100- I nostri eroi
"Lo senti il rumore di questa carezza?
Lo so che avverti il tocco, il passaggio lieve della mia mano sull'incavo del fianco, dal basso verso l'alto affinché la leggerezza sia bilanciata dal contropelo.
Lo so che senti il movimento dei polpastrelli e del palmo, anche se hai gli occhi chiusi e il mezzo sorriso che ti increspa le labbra quando capisci i miei pensieri e ascolti le mie parole sussurrate. (...)
Ma non è del tatto che voglio dirti, adesso. Piuttosto voglio parlarti dell'udito. Dell'immenso rumore, della deflagrazione insopportabile di questa carezza. (...)
È il distacco prossimo venturo, la separazione di fronte all'abisso in cui stiamo per saltare, senza sapere quello che potrà accadere.
Questa carezza ha il rumore del futuro e la risonanza del passato.
Questa carezza esclude ogni mondo e ogni universo da questo terribile, meraviglioso presente.
Questa carezza, amore mio, rappresenta la nostra unione perfetta.
E ha il rumore di tutto quello che accadrà."
Vuoto per i bastardi di Pizzofalcone- Maurizio De Giovanni
P.O.V.
Rais
In ogni degno film di guerra che si rispetti, la trama vede protagonisti un gruppo di eroi in grado di stagliarsi al di sopra di tutto il resto. Solitamente sono militari pronti per la battaglia, agguerriti di ferraglia e di spirito di intraprendenza a smuovere a convinzione ogni patriottico ideale americano che ne produce la pellicola. Ciò che mi sarei aspettato potesse maggiormente corrispondere alla realtà era l'equilibrio all'interno del gruppo e la somiglianza tra le varie parti.
Se però resto fermo ad osservarli mentre mi sfilano davanti, capitolati da Gareth, non c'è niente, del loro aspetto fisico o del loro lato caratteriale, di cui ho avuto modo di avere un lieve accenno nei giorni precedenti, che possa permette una loro reciproca corrispondenza.
«Questi sono il resto dei compagni con cui io e Francis ci siamo uniti in accademia» mi spiega Gareth, permettendomi di scorrere gli occhi su ognuno di loro mentre sono schierati in diligente fila al suo fianco. «Te li presento: lui è Vincent Moreau» parte con il dire, presentandomi il colosso del gruppo sfoggiante un sorriso.
«Ciao!»
«Poi c'è Russel Blanc...»
«Ciao, Ryan» mi dice in un mezzo sorriso questo ragazzo della mia stessa altezza ma con un espressione molto astuta. Non so se tale ironia provenga dalla pronuncia sbagliata del mio nome ma ad ogni modo desta il mio interesse, oltre che curiosità.
«Ed infine, Nasir Hossein» termina di presentare l'ultimo ragazzo, il più basso del gruppo, con una nota di palese rammarico.
«Mi tieni sempre per ultimo» commenta infanti questi, esigendo una spensieratezza che raramente ho visto sfoggiare da Gareth.
«Questo perché sei quello che preferisco meno.»
«Ed io che credevo che quello fosse Davies» commenta Russel, attraendo di colpo i miei occhi su di lui al secondo cognome di William.
«Noterai che hanno un modo di scherzare particolare» afferma Gareth, attirando di nuovo la mia attenzione su di se affinché possa non cadere vittima dell'ironia del più astuto. «Non potrai fare altro se non abituarti.»
Non avevo ben compreso quanto l'ultima affermazione di Gareth fosse inamovibile da quel giorno di presentazioni ma con il tempo, con il passare delle ore e delle settimane, avevo avuto modo di conoscere ognuno di quei componenti più a fondo, carpendone così l'animo ed intuendo ciò che Francis mi aveva raccontato di loro, in merito alle proiezioni.
Russel era senza dubbio Ercole, questo era vero: astuzia ed ironia mescolate insieme in un mix tale da poter intervenire con intelligenza nelle discussioni, esordendo con qualche espressione ben indirizzata. Allo stesso modo, Vincent era Issa e Nasir Oliver. Inutile dire che mi sia avvicinato con più facilità e per primo a quest'ultimo rispetto al resto del gruppo.
Il solo che continuo a non capire è Gareth. Lui rimane un mistero, specie dal momento che Francis mi aveva confessato il motivo per cui gli si era avvicinato in accademia: "mi ricordava te".
In che cosa? Quale gesto, quale azione possono spingere quell'uomo silenzioso ad assomigliarmi? Non vedo alcuna connessione tra me e lui e quello che c'è di peggio... è che ancora lo odio, per la sua vicinanza a Francis. Ora più che mai essendolo consapevole di quel mondo dell'accademia che hanno condiviso e di cui non sono entrato a far parte.
Più volte credo che siano state trasparenti le mie emozioni, sia a Gareth che con indifferenza aveva dimostrato di saperle accettare, sia a Nasir che non si era esentato dal farmelo presente.
«Dovresti smetterla di guardarlo in questo modo, sai?» Esordisce Nasir, precipitando seduto sulla sedia affianco alla mia, stringendo tra di loro le mani all'altezza dello sterno. «L'ho visto puntare una preda a chilometri di distanza e fare centro al cuore. Ha una mira perfetta, con un fucile di precisione in mano.»
Non mi sono mia piaciuti i cecchini.
Il volto di William appare dinanzi il mio sguardo, lasciando scaturire maggiore rabbia percepita dal militare presente.
«Che cosa c'è, adesso?»
«Non è niente, Nasir, lascia perdere. Non mi piace e basta.»
«È un tipo diverso da Francis, nonostante in certe situazioni sembra somigliargli... lo hai mai notato?»
Gareth cammina dinanzi al mio sguardo scortato dal suo gruppo di eroi al seguito e percependo i miei occhi addosso volge la testa nella mia direzione, lanciandomi un espressione gelida.
Non ha assolutamente niente di Francis! Lui non mi fissava in questo modo nemmeno quando mi odiava e la faccia di Gareth confesso che attrae maggiormente i miei pugni, generandomi una ferocia sotto pelle che non mi so spiegare. Che non ho mai posseduto, in effetti.
Prima di incontrare Francis ero solo un ragazzo che si sballava con la droga, tramortendosi al punto tale da cercare una calma piatta alla propria esistenza. Emozione soppressa.
Non ricordavo più come era provare ogni negativa sensazione da essere umano.
«Ehi, Ryan! Come stai?» Mi saluta Russel, il solo staccatosi dalla colonna trainante capitolata da Gareth e direzionata verso la stanza degli interrogatori, facendo fronte al mio malumore.
Sollevo la tazza di caffè espresso, da asporto, ancora intatta abbinando anche la busta sigillata contente il pezzo dolce, nella stessa mano.
«Me l'hai comprato tu tutto questo?»
«No, ma è il caso che inizi a mangiare qualcosa. Dico sul serio, ormai ti conosco da un mese e ti avrò visto mangiare sì e no a giorni alterni.»
«Sai se ogni mattina me la mette sulla scrivania Nasir?»
«Non ne so niente. Sei sempre il primo ad arrivare tra noi. Forse è il capitano a lasciartela... avevate un buon rapporto prima, no? Eri un testimone di giustizia.»
Abbasso il contenuto di questo regalo, facendolo tornare sulla scrivania intatto. Certo più che mai che se così fosse allora non proverei per nessun motivo a beneficiarne.
«Io ed il capitano non parliamo da un pezzo. Mi ha assunto nuovamente solo perché non mi ha mai licenziato e perché tutti i media parlano della morte di Francis. Lasciarmi fuori da questo distretto o spostarmi altrove avrebbe fatto parlare le persone.»
«Non mi sembrava un tipo così complottista, quando gli abbiamo parlato per l'assunzione» commenta, sedendosi alla solita sedia al mio fianco che per la maggior parte del tempo rimane vuota, posizionandosi una volta intrecciate le mani dietro la testa e lasciando i piedi accavallati un sopra l'altro, al di sopra dell'angolo della scrivania, in modo da sbilanciarsi all'indietro.
«Non ha fatto storie vedendovi arrivare tutti insieme?»
«Ci aveva raccomandati Gareth, ovviamente, ed inoltre alla centrale serviva personale quindi il capitano non ha lasciato insorgere alcun problema.»
Già... preferisce tacere, certe cose. Il nome di Francis, il suo caso, non viene più nominato da un pezzo.
Quando sono rientrato in polizia avevo notato, le prime settimane, gruppi di giornalisti attendere l'arrivo mattiniero di Carlail ma così come erano arrivati con il tempo anche loro si sono diramati.
In certe occasioni credo persino di avere visto Cedric tra quella folla, ma non potevo esserne certo vista la calca. Ciò che è importante, ora, è il fatto che il caso della morte dell'uomo che amo sta finendo nell'oblio della dimenticanza, rendendo a tutti noto come divenga facile per il South Side evitare di indagare casi complessi, specie se sono in grado di generare ulteriori problemi di interesse pubblico.
«È il caso che tu vada, prima che decida di metterti al centro di un mirino» sento appena dire da Russel, vedendolo poi direzionare la testa nella direzione del reparto meno utilizzato di tutta la centrale.
Gareth mi sta fissando, con le braccia intrecciate tra di loro, in attesa che lo raggiunga. Come si immaginava potessi farlo se nemmeno prova a chiamarmi?
Mi alzo con un sospiro dalla scrivania, lasciando aperti i casi che mi sono stati assegnati per poi dirigere lo sguardo verso l'ufficio vuoto del capo. Se davvero si è trattato di un regalo da parte sua, allora nemmeno mi interessa mostrarne lo stato intatto. Chino il corpo verso terra, afferrando il cestino presente al di sotto della scrivania ed una volta sufficientemente in vista vi lascio cadere la tazza di caffè e la busta contenente il pezzo dolce, registrando la mossa di Russel nel vedermi spostare il cestino lungo il lato del corridoio, affinché sia visibile.
«Non voglio niente da parte del capitano» spiego, prima di direzionarmi lungo la strada che mi conduce fino a Gareth.
L'ora di punta porta la centrale a svuotarsi, il più delle volte e a seconda di che giro di turni ospiti. Il nostro incontro non attira alcuno sguardo e così riusciamo ad entrare indisturbati all'interno di una piccola stanza arredata come nuovo ufficio. La sola che sappiamo entrambi essere sprovvista di telecamere.
Chiudo la porta alle mie spalle trovandomi il funesto poliziotto già al centro della stanza.
«Che cosa vuoi?»
«Che hai un bel carattere te lo ha mai detto nessuno?» Mi beffeggia, con un tono del tutto privo di ironia. Per l'appunto, diverso da Francis.
«Non sono un tipo sdolcinato e non leggo nel pensiero. Se mi avessi voluto qui sarebbe bastato chiamarmi.»
«Aspettavo tu finissi di parlare amabilmente con Russel, così da poter essere libero di ringhiare subito dopo contro di me.»
«Ohh! Mi hai chiamato qui solo per discutere di come mi approccio nei tuoi riguardi?»
Gareth sospira di esasperazione, passandosi poi tre dita a distendere la fronte, spianando le rughe date dalla preoccupazione.
«Dobbiamo aggiustare questa situazione» esordisce, per poi far cadere lungo il fianco la mano che aveva sollevato.
«Perché dovremmo? Tu non mi piaci.»
«Lo avevo capito.»
«Non mi sei mai piaciuto.»
«Perché?»
Non lo conosco. Non posso rivelargli di aver pensato che Francis mi potesse aver tradito con lui, nonostante ogni sua sorta di smentita. Non posso decretare, completamente alla cieca, i gusti sessuali di quest'uomo e decidere che siano essi il motivo della mia rabbia. Mi rendo conto che è da folli, ma la furia che genera in me il suo sguardo duro è incontrollabile e si lega a molti altri motivi, come per esempio...
«Siamo completamente diversi» esordisco.
«Nemmeno mi conosci.»
«Ma so che lo siamo. Francis mi parlava di te.» Mento, in parte.
«Se vuoi davvero rispettare il ricordo di Francis, allora dovrai per forza fare i conti con me.»
«Perché?»
«Perché ti ha affidato a me.»
Sgrano gli occhi, non riuscendo a credere a queste parole. «Che cosa?» E poi, in un attimo, ricollego gli eventi delle ultime settimane. «Sei tu che mi lasci la colazione ogni mattina?»
«Era una sorta di segnaletica di pace, ma tu continui a gettarla via.»
«Ed è per questo motivo che poco fa mi guardavi male?!»
«Vuoi piantarla di urlare?»
«Non mi interessa quello che ha detto Francis. Io e te non andremo mai d'accordo.»
Sospira con insistenza, tentando di immagazzinare il fiato. Se gliene manca, allora dovrebbe smetterla con quelle sigarette. È una sorta di ciminiera. Ad ogni ora del giorno esce sempre per fumare, credo sia il suo modo di scaricare lo stress. Poco importa, a me non interessa.
«Di questo ne sono certo, ma non sarebbe male se ci fosse un minimo di fiducia tra di noi» richiede con mia enorme sorpresa, lasciandomi sollevare le sopracciglia fino all'attaccatura dei capelli.
«E perché mai?»
Gareth mostra la sua esitazione ai miei occhi scettici, dopodiché compie la mossa che ritengo essere il motivo per il quale siamo entrambi qui: solleva un nero quaderno, a me fin troppo noto, affianco al suo volto ed ecco che ha compiuto il migliore gesto per far salire la mia ira.
«Lo riconosci?»
«E poi ti chiedi perché non mi piaci...»
«Anche questo mi è stato affidato da Francis.»
«Sembravate essere in buoni rapporti, voi due.»
«L'ho letto e credo ci sia un nesso, in tutto questo. Tu, questo diario con tutti i suoi appunti.» Rimango in silenzio, non volendo affidare proprio a lui tutti i miei segreti. I suoi occhi blu scuro mi calibrano, nella stessa calma che immagino possa avere mentre rimane nell'attesa di vedere la propria preda raggiungere il centro dell'arma appositamente calibrata. Un cecchino non fa mai niente per caso.
