14- Lontani dalle paure
P.O.V.
Cedric
Ognuno dei quattro elementi del macrocosmo è presente vicino alle rive di questo torrente in una simbiosi perfetta. C'è l'aria, che impervia leggera come un vento caldo ad accarezzare ogni cosa, e c'è l'acqua, con il suo scorrere leggero. La terra sorregge i nostri passi, permettendoci di rimanere a fissare un paesaggio senza uguali che si estende per ettari, in un confine oro e verde indefinito, e ora... ora, c'è anche il fuoco.
Ruoto la testa verso Ercole, intento a marciare nella mia direzione. Sfoggia uno sguardo assorto, i suoi occhi risultano stretti nell'osservare i caratteri della territoriale proprietà ed è quasi come se, ogni particolare, scorresse sotto i suoi occhi come righe di poesia. Ercole ha uno sguardo disperso la maggior parte del tempo, quasi travagliato, ma focalizzato, comunque, su ogni cosa. Al mio fianco ho l'uomo più fidato e meno umano di questo posto, una specie di presenza che volteggia nei granai e nei pascoli di questo luogo in un silenzioso rispetto, tanto da renderlo irreale.
«Va tutto bene?» Gli domando, perché la sua attenzione si è soffermata su qualcosa in direzione dell'orizzonte. I dread copro parte del suo viso, concludendosi in delle punte all'altezza delle metà petto, e leggermente si muovono quando annuisce.
«Credevo di aver visto un'ombra ma credo di essermi sbagliato.»
Un tempo cacciavamo le lucciole, in notti torride d'estate nelle quali regnava la noia. Le catturavamo tra i palmi, solo qualche istante, per poi risospingerle verso il cielo e lasciarle libere. Ci divertiva, rendendoci simili: il figlio del proprietario di casa e il bambino che spazzava i pavimenti. Era bello essere alla pari, e con forza, nel tempo, siamo riusciti a diventarlo. Niente distingue me da Ercole, persino il carattere ha finito per subire delle costrette contaminazioni, ed è come possedere al proprio fianco la copia di sé stessi.
Ercole è la mia anima, e so che per lui vale lo stesso. È tutti i pensieri che non esprimo e che, vispi, decidono di rivelarsi in momenti sconvenienti, ferendoti sotto pelle come punture di insetti. Non potevo che non cercare con lui la causa di questo strano caso che ammalora la terra, inoltre è l'unico tra tutti che ancora guadagna il mio rispetto.
«Da dove iniziamo?»
«Forse dai campi di lavanda» ragiona, fissando quella macchia viola al termine della nostra visuale. «Ci troveremo in un altura sopraelevata. Se nasce un rogo potremo avvistarlo.»
«Credi che il piromane non si farà sfuggire l'occasione?»
Ercole sorride, iniziando a venire dietro a stentati passi che avanzo nella giusta direzione, in attesa di un suo pensiero.
«Sarà una giornata particolarmente ricca di vento. Se decide di non colpire oggi allora non so quando potrà.»
«Mh, allora speriamo che tutto questo vento ti porti via, spaventapasseri» dico con rancore, velocizzando i miei passi per potermi allontanare da lui quanto basta. Nonostante tutto, però, avverto da dei metri la sua ilarità.
«Sei arrabbiato con me?»
«Tu cosa ne pensi?»
«Si è proposta lei per prima, di venire.»
«Senza che tu la incoraggiassi?» Richiedo, certo che la questione fosse stata smossa da lui per primo. Scelgo il percorso migliore da affrontare lungo la discesa di questo breve sottobosco che ci condurrà dal lato opposto di quest'ettaro, fino ai campi di lavanda.
«Ha importanza? Vuoi sapere su chi far ricadere la colpa?»
Mi blocco solo un attimo, il tempo di piantare i piedi nel terreno e rivolgermi a lui con risolutezza.
«Tieni lontana Amy da questa storia, Ercole.»
Le sue sopracciglia si sollevano, vittime di un divertimento che non mi possiede. «"Amy"? Nemmeno "Amelie"?»
Non gli presto attenzione, riprendendo a camminare. «Un tempo era "la Reyens", cosa è cambiato?»
Come ho detto, le sue parole sono punture ma ormai so cosa fare per non rimanere contagiato dal suo ago.
La discesa del sottobosco termina in una distesa di foglie secche che sfrigolano, come bollicine di plastica sotto pressione, nell'incedere dei nostri passi, lasciandomi avvertire con più chiarezza la sua camminata diminuire di spigliatezza.
«Per caso quello che ho visto l'altra notte significa qualcosa?»
Il ricordo violento del profumo di lei mi giunge addosso. Amy, premuta tra il capannone del magazzino e il mio corpo, che sfugge debole alla mia bocca. Da labbra che, ora più che mai, si ricordano di lei per quel bacio donato sotto l'ombra di un gigantesco albero, dopo la discussione avuta con mia nonna, circondati da spighe di grano.
La gola mi si secca ed il cuore batte più lento, appesantito da una rievocazione che non può sostenere a lungo.
«Cedric...»
«Non è ancora niente» affermo, incerto in un controllo vocale che non possiedo.
Non la vedo da dei giorni e la cosa mi fa sentire ancora più strano.
Mi arresto per riuscire a fissare Ercole negli occhi e sancire una promessa che ho bisogno che mantenga, al fine di donarmi indietro la pace mentale.
