, al mio silenzioso ospite, la meraviglia del posto appena raggiunto.
«Eccoci qui» commento, procedendo appena all'indietro lungo questa sponda di bianchi sassi. «Siamo arrivati al nostro rifugio.»
Cedric si guarda solo per un istante intorno, governato dall'ansia, lo vedo, per poi sorridere leggermente al solo scopo di farmi felice.
«È molto bello.»
«Lo so, e l'acqua è tanto fredda da toglierti il respiro se ci provi a nuotare.»
Mi è capitato più volte di farlo, specie nelle estati torride di questo posto. In fondo, con quei pesci in acqua e quelle rane a filo di letti di foglie, è persino divertente.
«Cedric...» mormoro, tendendogli la mano mentre continuo ad andare indietro, fiancheggiando la sponda del lago. «Ricordi quando ti ho parlato dei miei giochi da bambina intorno al salice di tuo nonno?»
«Lo ricordo.»
«Ti ho anche detto che non mi era concesso? Mia madre mi aveva impedito di giocare nella tua proprietà, per questo motivo questo posto mi è sembrato subito perfetto. Non rientra sotto il controllo della tua famiglia, pur rimanendo a pochi passi» ammetto nel tentativo di metterlo sempre più a proprio agio e sembro esserci riuscita.
La sorpresa governa il suo lieve e poco accennato sorriso. «Davvero?»
Annuisco lenta ed il suo passo si ferma. Ci esorta entrambi a rimanere in piedi su questi sassi, uno di fronte all'altro. Come ho già detto, questo lago riflette l'anima ed adesso si mostra di una calma piatta, sinonimo di tranquillità.
È quello che provo rimanendo mano nella mano con lui, sotto il sole dorato delle undici con le foglie ancora verdi di questi alberi in grado di procurarci macchie d'ombra. Corrono sulla pelle distesa delle nostre braccia unite, sui nostri volti e ne esaltano ogni particolarità. Come l'austerità del suo viso serio, per esempio, e al tempo stesso l'assenza di barba che lo condanna alla morbidezza della perfezione.
Vorrei sollevare anche l'altra mano e tornare a sfiorare il suo viso, tracciare i suoi lineamenti con i polpastrelli e imprimerli nella memoria. È assurdo quanto bisogno di vicinanza abbia se si tratta di lui ma sono esortata a procedere sempre in avanti da una forza misteriosa, e dalla sua mano non appena esercita la forza necessaria a permetterlo.
«Deve essere stato difficile per tua madre gestire la tua curiosità» commenta in un respiro, mentre mi tiene vicina.
«Mica solo per mia madre» commento e riesco a farlo sorridere più serenamente. Che bello. Farlo sentire in pace porta anche me a essere in pace.
«Ci stiamo confessando dei segreti, Amy?»
«Non è quello che fanno due persone che iniziano ad uscire insieme?»
«Mh, giusto... cerchi complicità...» commenta, guardandomi dritto negli occhi ma imponendomi la vicinanza della sua bocca. Non posso impedirmelo, gli occhi corrono a lei per poi saettare su, verso di lui, come quelli di un cerbiatto impaurito.
La paura, però, è l'ultima emozione che provo.
«Credo di averlo già messo in chiaro.»
«Molto bene, ed è per questo che sono qui. Perché anche io voglio essere dalla tua parte.»
«Molto bene» lo prendo in giro, ripetendo le sue parole, «questo ci porta sulla stessa strada.»
«Sembra proprio di sì.»
Sorrido. «Sono felice di esserci.»
Cedric rimane a fissarmi felice almeno fin quando un rumore, proveniente dagli alberi, ci esorta a rivolgere altrove la nostra attenzione.
Francis sta raggiungendo il bosco nei suoi abiti neri e ancora non si è reso conto di noi.
«Spero tu possa esserlo anche al termine di questa giornata» sento pronunciare a Cedric prima di voltarsi e lasciarmi la mano. Speravo quasi che la tenesse ma forse, per il mio amico, sarebbe troppo.
Cedric ripone nuovamente i palmi dentro le tasche in una posa di autodifesa che è al confine con la strafottenza mentre io, alle sue spalle, intreccio le dita tra loro nell'attesa di ciò che ci aspetta.