È calcolatore, astuto, indifferente... glaciale, a qualsiasi aspetto della vita.
Mi rendo d'un tratto conto di non aver nemmeno mai provato a capire cosa potesse esserci di Gareth che tanto potesse somigliare a me, essendo evidenti tutti gli altri aspetti che lo mettono in paragone con William.
«Ti ho visto al termine del turno» continua, senza alcuna piega nel tono di voce. «Ti ho visto entrare dentro gli archivi e trattenerti davanti vecchie pratiche. Stai cercando la soluzione alla morte di Francis ed è quello che intento fare anche io.»
«Oh, ma io conosco la soluzione. So chi lo ha ucciso, solo che non voglio rivelartelo» confesso, intrecciando stavolta io le braccia al petto. Mi sto comportando in maniera infantile ma sinceramente non mi importa. Come ha detto, non mi fido di lui e senza fiducia anche questa sceneggiata crolla, come è crollata per me tutta questa centrale.
«E se invece questo fosse stato il piano di Francis fin dall'inizio? Fare in modo che noi due ci avvicinassimo, in modo da unire le nostre forze e portare a termine ciò che stava facendo?» Rimango in silenzio, attendendo la conclusione che sento sta per arrivare. «In quel diario non c'è scritta l'identità del signor Lee. Francis non me l'ha mai confessata, ma so che tu la conosci. Ciò che sappiamo entrambi è il vero volto e le azioni di William Lee.»
Forse... Gareth e Francis non erano tanto intimi come credevo. Forse questo è davvero un piano di Francis per farmelo arrivare a pensare. Una sorta di postscriptum dopo la sua morte che possa tentare di confermarmi ancora la vera natura del loro rapporto...
Davvero Francis desiderava che ci avvicinassimo? Non si separava mai da quel quaderno, mai. Il fatto che Gareth lo possegga e lo abbia letto, che conosca il vero volto di William sarebbe sufficiente per farmelo credere. Decido... di poterlo credere, essendo a conoscenza del reciproco rapporto di fiducia tra loro instaurato.
«Ti ha detto qualcos'altro?» Mormoro piano, alla ricerca di altre tracce lasciate in seguito alla sua morte. Con lentezza, Gareth scuote la testa in un diniego. «Richard Lee era suo padre. Lui e William erano fratellastri, per così dire. Il vero padre di Francis era suo zio, Damien.»
Già... una serie di notizie sconvolgenti, riesco a notare la sorpresa e l'afflizione nel suo sguardo perché Gareth riesce a vivere nel presente.
«Suo padre, Richard, è scomparso dal South Side. Non si è presentato nemmeno al suo funerale.»
Lo so. Ero presente nella seconda panca di quella chiesa. Ero dietro le rigide spalle di Caleb, che pareva essersi estraniato da tutto quanto, durante quel funerale al seguito del quale ero rimasto chiuso in casa per anni, avendo come coinquilina l'agonia.
Non immaginavo che anche Gareth fosse presente. Deve essere stato parte di quel gruppo di divise presenti dall'altro lato della chiesa o se davvero gli era amico... allora deve essersi vestito in abiti civili e riparato dietro qualche colonna per poter nascondere il dolore.
«Lo so» sussurro.
«Stavi cercando prove per incastrarlo.»
«È tutto sparito dagli archivi. Carlail ha fatto piazza pulita.»
«Non mi sorprende, si è lasciato corrompere.»
Il battito rallenta nell'udire simili parole. Forse, metterci a vicenda reciprocamente dei fatti potrebbe non essere stata una cattiva scelta.
«Come?» Domando, vedendolo poi stringersi nelle spalle.
«Non è difficile da capire. Indagando nel passato del comandante ho scoperto che durante uno dei suoi vecchi casi la mafia ha ucciso suo figlio, di appena otto anni, causandogli un trauma tanto forte da farlo sospendere dal servizio e spostare all'interno del circuito di addestramento della carriera militare dove aveva incontrato Attila, ovvero McGuire. Per un periodo quest'ultimo era stato nostro supervisore ma non immaginavo i suoi retroscena dei lavori sottocopertura. A seguito dello scontro con i Lee, Francis è morto e McGuire è stato permanentemente sfigurato, scampando per un soffio alla morte. Deve quindi essersi assicurato, Carlail, che nessuno di quei mafiosi facesse più male alla polizia di questa città, accettando di dimenticare per sempre certi casi per loro troppo ostici, come la morte di Francis o l'inquisizione sulla famiglia Lee. È stata persino ritirata la confessione che avevi fatto in tribunale, nonostante la precedente presenza di prove.»
La fredda meticolosità con cui Gareth ha descritto l'intero scenario apocalittico permette al mio dolore di non tornare ad insorgere con tanta pressione, garantendo così che la mia mente possa essere guidata solo dalla razionalità che questa situazione merita.
«Non permetterò che i Lee la passino liscia o che Francis venga dimenticato.»
«Nemmeno io» afferma, garantendomi all'improvviso un alleato.
«Che cosa intendi fare?»
«Completeremo gli appunti su questo quaderno, ricostruendo tutte le prove che sono andate perdute. Riscriveremo nuovamente la tua testimonianza e cercheremo, fuori dall'orario e assicurandoci che Carlail non sia presente, le prove che non ha distrutto. Sono certo che ve ne siano: non è un uomo tanto incauto da decidere di non avere un'arma di ricatto contro simili persone nel caso certe situazioni non volgano a suo favore.»
«Credi che ve ne siano?»
«Nel suo ufficio o sparse per tutta la centrale. Dovremo trovarle e ricomporle ma soprattutto tenere il resto degli agenti fuori da questa storia. Francis non si fidava di loro ed è per questo motivo che ho fatto assumere i nostri compagni di camerata: di loro mi fido e ci aiuteranno a non far apparire troppo palese la nostra assenza. Inoltre, ci garantiranno un ricambio dei turni quando saremo impegnati con i casi della centrale.»
«Quindi ci siamo dentro tutti quanti?»
«Solo se saprai fidarti» mi prende in giro, mostrando quel piccolo sorriso che gli ho visto sfoggiare in ben rari casi.
Lo rimango ad osservare per qualche istante, per poi risalire al blu scuro dei suoi occhi e ripensare a tutto ciò che mi ha detto. Francis mi ha affidato a lui. Per quale ragione? Perché era il solo di cui si fidasse? Perché potessimo davvero ripristinare la giustizia dentro una centrale fin troppo corrotta ed incastrare i Lee?
«Prima troviamo delle prove, dopodiché valuterò se sia il caso di farlo.»
Non sono mai riuscito a fidarmi delle persone intelligenti: Francis ne era l'eccezione perché al di sopra dell'astuzia per lui governava il cuore ed io non conosco Gareth, né i suoi pensieri, né se possano essere le emozioni a guidarlo in certi casi. Non conosco niente di lui per cui non posso fidarmi... ma quando avverto i suoi occhi blu lungo la schiena, andandomene, all'improvviso provo la strana sensazione di essere al sicuro per la prima volta dentro questo posto tanto corrotto, avendo trovato una sorta di alleato. Un uomo che quando mi parla non fa altro che guardarmi dritto negli occhi.
Tre anni dopo
P.O.V.
Rais
«Che cosa sono quelli? I riccioli d'oro del nostro angioletto biondo o la chioma di qualche diva famosa?» Commenta Vincent i video della sorveglianza, facendomi sollevare gli occhi verso la telecamera.
«William ha iniziato a tirarseli all'indietro con il gel, niente più boccoli.»
«Capito.»
«Inoltre, credo che non farebbe mai questa strada dopo una simile sparatoria. Ci sono troppi negozi aperti, noterebbero i fori di proiettile sulla carrozzeria e quello non è territorio dei Lee, quindi le bocche hanno il permesso di esprimersi.»
«Ricevuto, cambio campo.»
L'apertura alla porta alle nostre spalle, oltre questo orario lavorativo, simboleggia una sola cosa ovvero il cambio turno del povero Vincent incollato ormai da dei giorni agli schermi di queste riprese.
Lo schema di azione è sempre il solito: celare ogni nostro piano a Carlail, mascherandolo con i compiti che ci affida. Fortuna vuole che Vincent sia stato incaricato di controllare delle telecamere relative ad un importante colpo di una rapina in banca nato proprio a seguito di una sparatoria, nella stessa porzione di mondo, inscenata dalla famiglia Lee.
Riusciamo ad affiancarlo solo al di fuori del normale orario come adesso, che sono le due di notte.
«Che mi sono perso?»
La voce che proviene alle mie spalle mi fa gelare in un attimo, sconfitto dalla sorpresa. Neanche Vincent è da meno.
«Gareth! Dove è Nasir? Non tocca a lui adesso?»
«Il piccoletto è crollato in qualche angolo d'ufficio, prendo io il suo turno.»
«Sei sicuro? Nemmeno ieri notte hai dormito» procede nel chiedere questo gigante, mentre io rimango in silenzio.
«Se è per questo, tu non dormi da giorni. Alzati, facciamo cambio. Senza esitazione, Vincent, avanti. Vai a casa, fatti una doccia, te la meriti.»
«Beh, se la metti in questo modo non mi rifiuto di certo! Ecco qui, tutto tuo» commenta alzandosi dalla sedia che lo aveva ospitato per giorni e lasciandogli in custodia le pesanti cuffie per l'audio. Gareth compie la lenta mossa di scambiare una sedia con un'altra, facendo sbuffare di disappunto Vincent che però mantiene il sorriso. «Maleducato.»
«Ti prendo solo in giro.»
«Già, ti piace farlo spesso.»
«Su quella maglietta si è incrostato il sudore, non te la prendere.»
«Lavoro per voi, amico! Lavoro per voi...» commenta andandosene, puntando un dito verso il cielo in una rotazione incerta. Non appena esce dalla sala riesco a notare la stanchezza che affligge il suo corpo. Fingiamo tutti di stare alla grande, in rapporto con gli altri.
Specie l'uomo che mi è seduto ora affianco.
Osservo Gareth con circospetto, valutando la celeste camicia a maniche lunghe che indossa e l'altezza alla quale arresta la rotazione delle maniche prima di passarsi le cuffie intorno al collo, certo che per il momento non servano.
Dopodiché risalgo verso il suo volto ed i segni di stanchezza che può ospitare: delle lievi occhiaie ma niente di troppo visibile inoltre il parlare molto meno in mia presenza, rispetto che con gli altri, gli permette di immagazzinare parte delle forze. Peccato che io abbia imparato a detestare le bugie.
«Non è vero che non dormi da un solo giorno. Non lo fai almeno da tre» constato, valutando il suo stato di salute.
«Adesso mi spii?»
«Non lo faccio, ma vuoi spiegarmi perché hai considerato potesse essere meglio spedire Vincent a casa quando la tua soglia dell'attenzione può essere più bassa della sua?»
«Perché ho dormito due ore sul divano della stanza ricevimenti durante l'ora del pranzo. Perché sono la sola persona che riesce a tenere unito un simile gruppo di teste calde. Perché Vincent non ammetterebbe mai di stare crollando e perché sapevo di avere avuto te, tutta la notte a fianco, con le tue battutine pungenti in grado di mantenere alta la mia soglia dell'attenzione» commenta, concludendo con un sorriso provocatorio, di quelli ampli che so che, se provenienti da lui, siano del tutto finti per quanto ciò che ha detto potesse essere del tutto reale.
Peccato che non abbia alcuna battuta pungente da riservargli, provando come faccio un insostenibile agitazione in sua presenza dopo ciò che ho scoperto.
«Che cosa c'è? Non ti piace più quando rispondo a tono al tuo modo provocatorio?»
«Non mi è mai piaciuto» affermo, ricevendo stavolta uno dei suoi piccoli sorrisi sinceri.
«Certo, come no.»
Non appena la registrazione inizia siamo liberi di ignorarci a vicenda, o meglio di lasciar perdere le parole visto che il suo compito è quello di verificare la strada che William può avere percorso al seguito di quella sparatoria ed il mio il trascrivere i dialoghi di certi loro incontri che le telecamere sono riuscite a centrare.
Sfortuna che non riesca ad immagazzinare una sola informazione nella mia testa e tutta l'attenzione sia rivolta alla figura al mio fianco.
Gareth non pare accorgersi di niente, continuando a fissare per le successive ore lo schermo dinanzi a se, completamente assorto.
Ma stanotte per me è impossibile, non riesco a farlo.
Solo pochi giorni fa, in una sorta di coincidenza, la casualità aveva posto una conferma a ciò che le mie supposizioni ritenevano da tempo potesse essere vero, scaricando lungo tutto il mio corpo un corredo di brividi.
Era una situazione come un'altra, Vincent e Russel stavano scherzando tra di loro durante il pieno turno di polizia mentre Nasir era impegnato a revisionare le registrazioni. Parlavano dell'ipotesi che ultimamente Gareth preferisse il lavoro di Russel rispetto a quello di Vincent, come invece era solito fare, valutando la possibilità che Russel fosse slittato in cima alla classifica dei preferiti, rubando il posto a Vincent che aveva accettato la cosa con parsimoniosa rassegnazione.
Ed ero di spalle, a lavorare su ben altro, quando la voce di Gareth non era entrata nella conversazione per sbeffeggiare Vincent, esordendo con quella frase... una minuscola, piccola frase.
«Non sei un po' geloso?»
Solo questo, ma mi era arrivata contro come un fulmine.
"Non sei un po' geloso?"
Lo ricordo. Ricordo che me lo chiese quella voce che mi soccorreva ogni notte, dentro casa mia, riferendosi ad Amy. Quella voce... quella voce che di colpo avevo compreso fosse la sua.
Gareth mi aveva tenuto sotto il suo controllo per tutto questo tempo e di colpo ero arrivato ad essere certo che fosse lui il motivo per il quale non ero riuscito a morire. Mi spingeva a vomitare appena ero prossimo all'esagerazione, a raggiungere Francis... perché glielo aveva promesso, che si sarebbe preso cura di me e lo aveva fatto.