Noto chiaramente la sorpresa, sul suo viso, a seguito del risvolto della nostra conversazione ma non è il momento, adesso, per questo. Ho bisogno che lui me lo prometta, che mi dica che...
«Amy rimarrà fuori da questa storia» sancisco, fissandolo dritto negli occhi e pregando che questi anni di amicizia siano serviti a permetterci di riporre fiducia l'uno nell'altro.
Ercole rimane immobile, incerto sul da farsi. Consociamo entrambi la testardaggine di Amy e l'averla messa al corrente di una parte di questa situazione non gioca a nostro favore, ma deve trovare un modo. Qua fuori è rischioso, ed io non voglio che le capiti niente.
«D'accordo, Cedric. Con lei non ne farò più parola.»
«Bene» affermo, facendo per riprendere a camminare quando la sua voce mi arresta in una richiesta.
«Però voglio sapere una cosa. Come l'hai convinta?» Domanda, facendomi raccogliere una dose informe di pazienza di fronte alla sua sfrontatezza. Sospiro e lui sorride, maligno. Alla faccia di chi lo ritiene una persona tanto calma. «Avanti, ormai saranno mesi...»
«Questi non sono affari che ti riguardano.»
«Lei lo sa?» Continua nel suo interrogatorio, mentre riprendo a camminare nella speranza di riuscire entrambi a concentrarsi su qualcosa di più importante.
«Di che cosa?»
«Beh, di tutto» commenta. Procedo verso il sentiero di canalizzazione tra i campi che ci permette di avanzare, a fianco alle spighe, con più facilità grazie al libero passaggio. «Almeno dell'ultima volta che sei andato a cercarla al lago. Avanti, che ti era preso?»
Di nuovo il volto di lei, che mi si manifesta di fronte. Nel pieno della notte l'avevo trovata con il volto solcato dalle lacrime e una paura informe mi aveva investito. La mente si era già prefigurata i peggiori scenari possibili, pur non avendo destinatari. Wood, Harper, chi era non importava. Amy stava piangendo per un motivo che non conoscevo, e parte del suo dolore sembravo averglielo inflitto io.
Quella notte era nato il nostro accordo, tutto da lì. Dalla mia paura e dalle sue lacrime. Erano state emozioni passeggere di fronte alla facilità delle nostre parole di esprimersi con estrema chiarezza.
«Non sono affari tuoi.»
«Pensavi che fosse successo qualcosa con il professore e ti sei precipitato a vedere dove fosse fuggita...»
«Ercole» minaccio, con un tono differente di voce, preso dall'impazienza.
«Va bene, d'accordo, la smetto. Ma sono felice, che lei abbia scelto te intendo. Wood non le faceva altro che male.»
La mia mente, che non vorrebbe affatto elaborare frasi simili, si trova costrette ad udirle da questo mio vivente riflesso che non si fa scrupolo di diventare, con il suo continuo parlare, il mio tormento. Lui vomita le parole e nemmeno si cura dei risultati che producono. Non voglio pensare a Wood. Non voglio pensare a Amy con lui e non voglio pensare alle sue lacrime.
Lui è qui per un motivo; farmi da spalla. E la cosa non riesce tanto bene se mi costringe a saltare presto al suo collo per zittirlo. Cerco la pazienza che mi serve, sollevando gli occhi verso il cielo e mi sembra di udirlo ridere, anche solo per un breve istante. Fortuna che almeno lui si diverte.
«Possiamo giocare in due a questo gioco» commento, affilando la mia lama nel modo più letale possibile. Impugnandola, è il mio il turno di sorridere e di voltarmi con compiacenza verso di lui, sfoggiando la mia certezza. «Trovata con facilità la casa di Lèa?»
Diventa di tutti i colori, che cos'è questo rossore? Rabbia? Piuttosto imbarazzo, ed è divertente che si manifesti persino con me.
«Mh, sì, nessun problema. Ho condotto Amy da Francis con facilità.»
Che stronzo. «Ma io non ti ho chiesto di Amy, ti ho chiesto di Lèa.»
«Lei stava bene. Di fronte a suo fratello adottivo, che è un armadio» commenta, ed io scoppio a ridere.
«Hai paura che ti colpisca, Oz?»
«Sono cresciuto facendo con te la lotta. È ovvio che tema i pugni di un vero uomo.»
«Ah, ecco.»
«Ad ogni modo non mi è sembrata felice...»
Un nuovo cambiamento di tono. La mia attenzione si affina, di fronte all'incertezza.
«Perché pensi questo?»
«L'ultima volta che le ho parlato mi aveva detto dell'acqua del pozzo che stava finendo. L'abbiamo usata nel corso di diversi incendi... credo che tema un nuovo fuoco incontrollabile.»
Il silenzio cala tra di noi e adesso affondare con i piedi su questa terra risulta più difficile.
Con la testa alta, osservo questo luogo del quale abbiamo parzialmente perduto il controllo, e che vedo come un qualcosa di vivo, mutevole, e in perenne cambiamento.
Questa terra ha una storia ed ora rigetta la sua rabbia in un crescendo di azioni criminose. C'è un risvolto negativo in ogni cosa, ed è giunto il tempo che la mia famiglia inizi a pagarne il prezzo.
«Troveremo cosa è stato, Ercole, non devi preoccuparti.»
