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11- Il torrente della discordia

P.O.V.
Amy

L'acqua si addensa sulla mia pelle come un secondo strato del mio vestito, e nella sua cristallina consistenza appesantisce leggermente l'abito color dell'oro, alla stregua dei campi nei quali sono immersa.

Il torrente ha uno scorrere lento, riflette l'incedere dei miei pensieri con la loro calma e, allo stesso tempo, ne rispecchia l'avventatezza.
Sento come se il mio animo fosse una miccia, pronta a esplodere come la fiamma di un fuoco che troppo presto si è avvicinato a me, minacciando frastuono, ma ora regna il silenzio, in questo luogo governa l'immobilità. Viene concesso solo lo spostamento della mia mano che solleva, in una coppa, lo stesso liquido trasparente che irrora i campi permettendomi di lasciarlo scivolare addosso.

Avverto il refrigerio dato dalla fredda temperatura del torrente a contrasto con il caldo asfissiante, ma non è ancora niente in grado di stemperare la mia agitazione.

Sono in collera con Cedric. Non è semplice rabbia, e non capisco la portata del mio estremo sentimento.
Non capisco il motivo per il quale il suo poco interessamento, nei confronti di tutte le cose, mi faccia scattare così. Forse è perché svaluta qualcosa alla quale tengo troppo, forse perché una parte di me pensa che lui, in realtà, non sia affatto come finge di mostrarsi e che vi siano altre cause che lo hanno costretto a indossare questo scudo di indifferenza.
Arma migliore non poteva esserci, ed è per questo che tento di regolare la mia agitazione. Si tratta di qualcosa di troppo forte da uccidere in una sola volta.

Non dovrebbe valere il mio tempo. Sono tranquilla, l'acqua mi accarezza... ma allora perché ho il terrore di trovarmelo di fronte, tra queste spighe?

Probabilmente non saprei nemmeno cosa dirgli. Come potrei esordire, poi? Mi piacerebbe rimanere indifferente come lui, lasciare la strada al silenzio. Mi farebbe senza dubbio divertire, una simile soluzione, ma genererebbe la sua, di rabbia?

È a lei che punto, come un arco teso pronto a scoccare la propria freccia.

Che cosa vuoi, veramente, Cedric?
Ci tieni, o no?

Vuoi sul serio... me?

Come risposta all'ultima domanda, un'affermazione mi sembra quasi impossibile ma lui mi aveva donato delle semplici, e minime, parole che avevano il sapore di una presa di coscienza: mi importa di te. Questo mi aveva detto all'interno del nostro litigio.

Sollevo gli occhi verso le spighe del grano a me di fronte ma quasi non le vedo, lo sguardo è perso, diretto ben oltre nel ripetersi quella frase.

Perché gli importa di me? Per quale ragione? Ma soprattutto... era vero?

Cedric... abbi la forza tu per primo di parlarmi, perché io non ci riesco, lo supplico in maniera inconscia, sperando nella sua capacità di ascoltare persino i discorsi che non sono in grado di dire.
Sobbalzo, però, nell'avvertire alle mie spalle un rumore e mi volto di scatto.

Una donna è in piedi dietro di me, stringendo una mazza da passeggio in mano. È anziana e mi sorride. Potrebbe apparire quasi dolce l'approccio che rivela nel rivolgermi questa placida attenzione nel più completo silenzio, ma i suoi occhi sono troppo sottili e luminosi, le labbra appena accennate e gli abiti neri, i capelli legati alla nuca con una crocchia, ed è per questo insieme di cose che ogni positiva sensazione nei suoi riguardi viene annullata. Regna l'austerità in quella brillantezza divertita d'osservazione, e pare essere quasi prossima al rimprovero.

Sollevo il corpo di scatto e passo le mani sull'abito, presa in contropiede da questo strano, quanto improvviso, arrivo e non posso far a meno di sentirmi nel torto.

«Mi scusi, stavo solo rinfrescandomi. Me ne vado subito» la informo, muovendo già i primi passi nella direzione di una ritirata quando la sua mano si solleva, mostrando la larghezza della sua manica nera, quanto l'ampiezza del suo palmo, e mi arresta.

Non si placa... finché non mi vede sedermi di nuovo. A quel punto, l'anziana si approccia in un nuovo sorriso gentile, molto più dispiegato del precedente, e si limita a dire una sola frase.

«Puoi restare.»

Rimango senza pensieri e parole di fronte a quella voce decisa. Teatralmente bassa quanto roca, piena di tenebra.

«No... no, è il caso che vada.» Lo dico, sollevandomi di nuovo in piedi e direzionandomi verso uno dei sentieri naturalmente creati dal passaggio continuo dei coltivatori.