Lo aveva fatto ma io fino a quel momento non ero riuscito a comprendere quanto.
Ed è per questo motivo che ho continuato ad ascoltare la sua voce per giorni, senza fissarlo direttamente, in modo da poterla ricondurre a quella dei miei ricordi che continua a perseguitarmi in certi notti mescolate tra incubi e memorie.
Per questo motivo che subito dopo ho perseguito nel poterlo tornare a fissare in modo da rendermi così partecipe della mole di segreti che cela.
Dopo tutti questi anni ho compreso quanto sia difficile imparare a conoscerlo, perché nessuno dei due si apre a sufficienza per farlo. Eppure mi ha visto in uno dei momenti peggiori della mia vita, nel dolore di un lutto che ancora cova in se il ricordo di quell'amore.
Perché non me ne aveva mai parlato!? Perché non era finita tra le sue molteplici e maligne battute un riferimento a quella mia condizione di cui si era preso carico?
E sono certo che sia stato lui perché, per un altra fortuita coincidenza che esortava il mio corpo a raggiungere terra in caduta libera dopo un attimo di distrazione, avevo ricevuto attorno alle braccia le sue mani ed ero tornato a sentire la presa del loro contatto.
Si era trattato di lui, ormai ne sono certo.
«Ci sono problemi, con quei dialoghi?» Mormora con distrazione, facendomi riflettere su quando possa aver valutato la mia penna cessare di scrivere.
«No, nessuno.»
Sono pronto a rispondere a tono alla possibile constatazione del fatto che mi fossi bloccato ad osservare il suo volto ma la sua voce evita di parlarne, forse troppo assorta nell'indagine.
Ed è a questo punto che decido di ri acquisire serietà e tornare concentrato.
Le lancette dell'orologio al mio polso evidenziano le cinque di mattina come orario di suo addio a questo mondo: Gareth resta immobile, con un gomito posato al bracciolo della sedia e la testa posata contro il pugno creato dalla mano, il tempo sufficiente da farmi accorgere del suo abbandono.
Arresto la registrazione, portandola indietro fino al punto dove immagino si sia dissolta la sua attenzione, per poi rimanere a fissarlo.
I neri capelli, scompigliati dai tentativi di tenersi sveglio, gli cadono di fronte gli occhi generando ombre sulla sua espressione ed il resto del viso, favorite anche dall'inclinazione del capo.
Ragiono su ciò che sia più giusto fare in poco meno di un minuto: diversi agenti si sono insospettiti nel vederci presenti così presto la mattina, ridotti poi nello stato di stanchezza nella quale ormai siamo, tanto da averlo riferito a Carlail, ne sono certo. Meritiamo tutti una pausa.
Per questo motivo incentivo Gareth a lasciar cadere il braccio che gli sorregge la testa, in modo da permettergli di posarla sulla mia spalla non appena arrivo ad essere sufficientemente vicino, azione che per altro compie.
«Che cosa fai?» La sua voce lenta me lo sussurra nell'orecchio provocandomi una serie di brividi ed una sorta di batticuore che si placa solo nel rendersi conto del suo stato di incoscienza.
«Ti accompagno fino alla macchina, hai bisogno di dormire.»
Sorprendentemente non protesta e finisce per essere collaborativo nel posarmi il braccio attorno alle spalle.
La sua testa dondola sopra la mia, posandovisi leggera, mentre camminiamo in direzione dell'uscita tanto da farmi rende come non mai conto della differenza di altezza tra noi due.
Gareth è poco più basso di Vincent, alto un metro e novanta...
Superando l'ostacolo del gradino fornito dal marciapiede, la sua testa nell'ingovernabile posa favorita dalla sonnolenza scivola più giù, facendo scontrare le sue labbra contro la mia gola.
Tento di non curarmi della scarica che ricevo addosso ad un simile contatto e cammino spedito in direzione della sua macchina.
Conosco la tasca in cui ripone le chiavi ed anche la strada di casa sua... una volta fatto accomodare Gareth sul sedile passeggeri capisco come sia proprio casa sua il posto migliore in cui condurlo.
Si era preso cura di me quando avrei preferito morire... è il minimo che possa fare, adesso.
Metto in moto la macchina e percorro le strade deserte di quest'orario che ancora insegue l'alba, notando come il sole si approcci al cielo una volta raggiunto il suo condomino.
Gareth continua a stringermi ed è una fortuna, altrimenti lungo la strada per l'ascensore saremo già crollati a terra.
Seleziono il tasto del suo piano, notando il suo volto prigioniero della stanchezza mentre la luce lo illumina dall'alto, prima di arrivare nel pianerottolo e partire a caccia della giusta chiave.
Non sono mai stato all'interno di questo appartamento negli ultimi tre anni, conoscevo solo l'indirizzo avendolo una volta raggiunto come passeggero nella macchina di Russel per poter lasciare a Gareth dei documenti, per cui avanzo tentando di accendere i giusti interruttori per illuminare l'ambiente, facendo ricongiungere il proprietario di questa casa alla sua stanza.
Solo in un primo momento rifletto sulla possibilità di essermi spinto troppo oltre, all'interno della sua privacy; non siamo nemmeno amici o meglio non ho idea di che cosa siamo, ma l'istante dopo rifletto su come lui non abbia avuto alcuno scrupolo ad entrare in casa mia, raggiungendomi nei momenti di mia maggiore debolezza, nonostante tutte le buone intenzioni che potesse pensare di avere.
Non appena gli permetto di distendersi sul materasso della sua buia camera mi rendo conto di avere il respiro rotto, avendo trascinato il doppio del mio peso... ma con abbastanza gentilezza da riuscire non del tutto a svegliarlo.
Dopo un primo momento di sfarfallio delle ciglia, noto come Gareth sia tornato presto ad uno stato di incoscienza in grado di lasciarmi libero di eseguire la mossa seguente.
Decido di limitarmi a sfilargli le scarpe prima di andare via, così da impedire che il giorno seguente possa avere i piedi doloranti, ma poi, terminata l'operazione, mi prendo un'altra libertà che possa mettere a nudo i suoi segreti.
Inclino il corpo in modo da superare il suo ed accendere la piccola lampada presente sul comodino.
L'intera scena si rischiara di un filtro dorato in grado di illuminare la successiva azione che compio nel ri distendere la piegatura delle maniche della camicia.
Una volta riuscitoci, dirigo docilmente il suo braccio appena verso la luce, per poter mettere allo scoperto ciò che una notte avevo scorto, durante uno dei nostri turni condivisi, ed ecco qui: un profondo taglio che corre in verticale sulle sue vene, da entrambi i polsi.
Fisso il volto addormentato di Gareth, le sue ciglia chiuse a fare ombra sulle guance, chiedendomi se sia questo che Francis ha pensato potesse renderci simili.
Non posso saperlo, ma la mia mano che ha afferrato uno dei suoi polsi lascia il compito al pollice di percorrerne il taglio, lasciandovi sopra una carezza lenta.
Forse, uno dei molti motivi per cui Gareth mi aveva impedito di compiere qualcosa di estremo in quegli anni... forse solo l'apoteosi di un suo sbaglio.
Gareth è pieno di segreti, di frasi non dette e di misteri. Comprenderlo è impossibile, eppure...
Resto ad osservare il suo volto abbandonato contro il cuscino, la tranquillità del suo sonno accompagnata, però, da quella ruga di espressione che gli corre al centro della fronte a simboleggiare preoccupazione. In un attimo rammento tutti i momenti che ci hanno visti vicini in questi anni, le ore passate alla centrale di polizia, fuori nel South Side durante le ronde di servizio e quelle immagini si associano ai ricordi dati dall'agonia di quei giorni nella mia casa. Due realtà completamente differenti, due aspetti della mia vita comunque involontariamente vissuti al suo fianco.
Non so quale ragione mi domini, forse solo l'istinto di rendere grazie, ma con precauzione la mia bocca si posa lungo la ferita cicatrizzata del suo polso, tentando di curare un male che non può essersi del tutto estinto. Nel compiere il gesto, immagazzino particelle del suo profumo, che ho imparato a riconoscere e che allontano solo permettendo il riabbassarsi della sua mano.
Veglio sui suoi sogni, indeciso se interromperli per chiedergli la verità e poter finalmente parlare, senza bugie, dei ricordi che fanno parte del nostro di passato. Decido però di non farlo ed abbandonando la sua stanza, dopo aver verificato per l'ultima volta che possa stare bene, raggiungo il soggiorno dove il mio sguardo viene catturato da un'altra delle sue stranezze ed ecco un nuovo mistero.
Solo una foto è presente in tutta la casa ed è posata su uno scomparto della scaffalatura della sua libreria, dinanzi ai divani. Il corpo si avvicina a lei al punto tale da poterne cogliere i particolari nella semioscurità ed è così che riesco ad identificare i due soggetti ritratti.
Sono Gareth ed un altro ragazzo, probabilmente della sua stessa età, molto più giovani e ripresi a figura intera mentre sfoggiano entrambi delle biciclette e dei sorrisi limpidi alla telecamera.
In un primo momento arrivo a pensare a come non sia mai riuscito a scorgere una simile allegria nel volto del poliziotto. L'istante dopo noto l'assenza di tagli lungo i suoi polsi, nella trappola di quel piccolo ciack che ha congelato il suo istante di allegria.
Poso le chiavi di casa sua su un mobile e decido di uscire, chiudendomi con lentezza la porta alle spalle, in modo da non poter entrare in contatto con altri aspetti della sua vita complessa.
P.O.V.
Gareth
L'esitazione governa i miei occhi che tardano a seguirlo. Sono riuscito a rimanere al suo fianco mentre il suo corpo dondolava da un lato all'altro a causa dell'eccessivo stato di ubriachezza ma mi sono fermato a pochi passi da lui non appena mi ero reso conto di che stanza avesse raggiunto.
Noto Rais posare la fronte ed una spalla contro la prima parete del bagno, ovvero la sola che nasconde al soggiorno i sanitari, per poi inclinare lo sguardo all'indietro così da fissarmi.
«Che fai? Ora non mi aiuti più?»
Impertinente.
I miei pensieri sembra siano in grado di renderlo ilare perché l'istante dopo sorride, eseguendo poi il rivelatore rumore dato dalla discesa della zip.
«Se solo avessi saputo che sarebbe bastato questo per renderti timido e consentirti di starmi alla larga allora l'avrei fatto prima» bofonchia, facendomi sorridere della palese difficoltà, celata dal muro presente, che sembra avere nel solo urinare.
Espiro con forza, ricercando la mia pazienza e posandomi una mano sulla bocca per poter cercare di nascondere il sorriso che sta prendendovi vita al di sotto, a causa del suo stato gioioso di questa sera.
Difficilmente con lui risulta facile scherzare ma ecco che scopro quanto gli sia semplice farlo, mentre continua a riversare tutto ciò che ha bevuto in un lungo getto assorbito dal wc, mentre continua a sorridermi e fissarmi negli occhi. Il suo volto la sola cosa che vedo oltre parte delle spalle e dei boxer calati lungo il fondoschiena.
Aspetto che termini e che possa premere il bottone per poter parlare nell'assoluto silenzio, ancora nei suoi occhi una volta che dietro questo muro si sia sistemato.
«Non mi intimidisco per così poco» confesso ed ecco è il suo sorriso ad insorgere, mostrando tutti i denti bianchi che quella bocca larga ma perfetta per il suo viso risalta.
Certe volte mi chiedo se si ricorderà mai niente di tutto questo.
«Allora è davvero difficile sfuggirti.»
In uno stato di incoscienza, ruoto appena la testa ed il corpo lungo il fianco opposto, pensando a quando è stata l'ultima volta che sono riuscito a dormire tanto bene.
«Lasciami, sono in uno stato pietoso» bofonchia, mentre tento di rimetterlo in piedi.
«Per questo sono qui.»
«Faccio schifo, lasciami, ho appena vomitato!»
«Non importa, dammi i vestiti, li metto a lavare.»
Dopo uno stato di smarrimento, Rais esegue quanto gli ho richiesto, senza essere in grado di tenere gli occhi aperti.
Osservo la difficoltà delle sue mani occupate nel tentativo di sbottonarsi i bottoni della camicia ed una profonda tristezza mi assale al pensiero che se solo non fossi arrivato in tempo, questa notte avrebbe superato ogni limite e lo avrei perso, per sempre.
«Perché fai tutto questo? Nemmeno so chi tu sia... non ricorderò niente... non riesco a reggermi in piedi...»
«Non importa, basta che tu viva» dico con certezza, afferrando i vestiari che non si riesce a sfilare di dosso e impossessandomene. «Il resto non conta.»
Rais.
Apro gli occhi con il suo nome impresso nella mente ma quello che vedo di fronte è solo la mia stanza, avvolta nel buio. Solo la luce del comodino rischiara le tenebre e mi dona modo di poter osservare la realtà dei fatti: le scarpe che mi sono state sfilate via, le lunghe maniche della camicia che sono tornate distese ma liberate dai bianchi polsini, in modo da rivelare, nell'apertura della stoffa, i profondi tagli lungo i miei polsi.
Era stato lui a riportarmi a casa?
Torno disteso sul letto, nascondendo poi il viso nella piega del gomito, attraendo l'oscurità ma ritornando vittima dei ricordi.
«Ti è mai capitato di provare l'istinto di desiderare qualcosa, pur cosciente di non poterla avere? Desiderarla e basta, anche in una forma diluita perché troppo cosciente che non ti appartenga?» Mi domanda Hasim, stringendo avvolto in una mano il foulard di Lèa e valutando l'espressione che consegue sul mio viso. Sorride con compiacenza. «Sì, credo proprio che diventeremo ottimi amici.»
«Gareth, per di qua!»
La mano di Cameron si solleva verso il cielo mentre l'altra mantiene in equilibrio il manubrio della bicicletta lungo questa strada troppo tortuosa, ricca di curve.
La precauzione mi fa osservare con timore l'audacia delle sue mosse e l'assoluta sicurezza che sfoggia ma poi lui si volta e mi sorride, illuminato dal sole del giorno.
