16- Le conquiste di Attila sono le nuove sconfitte
P.O.V.
Francis
Poche cose destano la mia attenzione quanto una chiamata di Carlail nel bel mezzo della notte, mentre mi trovo steso sul divano di casa con Caleb a fianco e mio padre vicino che osserva, attento, la partita. Anzi, forse nessuna, ed è con la particolarità di questa eccezione che ho intrapreso la strada fino al commissariato.
Immaginavo si trattasse di qualcosa di importante ma mai, prima di adesso, ho visto il capo della polizia sfoggiare un simile aspetto.
Non vi sono presenti, sul suo viso, unicamente i retaggi di una stanchezza che sembra essersi protratta per giorni ma anche una forma lieve di agitazione, trasmissibile anche solo nel gesto dell'affondare le mani all'interno dei capelli e tirarne le ciocche. Quando rialza il volto, quello che riemerge altro non è che la supplica di una clemenza.
Fingo di non leggerla e mi mostro impassibile di fronte alla sua divisa, pronto a qualsiasi cosa sia in grado di dirmi.
«Siediti, Francis, dobbiamo parlare di una cosa importante» mi dice, aprendo il palmo nella direzione di una sedia all'apparenza scomoda, ricoperta di un nero tessuto scucito ai margini.
Eseguo tale consiglio e mi siedo, proprio di fronte a lui, in attesa di vedergli recuperare, a piene mani, qualsiasi derivato del coraggio.
«Non ti avrei mai chiamato a quest'ora tarda della notte se solo non fosse stato necessario. Sono già passate le due, quindi possiamo dire di essere già all'interno del giorno destinato.»
«Che succede, Carlail?»
La sua risposta avanza con la mostra di una cartella grigio chiara, riportante un cognome in stampatello che non mi è noto. Vado alla ricerca del suo contenuto e, aprendola, trovo ogni sorta di certificazione: atti giuridici, assegni, pagamenti, prestiti e denunce di furti. Inoltre, sono presenti persino delle foto.
«Quando sei venuto in centrale chiedendo di seguire i casi di droga ricorderai di non aver avuto, almeno non fin da subito, il mio più totale appoggio. Il motivo è semplice. Vedi, Francis, stiamo seguendo la pista di un riciclaggio da molto tempo, tanto da essere riusciti a infiltrare un uomo all'interno. Stanotte vorrei fartelo conoscere.»
Sollevo lievemente il capo per poter fissare la sua espressione, al di dietro di queste sovrascritte carte. Come ha detto, deve trattarsi di qualcosa di importante per spingerlo a chiamarmi qui a un simile orario dunque mi fido e annuisco lievemente, dandogli il consenso.
Chiudo la cartella, poi, nell'attimo in cui Carlail solleva una mano e, con un suo cenno, permette all'ospite di entrare.
Depongo la cartella sul tavolo e, con la coda dell'occhio, la prima cosa che colgo della figura è il colore nero della sua divisa con riportato, all'altezza del petto, l'acronimo sulla pettorina antiproiettile identificativa del reparto anti droga. La seconda, le due strisce di trecce nere al di sopra delle orecchie che si concludono in un codino corto e mosso.
«Buonasera, capo commissario» si rivolge a Carlail in modo formale, tenendo le mani unite dietro la schiena e le gambe divaricate, in una posa di perfetta stabilità.
Mi volto leggermente, quanto basta a giudicare la correttezza di ciò che avevo appena scorto e l'età che potrebbe dimostrare. Trent'anni o poco più.
«Buonasera a lei, signor McGuire, felici di averla di nuovo tra di noi.»
Più lo osservo e più noto che c'è qualcosa che non va in lui. Non è il tipico poliziotto impostato, in attesa di ordini. La sua figura non ne è che la conferma: le trecce nere, la pelle fin troppo abbronzata dal sole, gli abiti diversi dal blu di cui è dipinto il distretto e il suo cupo sguardo fisso. Prima d'ora non avevo mai visto una tale immobilità e non è solo concentrazione, è anche una forma di attenzione.
Le sue iridi si muovono verso di me lanciandomi una veloce occhiata, come a verificare chi io sia e se stia mantenendo il mio posto e lo faccio. Solo la mente corre veloce nel domandarsi perché mi trovi qui e quale sia il motivo per cui lo debba conoscere.
«McGuire, vorrei presentarti una persona che mi è molto cara. Lui è Francis Dowson. Francis, Samuel McGuire.»
Mi sollevo in piedi, al seguito di questa presentazione, e tendo la mano nella sua direzione. Siamo alti quasi allo stesso pari ma non potremo essere più diversi. La mia pelle chiara gioca a contrasto con la sua, i suoi occhi neri si battono contro i miei verdi e i suoi abiti da guerra, gli scarponi perfettamente allacciati, il giubbino, i pantaloni pieni di tasche e racchiusi nelle calzature ai piedi, la maglia a maniche lunghe sollevate si scontrano con la mancanza di controllo della mia figura, rivestita dal nero cappotto privo di forma.