Che sia una persona annoiata, un pazzo o la natura divenuta violenta gli porremo fine, in modo da non respirare più fumo ma aria pulita, in grado di rendere più limpide anche le nostre giornate. Lèa non dovrà più preoccuparsi di niente, così come non dovranno farlo i lavoratori la quale sicurezza dipende solo da me. Di altri non mi importa, Ercole è incluso in questo circolo. Una volta messi loro a riparo, del resto può rimanere anche un'immensa tabula rasa. La mia famiglia saprà rinascere, se vorrà, con ancora più forza.
Anche se qualcuno rimarrà sotterrato dalla polvere di questi fuochi...
Rivedo il volto sorridente di mia nonna in ogni inquadratura d'angolo, in ogni zona d'ombra o in un riflesso sfuggente. Questa, in fondo, è la fine che si paga per i propri errori.
Il condotto di canalizzazione termina alla pari delle coltivazioni, facendoci intraprendere di nuovo una strada tra i boschi dentro i quali, entrambi, scorgiamo una sagoma nota.
«Non è la casa di tuo nonno, quella?» Chiede Ercole, esternando la stessa supposizione che ho avuto nel vedere il tetto di quella piccola dimora a un solo piano e avente delle pietre, incastrate in addobbo nei fronti dei muri, di un grigio alternato con un marrone più chiaro.
«Sì... è lei.»
«Non la vedo da molto tempo. Siamo distanti da tutto, qui.»
Un minuscolo pensiero mi serpeggia nella testa e mi consente di avanzare in direzione dell'edificio, ovvero la consapevolezza della distanza tra questo posto e casa mia, tra questo posto e il resto del mondo.
Ercole mi segue senza concepire con chiarezza le mie intenzioni, ma la memoria si era dimenticata di questo luogo, nonostante lo cercasse da tempo.
Ricordo che l'ultima volta che venni fino a qui, da piccolo, fui strappato via da mia madre che mi riportò fino a casa, sotto l'inquisizione severa di mia nonna che osservava la scena. Mi cacciarono fuori dal mio nascondiglio alla stregua di un bambino capriccioso, viziato, che voleva rimanere dentro l'ultimo ricordo di suo nonno morto.
La mano di mia madre che mi stringeva con forza il braccio ed i miei piedi, nelle scarpette a strappo, che strusciavano contro terra, in un attrito che tentava di resisterle. Questo mi ricordo. Il portone di casa non era stato nemmeno accostato, quella volta, ma adesso è chiuso di fronte al mio sguardo.
«Cedric...»
«Solo un attimo. Voglio vedere come è dentro» sussurro in mia difesa, di fronte alla richiesta del mio amico di andarcene. Mi chino fino a terra, sollevando il tappetino posto all'ingresso e afferro la chiave, ruotandola al di sotto del pomello per tre cerchi infiniti.
Quando l'ingresso lievemente si apre lo fa in uno stridio acuto, vittima della solitudine degli anni. Allungo la mano, entrando, in direzione dell'interruttore della luce e non mi sorprendo, cliccandolo, che la corrente non sia presente.
Sono passati troppi anni e, come tutto il resto delle cose che gli apparteneva, anche questa casa è stata dimenticata.
Grazie alla luce del giorno presente alle mie spalle, però, riesco a vedere di nuovo il camino, le due poltrone rosse che vi erano presenti e qualche grande oggetto, ancora, di arredo. Le finestre sono rimaste bloccate dalle assi di legno, vincolate da dei chiodi, e di fronte a me noto che è accaduto lo stesso anche per la grande vetrata che affiancava il corridoio, conducente alle camere.
«È come te lo ricordavi?» Domanda Ercole dietro di me, mantenendo la distanza che mi occorrerebbe per voltarmi, in un attimo, e andare via.
«Non riconosco quasi niente... è completamente spoglio.»
Giocavo sul pavimento, di fronte al fuoco, e sotto le mie gambe c'era un tappeto rosso scuro particolarmente morbido che usavo come pista da corsa per tutte le mie macchinine. Nonno mi fissava sorridente, dalla sua poltrona rossa di destra.
«Sei un Garcia, Cedric. Questo posto è tuo almeno quanto loro» sento la sua voce dire, ed è ciò che mi occorreva sentire.
«Tornerò. Per il momento abbiamo altro da fare» commento, girandomi indietro veloce, al fine di non ricredermi, e quando richiudo la porta noto una foto abbandonata sopra un comodino, che lo ritrae. È insieme a me, siamo seduti abbracciati fuori da questa casa, sui gradini rivolti verso i campi di olivo. La sua espressione mostra la felicità di quel momento, di cui la mia è il riflesso.
A presto, nonno.
Richiudo la porta e lascio tornare la chiave nella mia tasca, nel posto dove doveva essere. Un'unica copia.
«Avevi detto i campi di lavanda?» Chiedo a Ercole, al fine di ripristinare le fila del nostro compito e lui annuisce, lento. «Allora andiamo.»
Non ho idea di cosa sia possibile trovare, una volta arrivati all'altura, ma è tempo di mettervi fine.
La sera durante la quale io e Amy avevamo litigato, dentro il magazzino con Ercole presente, ricordo di essere rimasto ad osservare la ritirata di lei per poi cadere in un profondo silenzio che Ercole, per lunghi attimi, non aveva interrotto. Dopo di che avevo richiesto le giuste spiegazioni, interrogando il mio amico su quanto sapesse e scoprendo che, in realtà, non era molto di più rispetto a quanto detto. Ci trovavamo in un mare aperto di supposizioni, così come adesso, ed è difficile anticipare le conseguenze di qualcosa che non puoi prevedere.