Volto il corpo di lato, sollevando le coperte fino a sotto il collo ed allungando appena il braccio per poter spengere la luce del comodino e precipitare nel buio.
P.O.V.
Rais
La noia è la migliore amica delle giornate di Russel che, persino adesso, si passa tra le mani un mazzo di carte, riuscendo in un prestigio a farle mescolare con sapienza tra di loro.
Osservo la veloce movenza delle sue azioni, ricordandomi il giorno in cui Francis parlò dei trucchi escogitati da suo padre per poterla averla vinta sulla sua intelligenza, utilizzando il solo modo con cui era in grado di operare, ovvero barando.
«Sei bravo con quelle?» Gli domando e Russel si stringe nelle spalle, valutando se rispondere.
«Me la cavo.»
«E gli altri?» Proseguo nel chiedere con esitazione. «Sai se hanno altri hobby?»
«Vincent alle volte pesca mentre Nasir si diverte con l'informatica. Gareth invece è più atletico e percorre itinerari ciclistici di difficoltà elevata.»
«Solo come hobby?»
«Non credo che partecipi a delle gare... a te invece, che cosa piace fare quando non sei chiuso qua dentro?»
«Mi piaceva andare in moto.»
«Ora non più?»
«Ho perso entrambe le chiavi e non sono mai passato in officina per averne un nuovo paio.»
«Come mai?»
Stavolta sono io a stringermi nelle spalle. «Non sento più il bisogno di andare da nessuna parte.»
«Forse ti farebbe più comodo una macchina» valuta, portandomi dinanzi a dei nuovi pensieri.
«Ieri notte ho riaccompagnato Gareth a casa con la sua auto, stava dormendo. L'ho lasciato in camera sua e poi mi sono guardato intorno...»
«Ed hai notato la foto» mi sorprende nel dire Russel, continuando con la distrazione fornita da quelle carte. «Non c'è niente di strano, è il solo oggetto di decoro presente.»
«Sai chi era quell'uomo?»
«No, non lo sa nessuno.»
«Credi che Francis lo sapesse?»
«Gareth non parla molto, lo avrei notato anche tu. Dopo tutti gli anni che abbiamo trascorso insieme io stesso non sono certo di conoscerlo a pieno!»
«Ho anche notato dei tagli, lungo i suoi polsi...»
Il volto del mio collega si intristisce, le mani rallentano nel loro gioco. «Sì... sì, quelle le abbiamo notate tutti.»
«Ho pensato che fossero auto inflitte...»
Russel non commenta, perché solo considerare ciò come un affermazione costringerebbe all'ipotesi di un'altra situazione: nemmeno l'attento, e pieno di riguardi, capitano di questo gruppo di eroi è in grado di sopravvivere alla tristezza che comanda la nostra avanzata.
«Ci sono molti segreti difficili da ammettere... Francis era il solo in grado di far trasparire parte dei suoi.»
Sì... Francis era bravo in questo. Io, invece, non ne sono in grado.
Gareth entra proprio dall'ingresso nello stesso termine del mio pensiero, aggiustandosi il colletto della camicia che indossa ed avanzando verso la postazione che gli era stata affidata, dentro ad uno dei due uffici.
L'irritazione che sembra possedere sotto pelle, la stanchezza ora più evidente nelle sue occhiaie e la stranezza del suo arrivo sul posto di lavoro nel suo unico giorno di riposo mi esortano a sollevarmi dalla mia postazione per potergli andare incontro. Avverto appena Russel alle spalle consigliarmi di lasciar perdere ma evito di rispondergli e percorro la strada che poco prima di sparire aveva percorso Gareth, trovandolo nel suo ufficio a rovistare in alcuni cassetti.
«Oggi non era il tuo giorno di riposo?»
Ad udire la mia voce alle sue spalle, le azioni di Gareth si arrestano per alcuni secondi. «Lo è.»
«Sei venuto qui per poter continuare con le registrazioni? Carlail non è in centrale.»
«Dovremo rallentare qualche giorno con i turni, gli altri stanno iniziando a notarlo» mi fa presente quella considerazione che nella mia testa avevo tratto anche io.
«Quindi perché sei qui?»
Sospira, rialzando appena il capo dall'azione che sta svolgendo all'interno di quei cassetti. «Sto cercando dei fascicoli da poter portare a casa, ho bisogno di distrarmi.»
«Perché mai?»
Si rialza con il contenuto della sua caccia al tesoro ben stretto in una mano, per poi lasciare da parte tutto il resto e guadagnarsi l'uscita, avvicinandosi al mio fianco. «Giornata impegnativa.»
Poso una mano sul suo torace, spingendolo appena all'indietro contro lo stipite della porta, impedendogli di continuare.
«Sei ubriaco» constato, con una sorta di sorpresa dentro la mia voce.
«Non proprio ma non sono nemmeno infallibile, ho certi momenti anche io per cui... puoi lasciarmi andare?»
Non è infallibile... certo, certo che non lo è. È una persona proprio come tutti noi, con i propri problemi...
Ritraggo la mano, esitante però nel vederlo andarsene.
«Sicuro di stare bene?»
«Lo sono, non preoccuparti» mi dice, allontanandosi di pochi passi prima che la mia voce lo rallenti ancora.
«Tu però lo facevi, ti preoccupavi...»
Noto con la coda dell'occhio il suo corpo arrestarsi sul posto, prima che un minuscolo commento si infranga sulla sua bocca, manifestando la sua sorpresa: «Ah...»
Lo avverto tornare indietro. Lo vedo arrivarmi di nuovo di fronte ed intrappolare il fascicolo tra le braccia intrecciate ed il suo corpo, sfidandomi a tornare nei suoi occhi. Cosa che per altro faccio.
«E da quando te ne ricordi?»
«Non da molto» confesso, tentando di studiare l'espressione che la mia confessione genera in lui. «E non ricordo molto ma so che eri tu.»
«Come ti ho detto, è stato Francis a chiedermi di badare a te.»
«Lo so, ed è per questo che ti sto chiedendo se anche tu stai bene.»
Lo noto posare all'indietro il capo, fissandomi dall'alto come già gli suggerisce di fare la sua altezza, in modo da potermi osservare con attenzione prima di proseguire.
«Se non sbaglio oggi anche è anche il tuo giorno libero...»
«Non mi prendo mai un giorno libero.»
«Allora che ne dici di seguirmi in casa mia così da essere sicuro che beva con moderazione? In fondo, ci sei già stato la scorsa notte e poi so che continueresti a chiedere come io stia agli altri.» Resto con le labbra serrate tra di loro a questa ultima considerazione. «Credi che non abbia notato che li usi da tramite? Sono passati degli anni, ormai, Rais. Se vuoi conoscere qualcosa di me allora chiedimela direttamente.»
«Verrò con te. Non sono certo che tu possa guidare in queste condizioni.»
Gareth si china fino al mio volto, pronto a sussurrarmi una frase dal sapore di una confessione. «Non ho mai bevuto quanto eri solito farlo tu» mi beffeggia, per poi fare strada.
Lo seguo in silenzio fino al parcheggio esterno.
******
La tiepida luce di questo pianerottolo illumina il profilo delle sue ampie spalle, mettendo in mostra il reticolo di muscoli che si muovono appena, al di sotto della stoffa, nel consentire l'apertura dell'ingresso.
Tornato tra queste stanze mi accorgo che il suo appartamento, nella propria semplicità, si mostra sotto una visione completamente diversa se rischiarato come è dalla luce del sole. Lascio scorrere lo sguardo sui mobili e suoi chiari divani, sul tavolo da fumo di fronte ad essi dove, poco dopo, Gareth lasciando cadere il mazzo di chiavi mentre tento di non mostrare la palese conoscenza che ho della posizione di quella sola fotografia presente.
«Vuoi qualcosa da bere?» Mi domanda quest'ospite dall'aria distrutta, avvicinandosi al frigo della cucina.
«Se chiedessi anche io qualcosa di alcolico?» Chiedo, vedendolo poi richiudere il frigo.
«Lasceresti che apra una sola bottiglia.» Il commento mi fa sorridere appena. Con una mano, Gareth mi suggerisce di accomodarmi. «Siediti pure dove vuoi, recupero due bicchieri.»
Accontento la sua richiesta in modo da potermi allontanare dall'ingresso. Prendo posto ad uno dei divani che fiancheggia il tavolino da fumo, poco prima di vedergli occupare un posto nell'altro.
Afferro il bicchiere pieno per due dita che mi porge, ringraziandolo sottovoce per la premura. Sono certo che sappia che non ho mai smesso, ma fortunatamente non più nelle dosi di quel condiviso passato.
«Perché hai definito questa giornata impegnativa?» Gli chiedo con incertezza, dopo essermi bagnato le labbra di liquore e vedendogli fare lo stesso. «Sei preoccupato per ciò che accade in centrale?»
«Stiamo recuperando molti indizi e catturandone di nuovi, ma con troppa difficoltà rispetto a quanto credessi.»
«La morte di Francis ha messo in guardia tutti, al distretto. Inoltre, abbiamo visto che le poche prove presenti erano state modificate. Probabilmente da William.»
«Sono certo che sia stato lui.»
«Allora è solo per questo?»
«No... non proprio.»
Attendo che possa dirmi di più ma il silenzio che ne consegue, la sua ritrovata vicinanza al bicchiere, mi lascia comprendere che non sia in grado di fornirmi ulteriori parole. Per questo motivo, decido per la prima volta di essere il primo a farsi avanti.
«Ti ho seguito qui per un motivo» confesso, attirando su di me i suoi occhi blu che restano in attesa del mio ulteriore sfogo. «Ieri notte, quando ti ho riaccompagnato, ho notato le cicatrici sui tuoi polsi.»
«So che lo hai fatto.»
«Sei stato tu a infliggertele?»
Non sono un tipo romantico e non ho alcun tatto in certe situazioni nelle quali cerco solo risposte. Per fortuna, Gareth non sembra essere tanto diverso e mi risponde in una medesima apatia che sconvolge per la sua eccessiva distanza.
«Sì.»
Già... non poteva essere altrimenti vista la precisione nata in quella linearità.
«Perché?» Sussurro e stavolta gli occorre più tempo per potermi rispondere.
«Una persona a cui tenevo molto era morta e a quel tempo credevo che non esistesse altra via per tornare a star bene.»
«Ed esiste? Un'altra via.»
Gareth arresta lo sguardo su di me, offrendomi la soluzione che ha ottenuto da questi anni.
«Credo che sia la sola che la persona che ci ha lasciati voleva che intraprendessimo: quella della resistenza. Provare ancora a sopravvivere e tornare ad essere felici.»
Tornare ad essere felici...
«Io non ti lascerei, Rais. Dico sul serio.»
Sbuffo, in un'effettiva incredulità.
«Certo, come no, sarai legato a me per sempre. Ci conosciamo solo da dei mesi e prima mi davi la caccia. Anzi, mi correggo: me la dai ancora. Inoltre non ti credo. Nessuno batterà Gyasi nel tuo cuore.»
«Perché dici questo?»
«Perché non c'è niente di più eterno di un amore morto. Non lo sai?»
La mano che Francis aveva posato sul mio petto si allontana, nella rabbia delle mie parole.
«"Niente sostituirà un amore morto"? Ti sbagli. La morte è una condizione permanente ma la vita è mutazione, si evolve, cambia e noi con essa. Ho il diritto di tornare ad amare e tu sarebbe auspicabile che fossi dalla mia parte, dal momento che sei la causa di tutto questo gran trambusto. La morte si supera se si è spinti avanti da qualcosa di più forte. Ti prego, non dimenticarlo.»
Le parole di Francis ora mi tolgono il fiato per la loro rudezza e per la parte di quel passato con cui Francis aveva compreso di poter convivere, spinto in avanti da una condizione ancora più forte.
La mia, proprio come era stato per Francis, può essere solo la strada legata all'amore ed è a fondo chiuso, perché sono certo di non potere mai più amare qualcuno come ho amato Francis. Per Gareth era lo stesso?
«Stai parlando del ragazzo in quella foto?» Chiedo, con non so che faccia tosta.
In risposta, Gareth solleva gli occhi verso la fotografia per un solo istante, prima di farli di nuovo avvicinare al bordo del bicchiere.
«Si chiamava Cameron, era il mio migliore amico. È morto in un incidente stradale, guidando con la propria macchina. Non aveva fatto niente di male.» Resto in silenzio, attendendo le parole che so sopravvivano all'interno del tempo. «Non ha nemmeno mai saputo che cosa provassi veramente per lui. Oggi è il decimo anniversario dalla sua morte.»
«Mi dispiace molto» sussurro, riflettendo su come per lui il tempo sia passato ma il dolore non si sia del tutto dissolto, immaginando che abbia saputo vivere in equilibrio, tra momenti di forza ed altri di debolezza. «Francis sapeva niente di questa storia?»
«Quando io e lui ci incontravamo, tu non facevi altro che fissarmi. Me lo ricordo. Mi fissavi con una rabbia che non riuscivo a comprendere...»
«Credevo che tra di voi ci fosse qualcosa.»
«Non c'è mai stato» confessa, per poi decidere se riferirmi anche le parole che sembrano essersi sospese sulle sue labbra. «Non ha mai saputo niente di tutto questo.»
La soddisfazione che mi consente di ottenere una simile confessione non nasce dalla rassicurazione e messa a tacere di quell'ipotesi di gelosia che non è mai stata soddisfatta del tutto, lo capisco, quanto dal fatto che, per la prima volta, ci sia stata una condizione estranea dal controllo di Francis.
E' difficile da definire ma dopo la sua morte ho avuto l'impressione che avesse calcolato tutto, a seguito della telefonata con suo padre: l'ultimo saluto a Gareth, annesso alle richieste che gli aveva lasciato, le sue ultime parole verso di me, la richiesta di quel pacchetto di sigarette, persino l'ultimo dono riservatomi attraverso la voce di Teo... Si era assicurato, con tutto se stesso, che potessi rifarmi una vita quando io non volevo in alcun modo possederla, quasi mi costringesse lui per primo a vivere, ma per la prima volta mi rendo conto di dove il limite del suo intervento si possa estinguere e dove era intervenuto quello che, effettivamente, era d'un tratto il mio presente.