Non tarda ad arrivare.
Distratto da altri pensieri, la testa di Francis rivolta precedentemente a terra si solleva nella nostra direzione e viene trafitta dalla sorpresa di trovarci insieme. Credo che lo stupore venga seguito da uno stato confusionale nel quale ancora il mio amico non sembra realizzare cosa ci faccia qui Cedric, nel nostro rifugio, al mio fianco.
Non vedo Francis da giorni, non so dove sia stato e avrei voluto aver modo prima di parlargli, me ne rendo conto solo ora mentre mi torturo le mani.
Le sorprese non sono mai un evento benigno per nessuno, ma il mio migliore amico sembra aver ricevuto il peggiore dei regali.
«Che cosa ci fa lui qui? Ti sta dando fastidio?» Mormora senza comprendere, analizzando il Garcia al mio fianco.
Risulta difficile rispondergli, ma con tutto il coraggio che ho in corpo riesco a farlo.
«Francis... siamo venuti insieme.»
A seguito di una notizia spiazzante, Francis rimane sempre in silenzio. Forse lo fa per mettere in ordine i pensieri e poter pronunciare, con correttezza, la frase migliore. Stavolta, però, si tratta solo di stupore, tanto che dopo l'assenza di suono le sue sopracciglia si sollevano e la sua bocca si deforma. Aperta e incrinata, mostra il suo disgusto.
«Che?»
«Vorremo parlarti.» Esordisce Cedric al mio fianco, fissandolo risoluto e la sua certezza mette ancora più in crisi le convinzioni del mio amico, che veloce scuote il capo.
«No. No, ora non mi parlate di niente. Non è il giorno giusto per starvi a sentire.»
«Francis...»
«Non seguirmi, Amy.» Ordina impetuoso, continuando a camminare mentre io gli vado incontro, cercando di raggiungerlo.
«Ti prego, aspettami!»
Riesco ad afferrare in un pugno la stoffa del suo cappotto e, tirandola leggermente a me in una tristezza immane, lo prego di fermarsi. Lo fa. Lo fa a mio rischio e pericolo, senza voltarsi.
«Dobbiamo parlarti...» ripeto in un respiro, sicura di non ottenere la sua compiacenza.
Di fatti, Francis si volta verso di me con uno sguardo stranito e falsamente divertito. Spalanca le braccia a mostrarmi la sua immobilità.
«Eccomi, ti ascolto. Che cosa c'è, amica mia?» Domanda, riabbassando le braccia. «Hai finalmente messo mano su ciò che tua madre ti aveva tanto proibito di toccare? E tu?»
Vedendolo andare incontro a Cedric come una furia, a passo veloce, corro a seguito, senza soffermarmi sulle parole che ha pronunciato.
«Francis!»
Troppo tardi, la mia mano stretta alla manica del suo cappotto non serve a niente, non appena si trova faccia a faccia con l'impassibilità di Cedric.
«Tu che cosa hai intenzione di fare, eh? Lascia stare Amy, lei e la sua famiglia ne hanno già avuto abbastanza di voi Garcia.»
«Bravo, sempre pronto a tirar fuori l'artiglieria pesante» sento pronunciare la frase dalla voce disgustata di Cedric, e poco dopo lo riesco a scorgere da dietro le spalle di Francis. Il mio amico si sta imponendo di fronte a me, facendomi da scudo.
«Lo faccio, quindi vediamo di essere sinceri l'uno con l'altro. Si tratta di vendetta?»
«Francis!» Lo richiamo, lottando dietro di lui per potermi liberare dalla sua imposizione. Con la mano all'indietro, stavolta, è lui ad avere il controllo dei miei abiti e a spingermi dietro di sé affinché non faccia parte di questa discussione.
Noto però gli occhi di Cedric posarsi per un istante su di me.
«No.»
«Conosci la difficoltà economica della sua famiglia. Sai che il padre sta diventando troppo vecchio e temi che vi facciano causa, domandando un risarcimento in denaro. Non è così?»
«Sai sempre tutto tu, giusto?»
«Rispondi, bastardo di uno snob» sibila Francis ed ho a malapena il tempo di afferrarlo e tirarlo indietro quando lo vedo cercare di andare avanti, spingendosi fino all'altro.