La cosa che ci rende simili è unicamente la decisione nello stringerci, reciprocamente, la mano.
«Piacere.»
«Piacere mio» rispondo, lasciando quindi Carlail tornare a prendere la parola.
«Francis, Samuel è stato per lungo tempo un pezzo grosso all'interno della nostra sede concorrente. Ricordi, i rapporti avuti con il distretto di Tarance? Ad ogni modo, nonostante i fastidi che ci siamo reciprocamente donati, il dipartimento di Tarance ci ha offerto il servizio di questo agente, fornendoci un'ottima copertura. Ha diretto per anni, come capitano, le squadre di direzione investigativa antimafia e quelle d'assalto ma, come ti ho già rivelato poco fa, il suo ambito di lavoro ha subito una svolta drastica. Il suo compito è stato quello di infiltrarsi tra le varie organizzazioni presenti in zona e capire da dove provenisse l'enorme fonte di riciclaggio che stiamo monitorando. Ormai sono passati quattro anni e le informazioni che abbiamo ricevuto in più, oltre quelle riferite ai membri dell'organizzazione, riguardando proprio il traffico di droga.»
Ora, McGuire non ha solo la mia attenzione ma anche il mio più profondo e totale rispetto.
Volto di nuovo la testa verso di lui, dopo aver ascoltato le parole del mio secondo padre, e tento di carpire ogni informazione utile direttamente dalla fonte.
«Che cosa avete scoperto?»
Mio malgrado, non è l'agente a rispondermi. La gerarchia di potere deve essere rispettata, l'ha messo in chiaro persino entrando, ed è così che continua a prendere voce il solo rappresentante più esponente di questo gruppo.
«Il signor McGuire è riuscito a scalare i vertici ed arrivare ad essere uno degli acquirenti di questo importante mercato. Assieme ad altre due figure di spicco dell'organizzazione ha richiesto un carico importante di droga che verrà consegnato alle otto in punto di venerdì sera, attraverso la spedizione e l'arrivo di un vagone alla stazione dei treni.»
Venerdì sera... quest'oggi.
«Credevo che fosse chiusa da tempo» commento.
«E lo è, infatti, ma dove non arriva a riparazione lo stato ci arriva la mafia, per quanto in termini momentanei. La stazione è stata resa funzionale all'arrivo della carovana ed ogni cosa è sotto controllo, abbiamo la situazione in pugno.»
«Perché me lo stai raccontando, allora?» Chiedo, non essendo mai stato messo al corrente di un caso già risolto che non necessitasse del mio aiuto.
Carlail tace qualche istante per poi lanciare un'occhiata a Samuel, che ricambia. Mi domando se l'infiltrato in questione non sia già a conoscenza del mio ruolo all'interno di questa stanza.
«Vedi, Francis, a causa di pressioni dall'alto abbiamo dovuto velocizzare le cose e siamo stati imprecisi. La copertura di McGuire è saltata ed ora è uno degli agenti sotto nostra custodia ma, secondo la legge, può ancora prestare servizio in altri ambiti non di sua diretta competenza.»
«Quindi nessuna squadra d'assalto e nessuna azione strategica per incastrare le mafie» rifletto, notando appena un lieve guizzo all'angolo destro delle labbra del soldato. Potrei chiamarlo fastidio ma scompare presto. Che strano, avrei creduto che li addestrassero a diventare pezzi di ghiaccio. Un uomo del genere, che si lascia sfuggire certe smorfie, come è riuscito a sopravvivere sotto copertura per tutto questo tempo? Non vedo altro che contraddizioni in lui ed è il non riuscire subito a inquadrarlo a provocare il mio, di fastidio.
«Proprio così, dunque devo destinarlo ad altro, qualcosa di più semplice per lui ma comunque utile ed è qui che avviene il tuo coinvolgimento.»
Presto attenzione a simili parole, già valutando i rischi che il quadro completo della situazione mi ha donato.
«Che cosa devo fare?»
Carlail rimane ad osservarmi con attenzione, quasi stesse esitando nel compiere quell'ultima decisione che forse mi condannerà. Prima d'ora non era mai stato tanto reticente, e questa è una seconda e importante avvertenza per me capace di identificare, in un rosso acceso, il segnale di pericolo.
«Quando la carovana con il carico arriverà, noi entreremo in azione e cattureremo tutti i presenti, oltre a porre sotto sequestro la merce, ma ce ne è uno in particolare che vogliamo assicurarci di prendere. Il fornitore. L'uomo al quale McGuire si è rivolto. Desideriamo prenderlo, rinchiuderlo in una delle nostre case limitrofe alla ferrovia, farlo diventare un collaboratore di giustizia e convincerlo a parlare.»
