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Prologo


A mio padre, che non ha mai smesso

di credere in me e di supportarmi.




1896

(Diciotto anni prima)


La carrozza che doveva portarlo a destinazione si fermò di colpo.  Sentì il nitrito dei cavalli davanti a sé, attutito dalla pioggia  battente che colpiva con forza il tetto del mezzo. Capì che il cocchiere  era sceso dall'improvviso cambio di peso che fece pendere la  carrozza verso sinistra, dove, dopo un po', l'uomo apparve aprendogli la  portiera. Così facendo, fece entrare qualche goccia d'acqua  all'interno; nulla, però, in confronto al temporale che si era abbattuto  poco prima sulla città e che infestava i cieli.

Il cocchiere  era totalmente bagnato, dalla testa ai piedi, per essere stato esposto  per tutto quel tempo alla fitta pioggia, che riusciva a intravedere  attraverso la portiera spalancata, oltre la figura dell'uomo che  reclamava la sua ricompensa. Gli diede i soldi che gli doveva per il  viaggio e scese.

Fu subito colpito da una raffica di vento carica  di pioggia e dopo poco si ritrovò già con i vestiti fradici che gli si  attaccavano al corpo, provocandogli un brivido di freddo. L'ombra di un  sorriso passò sul suo viso. Si era quasi dimenticato delle frequenti  piogge che caratterizzavano da secoli l'Inghilterra. Un tempo ci aveva quasi fatto l'abitudine, prima che decidesse di lasciare la vita che si era fatto lì. I ricordi lo assalirono e il suo sorriso svanì di colpo. Si calò ancor più il cappello sulla testa, tentando invano di proteggere  i biondi riccioli che spuntavano alla base del collo e si affrettò ad attraversare la strada per entrare nell'accogliente locanda che si  trovava al lato opposto. L'insegna era ormai sbiadita ed era impossibile  riuscire a leggerla con tutta quella pioggia e nebbia, eppure lui  ricordava benissimo le parole che vi erano scritte: La taverna delle streghe.

Aprì  la porta e vi entrò, finalmente al riparo dal temporale. Si tolse il  cappello e il mantello, grondanti d'acqua, nonostante fosse rimasto solo  poco tempo esposto al maltempo. Non appena fece il suo ingresso  all'interno, il locandiere si voltò per vedere il nuovo arrivato, ma,  una volta osservatolo, distolse subito lo sguardo per riprendere a  pulire dei bicchieri con un panno, come ammutolito dallo sguardo del  visitatore, che non prometteva niente di buono.

Si guardò intorno,  circospetto. La locanda era illuminata solo dalla fioca luce emanata  dalle poche candele infisse alle pareti. Era poco frequentata,  soprattutto a quell'ora della notte, e forse era proprio per quel motivo che l'individuo che stava cercando l'aveva scelta come luogo d'incontro, oltre che per riportare a galla antiche sofferenze e rimorsi.

Osservò  con attenzione tutte le persone presenti, la maggior parte delle quali  erano, con ogni probabilità, dei forestieri che avevano interrotto il  proprio viaggio per consumare un pasto frugace prima di ripartire, e individuò l'avventore che gli interessava.

Si avvicinò al suo  tavolo, nell'angolo più lontano e isolato, per evitare che le  informazioni che gli avrebbe procurato arrivassero alle orecchie  sbagliate.

Si sedette davanti a quello e fu subito attraversato da una scarica di sollievo e di familiarità, pur cercando di non darlo a vedere.

Prese  a osservare dopo tanto tempo l'aspetto della figura che gli stava  davanti, accorgendosi che non era affatto cambiata. Non dimostrava più di vent'anni, eppure aveva alle spalle un passato più lungo e oscuro di chiunque altro. La pelle era liscia, giovane, solcata da ombre provocate dalla scarsità di luce. Le labbra, piene e carnose, si aprirono in un  leggero ed enigmatico sorriso, dando forma a una piccola fossetta al  lato, un piccolo vizio che gli era sempre appartenuto. Ciò gli conferì un aspetto ancora più tenebroso e misterioso, avvalorato dai tratti spigolosi del viso che tanto gli erano familiari.

Eppure, non poté fare a  meno di notare che qualcosa era cambiato dopo tutti quegli anni in cui  erano stati separati. I capelli, già scuri di loro, si erano fatti  ancora più neri e vi era una nota oscura in lui, che, tuttavia, non riusciva a cogliere e a comprendere in fondo. Decise di ignorare quei  particolari; in seguito avrebbero avuto tutto il tempo necessario per chiedergli cosa gli fosse accaduto.

«È da tanto che non ti fai sentire, Sitael. Ci stavamo tutti chiedendo dove fossi finito.»

Sbuffò,  innervosito. Come poteva parlargli con tanta insolenza quando era stato proprio lui il motivo che lo aveva spinto a partire?

«Già, ma ora sono qui» rispose con una punta di stizza. «Ebbene? Perché mi hai fatto chiamare con tanta urgenza?»

«Vedo che la tua rabbia nei miei confronti non si è ancora placata. Non dovremmo risolvere per una buona volta i nostri dissidi?»

Lo guardò come se fosse matto. «Hai anche il coraggio di parlarne come se fosse una cosa da nulla? Quello che hai fatto...»

«So bene cosa ho fatto» lo interruppe, indurendo lo sguardo. «E non me ne pento.»

«E allora non potremo mai risolvere i nostri dissidi»  mise particolare enfasi nell'ultima parola, come se a lui stesso suonasse ridicola da pronunciare. «Nonostante la tua volontà di  riappacificazione, noto che non stai impiegando grande impegno nel cercare di riacquistare la mia fiducia, dato il luogo che hai scelto per il nostro incontro.»

L'altro sospirò, ma mantenne il suo cipiglio spavaldo. «Volevo solo trovare un posto che potesse metterti a tuo agio. Dopo quello che è successo qui in Inghilterra e gli anni che hai passato altrove nel tentativo di dimenticare proprio quegli accaduti, non deve essere stato facile tornare.»

Sitael strinse le mani a pugno, così forte da arrivare a conficcare le unghie nella pelle. «Quale  gentilezza...» sibilò, con voce colma di disprezzo. «Torniamo a parlare di ciò per cui mi hai chiamato.»

«Porto notizie che certamente non vorrai rifiutare di sentire» replicò quindi, appoggiandosi più comodamente alla sedia.

«Sentiamo»  disse, invogliandolo a parlare. Tutti quei giri e quel suo fare ambiguo e strafottente avevano iniziato a far esaurire la sua pazienza.  Oltretutto, nonostante non volesse crearsi false aspettative, la fretta con cui gli aveva chiesto di vederlo e di incontrarsi avevano fatto crescere in lui la speranza che ciò che l'altro gli stesse per comunicare fosse ciò che aveva atteso per centinaia di anni.

Per tutta risposta, l'individuo si piegò in avanti, avvicinandosi a lui, come a voler impedire agli altri commensali di ascoltare la loro conversazione, nonostante fosse già impossibile per l'impercettibile tono di voce con cui stavano parlando, e pronunciò, quasi in un sussurro, le parole che avevano aspettato per anni con scrupolosa pazienza e che arrivarono con incredibile chiarezza alle sue orecchie: «Il sigillo è rotto. La maledizione è spezzata.»

Sentì il fiato mancargli e l'altro dovette notarlo, perché gli rivolse un sorriso, ma diverso stavolta. Un sorriso sincero e pieno di speranza, che da troppo tempo non gli vedeva in faccia.

«Proprio così. È tornata.»

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