La bravura di Francis come detective e come persona era sempre stata quella di prevedere la reazione degli eventi, muoversi decine di mosse prima rispetto a quelle dell'avversario e questa era la sola certezza che mi aveva spinto a ritenere che il suo suicidio fosse stato eseguito per uno scopo. L'ho constatato vivendo, perché ogni cosa attorno è cambiata: i suoi amici non sono più gli stessi, la centrale di polizia non è più la stessa per cui... ho odiato il pensiero che stesse costringendo anche me a cambiare, quando non lo voglio. Quando non desidero cercare un equilibrio al suo ricordo ma continuare a viverlo appieno.
«Perché me lo hai domandato?» Mi chiede Gareth d'un tratto, risvegliando la mia coscienza.
Spiegargli tutto questo sarebbe troppo complesso per cui confesso il sentimento che solo ieri sera mi aveva smosso, donandogli parte del mio presente con la stessa sincerità con la quale lui stesso si era aperto a me.
«Un giorno, Francis mi aveva parlato del fatto che durante il periodo dell'accademia avesse proiettato in ognuno di voi il ricordo degli amici che si era lasciato alle spalle. E tu eri me, gli avevi invocato il mio ricordo e la cosa mi aveva riempito di gelosia.»
«Non me lo aveva mai confessato, ma lo avevo capito.»
«Mi aveva detto che eravamo simili, ma non avevo mai compreso quanto potessimo esserlo, prima di ieri sera» ammetto, abbassando ora lo sguardo dinanzi i suoi occhi troppo concentrati in me da consentirmi di parlare. «Credo che avesse avuto bisogno di assicurarsi che stessi bene, avendo conosciuto ogni lato del mio carattere. Persino, quelli precedenti alla nostra relazione. Non è successo per la prima volta nel periodo di lutto successivo alla morte di Francis che tentassi il suicidio. Lo avevo già fatto. Prima di innamorarmi di Francis, facevo uso di eroina ed una volta, volontariamente, decisi di mischiarla alla cocaina per andarmene. Volevo solo smettere di provare qualsiasi emozione...»
Ripercorrere quegli eventi, ormai appartenenti ad un'altra vita, richiede l'assoluto mutismo delle mie parole, in modo da far tornare il battito del cuore ad una sua regolarità e comprendere quanto di quel passato io sia riuscito a lasciarmi alle spalle.
Vorrei poter essere una persona più facile da comprendere, una facile da amare come lo era Francis e che non divenga tanto spesso vittima di una profonda tristezza ma forse è tutto dovuto all'abbandono con cui ho convissuto da piccolo, dentro quell'orfanotrofio. Provarlo ancora una volta, con la morte della sola persona che ho mai veramente amato, aveva comportato il mio nuovo meccanismo di autodistruzione di cui sono tanto esperto. Saturo di questa vita piena di dolore e di tristezza, sopra ogni cosa.
Nel volteggiare la testa, alla ricerca d'aria, il mio sguardo si sofferma su un oggetto, nell'alto della scaffalatura della libreria, che prima non avevo notato. Per un attimo desta il mio stupore... dopodiché questi viene sopraggiunto dalla rabbia.
«Avrei dovuto immaginarlo che le avessi tu!»
Mi sollevo in piedi da questo divano di scatto per raggiungerle e con la coda dell'occhio, l'istante dopo, gli vedo fare lo stesso. Non mi interessa. Tento di recuperare le chiavi della mia moto, lottando contro le sue mani che riescono a strapparmele.
«Ridammele.»
«No.»
«Per quale accidenti di motivo le hai prese?!»
«Tu che pensi?» Domanda la sua voce di colpo ironica ma gelida, mentre la sua mano si solleva ancora al di sopra della sua testa in modo che non possa raggiungerla.
«Sono sparite di colpo, un giorno, prima ancora che potessi anche solo iniziare a bere una sola goccia d'alcol!» Ricordo, gridandoglielo in faccia.
Gareth abbassa la mano ma la tiene distante da se, oltre la propria schiena e con l'altra posa la punta delle dita al centro del mio petto, trattenendomi proprio come lo avevo trattenuto io alla centrale, rimanendo a fissarmi negli occhi.
«Ero rimasto davanti a casa tua tutto il giorno, dopo il suo funerale. Credi che non abbia notato il modo con cui fissavi la tua moto?!»
Provo a spingermi in avanti per poter contrastare le sue mani ed ottenere indietro ciò che mi appartiene, ma non c'è alcuna soluzione. Gareth continua a tenermi al mio posto, sfidandomi a superarlo.
«Non le hai mai riavute indietro perché in tutti questi anni non hai mai provato a dimostrarmi di aver superato il dolore e va bene... va bene non farlo. Hai visto ciò che questa giornata, dopo dieci anni, continua a provocarmi. Non ti chiederò mai di dimenticare Francis... ma se intendi sfracellarti con quella moto lungo qualche strada di montagna od oltre il precipizio di un burrone allora non sarò io ad offrirti modo di farlo. Rassegnati. Impedirò, con tutte le mie forze, che anche tu muoia.»
"Si chiamava Cameron. Era il mio migliore amico. È morto in un incidente stradale".
Gareth si allontana da me continuando a sfidarmi con i suoi seri occhi e solo adesso mi rendo conto di come, in mezzo a tutte queste fiamme di distruzione, di vendetta, di rabbia, di ribellione... lui sia la sola acqua, in grado di calmarmi.
Perdonami, Gareth, per ciò che ti ho fatto vivere.
Per il desiderio che avevo avuto, attraverso il riflesso di quella finestra del soggiorno e guardando la mia auto, di dare a me stesso una fine che sapevi essere in grado di provocare, a chi rimaneva in vita, tanto dolore.
Perdonami per essere egoista e per non aver pensato che questo tuo bisogno di salvarmi potesse essere stato generato dalla morte del tuo migliore amico ma anche da quella di Hasim, che non sei stato in grado di fermare.
Perdonami, Francis, per aver pensato così tanto alla morte mentre tu lottavi con tutto te stesso per mantenermi in vita.
Le emozioni sono sempre state qualcosa di troppo forte per me, qualcosa che non sono mai stato in gado di vivere.
Gareth continua a fissarmi finché non mi rivolge la schiena e con passi lenti si allontana per poter tornare al divano e fissarmi da quella postazione, riprendendo a bere quel siero di verità che lo aveva condotto ad aprirsi con me.
Due anni dopo
P.O.V.
Rais
Certi giorni il cambiamento è presente nell'aria, ma non si offre a lui alcuna considerazione. Si continua a fingere che la maschera che ci si è posto sul viso di finto scetticismo possa non ferire nessuno di noi mentre continuiamo a passeggiare per la centrale. Lo abbiamo notato tutti, questo brusio in sottofondo. Questo parlare che hanno le persone tra di loro, confabulando come in un complotto, per poi tacere alla mia vista.
«Non devi preoccupartene. Continua a camminare» sento dire Gareth alle mie spalle, per cui eseguo quanto richiesto.
Procedo lungo il corridoio, mantenendo al petto la scatola contenente le ultime deposizioni che Carlail mi ha chiesto di estrapolare dalla bocca di testimoni poco inclini a collaborare.
«E se Carlail si fosse reso conto di cosa stiamo portando avanti da anni?» Chiedo in un sussurro, mettendo in luce le mie preoccupazioni.
«Gli ultimi incarichi che ha affidato a tutti noi sono fuori dalla portata di chiunque. Lo fa per tenerci occupati per cui è sicuro che se ne sia reso conto.»
«Se è così allora perché tenta solo di rallentarci? Perché non ci ferma?»
«Russel ha scoperto che tutto il materiale che ci era stato requisito Carlail lo tiene sottochiave, in uno scompartimento della sua scrivania.»
«Vuole vedere quanto siamo in grado di ricostruire per poi continuare a privarcene.»
«Ma non arriva comunque a distruggerlo. Non possiamo sapere quali siano i suoi affari con la mafia o se sia completamente dalla loro parte. Forse li detesta ancora, per ciò che hanno fatto a Francis, ma non ha abbastanza forza o prove per combatterli.»
«O forse è solo corrotto come il resto della centrale e tenta di esserci d'ostacolo.»
«Non possiamo saperlo» chiarisce, guardando con scetticismo nella direzione del chiamato in causa mentre continuiamo a camminare fianco a fianco. «Le voci che circolano tra gli agenti parlano di una nuova recluta aggiunta al personale.»
«Si interrompono sempre quando sono io a passare» affermo con certezza e Gareth non mi smentisce.
«Questo ci offre la conferma che la questione di Francis non sia mai stata messa sul serio da parte.»
«Va tutto bene, ragazzi?» Russel ci ha raggiunti e si rivolge a noi con un sorriso che la preoccupazione nel suo sguardo smentisce.
«Tutto bene, evitiamo di far loro vedere che siamo insieme. Rais, porta quelle prove nel magazzino. Noi torneremo alle nostre postazioni.»
«D'accordo» mormoro e l'attimo dopo il nostro trio si scioglie, prendendo strade diverse.
Continuando a camminare proseguo nel notare come le voci delle persone si interrompano e poi come tutti loro scompaiano di fronte alla mia vista, ritornando ai propri posti. Evito di dimostrare quanto possa averlo notato e continuo a procedere, passando poi nel silenzio di fronte alla secondaria porta dell'archivio.
Con la coda dell'occhio riesco a notare che sia aperta e l'attimo dopo colgo il profilo di una figura. I passi rallentano, nel camminarle affianco, ed il cuore precipita in caduta libera prima che la parete, raggiunta dai miei passi che non si sono arrestati, si interpone tra di noi.
Francis!
Poso la scatola a terra e torno indietro di fretta, con un sorriso nato dall'idea di rivederlo. Era lui. Era lui, aveva i vestiti neri, i capelli neri, la pelle pallida! E stava nel suo stesso nascondiglio, l'archivio di cui solo lui possedeva la chiave, lo stesso che avevamo condiviso.
Torno dinanzi quella porta spalancata con il batticuore riuscendo a vedere ora con chiarezza il profilo della sua figura, seduta alla stessa sedia di un tempo. Apro la bocca, pronto per parlare, esordendo per dirgli che sapevo che tutto questo fosse un brutto scherzo, sapevo che non fosse morto!, quando quell'uomo solleva appena lo sguardo dai fogli che stava analizzando, mostrandomi le piccole differente nate in contrapposizione ai tratti di Francis.
Il naso è leggermente più aquilino e le mascelle più squadrate, il volto più giovane, senza rughe di espressione, i capelli neri ma non ricci, aggiustati con una precisione che sembra nata da un taglio recente.
Caleb. È Caleb!
Retrocedo di quei pochi passi che mi permettono di uscire dalla stanza, raggiungere la parete opposta del corridoio e posarmi entrambe le mani sulla bocca, lì, dove si erano frenate le parole, prima che il mio corpo discenda fino a terra.
La tristezza nata dall'illusione di riaverlo avuto indietro mi trafigge il cuore fino a farlo sanguinare ma dopo del tempo viene sostituito da una sorta di emozione radiosa, nata dalla scoperta.
È Caleb la nuova recluta della polizia. Lui è qui, al posto di suo fratello!
Torno in piedi con un sorriso, pronto a tornare da lui con allegria quando mi accorgo... che suo fratello non conosce niente di noi. Non sa niente della nostra storia. Non è consapevole del dolore con cui ancora sto convivendo né del sacrificio che suo fratello ha compiuto. Del bellissimo modo con cui mi chiamava "figlio del vento" e con cui mi sfiorava la testa, rassicurandomi con il verde smeraldo dei suoi occhi.
Per Caleb... sono solo un estraneo. Un uomo che è stato poche volte a cena a casa loro, se solo mai se ne ricorda.
Non so che cosa fare ed è evidente dalla mia immobilità al centro di questo corridoio, dalla mia gamba tesa in avanti, verso di lui, e dall'altra rivolta all'indietro immobile, quasi nel desiderio di non intervenire nella sua vita affatto. Ma lui è lì, a pochi passi da me! Il fratello dell'uomo che amo, la persona che Francis amava più di se stesso ed ha preso il suo posto! È qui. È qui, perché è qui? Vuole cercare giustizia per la sua morte? Vuole la verità?
È la felicità di riaverlo vicino che mi incentiva a farmi avanti. La bellezza di poter riavere indietro una parte di Francis, intrappolata nel suo sguardo. Mi affaccio all'interno dell'archivio e rimango immobile sulla porta, a fissarlo.
È identico a lui, tanto identico da farmi sperare che possa essere Damien suo padre.
«Caleb...» in risposta alla mia voce, questi solleva lo sguardo facendomi tornare a battere troppo forte il cuore dinanzi a quegli occhi verdi. Gli occhi di tutti i miei ricordi. Identici a loro. «Al piano di sopra non si fa altro che parlare di te... come stai? Perché ti sei rinchiuso in questa stanza?»
Perché proprio qui, in tutto il distretto? Perché hai deciso in questo modo di fare un attentato al mio cuore?
Caleb sorride con dolcezza mentre i miei occhi scorrono a valutare quanto sia cresciuto in questi anni. Quanti ne ha, ormai? Venti? Ventuno? La stessa età di suo fratello quando aveva incontrato la morte.
Di colpo provo l'istinto di chiedergli di abbandonare questo tavolo e andarsene, per impedirgli di incorrere nella stessa maledizione.
«Ryan... è un piacere rivederti.»
Persino la loro voce è simile ma quella di Caleb ha una cadenza più bassa, profonda.
«Anche per me, per quanto mi sembri impossibile» affermo, vedendolo sollevarsi in piedi ed affondare le mani nelle tasche dei pantaloni neri che indossa, in una mossa disinvolta.