Non ho alcun controllo, però, sui passi di Cedric che avanzano, innestando un affronto.
«Che cosa vuoi che ti dica, eh?» Gli domanda questi venendo sempre più vicino, e giuro che scorgere la cattiveria dietro quella voce sempre rimasta buona con me mi manda in crisi.
«Cedric...» rimprovero stavolta l'altro con tono stanco, perché almeno lui si supponeva essere dalla mia parte.
«La verità, stronzo» continua imperterrito Francis, fronteggiando un improvviso sorriso maligno di Cedric.
«La verità? Mh. Vuoi la verità. D'accordo, te la dico. Mi piace Amy, ecco qui, nessuna vendetta e secondo fine. Inoltre, penso che starebbe meglio qui accanto a me piuttosto che con te. Vuoi conoscere anche questo, di motivo?»
Riesco a liberarmi dalla presa di Francis e a scappare verso Cedric, distratto dalla mia corsa in un attimo, e pronto a riprendermi al suo fianco. Non mi basta. Gli poso entrambe le mani sul petto per costringerlo a ritirarsi da quella sfida ma quando ne calmo uno l'altro si infiamma.
«Amy, non metterti di mezzo e fagli finire il suo magnifico discorso» commenta Francis, intrecciando le mani dietro la schiena in una posa di ascolto e spavalderia che tanto mi infastidisce. Sento sotto il palmo il cuore di Cedric battere come un tamburo, e comprendo bene quanto tutti questi affronti possano fare male.
«Finiscila, Francis. Le cose stanno così e basta. Anche tu, Cedric, piantala.»
«Perché, Amy?» Si intromette il primo dei due, mentre il secondo sembra darmi finalmente ascolto. «Ormai sono curioso, fallo finire.»
«Perché, da solo non lo sai?» Commenta Cedric, ricevendo la mia disapprovazione in uno sguardo. La ignora.
«Cosa è che dovrei sapere?»
«Perché sei tanto arrabbiato del fatto che stiamo insieme? Ti piacciono i rapporti macabri? "Vado a fondo io, quindi ti porto con me"?»
«Ma di che diamine stai parlando?» Esclama Francis, preso da un'ironia isterica e dalla sorpresa.
Io, invece, temo dove questo discorso possa andare a finire e tento di prevenirlo ma Francis ha provocato troppo, ed ora Cedric si prende il suo diritto di parlare. Con sicurezza, in un tono calmo, affondando bene a fondo le sue lame.
«Sei infelice, Francis. Per questo motivo vuoi che lo sia anche Amy.»
Gelata io stessa dalle sue parole, non oso voltarmi ma spalanco gli occhi, a causa della temperatura corporea inumana che si è insediata in me.
Francis deve provare lo stesso ed è solo il cuore di Cedric, adesso, ad essersi diminuito nei battiti, svuotato com'è delle parole che voleva dire da tempo.
«Che cosa?» Sussurra Francis.
Mi sblocco per prima, prendendo un profondo respiro e rivolgendomi a lui.
«Dimentica quanto ti ha detto. Non è vero e non mi importa.»
«Invece è vero, Amy» prosegue Cedric.
«Cedric, ti prego...»
«Ma è così ed è il caso che tu lo veda! Questa donna è rimasta innamorata di te per anni! E anche se ci può essere solo un'amicizia, adesso, nutre comunque un profondo rispetto e cerca costantemente la tua approvazione. Con quale diritto le neghi ciò che è lei stessa a chiedere? Ti ho già detto che la mia famiglia non centra niente, che non voglio farle del male. Quale è il problema, adesso?»
Chiudo gli occhi, dinanzi a questa parole che sono in grado di cullarmi. Non dovrebbero farlo, vista la situazione instabile, ma sembrano come un'immensa carezza, mossa a difendermi.
Poco dopo, poi, il mio amico si rivolge a me parlandomi senza riguardo.
«La pensi allo stesso modo?»
Deglutisco, senza essere in grado di rispondere e cerco le giuste parole per mettere in campo anche la mia, di verità.
«Volevo solo informarti della nostra scelta, in modo che tu non ne fossi all'oscuro. È successo per caso e di recente.»