Quando l'odore di lavanda ci raggiunge, chiudo gli occhi e spero che non sia presente alcuna nuvola di fumo. Che ogni cosa si sia autodistrutta e che, come era arrivata, se ne fosse già andata, lasciandoci in pace.
Li riapro con lo stesso desiderio, e di fronte a me trovo una distesa di oro e porpora.
Nessuna nube, ma nell'aria una minaccia latente.
Con calma, mi accomodo a terra, esortando Ercole a fare lo stesso e a portare pazienza.
Questa volta sarà più difficile catturare le nostre lucciole.
******
Le antiche chiavi della casa di mio nonno passano tra le mie dita in una rotazione continua. La stessa che ha compiuto il sole, scomparendo dietro le nubi del tramonto. Tra poco giungerà la notte ed un'idea, fissa, si sta generando nella mia mente mentre il vento continua a spingere su di noi, quasi a costringerci ad alzarci dalla nostra postazione.
«Continuerà in questo modo tutta la notte?» Chiedo ad Ercole, continuando ad osservare le chiavi di casa e preservando in un angolo della testa tutti i propositi che ho accumulato durante queste ore di attesa.
«Sì, il vento non si calmerà» afferma, stringendosi nel suo giubbotto corto e affatto resistente. L'ho visto delle volte tremare, ma so già che non ne farà parola.
«Credo di avere capito una cosa» confesso, bloccando la rotazione delle chiavi e fissando il mio amico dritto negli occhi. Il naso e le orecchie gli si sono arrossati dal freddo ma nonostante la testardaggine che ha dimostrato, nel voler restare, capisco che anche nella sua mente si sia generato lo stesso pensiero. Me ne offre la conferma poco dopo, tramite l'affermazione che avrei voluto esternare io.
«Restare qui è inutile.»
Annuisco, confermando la sua sentenza. «Non sono piromani, Ercole. Non vogliono che la nostra terra bruci. È qualcosa di peggio, qualcosa di mirato.»
«Ed è contro i Garcia.»
Abbasso la testa, per poter tornare a vedere nel riflesso di questa chiave il volto dell'uomo che aveva preservato in purezza lo stesso cognome che adesso si sporca di fuliggine.
Avrei dovuto immaginare una cosa simile ma ho voluto comunque aspettare, in un'incoscienza che era speranza per il lavoro corretto svolto, all'apparenza, dai miei genitori.
«Torno alla casa, Ercole. Consiglio anche a te di rientrare, ci proveremo un altro giorno» affermo, sollevandomi in piedi e andandomene, in modo da fuggire all'eviscerazione di un problema che non voglio affrontare.
«Cedric» mi richiama lui, per consentirci un ultimo scambio di parole. «Sono qui, per qualsiasi cosa» afferma, lasciandomi intravedere nel suo sguardo la stessa limpidezza posseduta da bambino.
Ercole è l'unica colonna, di questo posto, che non oscilla e ti permette di trovare riparo, un'amicizia che è sana e che lascia in sé dei vuoti grazie ai quali posso tornare a respirare.
«Lo so» dico, appena, per rassicurarlo di questa mia unica certezza. Dopo di che me ne vado, ripercorrendo la strada verso il casolare. La testa china, le chiavi tra le mani.
Vorrei dire un milione di cose a questo riflesso di mio nonno, promettere a lui direttamente che risolverò la situazione perché è solo grazie al suo ricordo che sono ancora vincolato a questo posto. Ancora grazie a lui se sto lottando per qualcosa che, priva dei suoi consigli, non varrebbe niente.
La proprietà Garcia non è niente, senza di lui.
Ed in lui torno a rifugiarmi una volta ancora, raggiunta la casa. C'è buio, adesso, a causa dell'oscurità dell'esterno ma entro lo stesso, rendendomene parte. Siedo di fronte al camino, nel posto che aveva ospitato la mia infanzia e resto in silenzio, abbracciandomi il corpo.
Alle spalle ho due poltrone vuote, la solitudine di un luogo che ancora possiede un anima ma che ha perduto per sempre la voce. In qualche modo, riesce comunque a consolarmi.
Passo una mano lungo il viso, tirando via dalla fronte tutti i pensieri e lasciandoli scorrere, come acqua, per poi farli andare via. Nel gesto, la testa si sposta quanto basta a notare le assi in legno che intrappolano le finestre.
Non occorre niente, se non la giusta pressione data dal bastone di una scopa, per far cedere quel legno reso umido dal tempo. I raggi lunari filtrano all'interno della casa e la rischiarano, rendendo parte il boschivo esterno con l'interno.
Altro non manca che avvicinarmi di nuovo verso la fotografia di mio nonno e prenderla tra le mani.
Finalmente possessore di quel ritratto in bianco e nero, riesco a scorgere con precisione la nostra posa. Le sue braccia a stringermi ed il mio corpo sulle sue gambe. Devo essermi sentito completamente al sicuro, lontano dalle paure, come dimostra anche la mia faccia sorridente e ancora ignara di tutto il male che la mia famiglia è in grado di generale. Ma lui no, mio nonno è al sicuro, proprio come me, nel calore di un ricordo d'affetto che circonda chi, disgustato, si è allontanato dall'errore per tempo.
Qualcuno vuole colpirci, provocare dolore ai Garcia ferendo l'innocente terra che da anni possiedono, ma non sanno che non serve a niente. Per me, per mio nonno, la terra non è mai stata che una distesa di grano e polvere, un posto vivo ma distante da ogni tipo di affetto se non abitato.
Quello che rende il nostro posto "oro", come afferma Ercole, sono le persone, i lavoratori, Ercole stesso, le persone che la amano. Altrimenti non è niente, e può bruciare nei suoi sbagli. Può bruciare come chi le ha fatto del male. Io e mio nonno siamo al sicuro, stretti in un abbraccio.
Mi risiedo a terra, con quella fotografia accostata al petto, rivedendo il suo sorriso stanco.
Siamo protetti, entrambi, dal pauroso amore che può avere solo chi è davvero innamorato e non brama il possesso, chi lascia libero, chi desidera non avere il controllo.
La nostra terra è oro, ma io e mio nonno non abbiamo mai avuto il desiderio di rubarlo.
Quattro giorni dopo
P.O.V.
Amy
Oggi non sarà un giorno come gli altri. Regalargli la diversità è stato il primo pensiero che ho avuto alzandomi, nel decidere di non andare a scuola e di cercare, piuttosto, la cura per questa mia agitazione.
Non vedo Cedric da giorni ed ho bisogno di parlargli, discutere con lui di qualcosa che sento essere importante e che ci riguarda. Nonostante le ore trascorse non riesco a dimenticarmi di quell'ultimo bacio che mi ha lasciato, delle sue parole, della sua certezza. Mi aveva detto che non ne avremo fatto parola ad altri e che questa storia avrebbe riguardato solo noi ma non riesco a trovarlo e so che Ercole è il suo amico più caro.
Tra le persone risultate scomparse vi è anche il mio migliore amico che non vedo da tempo, e che non so dove sia finito. Mi aveva parlato della centrale, di Carlail, di voler entrare in polizia. Dopo di che non aveva lasciato più alcuna traccia, scomparendo tra la polvere del South Side, allontanandosi da me in un attimo.
Per questo, il primo incarico di questa mattina mi vede impegnata a fissare questa porta in legno scuro, da dei lunghi minuti. L'indecisione mi ha braccata in un attimo, come ero certa già che si trovasse a fare.
Sollevo la mano chiusa in un pugno e busso, con lentezza.
Il tempo di recuperare un respiro prima di notare che è stato Caleb ad aprirmi la porta.
«Che cosa ci fai qui? Non sei a scuola?» Domando di colpo, presa alla sprovvista dal trovarmelo davanti.
«E tu? Perché non ci sei?»
Mi risponde sempre per le rime, niente da ridire, ma c'è una piccola differenza contro la quale tutti i bambini si devono scontrare, almeno una volta nella vita; l'autorità che concede la maggiore età.
Notando il mio sopracciglio sollevato, Caleb sospira, e passa una delle sue piccole mani tra i capelli, sconvolgendoli come gli vedo fare molto spesso. Al di sotto di quelle ciocche, gli occhi verdi di Francis mi fissano di rimando, pronti a colpire.
«Sono malato.»
«Non mi sembri malato.»
«Beh, Megan lo è.»
Megan. Ragiono sulla provenienza di quel nome e a un tratto ricordo. Di conseguenza, ruoto la testa in direzione della porta della sua piccola vicina.
«Beh, il fatto che lei sia a casa non vuol dire che debba esserci anche tu.»
«E invece devo! È mia amica, la aiuto. La mamma non c'è.»
Sì, qui nel South Side si cresce troppo in fretta, persino per avere dei rimpianti.
Prendo un profondo respiro e decido di parlare con l'unico membro della famiglia Dowson che è presente.
«Sto cercando Francis.»
«Non so dove sia.»
«È tornato a casa?»
«Qualche volta, due notti fa.»
«E non ti ha detto dove andava?»
«No.»
Molto bene, dovrò risolvermela da sola a quanto pare. Confido solo in un ultimo, piccolo, aiuto da parte di questo giovane membro della comunità.
«Se passa puoi dirgli di raggiungermi?»
«Dove?»
«Lui lo sa, dove.»
Non rivelare a quel piccoletto il nostro luogo segreto è un divertimento che, ormai, siamo soliti io e Francis non farci mancare mai. Ci aiuta a non farci trovare nei momenti in cui vogliamo rimanere da soli, così come a darci sempre un motivo per punzecchiarlo.
«D'accordo.... Glielo dico» si rende disponibile il piccoletto, pronunciandosi in un profondo sospiro. Gli lancio un occhiolino, divertita dalla sua stanchezza.
«Ti ringrazio tanto.»
Caleb chiude di nuovo la porta ed io torno ad essere da sola, con il secondo problema di questa giornata.
Devo trovare Ercole.
Per farlo inizio a mettermi in cammino, passeggiando lungo le strade della mia città domandandomi costantemente se sia normale che una figlia abbia tanti segreti con sua madre.
In fondo, la mia non è stata resa partecipe della storia con Wood, perché il fatto che sia sposato mi faceva vergognare troppo dei miei sbagli. Non conosce niente dei miei sogni di indipendenza, di fuga dalla realtà attraverso lo studio. Non sa niente di quanto, nel corso degli anni, questi siano diventati massi sempre più pesanti da portare, non volendo avere nessuno con cui condividerli. Francis ne è a conoscenza, ma ha già i suoi problemi, ed inoltre si trova ad offrirmi sempre dei consigli che so essere giusti ma difficili da mettere in atto.
Quello che desidero, mi rendo conto incedendo, non è altro che una via di fuga, da questa realtà che ormai mi aveva strangolata in una continua asfissia, e l'ho trovata... l'ho trovata in un paio di occhi ambrati in grado di volermi donare, all'apparenza, una forma di pace che non mi sarei mai augurata.
Recupero, con maggiore forza, la presa attorno ai manici della mia borsa che, nel procedere, urta contro il mio fianco dando anche un ritmo ai pensieri.
Cedric era apparso di fronte a me di colpo, nonostante avessimo condiviso la stessa stanza per anni, e si era rivelato come non aveva fatto mai. Da dove era uscito, così, d'un tratto? Prima d'ora mi ero soffermata su di lui solo per alcuni momenti, solo per vedere la faccia stanca con cui osservava Francis. Nient'altro... ed ora uno strano sentimento, dentro di me, si agita irrequieto. L'insicurezza, che non tutti sanno che indosso, si domanda se sia davvero il caso di affidarsi così, lasciandosi andare. Quanto potrò realmente confidare a Cedric, e che cosa sarà? La sua sicurezza mi destabilizza. La sua mancanza, adesso, mi lascia in uno stato di agitatezza.
Non so combattere contro questi nuovi sentimenti, vedendoli svettare in prima fila su tutti gli altri, forse per la prima volta nella mia vita. La loro corsa al podio mi fa capire quanto poco, in questi anni, mi sia occupata di me stessa ed è con questa nuova consapevolezza che sono spinta, sempre di più, a farmi avanti verso qualcosa che desidero.
Ercole saprà dirmi come raggiungerlo.
La schiena del mio amico è piegata come lo stelo di un girasole, saturo di sole. Noto la stanchezza nelle sue gesta non appena solleva uno degli attrezzi più in alto nel cielo, solo per farlo precipitare di colpo contro terra. L'azione è meccanica, si nota quanto spesso si sia trovato a ripeterla dalla professionalità con cui colpisce, perfetto, il medesimo punto quasi fosse un tiro al bersaglio e vorrei tanto essere riposo per lui, tranquillità. Nella realtà, però, riuscirò a donargli solo alcuni minuti per recuperare il respiro, poi il sole tornerà a colpire contro la sua nuca e quella ripetizione infinita di mosse riprenderà il suo ciclo.
Accarezzo, leggera, le spighe alte di questo grano, sfiorandone l'estremità per ricevere in cambio una carezza, nel farmi sempre più vicina al mio amico. Recuperata una pala, lo vedo iniziare a scavare, ma mentre sono vicina noto il suo fiato che si spezza dalla fatica ed il suo mento appoggiarsi all'estremità dello strumento, non appena viene piantato nella nuda terra.
Ercole sta fissando qualcosa in lontananza, e quel qualcosa attira il suo sguardo come una calamita donandogli immobilità. Seguo quella tratta, risalendo fino all'origine di quel polo attrattivo e mi rendo conto che altri non è che la figura di Lèa, vicina a un camion di carico.
Il sorriso di Cedric appare di nuovo di fronte a me ad un tratto, ed anche io mi perdo dentro quella visione, ricollegando i pezzi l'uno con l'altro.
Anche Lèa, proprio come me dentro quella stanza scolastica, non si rende conto di niente? Ercole la sta fissando e non dice una parola, non lascia trapelare un sospiro, non rivela niente. I suoi occhi blu la osservano nell'unico modo con cui l'amore può fissare: con dedizione e la pazienza di chi, arreso, altro non può fare che aspettare.
Lèa lavora al di sotto del nostro stesso sole, instancabile, combattiva come si è sempre mostrata di essere. Ricordo il suo arrivo in questa industria agricola: si era trasferita da poco con suo fratello, immigrati verso un luogo che sa accogliere ma non accudire, e non si è lasciata mettere i piedi in testa. Da sola, ma con la forza di mille persone alle spalle.
Vorrei essere come lei, decisa nelle scelte, combattiva in ogni idea ma ho tutt'altro carattere, e non sempre sono così agguerrita.
Lèa svolge la propria guerra da sola. Io, invece, ho bisogno del supporto di una mano amica.
Tendo la mano destra, distesa, in avanti fino a posarla lieve sulla spalla di Ercole, alla stregua del contatto che avevo con le spighe di grano, e la delicatezza del mio tocco gli permette di ruotare lento la testa verso di me.
L'angolo destro del suo labbro superiore si innalza in un accennato sorriso che manifesta di avermi riconosciuta attraverso il silenzio e di essere concentrato solo su di me ora.
Lèa rientra dentro il magazzino, e scompare all'orizzonte come una nube.
«Ciao...» mormoro, incerta persino nella mia voce, ed è la gentilezza nei modi di Ercole a rassicurarmi sempre di più.
«Ciao.»
«Come stai?»
«Va tutto bene, tu come stai?»
«Sono un po' agitata... non vedo Cedric da giorni, sai dove può trovarsi?»
Con ancora il mento appoggiato alla pala, e le mani a stringere il bastone lungo il busto in legno, Ercole si concentra sulla domanda che ho fatto, affinando gli occhi in direzione del sole.
«Tempo fa abbiamo riscoperto la casa di suo nonno, credo che si sia rifugiato lì.»
«Come la trovo?»
«Non ci crederai mai...» Con un sospiro, Ercole torna dritto allontanando la pala da sé e fissandomi negli occhi con risolutezza. «Ricordi quando da piccola, correndo nel bosco al margine della proprietà, ti imbattesti in quell'albero secolare? Immagino una quercia, che svettava tra tutti i pini presenti intorno. Ci passavi i pomeriggi, sotto la sua chioma...»
«La ricordo» mormoro, presa dalla dolcezza di quegli anni passati, ed Ercole mi fissa, nell'attesa che capisca.
«La casa si trova proprio lì.»
Osservo dentro lo sguardo di Ercole, perdendomi nell'immobilità cobalto dei suoi occhi, e mi smarrivo all'interno di parole che non sono ancora pronta a sentire.
Cedric... c'era sempre stato. Per quanto involontariamente, al margine di ogni ricordo. Ed ora è da solo nello stesso luogo che usavo come rifugio e che è rimasto intrappolato nella memoria del tempo.
So come arrivarci ed è come camminare dentro un quadro, il rivivere il ricordo. Ripercorrere la strada che mi riporta ai miei giochi di bambina.
«Avanti, Amy... vai.»
Con questo ultimo incoraggiamento, niente mi ferma più ed è così che torno libera nel camminare lungo questi campi fino a perdermi, e ricercare il mio rifugio.
Rammento di aver visto di sfuggita quell'abitazione poche volte. Ne ricordo la materia, quelle pietre scure e grandi di cui era composto l'esterno dell'intera casa, e poi ricordo il tetto. Un tetto marrone scuro, molto antico, fatto di legno.
Ogni cosa, nella magia dell'infanzia, nel suo contesto aveva un aspetto magico, quasi irreale.
La mia casa delle fiabe, però, aveva una storia ed una famiglia, una proprietà, ed è la sua... sua come non mai, appartenendo al patriarca e all'ideatore di questa fonte di denaro che ha reso il South Side un prodotto all'interno del mercato.
Mai avrei immaginato che avesse un tale valore, o che molti anni dopo mi sarei trovata a calpestare ancora la pluri cromatica distesa di foglie presente all'interno di questo bosco. Ed ora eccomi qui, con nuovi abiti, una nuova età, nuovi problemi ma la stessa emozionante fibrillazione di un tempo nello spostare i rami che intralcino la mia strada, mettendoli da parte come tende di un enorme sipario.
Avvicinarmi alla meta non aumenta che il battito del mio cuore, annullando il peso dei massi sulla mia schiena. Serve così poco? La sensazione è pura liberazione, e si eguaglia al tornare a respirare aria pulita, la stessa che mi era stata sottratta.
In questo distesa infinita di verde recupero la mia anima, così come la gentilezza di un tempo.
Rimango immobile non appena la quercia fa da cornice ad un angolo della scena ed il piccolo casolare mi si rivela davanti, in un aspetto di perfetta conservazione nei riguardi dei miei ricordi. Ogni piccolo dettaglio è al proprio posto, così come ogni pietra e imperfezione. Tutto è rimasto uguale a eccezione di un piccolo particolare: Cedric è seduto a terra, di fronte all'ingresso e riparato dalla tettoia, con le ginocchia sollevate ed il volto piegato dinanzi.
Non mi ha sentita arrivare e nel mio mutismo posso beneficiare della fortuna data dalla mia postazione; posso fissare il suo dolore senza che lui se ne accorga, senza che sorrida distraendomi o lasci uscire qualche frase provocatrice della mia rabbia involontaria. Lo vedo, quel sentimento è lì, a tormentarlo.
Le spalle di Cedric sono ricurve, inclini a racchiuderlo in un abbraccio come fanno le braccia,strette attorno al suo corpo. Non è il freddo, dato dal suo solito giubbotto in jeans non indossato, ma è qualcosa di più intenso, che si getta contro di me senza che sia Cedric a volerlo.
Ricevere quell'emozione addosso toglie parte della felicità che mi aveva raggiunta, e che ora appare quasi ingiusta da indossare.
Non la voglio... non la voglio più quando lui sta così.
Traumatizza il cuore notare che, nonostante la mia presenza si faccia sempre più evidente, i suoi pensieri lo esortino a non notarla, nello stesso auto isolamento che è stato in grado di tenerlo in vita.
Mi inginocchio di fronte a lui senza pensare. Poso una mano sul suo braccio e aspetto. Aspetto che sia pronto a condividere questo momento con me, e lo fa.
La sua testa si solleva e la mia mano la segue, fino a posarsi sulla sua guancia fredda. Cedric chiude gli occhi, inclinando il capo alla ricerca del mio contatto, e quando li riapre mi trova ancora, in attesa della sua voce che viene preceduta da un mezzo sorriso.
«Sei qui...»
Non posso fare a meno di evitare di sorridergli, prima di rispondergli. «Ciao...»
«Ciao...»
«Che cosa ci fai qui fuori? Sei freddo come il ghiaccio.»
Che abbia passato la notte, così?
Lascio correre gli occhi lungo tutto il suo viso, movimentando anche l'altra mano affinché possa spostargli una ciocca di capelli caduta sugli occhi. La sua la afferra prima ancora che possa giungere a destinazione e finisce per intrecciarsi a lei, trattenendola. Anche l'altra, poi, passa sotto i suoi comandi e viene spostata fino alle sue labbra che rilasciano, sul palmo, un lento bacio.
Quel contatto corre veloce, rimbalzando in ogni parte del mio corpo e trasmettendomi una scarica. Rimango vittima anche del suo sospiro, emesso contro la mia pelle, e dei suoi occhi quando si sollevano alla ricerca dei miei.
«In verità stavo per venire da te ma mi sono fermato a pensare.»
«A che cosa?»
Mi sorride in un modo dolce, che gli illumina anche gli occhi. «Facciamo che te lo racconto in un altro momento? Credo che sia arrivato il tempo di entrare.»
La sorpresa mi scombussola i sensi, quasi alla pari di quel bacio ricevuto. «Vuoi che entri anche io, qua dentro?»
Una breve risata accompagna la sua risposta, e anticipa un altro piccolo bacio all'interno della mia mano.
«Puoi giurarci. Ho messo tutto in ordine in previsione del tuo arrivo.»
Governata dal presentimento di una sensazione, che ho avuto il tempo di indossare giusto per un attimo prima che mi baciasse, sono io stavolta ad afferrargli le mani. Con lentezza e tutta la delicatezza possibile, rivolgo entrambi i suoi palmi verso l'alto rivelando i calli, percepiti appena mi aveva toccata, e piccole escoriazioni che, però, sono rosse nel manifestare la loro, recente, nascita.
«Le finestre avevano delle assi inchiodate a proteggere i vetri. Tutto qui, le ho tolte. Non mi fa male» mi rassicura, mentre rimango a fissare quelle mani martoriate.
Non gli farà male ma il gesto lo ha compiuto, per portare ad una nuova vita questo posto e farmi venire qui.
«Cedric...»
«L'ultima volta che io e te abbiamo parlato ci siamo detti che quello che ci sarà tra di noi sarà una cosa solo nostra. Te lo ricordi? Quindi ci serviva un posto nel quale stare un po' da soli. Niente strade del South Side e niente aspetto scolastico, non volendo far trapelare niente che possa raggiungere i tuoi e quindi... eccoci qui.»
L'avermi pensata per tutto questo tempo, durante il quale mi sono fatta prendere dall'angoscia nel rivivere in un loop infinito le sue ultime parole, mi riempie di una strana emozione che assomiglia al conforto. Non posso credere che l'abbia fatto davvero, non per noi due, non in questo luogo.
«Cedric... è la casa di tuo nonno. Sicuro che vada bene?»
Non voglio rovinare o abitare nessun suo felice ricordo. Come estranea, non ne possiedo il diritto e non voglio ferirlo in un luogo che sono certa possa fargli del male.
Cedric volge di nuovo le mani, afferrando le mie e stavolta le intreccia entrambe alle mie, per impedirmi qualsiasi mossa avventata o per fare in modo che lo stia a sentire. Non riesco a scegliere quale delle due, ma il calore che genera il suo contatto mi fa star bene e perdo qualsiasi riguardo.
«Vuoi sapere una cosa di questo posto? Venivo sempre qui quando ero bambino, che ci fosse mio nonno o che non ci fosse. Forse non ci crederai, visto quanto siamo sperduti, ma... mi aiutava a liberarmi delle paure, mi sentivo protetto. Credo di avere la stessa sensazione tutt'ora, quindi è perfetto» argomenta, rivelandomi una parte del suo cuore e la semplicità con cui si racconta a me, senza riserve.
Inoltre mi sorride ancora, sporgendosi un po' in avanti per farsi complice nei miei riguardi.
«La tranquillità è proprio quello che serve a due che agiscono in segreto come noi, non sei d'accordo?»
Se solo sapesse... quanto questo luogo assuma, persino per me, un profondo significato adesso potremmo parlare insieme una lingua che risente della reciproca fiducia, ma non sono ancora pronta. Io non sono brava quanto lui ad aprirmi con facilità, non riesco a farlo. Per me valgono più le azioni, valgono queste mani intrecciate insieme... perché attraverso loro sto comunicando molto e spero che anche Cedric lo senta.
«Sì» mormoro, confermandogli un interrogativo contro il quale sembra aver lottato per diverso tempo.
Sorride, infatti, entusiasta dall'idea di averci donato un posto speciale, e nella mia mente non posso non chiedermi quante persone, all'interno del South Side, cerchino un luogo solo loro, dentro cui essere completamente sé stessi, una specie di rifugio.
Il lago è stato, per molto tempo, un'unica proprietà di Francis che mi sono trovata a condividere, anche se lui non la pensa alla stessa maniera, ritenendo che fosse in egual modo di entrambi ma il riposare su quelle sponde è l'adagiarsi sul suo cuore. Vivere nell'unico posto in cui Francis apre completamente il proprio cuore e si permette di essere se stesso.
Questa casa è il luogo di Cedric, ed io sto per entrarci. Sto per condividere un nuovo posto, con una nuova persona. Che sia anche il mio? La quercia, al di fuori di questa casa, mi rassicura che potrebbe esserlo e che le cose, inevitabilmente, questa volta saranno diverse.
Non posso saperlo con certezza. Cedric mi afferra le mani e ne lascia una sola libera, in modo da aprire la porta. L'altra rimane intrecciata alla mia e non mi lascia andare.
Oltre questa posta, non so che cosa mi aspetta ma c'è solo una certezza; proprio come Cedric, da piccola ho usato questo posto per scacciare le mie paure. La potenza del suo fiabesco incanto dà nuova vita alla magia che mi aveva protetta e che ho condiviso con lui, pur senza saperlo.
Possiamo essere al sicuro, qui, riparati da queste quattro mura solide indicatrici di una stabilità che sento di stare per possedere. Accoglienti come lo sanno essere le sue mani mentre mi trascinano dentro una vita che ha vissuto per tutto questo tempo da solo, in una solitudine di penseri che si era fatta sorda.
Ora siamo in due a viverla, dispersi in questo mondo e lontani da tutto. Lontani da ogni cosa capace di farci del male.
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