È persino alto quanto lui ed ha il suo stesso sorriso. Sono costretto a ricambiarlo mentre il cuore mi batte sempre più forte.
«Carlail ti ha reso uno dei nostri?» Domando, in un mezzo sussurro che teme la possibile spiegazione ad una tale risposta. «Crede che tu possa aiutare con dei casi?»
Oppure ti ha messo dinanzi a me come un monito, quasi una minaccia, a chiedermi di fermare ogni mia azione?
Di non procedere altrimenti Caleb stesso potrebbe ferirsi...
«Sembra sostenerlo, sì.»
Già, ma non c'è niente di certo. Nessuno di noi può sapere che cosa quell'uomo stia pensando.
«E ne sei in grado?» Chiedo, con assoluta curiosità. I suoi occhi però mi tornano contro, dopo essersi allontanati per riflettere su pensieri a me troppo lontani, facendomi rendere conto in un batticuore intimorito dalla paura che mi sono spinto troppo oltre, rispetto al nostro livello di semplice conoscenza. Per lui non sono nessuno, non lo conosco. Forse crede, addirittura, che per Francis sia stato un semplice collega... Tento di rendermi di nuovo un estraneo, attraverso parole più corrette. «Ma certo, che cosa chiedo a fare, sei il fratello del grande Francis se non hai ereditato tu i suoi geni chi altro?»
Come se non lo conoscessi.
Come se non lo amassi.
«Probabilmente tu, passava più tempo con te che in mia presenza.»
L'assenza è difficile da gestire, specie per un bambino piccolo. Gli occhi di Caleb si abbassano dinanzi a quel ricordo di abbandono e di colpo mi rivedo in lui, rivedo quei giorni trascorsi nella tristezza dell'orfanotrofio.
«Il lavoro ci consumava» gli confesso, nel tentativo di fargli comprendere quanto suo fratello non lo abbia mai abbandonato. Lo amava, lo amava più di chiunque altro! E sarebbe tornato da lui se solo-... se solo Richard...
«Ad ogni modo sono qui, vedi di non spargere troppo la parola» taglia corto con cattiveria, generando il mio spaesamento. Sapevo da Francis che suo fratello era solito comportarsi in questo modo, con freddezza, dimostrando come certe situazioni non potessero in alcun modo toccarlo. Il ricordo di lui deve avergli fatto male ma io non voglio in alcun modo che nasconda le proprio emozioni. Io le ho soppresse per un'intera vita e solo in questi ultimi anni mi sono reso conto quanto male facesse continuare a farlo.
«Perché non vuoi che si sappia? Ti infastidisce che parlino di te?»
«Non voglio essere associato a mio fratello.»
Proprio come pensavo.
«Dovresti invece, qua dentro è considerato una specie di eroe.»
Ti prego, Caleb, non dimenticarlo. Non tu. Francis ne soffrirebbe troppo, non saprebbe perdonarselo. Sono certo che ci guardi adesso, sono certo che stia piangendo. Se non lo fa è solo perché può avere compreso come possa trattarsi di una bugia. Mi raccontava che era sempre in grado di comprendere quando tu stessi mentendo.
«Gli eroi non muoiono.»
Spietata. Priva di qualsiasi inflessione emozionale. Priva di tutto e semplicemente svuotata. Così mi appare la sua voce o il suo corpo ora posto sulla difensiva ma quando il mio sguardo risale fino ai suoi occhi... lì, dentro quel verde, c'è intrappolato tutto il suo cuore. C'è Francis e l'amore che ancora prova per lui, la vera ragione per cui è venuto fino a questo posto e si sia incosciamente ritrovato ad occupare la sua postazione, guidato dal loro legame di fratelli. Può mentire quanto vuole, può combattere se è questo che desidera ma lui continuerà ad essere rifugiato lì, nel suo sguardo.
«Nemmeno lui lo ha fatto.» Rispondo, affrontandolo con certezza. «Sei ancora vivo tu, no?»
Completamente spaesato dalla mia risposta, lo sguardo di Caleb si disperde rilasciando ogni genere di emozione che potesse covare. Sorrido di quella resa, considerando cosa Francis potesse ritenere stupendo della sua anima. Caleb ha molto cuore ed è ferito da ciò che la morte ha comportato. Lo siamo tutti noi. E dentro di me spero che possa non colpirlo ancora una volta da vicino ma che abbia la forza, nel caso accadesse, di poter rispondere come si deve.
«Per qualsiasi cosa ad ogni modo mi trovi su. Passa se ti va, potremmo prendere un caffè insieme.»
«Vedrò che fare» mi risponde in un mugolio, dandomi la certezza che non accetterà mai una condizione simile. Vorrei che si ricredesse, in modo da poter tornare a parlare insieme del futuro o del passato, ciò che preferisce abitare.
Esco dalla stanza accorgendomi dell'arrivo di Gareth dal corridoio. Si sofferma sulla mia presenza per poi passare, con circospetto, lo sguardo oltre le mie spalle, finendo per sgranare gli occhi. Sorrido della sua reazione e della tristezza, mescolata allo sbigottimento, che sembra raggiungerlo.
«Si chiama Caleb» riferisco in un sussurro. «È suo fratello.»
Mi allontano di qualche passo dalla porta, vedendo una delle poliziotte di questo posto entrare all'interno dell'archivio, dimostrandomi di conoscere Caleb. Si chiama Rachel, è una delle nuove arrivate.
«Dove stai andando?» Mi domanda Gareth, vedendomi raggiungere le scale per l'uscita.
«Devo parlare con una persona...» ammetto, per poi esitare nel pronunciare le parole successive. «... vuoi venire con me?»
Gareth rimane a fissarmi mentre sono in piedi su questo primo gradino, ad una vicinanza ridotta affinché possa essere solo nostro questo scambio e ad una altezza che ora ci vede simili.
«Tu vuoi che io venga con te?»
Il nostro... è un legame difficile da instaurare e non è composto di molte parole quanto di sguardi. Per questo pronunciarne di definitive ha un significato profondo e mette in chiaro il progresso identificativo della nostra vita.
«Sì... sì, vorrei che tu venissi con me.»
Gareth sorride a questa risposta e mi accorgo... di come la sua bocca si sia distesa con più dolcezza di sempre.
Tendo una mano nella sua direzione, offrendogli il palmo aperto.
«Ho bisogno delle mie chiavi» gli riferisco, ben sapendo che sappia ciò a cui faccio riferimento. Ora è suo il turno di fidarsi e decidere di affrontare una nuova tappa del suo lutto. Guardandomi con i suoi occhi blu, lascia cadere nel mio palmo il giusto mazzo appartenente alla mia moto ed io sorrido, recuperandone il possesso.
Guidarla mi era mancato. Sentire il rombo del motore, percepire il vento addosso, indossare la pesantezza del casco. Gareth è alle mie spalle, teso come una corda di violino per ogni curva che compio ma tento di non andare troppo forte, per assicurargli la giusta sicurezza. Una volta arrivati a destinazione, però, avverto chiaramente la sua soddisfazione.
«Non ti piace andare in moto.»
«La prossima volta guido io la macchina.»
«Vedremo» commento in un sorriso, dopodiché gli sento afferrare il mio casco per cui mi volto, tentando di comprendere che cosa abbia intenzione di fare.
«So che casa è» mi dice, per mia sorpresa. «Ti aspetto qui.»
«D'accordo...»
Ed è così che procedo in direzione del giardino, dal quale sento provenire delle voci.
Il cielo in questa giornata è sereno ed il sole illumina i loro sorrisi mentre sono intenti a compiere una serie di giochi e con mia sorpresa, visto il mattiniero orario, anche Teo è con loro.
«Finalmente sei tornato. Ti aspettavamo da un pezzo» mi dice la figura più alta tra di loro ed io sorriso del suo rimprovero come della sua capacità istantanea di riconoscermi.
«Ciao, Attila.»
Tommy è stretto ad una sua gamba, a dimostrazione di quanto la vicinanza al suo padre acquisito sia stata la risoluzione a quel gioco che vede Teo perdente ma schierato, divertito, dianzi a lui.
«Ragazzi, potete lasciarci un attimo da soli?» Chiedo ai bambini, vedendoli all'istante annuire e dileguarsi. Sono diventati molto amici. «Ho saputo che sei stato meglio, ultimamente.»
«Ultimamente. Non so come Nerissa riesca a star dietro al mio umore.»
«Lei ti ama...» affermo, certo che se potessi avere Francis con me sarei ben lieto di curare ogni aspetto di quella malattia che non ha avuto il tempo di portarselo via. «... ma ha compreso, come tutti noi, che ti manchi qualcosa.»
Attila tace, permettendomi di proseguire.
«So che anni fa, Damien è venuto da te chiedendoti di collaborare e tu rifiutasti.»
«Vuoi convincermi a collaborare con lui?»
«Tu che cosa vuoi?» Gli domando, per poi tornare ai piccoli con lo sguardo. «Volevi una vita tranquilla e l'hai ottenuta, ma ti basta?»
«Sei sempre stato un provocatore...» commenta in un mezzo sorriso difensivo, da cui non mi faccio abbindolare.
«Voglio solo che tu rifletta su ciò che vuoi. Fare il poliziotto è una parte di te che non sarai mai in grado di abbandonare...» affermo, dando voce ai nostri reciproci pensieri, per poi rendere nota la verità che ho conservato per tutto questo tempo. «So che mentre indagavo su William tu facevi lo stesso. Hai continuato per tutto questo tempo, pur non avendo la vista, agendo con astuzia e con il supporto di alcuni dei nostri. È stato Vincent, più degli altri, ad aiutarti, non è vero?»
«Ho allenato quei ragazzi, all'accademia» mi ricorda, sorridendo verso la memoria del solo di loro che non possiamo stringere. «So come manovrarli e renderli utili.»
«Sei riuscito ad indagare dove noi non lo abbiamo fatto. Damien sta continuando ad appiccare incendi sulle loro proprietà, scatenando la loro ira, direzionandoli dritti verso di noi. Se uniamo le nostre forze possiamo batterli.»
«Che cosa ti ha ridato tutta questa sicurezza, re della strada? Un tempo eri il più triste di tutti noi.»
«C'è una persona che mi ha aiutato per tutto questo tempo...» Attila sorride, nel sentirmelo riferire ma non commenta. «... Ed inoltre, da oggi Caleb lavora alla centrale. Ha preso il posto di suo fratello, Attila. Non possiamo permettere che si faccia del male.»
Attila rimane in silenzio per lunghi istanti e l'immobilità del suo corpo viene infranta dal respiro del vento che ci scorre addosso, alimentando la nostra scintilla, dando forza a questa ribellione. Le sue mani tornano ad accarezzare la pietra di quell'anello che non ha più tolto ed in quel gesto sembra dire una sola cosa: "per Francis".
«Fornirò tutte le prove che ho ricavato a voi e collaborerò con Damien.»
Sì, così è perfetto. Così, per Francis.
Una settimana dopo
P.O.V.
Rais
Le sue mani mi arpionano i vestiti, facendomi scontrare di colpo la schiena contro il muro proprio come fece suo fratello agli inizi del nostro legame, dentro quella casa della guerra, urlandomi contro il dolore provato per la morte di Gyasi.
«Caleb...»
«Ormai ho capito, Ryan. Conosco l'uomo che ha tradito mio fratello, ma non immaginavo fosse tanto vicino ...»
Che cosa? No! No, Caleb, non sono io! Ma le sue parole mi raggiungono come un incubo, i suoi occhi verdi si infrangono contro di me in una vendetta eterna.
«Sei tu il traditore Ryan. Tu, il migliore amico di mio fratello...»
«Caleb...»
«Cenavi a casa nostra, dividevi il nostro cibo, ascoltavi gli elogi di mio fratello, la sua venerazione per te... ma tutto questo non ti bastava, essere secondo a lui non ti bastava.»
«Caleb, posso spiegarti, lasciami parlare...»
«Non avrei mai creduto che arrivassi ad ucciderlo.»
«Non l'ho fatto! Non ho ucciso tuo fratello, Caleb!»
«Ma lo hai tradito, non è vero?»
Sì... l'ho tradito quando non gli ho confessato fin da subito il ruolo di William in tutta questa storia. Quando ho taciuto permettendo che quel verme si infiltrasse tra noi...
«Non come credi tu.»
«C'è un altro modo per farlo?... Parla.»
«È vero l'ho tradito, ma l'ho fatto senza volerlo, ti giuro. Ammiravo tuo fratello, noi...»
Come posso, come posso farlo? Come posso confessargli la verità? Ti prego, Francis, dammi la forza. Volevi che fosse lontano da tutta questa faccenda, che rimaste inviolato ma c'è finito dentro ed ora... può cadere dentro questa rete di bugie.
«Noi?»
Devo confessare la verità a questi occhi, pregare che possano essere arrivati a divenire tanto maturi da comprenderlo.
«Ci amavamo, Caleb.»
Di un amore nobile, intramontabile. Ma nonostante questo, gli occhi di tuo fratello sgranano, Francis. Non se lo aspettava. Richard sbagliava nel credere che la tua perversione potesse essere di contagio, sbagliava nel credere che il tuo modo, a suo avviso, "patetico" di amare fosse così evidente. Caleb non ha sospettato mai niente, Caleb... è rimasto fermo ai nostri inizi.
«Provo vergogna dal giorno della sua morte e non c'è stata ora che non rimpiangessi ciò che avevo fatto.» Ammetto a cuore aperto a questi occhi troppo verdi a cui è impossibile mentire.
«Che cosa hai fatto, Ryan?»
«Ho aperto le porte di questa centrale a l'uomo che l'ha tradito e gli ho permesso di arrivare fino a lui.»
Ed è vero, non c'è un solo giorno in cui non vorrei tornare indietro a quel momento in cui mi sono schierato dinanzi al suo sguardo, interponendomi tra lui e William e promettendogli di proteggerlo per sempre. Avrei dovuto urlarlo, fin da allora. Permettere a quel mostro di scappare e rivelare la sua vera natura, invece di farlo giungere così vicino a lui... chi aveva sparato in quella casa? Era stato Richard oppure William? Entrambi avevano il suo sangue addosso e se il sospetto mi fa credere che sia stato Richard la vita non mi offre certezza ed il pensiero mi tormenta.