C'è dell'altro, e lo sto aspettando con pazienza. Il soldato alle mie spalle non si è mosso di un passo così come l'uomo che ho di fronte agli occhi, immobile ma niente affatto calmo.
«Tu dovrai convincerlo a parlare. McGuire rimarrà a fare da guardia all'edificio per tutto il tempo che serve.»
Quindi è questo che siamo... un bodyguard e una specie di psicologo criminale. Non sarebbe sbagliato, vista la mia propensione a immedesimarmi nelle figure di questo calibro ma sono certo che anche McGuire abbia i suoi metodi. Il fastidio notato poco fa deve essere stato la dimostrazione del malessere che lo avvince, non potendo metterli in atto.
«Voglio che sia tu a occupartene, Francis. Prima d'ora ci hai aiutato in molti casi, hai una propensione nel capire le persone e riesci ad arrivare al tuo risultato senza alcuna forma di oppressione. È quello di cui abbiamo bisogno, che nessuno si faccia troppo male. Il ricercato in questione, secondo quanto McGuire ci ha riportato, remerebbe all'opposto se si sentisse troppo sotto stress o costretto. Abbiamo bisogno che anche tu impari a capirlo e lo convinca.»
«A rivelare che cosa?» Domando, senza punti di appoggio, senza niente di niente.
«Quale associazione criminale lo rifornisce. Per chi lavora.»
«Sappiamo per chi lavora» interviene McGuire in una specie di ringhio, attirando solo per un attimo la mia attenzione.
«Dobbiamo averne la conferma» ci riferisce il capitano, alterato da quella spazientita intromissione. «E, inoltre, dobbiamo ricevere nuove informazioni per poter agire. Quindi, Francis, farai tutto il possibile per scoprire di cosa è a conoscenza quel farabutto. McGuire ti farà da spalla, controllerà la casa e sarà reperibile h24 dal telefono non rintracciabile che ti affideremo. Se avrai domande evita di tornare in centrale e rivolgiti solo a lui, in modo che se pedinato il tuo ruolo non venga facilmente scoperto. Siamo intesi?»
Rivolgo un occhiata a McGuire, non potendo non recepire la tensione che sfrigola come corrente elettrica alle mie spalle. La situazione può divenire accettabile almeno per me. Di quest'uomo non so niente e la rabbia che lo riveste, avvolta dall'impazienza, è un connubio che mi agita nonostante l'invisibilità provata ad adottare.
Non è solo una guardia ma un capitano, un uomo infiltrato da tempo nelle organizzazioni che, ora, si trova a valere poco meno di niente. E che mi fissa con uno sguardo immutabile, pronto a mettere qualsiasi sorta di divieto tra me e ogni suo tipo di emozione.
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Rimanere a fissare un agente della polizia mentre scarica la pistola al fine di pulirla è come restare ad osservare un assassino, e la maestria che ha nel maneggiare l'arma del delitto.
Non mi sono mai piaciute le pistole, i coltelli o qualsiasi sorta di strumento dato in dotazione a queste divise. In qualche modo, con loro addosso sento di essere passato dalla parte del torto, di aver risposto alla violenza con altra violenza. Forse entrare a pieno titolo nella polizia non è il mio ruolo ma McGuire lo calza a pennello, tanto da sembrare nudo non appena si toglie il giubbotto anti proiettile facendoselo passare sopra la testa.
Tengo le braccia incrociate e la schiena contro una delle pareti di questa stanza, intento come sono nel cercare di capire il primo difficile ostacolo di questo mio percorso.
McGuire non è rilassato affatto, la sua schiena è tesa, i suoi nervi sono in allerta. Deve essersi reso conto di cosa sto facendo qui ma se davvero dovremo condividere un compito che, nella migliore delle ipotesi, richiederà intere settimane dovrà abituarsi alla mia presenza proprio come io mi abituerò alla sua.
«Devi avere frainteso il compito che ti ha affidato il capitano. Non è me che devi cercare di capire ma il fornitore» commenta acido, senza nemmeno guardarmi negli occhi e continuando a svestirsi. Il suo turno è finito e ora che gli spetta? Ha una casa a cui tornare o qualcos'altro?
«Cosa è stato a far saltare la tua copertura? Carlail ha parlato di una imprecisione... a cosa si riferiva?»
Come sono andato? Ho colpito, forse, un punto dolente?
Ritengo che sia difficile da capire: non solo Samuel non mi si rivolge impedendomi di interpretare il suo volto, come tanto sono bravo a fare, ma ha già imposto quella barriera che avevo intravisto tra me e lui, rendendomi fuori dai giochi.
«Niente che debba interessare un novizio. Fai bene il tuo compito così te ne puoi tornare dritto a casa.»