«Preferirei che restassi, Amy.»

Averle rivolto le spalle le impedisce di vedere quanto gli occhi mi si siano sgranati, dalla sorpresa, eppure ne deve essere comunque a conoscenza. Volto la testa nella sua direzione, così da ricevere le risposte che merito.

«Sei la figlia di Karoline, giusto? Un tempo lavorava qui.»

Il fatto che conosca tanti particolari di me, della mia famiglia, mi lascia contesa tra la decisione di andarmene e quella di restare, impaurita e curiosa come sono allo stesso tempo.

«Non immagini la sorpresa che ho avuto di vederti la scorsa notte, con mio nipote.»

Un timore si affaccia in me, e poco dopo è la sua voce che me lo conferma.

«Piacere, Amy. Io sono Zelda Garcia, la nonna di Cedric.»

La nonna... la proprietaria della Garcia Coltivazioni.

«Io dovrei veramente andarmene» ribatto, più consapevole che mai di non dover affatto parlare con una persona del genere. Se solo lo venisse a sapere mia madre mi maledirebbe o mi caccerebbe fuori di casa. Allo stesso modo se venisse a sapere del mio accordo con Cedric. Dio, una simile possibilità non mi aveva affatto sfiorata.

«Ti prego, aspetta. Desidero parlare con te di lui.»

«Non ho niente di cui parlarle. Non lo conosco» replico, più distante da lei ma ancora rivolta nella sua direzione. In famiglia mi hanno insegnato a non voltare mai le spalle a un nemico e a non abbassare, per nessun motivo, lo sguardo. Entrambi sono segni di debolezza.

Zelda inclina la testa, e quel suo volto caratterizzato dalla sporgenza dei rotondi e chiari occhi, uniti ai profondi solchi poco sotto gli zigomi, segnale dell'età avanzata che veste assieme a una rete continua di fitte rughe, la rendono simile ad un serpente. La sua lingua, poi, sibila lo stesso veleno.

«Non sembrava così, la scorsa notte. Deve tenere molto a te.»

Prendo un profondo respiro, consapevole che stavolta non basta tenere testa al mostro per sconfiggerlo.

«Abbiamo iniziato a uscire da poco, non è ancora niente di serio.» E forse è giunto già al capolinea. «Che cosa vuole sapere?»

«Ti ha mai parlato di me?»

Grazie a Francis, ho appreso da molto tempo l'importanza della verità. È solito dire, in uno dei suoi molti aforismi, che "se vivi di sincerità niente può farti troppo male, e tu non ne fai a te stesso", dunque ecco un altro dei motivi per cui Cedric dovrebbe odiarlo tanto. Sto per vendere un pensiero da lui rivelato alla persona che, l'ho capito, detesta di più al mondo. Non si tratta nemmeno di vendetta. Solo di poter rispondere con chiarezza a questa donna, serva della cattiveria.

«Si è domandato come lei abbia fatto a diventare tanto ricca.» Confesso, e Zelda annuisce, posando entrambe le mani sul manico ricurvo della mazza. Sull'estremità, e visibile tra le dita, vi è il decoro di una platina argentea, tridimensionale nel concludersi con la piccola miniatura di una testa. Sembra essere un lupo.

«Dunque è questo che si domanda...»

«È un mistero per chiunque, non vedo perché si sorprenda.»

Questa mia costatazione la allontana dai pensieri che sembravano aver preso possesso di lei, in modo tale da lasciar posto alla curiosità.

«Anche per te?»

«Sono una cittadina del South Side, quindi sì, anche per me.»

«E saresti curiosa di scoprirlo?»

Raddrizzo la schiena, sollevando la testa, perché ora ho io il veleno con il quale ucciderla.

«Mia madre mi ha insegnato a non intromettermi in questioni che non mi riguardano. Lei non lo ha mai fatto, e nonostante tutto ha vissuto la condanna di essere punita ingiustamente. Non le sembra qualcosa di malato?»

Con le dita, picchietta contro l'argento del manico battendovi due anelli ricolmi di pietre che prima non avevo notato, e mi osserva... mi osserva.

«Sai, sono contenta che Cedric abbia scelto te. Se non ci fossimo conosciute in queste circostanze sarei venuta io a parlarti.»

«E per dirmi che cosa?»

Si stringe nelle spalle, virando gli occhi lontano, lungo tutta questa miniera di grano.

«Tua madre può tornare alla propria mansione. Non ci sono mai state accuse legali a suo carico.»

In un primo momento non riesco a crederci. Poco dopo, scoppio a ridere e non riesco proprio a trattenermi.