«Chi è quest'uomo?»
È la vergogna ad impedire alle mie parole di uscire, ma superata da essa giunge una profonda convinzione: deve vederlo con i propri occhi, so che l'ha incontrato. So che si sono visti per cui deve riconoscerlo, vedere che è lui. Vedere che volto ha quel mostro e capire da chi scappare. Come non ha potuto fare i primi istanti suo fratello... ora non ripeterò quell'errore due volte.
«Non posso dirtelo, ancora non ne ho la forza ma puoi scoprirlo. Carlail tiene il dossier originale del caso nel primo scompartimento della sua scrivania, non devi aver trovato molto per ora ma lì dentro ci sono tutte le risposte che cerchi. Non posso rivelarti più di questo, mi dispiace.»
In quello scompartimento dove ci sono tutte le prove che abbiamo ricreato negli anni. Dove c'è il frutto di tutto il nostro lavoro e la verità che quell'uomo ha intrappolato per se.
Devi smascherarlo, Caleb, devi dimostrare quanto sia corrotto persino il capitano, devi far vedere che tutto questo è una bugia.
Avanti, Caleb, avanti.
Il suo corpo corre via ed io attendo il suo arrivo nella sala delle riunioni, la stanza centrale dove sono riunite tutte le scrivanie di questo posto. Carlail è intento a parlare con degli agenti di polizia nell'istante stesso in cui Gareth mi affianca.
«Sta andando a recuperare la cartella?»
«Sì.» Rispondo.
«Bene... finalmente si comincia.»
Il volto di Caleb è pura tempesta non appena esce dall'ufficio del capitano. Trema la terra mentre avanza fino a lui. La cenere dei nostri fuochi viene spazzata via da un nuovo vento che ri arma la nostra fanteria ed incendia di nuovo un terreno... considerato del tutto estinto.
Il pugno del fratello di Francis si infrange sul volto del capitano creando un arco nell'aria perfetto di sangue e sotto i nostri occhi vediamo Carlail cadere, sorridendo per la fine disfatta del loro mondo.
P.O.V.
Damien
Tutto ciò che avevo cercato... è in lui. Forza, sicurezza, agilità. Fame di rivincita. È nel suo volto di guerriero la stessa ferocia che animava i nostri animi, prima che la guerra incombesse su noi.
Il cantiere è andato a fuoco, comandando dalle mie mani, dopo che avevo visto lui e Richard parlare insieme. Ero rimasto in ascolto della loro conversazione e del modo con cui questo ragazzo si era categoricamente rifiutato di andare dalla loro parte e avevo deciso... di aver finalmente trovato la persona giusta.
Ed il suo nome è Ian Mcarry, il migliore amico di Caleb. Un ex muratore pronto alla fatica e famelico di un mondo che non ha mai vissuto.
Quel ragazzo è la mia arma ed ora è tra le mie mani. Potremo vincere ora... che siamo schierati dalla stessa parte.
«Sicuro che ne abbia la stoffa?»
Sorrido a questa domanda impertinente ed esempio del suo costante bisogno di controllo, decidendo di rispondere a mia volta con cattiveria. «Tu non puoi vederlo, Attila, ma quel ragazzo nello sguardo ha puro fuoco.»
«Ma è pur sempre un ragazzo...»
Capisco la sua paura, capisco il terrore di vedere la morte di Francis ripetersi. «Avrà noi, non appena si infiltrerà dalla loro parte. Avrà i tuoi consigli e la mia rabbia.»
«Non voglio conoscerlo» mi chiede, continuando ad osservare verso il punto in cui il pallone da basket continua a battere contro terra, a simboleggiare una partita che Ian sta compiendo in solitaria, senza accorgersi di noi. «Non voglio ricordarlo assieme a Francis se tutto questo dovesse finire male.»
«Non finirà male, perché stavolta sapremo chi colpire. Hai portato quanto ti ho chiesto?»
Solleva tra di noi una cartella gialla di carta, raffigurante il cognome dei Lee, consentendomene l'apertura che possa valutarne il contenuto. Mi soffermo sulla prima foto unita alla prima pagina.
«È molto bella...»
«Ed è proprietà privata. Si chiama Dafne Lee.»
«La finta cugina di William...»
«La sola vera Lee di quella casa.» Attila non riesce a vedere eppure... è in grado di percepire distintamente il mio sorriso. «Tienicelo lontano. Vivere una doppia vita di copertura e trovarvi l'amore mi è costato molti guai.»
«Ma tu adesso hai Nerissa, no?»
«E vorrei non avere mai dovuto coinvolgerla in questa storia...»
Osservo la resistenza di Ian mentre tira a canestro, la sua tenacia e il suo spirito giovane di battaglia. «Vedrò che cosa posso fare.»
Per quanto l'amore, lo so da tempo, sia del tutto impossibile da controllare.
P.O.V.
Natalie
All'interno di questo SaPlaya la luce è soffusa ma sufficiente a vedere il volto di ogni cliente, mescolato alla sua tristezza. Stanotte, ho un ospite d'onore disteso con la testa sulle mie gambe, ad osservare il soffitto decorato di questa stanza e raffigurante Lucifero prima della sua caduta negli inferi.
Accarezzo i suoi biondi capelli, tentando di far fronte ai suoi tetri pensieri mentre il tubo di plastica è attorcigliato stretto attorno al suo braccio e la punta dell'ago recentemente usato pare quasi brillare, accanto a noi su questo letto, nella semioscurità.
«Consumi questo genere di sostanze ma non permetti che si commercino... per quale ragione?» Gli domando, in una delle molte curiosità che ho da tempo, riguardo la sua persona.
«Ho finito con quella roba.»
«Perché?» Continuo a chiedergli, proseguendo ad accarezzarlo con più lentezza, così come si tenta di acquietare una belva nel terrore che una richiesta sgradita scateni un suo feroce morso. «Per lo tesso motivo per cui odi tanto tuo padre? C'entra... con Francis?»
Gli occhi di William si aprono con maggiore certezza, nonostante l'ipnosi favorita dalla droga e si soffermano su un angolo della stanza. Decido di offrire le mie spiegazioni con tono basso, prima che la sua rabbia possa prevalere sul resto.
«Ti ho sentito urlare quel nome mentre dormivi.... Perché ti fai chiamare Davies? È il cognome di tua madre... hai così tanti misteri. Forse è l'odio per tuo padre a spingerti a tanto?»
«Non voglio essere un Lee...» sussurra quasi a se stesso, nel delirio di ciò che scorre nelle sue vene. Le mie dita scivolano sulla sua fronte imperlata di sudore, tentando di non farvi scivolare altre bionde ciocche. «... Desidero essere un Davies. Essere Davies... è come essere Dawson.»
Dawson. Un nuovo cognome. William però, nella sua clemenza, sceglie di rivelare parte di quei misteri che ancora non sono riuscita a spiegarmi.
«Francis Dawson. Era questo il suo nome.»
Immagino che un nemico vada rispettato.
E che sia anche questo il motivo per cui abbia deciso di non toccare alcuna persona legata ancora a quel mondo di Dawson. Entrambi avevamo sentito il malcontento delle guardie che ancora, all'apparenza dopo anni, cercavano vendetta. William le aveva trucidate, mettendole così a tacere. Un'arma perfettamente calibrata che sembra non mostrare alcun punto debole...
Lo osservo sollevarsi dal letto, stupita che non rimanga più a lungo ma pronta a lasciarlo andare. Certe notti, con quelle corde che è solito usare durante il sesso, diventa violento e brutale, tanto da farmi chiedere che cosa lo spingesse ad una simile follia ed arrivando a pensare... che certe notti, lo faccia solo per non permettermi di scappare e rimanere con lui, per sempre.
Il suo corpo scultoreo, seminudo al centro di questa stanza, si blocca dinanzi ad un vecchio ricordo che gli rende più debole la voce... meno affilati i suoi tremendi artigli...
«Lui era mio fratello...»
Resto ad osservarlo ricomporsi dopo lunghi minuti in cui era rimasto immobile, traballando appena nel rivestirsi poi ed uscire.
Lo imito, recuperando le vesti che mi comanda di togliere ogni volta che siamo insieme, pure nell'ipotesi di non fare affatto l'amore. Mi rivesto ed esco dalla stanza, così da dirigermi nel solo spazio dentro questo bordello in cui c'è ancora modo di bere.
Il gruppo delle giovani prostitute è radunato a pochi passi da quel bancone ed io cammino loro accanto, recuperando parti della loro conversazione.
«Lorelan! Ecco dove eri finita, forza fatti avanti, degli uomini chiedono di te.»
«Chiami Fairy, d'ora in poi, Trilli.»
Arresto le mie mosse, bloccando la bottiglia a metà dell'aria.
«Un soprannome, Lorelan? Sul serio? Perché?»
«Perché adesso ho qualcosa da perdere.»
Fary... fata.
«Come la piccola fata desidera» esordisco, facendo riferimento a quella fiaba sul principe cinese che era solita raccontarmi.
Dalia mi sorride con compiacenza, facendomi scivolare gli occhi alla sua bocca.
Il braccio posa la bottiglia che aveva afferrato, privo di forze al ricordo della donna che ho sempre amato.
«Natalie, un uomo ti cerca, chiede di te!»
«Arrivo subito» mormoro alla ragazza che mi aveva richiamato, rivedendo i dolci occhi di Dalia nei miei ricordi accarezzarmi il volto.
«Ti amo anche io, Natalie. Ricordatelo sempre.»
Raddrizzo la schiena allontanando le lacrime e il ricordo di lei, tornando al mio lavoro ed intrecciando gli occhi, solo per un instante, con quelli pieni di certezza della nuova prostituta di questo posto. La stessa che si era lasciata soprannominare "fata".
Mesi dopo
P.O.V.
William
Su questo tappeto di bianchi sassi, Damien è inginocchiato di fronte a me, come a sbeffeggiare la sorte. Non avrò esitazioni, dimenticherò cos'è l'amore. Dimenticherò ogni affetto per poter essere l'arma che mio padre ha bisogno che io sia.
Tolgo la sicura di questo revolver e posiziono l'indice sul grilletto ma quando risollevo lo sguardo... inginocchiato di fronte a me non c'è più quel bastardo di Damien ma Francis, con le mani intrecciate dietro la schiena.
Il verde dei suoi occhi è puntato nei miei e la sua bocca... la sua bocca mi sorride, nel tentativo di dirmi che anche questa volta può riuscire a sconfiggermi. Ancora una volta, ma adesso più che mai, è negli occhi della mia vittima.
Vattene, Francis. Vattene per sempre...
Chiudo gli occhi mentre il mio dito spara, lasciando rimbombare come un eco in questo lago il colpo della mia arma.
******
«L'amore, William, è un emozione bellissima. Fraterno o romantico che sia» mi dice la voce rotta di Dalia, mentre sta perdendo sangue dal suo abito da sposa, stretta tra le mie braccia. «Non importa quanto la vita voglia renderci dei mostri o delle macchine incontrollabili. L'amore è l'unica cosa che ci impedisce di essere solo degli spietati asssassini perché ancora in possesso di qualcosa di buono. È una debolezza, William, ma anche una forza. Devi credermi, William, ed ascoltarti quando ti dico questo: lasciati sconfiggere solo dall'amore, muori per amore, imparava a vivere solo per quello.»
Ogni tentativo di oppormi con le parole a ciò che sta avvedendo termina al ricordo di queste frasi tornate alla mente e allo scontro con i gli occhi che ho di fronte.
La pistola di Damien tra le mani di lei è come una vendetta spietata per tutto ciò che è stato compiuto, l'ultima beffa della vita se non se ne considera la precisione assoluta.
Avanti, mio angelo. Avanti, Dafne.
Solo il tuo amore può uccidermi, ti ho armata io di una pistola tale.
Sei sempre stata perversione, debolezza, forza. Sei stata il punto fermo che Dalia mi ha chiesto di trovare nella vita per non potere mai perdere me stesso per cui avanti, è solo tuo il diritto.
Sei cresciuta nell'odio di questa casa, protetta solo dalla vergogna del mio cruento amore.
Avanti, mio angelo. Sconfiggi il tuo solo nemico.
Nell'aria il suono dello sparo ha lo stesso rimbombo di quel pomeriggio giù al lago e non mi offre modo di provare più niente. Vedo solo il cielo. Solo il cielo... e la mia pace.
P.O.V.
Cedric
La spalla di un ragazzo urta contro la mia avanzata, portandomi a prestare soccorso al suo destabilizzato equilibrio.
«Stai bene?» Chiedo prontamente, tenendolo per le braccia per assicurarlo in prima persona.
«Sì... va tutto bene.»
«Cerchi qualcuno?»
«Perché me lo domandi?» Replica tossendo e a me viene da sorridere, di fronte alla sua testa china e dai folti capelli neri. Visto che andava tanto di corsa non era difficile immaginarlo.
«Potrei essere d'aiuto» faccio presente.
«Non vedo in che modo» mi dice... dopodiché solleva la testa. Il cuore mi si ferma alla vista di quegli occhi e di quel volto, incarnazione di un vecchio ricordo.
Francis...
«Come ti chiami?» Sussurro, intrappolato in quello sguardo del passato.
«Caleb.»
«Solo Caleb?»
I suoi verdi occhi mi trafiggono da parte a parte, in una rabbia che ho visto sfoggiare loro per molto tempo, tanto da arrivare a sorridere. «Caleb Dawson.»
Caleb... Dawson.
Davvero un bel nome. Il solo in grado di scaldarmi il cuore in una giornata come questa.
«Ma davvero?» Replico nella miniatura che è suo fratello, tentando di captare ogni suo più piccolo particolare o differenza.