Me l'aspettavo, la sua conseguente pausa ed è per questo motivo che attendo la sua sentenza cercando di rimanere stabile sulle mie gambe.
«Non hai bisogno della mia approvazione, Amy. Fai come vuoi, ormai sei abbastanza grande.»
Una sferzata in pieno viso avrebbe fatto meno male.
Nell'udire questa risposta, Cedric si allontana da me e inizia a marciare alle mie spalle, allontanandosi da questo luogo che ormai gli ha già offerto le risposte.
Io, invece, rimango immobile di fronte al mio amico e non ho alcuna parola per esprimermi. Adesso il lago è agitato, impervia con delle piccole onde in uno sciabordio contro i passi, eppure a suo modo è regolato come la calma che tenta di vestire Francis, nel non farsi avanti.
Ecco, sembra dirmi, adesso sta a te la scelta.
Non avrei mai voluto trovarmi di fronte a un simile bivio eppure sono costretta, con dignità, ad essere sincera per entrambi.
Mi volto e avanzo alla ricerca di Cedric, lasciando alle spalle il mio amico nel più completo silenzio. Non è un addio, dovrebbe saperlo nonostante la sua testardaggine, quanto il chiarimento di una scelta che ormai ho compiuto con consapevolezza.
L'avevo promesso a Cedric, saremo stati dalla stessa parte.
E lo siamo. Lo siamo, non appena lo trovo intento a camminare su e giù, sui suoi stessi passi, lungo un altro sentiero. Indeciso se andarsene o restare.
Si passa entrambe le mani tra i capelli, tirandoseli all'indietro ed è grazie al gesto che riesce a vedermi. Mi approccio in un sorriso che seduce la sua sorpresa, e nell'avanzare lo condanno all'immobilità.
Non ha scelto le parole migliori, nel loro confronto, lo confesso ma all'ultimo è stato tanto tenero da portarmi dalla sua parte.
Avanzo fino a lui e fingo di non rendermi parte della sua sorpresa. Lo raggiungo e lo abbraccio, stringendolo a me per poi sentirmi ricambiata.
«Non fare quella faccia, te lo avevo promesso. Sono qui» sussurro tenendo la testa premuta contro il suo torace, e un profondo respiro lo smuove.
Aveva davvero paura che non tornassi.
«Mi dispiace, per prima. Non ho saputo smettere di ribattere.»
«Avevi comunque più controllo di lui.»
«Questo perché mi sei venuta vicina.»
«Magari è così... ad ogni modo, temo che gli sia successo qualcosa» ragiono, aprendo gli occhi mentre rimango stretta al suo corpo per rivedere, con la vista della memoria, il viso afflitto del mio amico sconfitto. «Non appena avrà modo di riprendersi vorrei parlargli. Adesso non è il momento, è troppo arrabbiato e temo che non mi dirà niente.»
«D'accordo.»
«Inoltre, sto bene qui» commento con divertimento, stringendomi più forte a lui e assaporando il suo calore, oltreché il suo profumo.
Non riesco a coinvolgerlo nella mia allegria, però, tanto che torna a parlarmi con voce seria, cercando la mia attenzione.
«Amy... dicevo sul serio poco fa. Questo non riguarda nessuna vendetta. Mi piaci e basta.»
Rispondergli mi è praticamente impossibile perché ancora non sono in grado di fronteggiare la sua trasparenza. Felice, però, non è il solo termine per appagare lo stato emotivo a cui mi ha condotta con una semplice frase e spero di poterglielo descrivere, con più attenzione, in un prossimo futuro.
Gli permetto di prendermi la mano, quindi, dopo lunghi momenti in cui siamo rimasti abbracciati e stavolta è lui a fare strada. La conoscenza di questo secondario sentiero da parte sua mi sorprende e, rimendo pochi passi alle sue spalle, osservo con stupore la sicurezza della sua avanzata, senza riuscire a capire come fosse già a conoscenza della strada di ritorno.
P.O.V.
Francis
La testa mi scoppia. Vorrei urlare. Andare sotto l'acqua di questo lago e vomitare, a gran voce, tutti i demoni che mi si agitano in corpo.