Rido di gusto, sfogando tutta la frustrazione che covo dentro a causa di quello che la mia famiglia ha affrontato. Sì, mi rimbalza tutto addosso, ed ora torna contro il mio petto in un deciso contraccolpo. Zelda affina l'attenzione, adesso, di fronte al mio buonumore e sembra volerne recepire indizi che non può trovare, perché non ha veramente idea della portata del danno che ha fatto insorgere.

Credevo fossimo stati in grado io, mio padre, mia madre, di seppellirlo per sempre ed ora eccolo tornare a perseguitarci, come un fantasma.

«Sei una ragazza davvero particolare...» commenta, mentre lascio scorrere entrambe le mani nei capelli per tirare all'indietro le ciocche, riprendendo anche le redini del mio scatto isterico.

«E lei non ha idea di cosa sta parlando.»

«Tuo padre è un corriere, giusto? Non deve guadagnare molto. Guidare i camion, spedire i pacchi in città... ormai ha sessantaquattro anni, mi sbaglio? E tua madre? Una casalinga, non è vero?»

«Quello che abbiamo ci basta. Sono io ad aiutare la mia famiglia, lei non può fare niente.»

«Ma il tuo compito è studiare, Amy...»

Avanzo un passo nella sua direzione, spinta dal vento della rabbia. «L'unico dovere che ho è di stare lontana da lei.»

Dunque è giunto il momento che io me ne vada, e lo faccio sul serio, incamminandomi finalmente lontana con passi decisi, ma non è sufficiente imporre tra noi una distanza perché la sua voce continua ad essere udibile. E come ultima raccomandazione, mi impone una richiesta sfrontata.

«Vi sbagliate entrambi, tu e Cedric. Quando vorrete parlarmi sapete dove trovarmi.»

Non devo lasciare a quelle parole il potere di farmi cadere nel dubbio, ed è tramite questa corsa che le allontano, spedendole sempre più lontano.

L'unico desiderio che io e la mia famiglia abbiamo è di essere lasciati in pace, perché non ci è rimasto niente di più importante della serenità.

Corro, mettendo tra di noi uno spazio sempre maggiore di questa sporca terra sulla quale, mi ricordo, non avrei mai dovuto mettere piede. Mia madre me lo vietava sempre, quando ero più piccola.

Il corpo si arresta all'ombra di un grande albero di fronte al ricordo del volto di mia madre e delle sue parole, del tentativo che ogni giorno attuava nel proteggermi, mettendo paletti alla mia curiosità. Avverto ancora le sue mani afferrarmi da dietro, stringendomi all'altezza delle costole, per non permettermi di entrare all'interno dei confini della loro grande industria.

Il divieto aveva comportato solo un'ulteriore incremento della mia curiosità, la scoperta di quei luoghi alla pari di Ercole, la conoscenza di ogni minima zona segreta ed ora, oltre a questo, le mani di mia madre sono state sostituite da due solide braccia.

Mi stanno stringendo, da dietro. Stanno provando a consolarmi, ed io senza respiro scorro le mani su quegli avambracci che, nel sole del tramonto, rivelano l'increspatura della chiara peluria sull'epidermide, assieme a un reticolato di vene che corrono fino alla punta delle dita.

Forte. Mi sta stringendo forte, non vuole che vada via. Ed io sollevo gli occhi al cielo nell'avvertire il calore generato da un simile contatto. Non è solo ustione; è comprensione, vicinanza.

«Ho sentito quello che vi siete dette. Mi dispiace» sussurra la sua voce al mio orecchio, ed io chiudo gli occhi, rapita da quel suono.

«Mi dispiace di essermi arrabbiato, la scorsa notte. Mi dispiace avere discusso.»

Muovendo un solo pollice, accarezza lento il mio ventre mentre le mie mani lo stanno ancora trattenendo, affinché non scivoli via. Che paradosso assurdo.

«Non possiamo farlo. Dovremo smettere, finché siamo in tempo» dico a voce bassa, e una frase del genere non deve piacergli affatto. Non aumenta la stretta, ma cerca di farsi ancora più vicino, nascondendo la testa tra la mia spalla e il mio collo. Avverto le sue labbra premere contro la carotide, governandone l'aritmia.

«Io non sento di appartenere a quella famiglia, Amy. Non sono un Garcia, né tantomeno il nipote di quella donna.»

«Questo non cambia niente. Non voglio ferire mia madre.»

«Faremo in modo che non lo scopra.»

«E se lo facesse?»

«Le parleremo.»

«E di che cosa? Non abbiamo avuto niente tranne che questo strano accordo» replico con convinzione, nonostante la voce appena traballi. La colpa è della sua bocca. Si è posata, in un respiro, sopra la mia spalla ed è così che il suo fiato mi sfiora, in un'inavvertenza.

«Questo è vero, non abbia avuto ancora niente... ma possiamo averlo. Non vuoi, Amy? Dimmi che non mi vuoi.»

Una frase del genere è impossibile da dire, non si tratterebbe della verità. Chiudo gli occhi mentre il suo abbraccio ancora lega i nostri corpi, e lascio che questo silenzio parli per me. Cedric lo avverte, e questo gli offre coraggio per tornare a parlarmi.

«Sarà una cosa solo nostra, Amy. Le nostre famiglie non verranno messe in mezzo. Riguarda solo noi. Ti potrebbe bastare? Solo per un momento... dimentichiamoci di tutti e tutto. Pensiamo solo a noi.»

Il volto di mia madre si fa di nuovo presente di fronte alla visione dei miei occhi ed è lei a rispondere a Cedric in uno sguardo arcigno, desiderosa di un mio ripensamento... ma io non posso farlo. Per tutta la vita sono stata attenta nel non mancarle mai di rispetto, nel sottostare al suo volere, nel voler fare ogni cosa bene, alla perfezione, per guadagnare l'affetto e il rispetto dei miei genitori. Ora, però, sento che questo non mi basta più.

Ruoto il corpo verso di lui, rigirandomi tra le sue braccia e vedo il suo di viso, adesso. Il sole, nel cromatismo del tramonto, lo illumina ed è bello il modo in cui la luce rischiara i suoi occhi ambrati, perfetta la rottura dell'ombra sui suoi lineamenti. Lungo il naso aquilino, nella cavità degli occhi, lungo le morbide labbra...

Sollevo le braccia e le poso sulle sue spalle, avanzando in avanti l'attimo dopo.
Le nostre bocche si unisco in un lento bacio ed è facile chiudere gli occhi, annullare tutto ciò che non è registrabile come nostro contatto.

Nessun nostro bacio, prima d'ora, ha posseduto in sé questa naturalezza o questo calore per cui, inclinando la testa, godo dell'inseguimento che ne consegue e le sue braccia mi si stringono più forte attorno: mi esortano a premermi con maggior forza contro il suo petto, conducendomi a un totale abbandono.

Apro le labbra, lo lascio entrare e la sua lingua fa razzia di me. Prima delicatamente ma dura solo un attimo. Il modo in cui mi bacia è il riflesso di un desiderio che non ho avuto il tempo di esprimere ma che già si trova ad essere soddisfatto, in una lotta che è resistenza e passione insieme.

Poso una mano sulla sua guancia mentre la sua testa, sporta in avanti, lo esorta a far ruotare veloce la lingua in un'altra direzione ed io la seguo, le tengo testa.
Lo bacio affinché anche per lui tutto si annulli perché desiderio portarlo con me.

Si allontana solo per un secondo, alla ricerca del fiato, prima di tornare contro la mia bocca facendo ruotare i miei pensieri troppo lontano.

Rimarrei attaccata a queste labbra in eterno, a questa lingua, a queste mani e se si tratta di un errore colossale sono pronta a sbagliare dal momento che farlo mi procura un desiderio fuori dal normale.

Distaccandomi appena mordo il suo labbro superiore, trattenendolo tra i denti dolcemente mentre Cedric espira debole, ancora ad occhi chiusi, ancora dentro il nostro contatto.

Voglio fare di più, in modo che non finisca tanto presto.
Mi allontano dalla sua bocca quanto basta a ricambiargli la premura della scorsa notte nel donargli un bacio al margine, proprio all'angolo delle labbra, per risalire in una scia lenta fino al lobo dell'orecchio.

Cedric getta appena la testa indietro, lasciandomi fare ed è respirando il suo odore che giungo fino al collo, lasciandogli un ultimo tocco sulla pelle.

Vedo la sua testa inclinarsi appena nel cercare un nuovo contatto con me, e l'attimo dopo siamo fronte contro fronte, occhi negli occhi.

Ancora mi stringe ma così... riusciamo ad essere più vicini.

«Questo mi è piaciuto. Farò finta che fosse il primo» mi dice, con la voce rotta, lo sguardo appannato ed io arrivo a pensare che, senza l'appoggio delle sue braccia, non solo sarei scivolata verso terra a questo contatto ma sarei persino scappata, ancora prima.

La presenza di Cedric al mio fianco mi permette di fare cose che non avrei ritenuto possibili, come baciarlo per esempio o decidere di cedere alle sue parole che sembravano l'introduzione di una promessa, e provo paura.

Quella paura infinita che si può avere solo di fronte alle cose che, si teme, possano diventare importanti.

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