«Forse è il caso di iniziare ad essere più gentili l'un l'altro, non pensi? In fondo, ci aspettano importanti giornate.»
Nonostante il distacco che McGuire ha interposto tra noi, sono divertito dall'espressione che mi rivolge quando, finalmente, si volta verso di me vestito dei suoi abiti civili. Anonimi, per giunta. Entrando in questo spogliatoio già lo avevo visto con addosso questi pantaloni neri che porta ma ecco completata la visione con un maglione grigio e un panciotto senza maniche, con chiusura a zip, che si conclude poco più in basso della sua gola.
«Vorrei farti sapere, Francis Dowson, che quando io faccio un lavoro lo faccio molto bene. Non appena Carlail mi aveva parlato del tuo ruolo sono andato a riaprire i fascicoli dei casi che avevi archiviato, e sei stato bravo, lo ammetto, ma ho notato anche altro: lavori da solo, e anche io, quindi se fai le cose per bene e non commetti casini riusciremo a stare l'uno alla larga dell'altro.»
«Intesi» commento, divertito dalle sue parole e Samuel sorride svogliatamente.
«Bene.»
Dunque non è solo istintivo ma anche saturo di emozioni. Ci sarà da divertirsi.
McGuire si volta per afferrare il telefono che si era lasciato alle spalle. Lo accende tramite il tasto e rimanere per un attimo a fissare lo schermo privo di notifiche. La mancanza di messaggi deve averlo spazientito ma tenta di non lasciarmelo vedere quando mi torna di fronte, setacciandomi con gli occhi.
«Allora, pronto ad andare?»
«Fai strada.»
A quanto pare, Carlail mi ha convocato a quest'ora della notte per vedere se avrei acconsentito al mio ruolo e per farmi conoscere ogni dettaglio della procedura.
Dove tenteremo di catturare il sospettato, in quale casa lo dirigeremo, quali domande dovrei avanzare e quanto specifico devo provare ad essere.
Ormai sono le quattro di notte, tutte queste informazioni hanno dovuto avere un tempo per dispiegarsi da rubare alla luna poiché, con l'arrivo del giorno, le squadre procederanno al monitoraggio del carico fino al nuovo sopraggiungere della sera e Carlail non avrebbe potuto essere presente per farmi da guida introduttiva. Si è voluto prendere subito cura di me in un affetto che non mi è estraneo ma che passa come un favoritismo, agli occhi di alcune persone della centrale.
L'ho capito bene ma fingo di non interessarmene, avendo compiti più importanti che loro, da sottoposti, non sarebbero nemmeno in grado di svolgere.
Come camminare fianco a fianco a una figura tanto ostile quanto dalla tua parte, a due ore dal sopraggiungere dell'alba, per riuscire a stabilire con lui una sorta di tacito accordo e raggiungere la nuova casa dei nostri interrogatori.
Compito arduo già da questi primi passi che mi costringo a percorrere in silenzio, a fianco a questo personaggio alquanto strano.
Forse le trecce devono essere state un retaggio del suo ingresso alla mafia, quel personaggio che ancora non riesce ad abbandonare. Sarei curioso di vedere all'opera le sue capacità camaleontiche per notare l'esatto momento in cui uno come lui viene costretto a dimenticarsi della propria anima.
Taccio, ragionando su questo, mentre McGuire mi cammina a fianco e percorre queste strade come potrebbe fare solo un abitante del South Side. A differenza di molti altri poliziotti, infatti, lui sembra essere del luogo, abituato proprio come tutti noi alle sventure del giorno.
«La casa si trova proprio qua dietro. Dopo aver interrotto lo scambio, mi occuperò di farla raggiungere al fornitore. Tu ci seguirai e, una volta entrati, potrai partire con il tuo ruolo. Vedrò di non intervenire nei tuoi affari, quindi tu prova a non farlo nei miei: non dire mai il mio nome, lo spacciatore mi conosce con una falsa identità e così deve ancora essere.»
«Hai riferito a Carlail di non dover adottare alcuna forma di opposizione, perché farebbe da reagente contrario. Hai altro da dirmi su di lui?»
«Che cosa vuoi sapere?»
«Quello che credi possa essere utile.»
McGuire ragiona sulle mie parole, andando a stringere il giubbino imbottito nell'apertura ascellare, nella stessa posa assunta mentre indossava l'antiproiettile.
«È un tipo preciso, metodico.» Riflette, avanzando lo sguardo diretto in avanti, all'interno di questa cupa notte. «Ma, alle volte, mi è sembrato quasi disorientato. Viene sempre accompagnato da degli orfani di strada, bambini alquanto piccoli, ma cerca sempre di tenerli fuori dagli affari dunque sa essere misericordioso. Attorno a lui non ha nessun altro, quello che fa lo fa da solo anche se, certamente, viene guidato da qualcuno.»
«E tu sai chi sia» commento, ricordandomi il suo intervento di fronte a Carlail. McGuire svolta in una delle molteplici strade, continuando a proseguire per dritto.
«È il caso che non te lo riveli. Potrebbe contaminare il tuo interrogatorio e influenzare la persona a cui è rivolto. Limitati solo a fare a lui le domande e a ricevere le dovute risposte.»
«Tu non mi dirai niente.»
«Proprio così.»
Lascio cadere la mia richiesta di conoscenza, avendo ben capito quanto poco sia disposto a soddisfarla e lascio il silenzio tornare tra noi, pur avendo vita breve.
Il poliziotto si ferma di fronte a un edificio alquanto fatiscente e incastrato tra una schiera di altre case. Al centro della via, stazioniamo sull'asse di riflessione che riporta, nell'identico modo, i fronti degli edifici nel loro lato opposto, in una perdita completa di originalità o fantasia.
Poche differenze contraddistinguono un'unità dall'altra e possono essere le patologie di degrado sui fronti così come la lieve variazione cromatica della quale sono dipinte le facciate.
«Questa è la casa, starete qui» mi informa lui, dirigendo lo sguardo verso il quarto edificio presente prima del termine della via in pendenza.
«Quindi tu non entrerai?»
«Non dovrei interferire. L'interrogatorio è tuo, non mi compete. Solo in casi di emergenza sarò costretto ad entrare.»
Annuisco lievemente, comprendendo i limiti della nostra collaborazione e rimanendo a osservare la casa persino quando McGuire si allontana: ha un alzato di tre piani e sei sole finestre ad illuminare il fronte che affaccia sulla strada.
«Domani sera, alle sei e mezza, inizierà l'appostamento alla stazione. Fatti trovare pronto, noi della squadra saremo già lì» mi riferisce, allontanandosi nella notte e voltandomi le spalle.
******
La tensione di un simile momento è percepibile al di sotto delle divise in poliestere. In questi cuori che stanno battendo all'unisono in una sincronia paragonabile all'attesa di star per vivere una battaglia, al di dietro dello schermo dato dalla trincea.
I soldati al mio fianco non sono solo corpi speciali di polizia ma anime di combattenti quasi tristi di trovarsi di nuovo in quest'ennesimo problema. Molti di loro li conosco, i loro visi sono noti come i loro caratteri e la fiducia che rivolgono nella giustizia.
Liam, Abrham, Charles... sono tutti qui, al mio fianco e in attesa di qualche ordine dall'alto, ma è ancora troppo presto e da dietro le barricate vengono cantati inni di malcontento.
«Quanto tempo dovremo aspettare, ancora?» Si fa avanti come capo dell'agitazione popolare Charles, ostacolato poi da Liam.
«Stai calmo, Carlail non ha ancora dato l'ordine.»
«Starà aspettando il nostro "Attila".»
Deve per forza trattarsi di un soprannome e la cosa desta la mia curiosità. Mi rivolgo, con una tacita domanda che richiede le giuste spiegazioni, proprio a Abrham che le ha permesso di prendere vita. Lui ricambia la mia occhiata, controllando nel frattempo il caricatore della sua arma, e sorride divertito dalla mia sorpresa.
«Che c'è, novellino, non ne sai niente?»
«Chi è Attila?» Domando, ed è Charles a rispondermi.
«McGuire, probabilmente stiamo aspettando lui.»
Sorpreso, sollevo le sopracciglia non limitandomi nel domandare. «E perché lo chiamate proprio così?»
«Si tratta del suo nome di copertura, anche se non è la sola causa» se la ride uno di loro, lasciando proseguire un altro.
«Conosci la leggenda sulla morte del condottiero? Quella sull'attacco di Aquileia?»
Gente acculturata, non cresciuta nel South Side, che non manca mai di rivolgermi disprezzo per i metodi che utilizzo o per l'evidente distacco culturale che ci contraddistingue.
«No.»
«Al ragazzo non interessa», sopraggiunge una voce che fa arrestare ogni discussione, «continuate con l'appostamento.»
Rivolgo l'attenzione alla figura che è sopraggiunta tra noi, trovando di nuovo McGuire con abiti informali. Ha abbandonato la divisa ma non la propria pistola, evidente al di sotto del corto giubbotto.
«In verità, ero interessato» commento, certo di provocargli una reazione negativa ma mi sorprende con l'impassibilità. Deve essere concentrato sulla missione da compiere.
«Beh, non è niente che ti riguardi. Piuttosto vedi di seguirmi, Carlail chiede di te.»
Immaginando si tratti di una conferma a quanto mi è stato riferito agli albori della mattina, seguo Attila fino alla postazione dove Carlail si trova, affiancato da altre figure importanti all'interno del corpo di polizia. Avvistandomi, si scusa con loro in un congedo affrettato e mi viene incontro con una calma che il suo volto non manifesta.
McGuire è al mio fianco, poco distante da me, quando Carlail mi sorride e passa a rassegna le mie condizioni: uno sguardo stanco, sì, ma ancora motivato a farsi avanti.
«Allora, ragazzo mio, sei pronto per questo compito importante? Un passo in più verso la carriera di detective.»
«Lo sono, Carlail, non hai niente di cui preoccuparti.»
«Bene... bene. McGuire ti ha mostrato tutto? La casa? I punti di controllo attorno?»
«Lo ha fatto.»
«Ottimo. Allora procederemo come ti ho detto. Cattureremo i collaboratori e sequestreremo la merce, dopodiché McGuire catturerà il fornitore e insieme raggiungerete la casa. Prenditi tutto il tempo che ti serve per convincerlo a collaborare. Sappiamo che non sarà facile e che trascorreranno molti giorni, ma noi saremo qui, per qualsiasi cosa.»
«D'accordo.»
«D'accordo... bene, adesso tornate alla vostra postazione. Tra poco iniziamo.»
Agitato anche dalla sua stessa agitazione, Carlail si muove sul posto direzionando lo sguardo da una parte all'altra per poi soffermarsi, con un sorriso, agli importanti membri del team che si è lasciato alle spalle. Noto che mi stanno fissando con interesse e la cosa non mi sorprende: Carlail deve aver parlato loro di me come nuova recluta, altrimenti non mi sarebbe mai stato concesso il permesso di venire fin qui.
La cosa mi fa sentire a disagio e mi esorta a tornare indietro, scortato da Attila, fino alla nostra di postazione che avremo dovuto raggiungere subito dopo il suo arrivo qui. Dichiaratamente in ritardo, per giunta.
Faccio strada, dirigendomi al termine delle carrozze di uno dei vecchi treni e finendo per l'appostarmi lì, seguito da McGuire. Questi, mi squadra di sottecchi forse avendo notato, anche lui, la simpatia affabile di quell'importante gruppo di affari. Non voglio raccomandazioni, né farmi strada grazie a Carlail. Agire per il meglio, in questa nuova missione, può essere un biglietto da visita sufficiente a dimostrare la mia bravura e mi auguro, nel silenzio che ormai ha preso parte con abitudine tra di noi, di riuscire a farcela.
«Dimenticati di quello che stai pensando. Ho letto le tue cartelle, quello che hai fatto e ti ho già detto che sei capace. Lo dimostrerai anche a tutti gli altri» mi sorprende nel dire, senza mettere particolare interesse nel comunicarmelo.
«Stai cercando di essere di conforto?» Commento con sorpresa, ma abbastanza cinico del suo interesse.
«No. Ti sto dicendo di andare avanti e di fare quello che fai bene. Vedi di non farmi intervenire troppo spesso nei tuoi casini.»
Non commento niente, certo che non mi abbia ancora del tutto inquadrato e che nemmeno sia suo il compito di farlo. Ormai si avvicina l'ora assegnata, abbiamo altro a cui pensare e la cosa diventa evidente non appena il rumore di un treno in lontananza sopraggiunge sopra qualsiasi altro suono.
«Sono loro?» Domando, e McGuire annuisce.
«Resta dietro di me, qualsiasi cosa succeda. Scorterò entrambi fino alla casa e da lì ve la vedrete tra voi.»
Annuisco, confermandoglielo, per poi restare al suo pari a osservare il treno che si sta facendo più vicino. Il fischio della locomotiva entra nelle orecchie come un urlo acuto ed è accompagno dallo sbuffo rumoroso della carovana, nella rotazione delle ruote sui binari.
Il colore rosso scuro delle carrozze ci si presenta davanti nelle prime luci della notte come un mostro orripilante che sopraggiunge su un paese già devastato.
Non appena si ferma del tutto, sul posto non viene raggiunto alcun suono. Il silenzio è una coltre di fumo pesante che filtra nel nostro corpo rendendolo più gravoso del piombo ed immobile, nello schieramento di questo esercito giocattolo.
Siamo in attesa di un'azione, di un suono, ma sopraggiungono solo i passi di due figure, particolarmente eleganti, che si avvicinano al convoglio con la lentezza offerta solo dalla ricchezza.
Capisco che McGuire li conosce, e che ipoteticamente sono i due compratori che lo hanno affiancato nell'acquisto, non appena li segue con gli occhi e il suo sguardo tradisce una nuova emozione. Forse la rabbia o la conferma della nostra attesa: qualsiasi cosa significhi è la rassicurazione che, presto, dovremo agire.
Alle due figure rivestite di camoscio si affianca una terza figura, dal lato opposto, riparata da un cappuccio nero. Probabilmente il fornitore che, con le mani nelle tasche, si avvicina a loro con più convinzione ed inizia a parlare. A causa della distanza, i loro discorsi cadono nel vuoto non venendo recepiti ma devono essere legati a qualche forma di accordo: una valigetta viene mostrata alla figura incappucciata ed è il segnale che aspettavamo.
La polizia entra in azione l'attimo dopo e precipita sulla scena in una sequenza di pistole puntate.
I due uomini ricchi sollevano le mani, mostrando la resa dopo un iniziale momento di confusione ma il fornitore agisce per tempo e, in un attimo, fugge dal lato opposto della scena.
Vedo a malapena McGuire scattare che sono costretto, subito dopo, a corrergli dietro.
I vagoni vuoti dei treni abbandonati ci sfrecciano affianco in un cromatismo verde scuro, a malapena illuminato da quei pochi lampioni presenti. Attila fa strada, corre sicuro nella direzione che è certo l'uomo stia per percorrere e lo anticipa in un attimo.
A un passo da lui, noto l'istante in cui, svoltando l'angolo, Attila tende la mano ed afferra la figura per il collo, accostandola in un secondo a uno dei vagoni.
Si erge di fronte a lui con imponenza, senza un aritmia nel respiro e con una forma di divertimento che traspare subito dopo, nelle parole pronunciate.
«Ci troviamo di nuovo, Rais.»
Rais. Il nome si congela nella mia mente. Rais.
Non riesco a muovermi, né a crederci ma mentre sono bloccato nella mia postazione la mente corre veloce e ricollega i tasselli dell'intero puzzle. La vicinanza dello spacciatore ai bambini, l'importante carico e il riciclaggio ogni cosa... ed anche un'inquietante timore che mi spinge ad avanzare.
Non vedo niente della sua figura perché McGuire la copre completamente con le proprie spalle per cui sono costretto ad avanzare lentamente e chiedere al poliziotto, posandogli una mano sulla spalla, di farsi da parte.
McGuire ruota la testa verso di me senza capire ed esita dei lunghi attimi, tenendo la mano ancora stretta al corpo dell'individuo.
Quando lo lascia andare l'altro si pronuncia in un respiro rotto, a causa di quella stretta.
Attendo che il mio collaboratore si faccia da parte per poter essere di fronte all'uomo incappucciato che, privato di respiro, si trova leggermente piegato a tossire, nascondendomi il suo volto.
Non devo aspettare molto, però, prima che lo risollevi.
E trovo i suoi occhi. Il suo viso. La piccola collana con la catena al collo e il cerchio dell'orecchino.
Rais si mostra a me ancora una volta, collidendo con l'immagine dell'uomo che Oliver mi aveva presentato, nei suoi zigomi sporgenti, nella sua testa quasi del tutto rasata, e una rabbia mi pervade.
Dovrei agire con prudenza perché la violenza non è la soluzione, non con questo individuo, ma non riesco a trattenermi, a causa del pericoloso passato che ci unisce e della sua recente menzogna che ancora mi brucia nelle orecchie. Avevamo appuntamento per sabato ma, a quanto pare, l'ho anticipato.
Chiudo la mano in un pugno e la abbatto contro il suo viso, scontrandomi con il suo zigomo e osservando la sua testa voltarsi di scatto, colpita dalla mia furia.
Attila avrà messo a segno una nuova conquista, ma per quanto mi riguarda ho già perso in partenza.
Rais solleva una mano per pulirsi il naso dal sangue che vi è colato e ci scorre addosso gli occhi, al di sotto del suo cappuccio. Il disgusto mi assale e mi consente di parlargli con disprezzo.
«Ti saresti consegnato domani alle nove in punto, eh?» Commento con ironia, non potendo credere a quanto fossi stato un'idiota. Mi ero lasciato ingannare da un semplice giuramento fatto a nome di quello che consideravo essere un suo caro fratello, ma questo uomo non ha onore né alcun tipo di merito. Nemmeno ha esitato a mentirmi ed ora sembra essere il riflesso di ogni mia emozione.
«Lo consoci?» Mi domanda alle spalle McGuire, ed io sorrido, non potendo rispondere. No, non lo conosco affatto, ecco la verità.
«Lo avrei fatto» sussurra quindi lui, rispondendo alla mia domanda che ormai era già andata dispersa, sotterrata da ben altre questioni. Mi viene da ridere e sollevo le sopracciglia, sorpreso da quante falsità, ancora, sarebbe in grado di dirmi.
In ogni caso, se fosse la verità ecco che l'ho anticipato.
Vittoria per noi. La polizia ha il suo carico di droga ed io il mio assassino.
«Dobbiamo muoverci. Andiamo» mi esorta il poliziotto, non facendomi smuovere di un passo ma afferrando per un braccio Rais, di colpo spaesato.
«Dove mi portate?»
«Sarai nostro ospite, contento?» Chiede Attila, e Rais mi si rivolge. Storco la bocca, disgustato, al pensiero che se fosse stato per me non lo sarebbe affatto. Anzi, si troverebbe ben altrove di fronte al mio dissenso.
Forse inginocchiato di fronte alla tomba di Gyasi o, forse, dinanzi a tutti gli altri suoi peccati.
«Avanti, cammina.»
Uno strattone costringe Rais a muovere uno dei primi passi in direzione del nostro rifugio, ed il colpo costringe il cappuccio a cadergli fino alla spalle.
Trainato da McGuire, Rais mi precede rivelandomi la sua nuca spoglia, le ossa del collo che sorreggo la testa ed il cerchio di quegli orecchini che dondolano nel buio completo della notte.
Non pronuncio una sola parola ma seguo i loro passi con distacco, vedendoli camminare in abiti neri lungo la salita che ci condurrà fino alla meta, in questa notte troppo cupa.
La porta è già aperta, McGuire costringe con forza il prigioniero a salire le scale mentre io rimango per strada, trafitto dal freddo notturno. Ho bisogno ancora di quest'aria gelida per frenare le emozioni impervie che mi regnano dentro e che mi remano contro. Non posso permettere loro di vincere ed ho bisogno del vuoto mentale per poter agire come si deve in questa situazione fin troppo complessa.
McGuire discende le scale e mi arriva dinanzi con un respiro rotto dalla fatica di aver trascinato, con forza, l'altro fino al primo piano, ma nonostante l'apparente prova alla quale è stato sottoposto sembra essere chiaro che, ciò che sto per affrontare io, deve essere ben più grave e lui non può far niente per intervenire.
Le autorità non lo permetterebbero e lui sarebbe rimosso dal suo posto per sempre, in un congedo dall'avanposto di polizia solo per aver trasgredito ai propri incarichi.
«Se hai bisogno di qualcosa sai dove trovarmi. Il telefono te l'ho lasciato, e inoltre c'è anche quello pubblico in fondo alla via. Sai che numero comporre. Buona fortuna.»
Mi sono sempre preparato al risvolto peggiore di ogni situazione, in modo tale da farmi trovare preparato di fronte a qualcosa di migliore ma non avrei mai immaginato tutto questo.
Mai avrei pensato che vedere McGuire allontanarsi a testa bassa, limitato nelle proprie capacità, potesse destare in me la richiesta di non farlo andare via. Perché una volta da solo quello che vedo altro non è che questo edificio abbandonato che si è reso trasparente, nei propri muri, fino a rivelarmi la figura intrappolata dietro le pareti.
Passo entrambe le mani sul viso notando che tremano dalla furia, e tento di regolare il respiro. Chiudo gli occhi e impongo a qualsiasi cosa, dentro di me, di fermarsi a ragionare con lucidità. Di vedere l'altro come un semplice ostaggio e non un nemico, in modo tale da risolvere la questione in fretta.
Percorrere queste scale, però, non è mai stato più difficile. Chiudere la porta, raggiungere il primo piano nel più completo silenzio è l'urlo furioso del treno che mi si era arrestato di fronte. La richiesta disperata, del mio animo, di vomitare tutto quello che provo in questa stanza ma ogni cosa perde il proprio terreno contatto quando raggiungo il pianerottolo.
Spegno ogni emozione. Mi svuoto, completamente, rimanendo un unico guscio vuoto.
Privato della rabbia e dello spirito di vendetta, prometto a me stesso di continuare a farlo per sempre: di lasciare ogni sentimento sul portone di ingresso e di dimenticarmi di me stesso, entrando, ogni singolo giorno che sarà necessario.
Muovo un passo in direzione del salone con questo pensiero; l'aver perso ogni cosa ma riuscire ancora a rimanere intero.
Rais è piegato a terra, steso e ruotato con le mani contro il pavimento a causa, forse, di una spinta troppo forte. Si sta ancora pulendo il sangue dal naso, con il dorso della mano che si macchia di purpurei cerchi, quando nota la mia presenza ed il suo volto si solleva. Rimanendo sul pavimento, si rivolge a me con uno sguardo affilato, risentito della premura che gli è stata dimostrata ma non è niente che mi interessi.
Avrò bisogno solo di sue specifiche parole. Del resto non mi importa, ne mi importerà, niente e sono pronto a dimostrarglielo aprendo la bocca e facendo uscire una delle molte domande poste al fine di portare avanti l'interrogatorio, quando noto i suoi occhi illuminati dai lampioni per strada e quel problema che, di colpo, mi blocca.
Le pupille risultano ristrette tanto da essere quasi invisibili nel colore scuro dell'iride, nonostante venga rischiarato dalla dorata luce esterna e so bene che non è la provenienza di quel raggio luminoso la causa di una simile trazione.
Merda, è completamente fatto.
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