Non posso. La vergogna mi assale. Ho appena ferito la mia migliore amica e, quello che c'è di peggio, è che ho appena dato ragione alle due persone che detesto di più al mondo.
In una sola giornata, Rais e Cedric mi hanno marchiato come un superbo, come un uomo che crede di conoscere tutto di tutti a causa della sua intelligenza ma non voglio. Non voglio esserlo.
Non voglio conoscere. Non voglio supporre.
Farlo provoca solo del male a me, a chi ho vicino. Porta un uomo a chiedersi se una persona a lui cara possa rimanere ferita da una vendetta estrema da parte di una famiglia ricca. A domandarsi come possa, una persona, vendere morte in pillole senza importarsene di niente.
Strappare i pensieri dalla mia testa farebbe menomale e giuro, giuro, che vorrei smettere di generarli.
Sollevo le mani, intrecciando le dita nei capelli e finisco per strattonarli, per poi scendere con le mani lungo il viso mentre cado a terra sui massi. Una goccia inadeguata d'inchiostro sulla neve, macchiata dal ritorno ondoso dell'acqua.
Sto sbagliando tutto quanto. Non avrei dovuto tirare in ballo Oliver o il passato di Cedric. Rimanere tra i ranghi è la sola speranza e autoregolarmi, di nuovo, verso un indice superiore di pazienza affinché la rabbia non mi esorti fino a uno stato mortale.
Come fare? Seguire i consigli di Attila è la scelta più difficile, non volendo entrare in sintonia con la mente di quell'assassino eppure è ciò che la polizia mi chiede di fare, sinceramente. Ciò che faccio da anni, e prima di adesso non ho mai interagito con figure tanto semplici o candide.
Sono un'ipocrita. Ecco tutto. Un bastardo, figlio di puttana che non vuole masticare di nuovo l'amaro sapore del proprio dolore.
Parlare con quello spacciatore significa morire sempre un poco, ogni minuto di più. Ingoiare piombo da tutte le parole che pronuncia con sfrontatezza e mi chiedo quanto potrei davvero resistere di fronte all'amarezza del suo carattere.
Come crede che potrei riuscirci, Carlail? Cosa gli ha fatto desumere che fossi la persona migliore per un simile incarico? Certo, mancavano di personale. E Attila è stato costretto a vestire panni troppo stretti rispetto ai suoi ruoli.
Certo, tutto questo. Ma è ancora troppo, non posso farcela.
Abbandonerò tutto, anche la vendetta in modo tale da tornare a respirare, ma prima ancora di questo devo ripercorrere la strada verso casa, confessare allo spacciatore che per il momento Oliver è fuori pericolo.
Sì, questo devo farlo ed è per questo che mi costringo a rialzarmi e ripercorrere il tragitto compiuto entrando, nonostante il crollo delle lacrime. Proprio come ho fatto per Gyasi, e fa male pensarlo.
Ma non importa, inghiotto il boccone amaro e torno per le strade del South Side, ripercorrendo la via vecchia e la strada in salita conducente fino alla nostra casa d'indagine.
Eccolo, questo fronte di edificio frammentato, interrotto nella propria dalla furia degli agenti atmosferici che gli hanno remato contro. Il vento ha decomposto diversi frammenti di intonaco e la pioggia li ha diluiti in un colore più chiaro.
Allo stesso modo, nel mio animo, qualcosa è stato distrutto ma ancora si regge in piedi.
Percorro le scale di corsa, chiudendomi in un colpo la porta alle spalle e arrivo fino al primo piano, al soggiorno che trovo vuoto e quindi alla sua stanza.
Anche la camera da letto non lo vede presente, e la casa risente di una strana forma di silenzio. Il cuore vola in tachicardia mentre i passi proseguono, tracciando il confine della casa.
Lo spacciatore non è da nessuna parte e questo posto ospita solo il mio più grande peccato, scritto a chiare lettere e impresso a fuoco nel mio petto, sul mio cuore: la presunzione, eccola qua.
Peccare di lei è come vivere mille vite senza averne assaporata una davvero, come illudersi che sia tutto nelle tue mani, sotto il tuo controllo, e trovare attorno a te solo enormi stanze vuote. Riflesso della tua incapacità e di una disgustosa arroganza.
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