«Sembri conoscermi.» Afferma infatti, vista la palese tranquillità con cui fisso la sua fisionomia piuttosto nota.
«Conoscevo tuo fratello e tuo padre, motivo per il quale sono qui.»
Per il quale sono arrivato a lottare così tanto, per assicurarmi giustizia. Per essere certo che Richard Dawson finisca dietro le sbarre per ciò che ha fatto.
«Non mi hai detto il tuo nome» constata a questo punto, incuriosito da ciò che gli ho appena riferito.
«Mi chiamo Cedric Garcia. Io e Francis abbiamo frequentato la scuola insieme. Adesso sono il nuovo sindaco del South Side.»
Ce l'ho fatta, Francis. Lo dico direttamente ai tuoi verdi occhi. Ce l'ho fatta a diventare l'uomo che ti aspettavi da tempo che fossi, la versione migliore di me, ed ora sono qui, dinanzi tuo fratello.
«Quindi ti domando di nuovo... chi stai cercando?» Replico in un sorriso astuto, fissando la curiosità che trabocca dagli occhi di Caleb.
«La mia ragazza.»
«Se è fuggita forse non vuole farsi trovare» replico maligno, ricordando ogni tentativo passato di Amy di sfuggire da me, assieme alla perfezione con cui aveva deciso di tornare.
«L'ho ferita molto» mi riferisce, destando la mia sempre più ardente curiosità.
«Sul serio?»
«Voglio fare ammenda» mi dice ed è così che il cuore vola più in alto in questo cielo perfetto, in questo giorno favorevole, ricongiungendo il presente al passato attraverso una sola frase ripescata dal calderone dei ricordi.
Me l'aveva urlata Amy, durante il nostro primo viaggio in macchina per poter ottenere il collaudo dell'irrigazione della Garcia, per poter far fronte alla ferocia con cui tentavo di disarmarla, usando l'assenza di perdono per ciò che mi aveva fatto.
«"Si perdona finché si ama".»
La mia voce lo sussurra mentre quella di Amy, nei miei ricordi, continua ad urlarla, seguita dalla carezza del suo sguardo troppo innamorato per poter svettare la rabbia.
«Ha l'aria di una citazione.»
«Lo è, e immagino tu detesti chi parla per aforismi» la sua faccia parla da sola, facendomi sogghignare. «Tale e quale a tuo fratello, Francis odiava le persone più intelligenti di lui.»
Odiava che fossi il migliore della classe e potessi batterlo eppure... non faceva altro che incitarmi affinché potessi riuscire a farlo. E solo oggi ci sono riuscito davvero.
«Le ho fatto male troppo nel profondo. Non serve che mi perdoni... desidero solo che mi ascolti, che torni... in qualche modo ad amarmi.»
Gli occhi di tuo fratello sono dispersi, Francis. Sono feriti dalla vita in cui l'hai lasciato vivere da solo, come tutti noi.
«Però ... ed io che credevo di dover avere a che fare con un solo Romeo, in tutta la mia vita. Ti darò una mano, Caleb, ti aiuterò a trovarla. Consideriamolo il primo compito come sindaco. Il suo nome?»
Immagino che la purezza dell'amore scorra perfetta nelle vostre vene, come dimostra ogni ricordo che di te Rais possegga e come conferma lo sguardo che anima questo ragazzo, al solo ricordo di lei.
«Megan Hill.»
«Megan ... è un inizio. Troverò la tua Giulietta, Romeo, ma le parole da dirle saranno unicamente tue.»
«Anche lei odia le frasi fatte.»
«Allora vi siete proprio trovati.» Riesco a farlo sorridere, Francis. Ed in quel sorriso rivedo il tuo volto. «Avanti, raggiungiamo il comune. Vedrò cosa posso fare.»
Il mio primo giorno da sindaco, ed ecco che il primo cliente del mio servizio è tuo fratello!
Ma so che cosa vuoi dirmi, Francis. Vuoi che gli ricordi che nel South Side esiste la maledizione del ritorno.
Tu, per esempio, Francis non sei mai andato via. Quel colpo di pistola non ti ha fatto abbandonare la tua casa e vivi nel cuore di tutti noi ma soprattutto dentro quello di tuo fratello che tengo sottobraccio.
Lo proteggerò, Francis, ne avremo cura tutti noi. Proteggeremo il tuo ricordo affinché possa sopravvivere come il tuo eroismo, per sempre.
Cinque anni dopo
P.O.V.
Rais
L'acqua di questo lago familiare è uno specchio piatto e perfetto, posto all'ascolto del silenzio che nasce prima dello scaturire del suono.
Siamo riuniti tutti qui, in piedi sopra questi sassi bianchi. Morti e feriti, con lacune incolmabili. Siamo tutti qui, Francis, per il tuo ricordo.
«Siete pronti?» Ci chiede un Issa sorridente, ricevendo per prima l'asserzione di bambini presenti tra di noi.
Sulle sue labbra viene posata la dorata tromba ed in un attimo nell'aria volteggiano le note della musica da lui composta.
Lascio che il mio corpo possa essere cullato da quel respiro calmo governato dal suo fiato, dopodiché scorro gli occhi su tutti noi.
Halima è seduta proprio ai suoi piedi, sorridente sopra questi bianchi sassi, con una bandana nella testa a sorreggere i suoi folti capelli, le braccia strette attorno al corpo, la testa rivolta al suono di quella tromba e con Marcus che la circonda con un braccio. Sono entrambi felici, Francis, avendo imparato a vivere sotto lo stesso tetto.
«Già mi piace» interviene Lèa governata dall'impazienza e messa a tacere da un Ercole da molto tempo sorridente, tanto felice nel suo ruolo di padre da non privare ad Amy la bellezza di un bisbiglio udibile al resto di noi.
«A volte mi chiedo se sia più bambina lei o nostra figlia.»
«Vedi che ti sento!» Lo riprende Lèa, ricevendo poi in segno di scuse un bacio sulla metà ferita del suo volto ma resa ancora più bella per questo.
«Lèa è semplicemente Lèa, non puoi fare niente per questo» replica Amy, destando l'astuta ripicca di Cedric che la tiene tra le braccia, da dietro, affondando maggiormente il viso nel suo collo per poterle così parlare vicino all'orecchio.
«Una bella frase che potrei ripetere a tutti i lavoratori della Garcia che si lamentano di quanto tu sia severa...»
«Tu continua a fare il sindaco di questa magnifica città, amore mio, della Garcia ci occupiamo io ed Ercole.»
«Ma insomma volete sentire la canzone!» Riprende tutti la figlia di Lèa ed Ercole, seduta vicino all'acqua insieme a Teo ed a Tommy.
La coppia più silenziosa è anche la più distante: Nerissa e Samuel sono fianco a fianco ad osservare il confine di questo lago e gli occhi distrutti di Attila, la sua instabilità su questo terreno, non gli impediscono di ergersi con fierezza all'ascolto del suono profondo di questa tromba.
C'è persino Oliver, tra di noi. Seduto proprio come i bambini vicino al bordo dell'acqua e mi osserva, osserva la persona che mi è affianco...
La mano di Gareth si intreccia alla mia, prima che possa accostarla alle sue labbra lasciandomi un bacio. Capisce sempre quando è la tristezza che mi governa.
Gli occhi di tutti arrivano su di noi in un espressione di dolcezza quieta, consapevole dell'amore che ormai ci vede arrese vittime.
Non era stato facile fare ancora posto nel mio cuore, Francis. La tua assenza aveva lasciato un vuoto immane ed un termine di confronto impossibile da poter superare.
Era accaduto senza che lo volessi, con lentezza, pazienza, rispetto ed in una matura consapevolezza di un'installazione di reciproca fiducia. L'attrazione, in un primo momento, era nata vedendo tutto ciò che in lui mi ricordava te, te lo confesso, l'ho persino detto a lui... ma quando avevo scoperto l'uomo che vi era dietro mi sono solo chiesto se tu non lo avessi compreso per tutto il tempo. Hai schierato al mio fianco quest'uomo magnifico con un animo puro quanto ferito e nelle sue mani mi avevi lasciato, prima di andare incontro ad un sacrificio che ti aveva reso eterno.
No... no, non sei eguagliabile perché non sei mai appartenuto a questo mondo ed hai solo vegliato, come un angelo, sull'ultima porzione di inferno dimenticata da tutti.
Sei stato perfetto, Francis. E sei stato amato. Tanto. Da tutti noi.
Le note più tristi provenienti da questa tomba sono per te, per il tuo ricordo.
Le lasciamo suonare nel più completo silenzio accompagnato solo dal lento movimento dell'acqua, attendendo il termine della melodia così come era attesa ogni azione generata dalla tua empatia.
Sull'altra sponda del lago, la casa che Damien è riuscito a costruire prima della propria morte mostra una luce accesa, all'interno. Dicevi che non volevi perderti, lungo la circolare forma di questo lago e che riuscivi ad orientarti, grazie a queste luci.
Ebbene, ora oltre a quelle pendenti dai nostri rami ve ne è un'altra, proveniente da quella casa, e in quella casa c'è tuo fratello, Francis. C'è Caleb, che stringe tra le braccia Megan. Sono felici. Siamo tutti felici, nonostante la mancanza che il tuo ricordo genera.
«Sono finalmente riuscito a trovargli un nome» ci informa Issa, una volta terminata la perfetta intonazione di quelle note. Ci osserva tutti, uno dopo l'altro, con un sorriso in volto che lo sai, mette allegria. «L'ho intitolata "I nostri eroi", in ricordo di tutti noi. Di chi non c'è più e di chi è rimasto.»
Dal termine di questo nostro schieramento, l'angolo destro della bocca di Samuel si solleva verso l'alto, confermando la bellezza di simili parole.
«È perfetto» confermo io, ricevendo poi sguardi di palese consenso.
Rimaniamo tutti immobili, per lunghi attimi, a fissare di fronte a noi lo specchio dell'acqua in cui ti vediamo riflesso, assieme a tuo padre, Damien, certe volte.
«Vi prego, mettiamoci a tavola altrimenti non smetto più di piangere» afferma Halima, pulendosi le lacrime dagli occhi e facendo sorridere di triste intesa tutti noi.
Certo, perché tra noi ci sono anche Gyasi e Hasim, Francis, non li ho certo dimenticati. Vegliano sulla sorella, come una perfetta schiera di fantasmi, volendo quasi rubare il privilegio di Marcus di risollevarla.
«Io e Lèa abbiamo portato un'intera cassa delle migliori ciliegie di marchio Garcia» esordisce Amy, accostando sempre più vicino a noi il tema della cena. Altre persone affiancano il suo suggerimento ed esordiscono con nuove frasi rispetto al nostro pasto che portano presto l'intero gruppo a sciogliersi.
La mano di Gareth, però, rimane nella mia e per alcuni secondi viene imitata dalla carezza di Amy, mentre mi cammina al fianco. Sorrido della sua dolcezza, permettendole poi di recuperare il passo del suo ragazzo, finire sotto un suo braccio e ricevere un bacio su un lato della testa.
Mi rivolgo così a Gareth, osservando le nostre mani intrecciate prima di sentire anche il suo di bacio, posarsi lento su una mia guancia.
«Vai... io ti aspetterò qui, assieme a tutti loro.»
La mia bocca sorride con lentezza alle sue parole, recuperando il contatto con la calma che mi trasmettono i suoi occhi, della stessa colorazione di questo lago.
«Grazie» sussurro, decidendo poi di avanzare e posare sulle sue labbra il mio bacio. Dopodiché le nostre mani si sciolgono, permettendomi di camminare libero per i miei passi.
Non è mai stato facile per me orientarmi, Francis, specie quando eri tu a guidare i miei passi. Questi alberi appaiono tutti uguali, specie nella notte, eppure... ho imparato quale strada sia migliore da percorrere per poter arrivare da te.
Con lentezza scosto i rami, ricevendo le carezze di alcune foglie, mentre le suole di queste scarpe calpestano il fondo di questo piccolo bosco.
La luna si interfaccia tra i tronchi ed i rami, proietta le proprie ombre e mi guida come il candore della tua pelle fino al tuo rifugio.
Ti raggiungo ed eccomi, sono arrivato.
La tua tomba mi è di fronte, proprio accanto a quella di Gyasi, i vostri nomi sono incisi su bianche lapidi.
Sorrido con gentilezza all'uomo che ti è a fianco, chiedendogli perdono se anche stasera indosso il tuo cappotto, dopodiché mi inginocchio vicino al tuo corpo ed afferro dalla tasca del soprabito un oggetto che volevo lasciarti da tempo.
Tuo padre, Richard, è morto da tempo, Francis, ed anche William. Il mondo aveva cercato l'equilibrio a tutto questo male estinto portandosi via molte persone buone come il tuo vero padre, sul tappeto di quei bianchi sassi, dinanzi la casa che aveva costruito per voi... e c'è voluto del tempo, al mondo, per poter recuperare il proprio asse ma ora il South Side è finalmente un posto sicuro, ciò che tu avevi sempre sognato.
Ha la meraviglia di ogni tuo ideale, ad ogni angolo di strada, la lucentezza del sorriso dei bambini ai quali, eri solito ricordare, lasciamo tra le mani in eredità la realtà che abbiamo plasmato ma è presenti, nelle attuali vite, anche la tristezza degli sguardi di anziani che non hanno dimenticato l'orrore, come non lo abbiamo dimenticato noi, ringraziando però, per sempre, per ciò che ora stanno vivendo.
Ora è tutto sistemato, Francis. Il South Side è un posto sicuro.
Poso il bracciale in pelle sulla piccola buca che ho scavato con la punta delle dita sopra la terra smossa su cui riposano i fiori al di sopra del tuo corpo, riservando una carezza sulla parte del torace dove so sopravvivere ancora il tuo cuore, abbandonando al sicuro il nostro bracciale di pelle marrone in quel preciso punto prima di ricoprirlo di terra, così che possa tenerlo al sicuro, ed osservando dentro i tuoi verdi occhi.
Ora, Francis, puoi finalmente tornare a casa.
FINE.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro