Fran & Stefan
Fran & Stefan: Innamorarsi a Natale
-One Shot-
Primo dicembre.
Questo era indubbiamente uno dei giorni preferiti di Fran.
E c'erano dei motivi ben precisi perché il primo giorno dell'ultimo mese dell'anno fosse il suo preferito. Ce n'erano ben quattro, a dirla tutta:
a)Finalmente poteva addobbare ogni centimetro del suo appartamento e de "Lo schiaccianoci" con ogni decorazione possibile e immaginabile.
b)Era ufficialmente autorizzata ad ascoltare tutte le canzoni natalizie in circolazione, in primis tutte quelle di George Michael,- neanche a dirlo.- senza sentirsi in imbarazzo perché magari era la prima a sintonizzare la radio su ogni canale natalizio già dal primo novembre.
c)Poteva farsi una scorpacciata di film a tema, con i calzettoni a coprirle i polpacci e una tazzona di cioccolata calda tra le piccole mani sempre gelate.
d) Si sentiva se stessa come non mai.
Fin da quando era solo uno scricciolo con le gambette così ossute da far scivolare sempre i calzini che nonna Marge le cuciva per ogni suo compleanno, amava il Natale; la sua magia, le sue luci, il suo sapore.
Nella sua piccola casa in Irlanda, la sua madre terra, questa era la festa più bella di sempre.
L'abete, alto e rigoglioso, pieno zeppo di palline, pupazzetti, lucine e decorazioni di legno; le calze variopinte appese al camino; i cesti con ogni tipo di bontà, dai cioccolatini ripieni alle castagne caramellate, ad adornare il tavolo rettangolare su cui, il 24, i parenti tutti poggiavano altre leccornie alla cui vista Fran si leccava le piccole labbra sottili.
Era tutto perfetto.
Nonno Seamus, poi, era la persona con cui condivideva lo spirito natalizio più di chiunque altro.
Ogni anno, il 25 dicembre, alle nove del mattino in punto, andava personalmente a svegliare la sua nipotina nel suo lettino. Le lasciava un delicato bacio sulla fronte, rubandole una risatina, perché così facendo la barba del suo mento si sfregava leggermente sulla sua pelle da bambina, procurandole solletico; le apriva poi il palmo della manina lasciandovi piccoli pacchetti, a volte grandi quanto una caramella, coperti da della carta marroncina.
Nascondevano sempre oggetti davanti cui Fran non poteva far altro che aprire la bocca fino a farle formare una 'O' quasi perfetta.
Erano oggetti che un tempo erano appartenuti ad altre persone; collane con portafoto, medaglioni, orologi da tasca, specchietti da borsetta che ricordavano i portacipria delle nobildonne che spesso vedeva nei film. Un giorno le regalò un portamonete di velluto, turchese. Le disse che era sicuramente appartenuto a qualche miss dell'Ottocento.
Nonno Seamus era un abile intagliatore di legno, ma anche un collezionista. Adorava collezionare oggetti del passato, quegli oggetti che a volte si ha la fortuna di trovare per caso, che altre si riesce a sfilare dalle mani avide di coloro che vendono preziosità perché considerate alla stregua di vecchia immondizia.
Le diceva sempre che ogni oggetto ha un'anima e che il suo compito era quella di dar vita a pezzi del passato di inestimabile valore.
Fran era dunque cresciuta con la passione per le cose imbevute di antichità, per l'amore verso la famiglia e il Natale e con la ferrea convinzione che ci fosse del magico nella vita.
L'unica cosa che non le piaceva di dicembre era la sua velocità; sembrava sapesse di essere uno dei mesi preferiti di Fran e proprio per questo si divertisse a scorrere troppo in fretta.
Mancavano poche ore al Natale, ma lei poteva prendersela comoda. Era tutto pronto.
Tutto, eccezion fatta che per l'albero.
Quest'anno il suo fedele Cratchit aveva deciso di essere troppo vecchio per sorreggere palline e cavallucci a dondolo di legno, per cui andava necessariamente sostituito.
Il prossimo, lo aveva già deciso, si sarebbe chiamato Dickens, in onore di quello scrittore che più di altri aveva dato vita al più bel romanzo di Natale di sempre.
Ma forse, lei era di parte. D'altronde il suo nome, Fran, era proprio un omaggio alla sorellina di Ebenezer Scrooge, il vecchio taccagno protagonista di "Canto di Natale".
Dopo il lavoro, dunque, sarebbe passata dal vivaio della signora Grace per ritirare il suo profumato nuovo albero di Natale.
Una scatola gigante di palline colorate la aspettava in salotto, per cui non le rimaneva che finire le sue ultime due ore di lavoro e barricarsi in casa per ultimare gli ultimi preparativi.
Dopo l'albero, aveva tutta l'intenzione di cucinare la più buona cena della vigilia che si fosse mai vista. D'altronde quell' anno i suoi genitori e suo fratello, Robert, sarebbero venuti a passare le vacanze da lei.
Magari sarebbero stati un po' stretti nel suo appartamento condominiale, ma almeno sarebbero stati finalmente insieme, dopo tanto tempo.
Stava spennellando un orologio a colonna risalente alla secondo metà dell'Ottocento, quando sentì il campanello all'entrata trillare.
"Qualcuno che vuole fare un regalo all'ultimo minuto", pensò.
Si girò appena, quando i suoi occhi bruni si scontrarono con un paio di iridi che mai si sarebbe aspettata di vedere nel suo negozio.
Pensò di star avendo un'allucinazione, magari dovuta all'euforia per le feste imminenti, ma quando le sue orecchie udirono un borbottio simile a un 'salve', ebbe la conferma che era proprio Stefan Longwood il ragazzone che le si trovava di fronte.
Fran si aggiustò maldestramente le ciocche ribelli che proprio in quel momento fremevano per scappare dal suo chignon e dalla matita che lo teneva su.
Poi infilò il pennello nella tasca laterale del suo grembiule da lavoro, si sfregò i palmi delle mani, improvvisamente sudati, sulle cosce e ricambiò il saluto.
-Salve!- lo accolse con uno dei suoi tipici mega sorrisi.- Posso aiutarla?
Gli si fece più vicino.
Stefan Longwood non era nient'altro che il suo vicino di casa, nonché la sua secolare cotta da ormai tre anni.
Da Belfast con furore, Fran si era trasferita nel Lake District per realizzare uno dei sogni di nonno Seamus: aprire un negozio di antiquariato.
Ricordava bene il giorno in cui si era trasferita nel suo condominio. Ultimo piano, mille scatoloni da portare su e ovviamente un solo ascensore e anche rotto.
Fu allora che vide Stefan, un ragazzone alto almeno venti centimetri più di lei, dalle spalle larghe e lo sguardo sfuggente.
Non le fece una buona impressione all'inizio, doveva essere sincera. Non la degnò nemmeno di un saluto quel giorno, figurarsi se la aiutò nel trasloco. La guardò però, questo lo ricordava bene.
Le voci che circolavano su di lui, poi, non favorivano un cambio d'opinione. La signora Adelaide, la signora Dupont e il signor Harrison erano stati i primi ad incollargli il soprannome di Scrooge; ovviamente non esitavano neanche un giorno a dirgliene di tutti i colori: maleducato, burbero, rozzo, cafone, e persino miscredente. Quest'ultima carineria era dovuta al fatto che in chiesa lo si vedeva sempre lontano e solo, ma soprattutto a causa di una domenica in cui, si raccontava, non volle stringere la mano per suggellare il segno della pace, proprio alle tre vecchie ciabatte che amavano ciarlare di lui.
Una delle poche cose positive, però, dell'avere dei vicini così pettegoli e rumorosi era il fatto che grazie a loro lei era venuta a conoscenza del fatto che Stefan fosse un vigile del fuoco e che vivesse solo, senza nessuna compagna.
Dall'altra parte, Fran e Stefan non si erano mai parlati.
Abitavano nello stesso pianerottolo, per cui era capitato che uscissero di casa nello stesso momento; sempre, in ogni caso, tra i due volavano solo occhiate veloci come il battito d'ali di un colibrì.
Lei, però, ebbe la fortuna di scorgere altre sfumature del suo essere.
Ogni domenica del mese, Fran faceva volontariato con i bambini dell'ospedale pediatrico Saint Nicholas. Portava loro piccoli regali fatti con il legno, realizzati da lei stessa, mettendo a frutto gli insegnamenti di nonno Seamus. Giocavano insieme e nel suo piccolo provava a distrarli da una vita troppo ingiusta con loro, piccole creature innocenti.
Fu una domenica di novembre che lo vide.
Era seduto su una sedia, accanto al letto di un bambino. Gli raccontava una storia, modulando la sua voce per interpretare personaggi diversi. Fran ricordava ancora la risatina che fu costretta a trattenere quando lui provò ad imitare una voce femminile.
Quella fu solo la prima di tante domeniche.
Di nascosto, lei lo vedeva giocare con quel bambino. Lo vedeva sorridere.
E che sorriso! Così splendente da farle accelerare il cuore al ritmo di un tamburo.
Poi non lo vide più. E non vide più neanche il bambino.
Da allora si era sempre chiesta cosa fosse successo e cosa lo spingesse ad essere sempre così freddo e distante con tutti. Perché quei sorrisi, quegli occhi,- la mamma le aveva sempre detto che si capisce tanto di una persona anche solo nel guardarla negli occhi.- la sua andatura un po' dinoccolata , le davano proprio l'impressione che quel ragazzone fosse buono.
-Credo si sia rotto.- le disse soltanto.
La voce era profonda e un po' roca, come arrugginita. Non era sicuramente un tipo chiacchierone, e vivendo da solo Fran temeva che il silenzio divorasse la sua casa ogni giorno.
Le passò un orologio da taschino: scheletro in metallo, cifre romane e a occhio e croce risalente agli anni dieci dell'Ottocento.
Fran lo aprì, constatando in effetti che le lancette non erano impegnate nella loro classica danza circolare.
Lo osservò da vicino, permettendo alle piccole dita di accarezzare un oggetto davvero bello.
-Il problema è a danno di uno degli ingranaggi interni.- iniziò a spiegare lei.
-Crede che possa tornare a funzionare?- domandò lui.
-Per dirglielo ho bisogno di osservarlo internamente. Se ha qualche minuto, lo smonto e vedo un po'.
Lui annuì impercettibilmente, mettendo poi le mani nelle tasche dei jeans.
Fran prese gli attrezzi del mestiere e con la delicatezza che le era propria, con le dita leggere come ali di farfalla, iniziò a svitare le piccole viti che tenevano gli ingranaggi insieme.
Ci mise più del dovuto per smontare l'orologio. Non perché stesse avendo qualche difficoltà, era abituata a maneggiare oggetti del genere, ma perché sentiva lo sguardo di Stefan su di sé.
Ogni qual volta, però, provava ad incrociarlo con il suo, lui lo distoglieva, concentrandosi sulle antichità in esposizione.
-Confermo che il problema è a danno di un ingranaggio.- prese parola dopo pochi altri minuti.- Per fortuna non è niente di irrisolvibile. Ho dei pezzi di ricambio per questo tipo di orologio, per cui può star tranquillo.
Stefan fece un sospiro impercettibile, che a Fran però non sfuggì.
-Di quanto tempo ha bisogno?
Fran scrollò le spalle.- Temo dovrà aspettare la fine del Natale. Il 25 e il 26 non lavoro, per cui se ne parla il 27, se per lei non è un problema...- gli sorrise di nuovo.
Quando lo faceva, le si arricciava il naso a patatina, mettendo in risalto le efelidi che aveva ereditato da nonno Seamus.
Le faceva un po' strano parlargli con tono così formale, dato che sembrava avere la sua stessa età, ma non si scompose più di tanto. Era già tanto che stesse sentendo la sua voce.
-Certo.- borbottò.- Le lascio nome e acconto?
Fran annuì, prendendo il taccuino su cui scriveva i vari ordini, e fingendo così di non sapere il suo nome.
-Stefan Longwood.
Lui la guardò brevemente, permettendole così di farle vedere che aveva gli occhi di un caldo color nocciola. Nella fugacità delle loro occhiate, non ci aveva mai fatto troppo caso.
-Per l'acconto, mi lasci ciò che vuole.
Stefan annuì, dandole dei soldi e avvicinandosi all'uscita.
-Stefan!- lo fermò lei.
Non ebbe il tempo di chiedersi dove avesse trovato il coraggio di chiamarlo, per nome per giunta.
Lui si voltò, con le sopracciglia tese verso l'alto dalla sorpresa.
-Buon Natale!- gli disse lei.
Lui annuì impercettibilmente, non ricambiando l'augurio e richiudendosi la porta dietro di sé.
Dopo aver scoccato due sonori baci sulle guance color cioccolato della signora Grace, Fran si allontanò soddisfatta verso il suo condominio.
Con la mano destra stringeva al petto il profumato abete che fremeva, proprio come fosse vivo, per essere imbellettato da luci e colori; con la sinistra invece sorreggeva una busta di carta, colma di giocattoli.
Con la mamma, il papà e Robert, sarebbero venuti anche Jeremy e Mary, i suoi bellissimi nipotini.
Ben nascosti sotto il suo letto c'erano altre scatole di balocchi acquistati già da settimane, ma passando per le vetrine del suo negozio di giocattoli preferito, non aveva resistito alla tentazione di comprare un grande orsacchiotto dallo sguardo dolcissimo e un trenino di legno.
Non riusciva proprio a non viziare quelle due adorabili pesti.
Prima di entrare nel portone del suo stabile, malgrado le stessero iniziando a far male le braccia, si fermò qualche istante per ispirare l'aria di festa che la circondava.
Poi aprì gli occhioni scuri e divorò con lo sguardo lo scenario: la neve a imbiancare le strade, bambini che si sporcavano con palline ghiacciate, pupazzi di neve disseminati qua e là, e tante persone che marciavano a passo svelto, prede della frenesia. Risate, campanellini, chiacchiere al vento. Ah, che meraviglia!
Un gruppo di cantori, vicini alla fontana in fondo alla strada, cantava felice i canti più tradizionali del Natale.
Fran non resistette all'impulso e prese a muovere anche lei le labbra a ritmo di una ballata.
Fu solo quando vide nuovi chicchi di neve scendere dal cielo, che si decise a entrare.
Generalmente preferiva evitare l'ascensore, sapendo quanti problemi avesse dato nel passato per via della sua vecchiaia, ma quel giorno proprio non ce l'avrebbe fatta a salire tutte quelle scale.
Si avvicinò così all'ascensore, ma proprio quando premette l'apposito pulsante per farne aprire le porte, queste ultime si schiusero rivelandole, per la seconda volta nella giornata, niente di meno che Stefan.
-Oh, mi scusi!- disse subito lei, capendo che il ragazzone doveva essere entrato in ascensore pochi istanti prima di lei.
Il peso, intanto, si era fatto più insopportabile, al punto che prese a reggere l'albero anche con la mano, coperta da un soffice guanto color confetto, che stringeva la busta dei giochi.
Il suo visetto irlandese coperto adesso dall'albero e la borsetta in tinta con i guanti a scivolarle dalla spalla.
-Entri.- mormorò il ragazzo.
Doveva averla visto in estrema difficoltà, ma non si offrì di aiutarla.
Lei non se lo fece ripetere due volte; quando entrò, si affrettò a poggiare la busta per terra e a far in modo che l'albero non sfiorasse il suo vicino di casa. Malgrado lo spazio fosse piccolo, riuscì a sistemarlo in modo tale che non gli desse fastidio.
Istanti dopo, Stefan spinse il pulsante che li avrebbe portati al terzo piano.
Rimasero in silenzio per diversi secondi, poi la boccuccia di Fran prese a parlare prima che si fosse collegata al cervello.
-Come passerà il Natale?
Stefan non rispose, ma braccio contro braccio, lei lo sentì sussultare leggermente.
-Io non festeggio il Natale.- borbottò lui.
La voce sempre arrugginita, come se le sue corde vocali fossero quelle di un automa e avessero bisogno di essere oliate.
-Oh.- fu la sola risposta di Fran.
Non se la sentì di fargli altre domande. In cuor suo, però, si chiese perché non festeggiasse la festa più bella di tutti i tempi.
Poi le tornò in mente la scena di quel ragazzone insieme a quel bambino, in ospedale, e il suo cuore fece un piccolo tuffo.
Il silenzio stava per diventare troppo assordante per lei, da sempre abituata al chiacchiericcio e ai suoni, dei clienti, degli orologi che sbuffavano 'tic, tac', dei bauli che apriva ogni giorno per impedire che la polvere li danneggiasse, dei medaglioni che parlavano d'amore; quando un rumore sordo la fece sobbalzare.
-C-che succede?- balbettò un po' spaventata.
Il rumore continuò fino a sfumare in un leggero scricchiolio.
L'ascensore si fermò di colpo, spostando l'albero e la busta con i giochi.
-Si è bloccato.- disse.- Oh cavoli, si è bloccato. Cavoli, cavoli, cavoli. Ma io devo andare a fare l'albero, devo poi scongelare il tacchino dal freezer, iniziare a preparare il condimento, accendere il riscaldamento, uscire dal nascondiglio i regali per Mary e Jeremy, devo...
Fran era così: quando entrava nel pallone, straparlava.
-Signorina, si calmi. Vedrà che è questione di minuti. Spingo il pulsante delle emergenze, vede?
Stefan riuscì a catturare la sua attenzione, premendo il lungo indice contro il bottone.
Lei tirò un piccolo sospiro di sollievo. Era, però, ancora preoccupata.
-Dice che ci metteranno poco? La vigilia di Natale?- sgranò gli occhi.
-Non perché è la vigilia di Natale, la gente non lavora. – borbottò lui.
-Sì, lo so, ma è quasi sera e le famiglie iniziano già a riunirsi. Devo... devo subito avvisare la mia famiglia...
Prese con mani tremolanti il cellulare, mentre l'abete al suo fianco incominciò a darle prurito alla gamba sinistra.
Ma... non c'era segnale.
-Oddio, non c'è campo! – si allarmò.- Dobbiamo urlare per farci sentire da qualcuno.
Fran fu sul punto di aprir bocca per fare ciò che aveva detto, ma il "aiuto" le morì in gola poiché Stefan fu più veloce e con una mossa felina le mise una mano sulla bocca.
Le labbra di lei che sfioravano il suo palmo.
Fren si sentì arrossire, mentre lui guardò dappertutto fuorché nei suoi occhi.
-Signorina,- pronunciò come se fosse una bambina.- le ho detto di stare tranquilla. Ho attivato il testo di emergenza. Se fra venti minuti saremo ancora qui, le prometto che potrà urlare quanto vuole. Sono certo, però, che la signora Dupont stia già con le orecchie ben aperte, quindi sarà sufficiente parlare con tono normale.
La sua voce, seppur ferrosa, era anche pacata e tranquilla. Come se fosse certo di quello che aveva detto.
Sicuramente fare il vigile del fuoco doveva permettergli di vivere situazioni ben più complesse che rimanere bloccato in ascensore con una squinternata che aveva voglia di urlare per correre a scongelare il tacchino.
Fran si limitò ad annuire, mentre la mano di lui si allontanò con la stessa velocità di prima.
Parte del calore che le si era diffuso lungo le guance si dissipò.
-Lei che fa, invece? Mi sembra piuttosto indaffarata.- disse lui.
Lei rimase in silenzio per qualche istante, sorpresa da questa domanda. Capì subito però che lui gliela avesse fatta per distrarla.
-Intende per Natale?
Lui annuì con il capo. Lo sguardo sempre sfuggente.
-Oh, io ho organizzato una cena con i fiocchi.- iniziò a raccontare, con gioia.- Verranno i miei genitori e mio fratello e sua moglie, con i miei nipotini. Non immagina che regali meravigliosi abbia comprato per loro! Jeremy amerà il trenino di legno, ne sono certa.- gli occhi presero a brillarle dall'emozione.- Poi, dopo cena, tutti sul divano per vedere, come vuole la tradizione di casa O'sullivan, "La vita è meravigliosa" con James Stewart. Sa, non so se l'ha visto, è quel film in cui un brav'uomo dice che vorrebbe non essere mai nato e un angelo, Clarence, gli permette di vedere effettivamente come sarebbe stata la sua vita se non fosse nato. Glielo consiglio.- fece un sorriso nella sua direzione.- Dopodiché, un bel gioco da tavola e poi tutti a nanna. Non sia mai che i piccoli vedano Babbo Natale e si rovinino tutta la magia.- ridacchiò.- E poi...
Ma si fermò, quando vide gli occhi nocciola di Stefan guardarla con una strana luce.
-Mi scusi, ho di nuovo parlato più del dovuto.- strinse le labbra, imbarazzata.
-È reale?
Fran si voltò a guardarlo, curiosa.
-Cosa è reale?
-Lei! Mi sembra sia uscita da un racconto per bambini. Con quel suo cappottino rosa, l'albero di Natale, i giochi, Babbo Natale... ci crede davvero in tutte queste fandonie?
Nel sentire quelle parole, il cuore di Fran prese a batterle più forte. Per la rabbia, forse.
Come si permetteva di dire che il Natale era una fandonia?
-No, sono nata da mia madre, in Irlanda; nessun libro delle favole.- gli rispose stizzita.- E comunque il fatto che a lei non piaccia il Natale non la autorizza a definirlo una fandonia. C'è chi ci crede, lo sa? E mi dispiace per lei se ha in sé così tanto cinismo da avermi detto ciò che ha detto.
Sollevò il mento, orgogliosa.
-Cinismo? Lo chiami pure realismo!- ribatté lui, freddo.- Lei crede nel Natale? E in cosa crede ,esattamente? In una festa commerciale in cui si inculca nella mente dei bambini che un vecchio ciccione vestito di rosso porti dei regali che invece sono comprati con sudore dai propri genitori? Dove vince chi ha la tavola più imbandita di cibo che avanzerà e si butterà, in barba a chi muore di fame? Dove tutto brilla di luci che servono solo a celare l'ipocrisia e la falsità di persone che vanno in chiesa, ma che poi non si esimono dal calunniare una persona che neanche conoscono? Signorina... il Natale è un giorno come un altro, se non il più orribile di tutti. Un giorno in cui possono morire anche dei bambini innocenti...- alzò la voce.
Fran si accorse solo quando si scontrò con l'abete al suo fianco di aver preso a tremare.
Non le erano mai state rivolte delle parole tanto fredde e dure in tutti i suoi venticinque anni di vita.
Avere una visione della vita e del Natale così oscura la faceva stare molto male, perché lei ci credeva, invece. Lei credeva nel Natale. E non nel cibo, nelle luci, negli addobbi e in tutto ciò che era superficiale, ma lei credeva nello spirito del Natale. Nella magia di questa festa. Credeva che celebrare la nascita del Bambin Gesù rendesse la vita... diversa. Come se in quei giorni festosi lei vivesse in una realtà parallela.
Stefan aveva ragione: il Natale per molti era mero sperpero, era ipocrisia, era consumismo. Ma questo non gli dava il diritto di etichettare il Natale come una fandonia solo perché delle persone la vivevano come tale.
Deglutì un paio di volte, poi prese a parlare.
-Non ha mai festeggiato il Natale?- gli chiese.
-Cosa? Sì... certo che l'ho festeggiato. Quando ero piccolo...- biascicò lui.
-E cosa si ricorda? Ricorda che i suoi genitori le diedero dei regali con sofferenza, come se aver speso dei soldi sudati con il lavoro e non ricevuti gratuitamente da un ciccione vestito di rosso, li rendesse tristi? Ricorda che il cibo che consumavate fu sperperato e buttato? Ricorda che dopo essere andati a messa, o comunque dopo aver celebrato la festa, andassero a calunniare altre persone? Se la risposta a queste domande è sì... beh, mi spiace tremendamente per lei. Ma ciò continua a non autorizzarla ad etichettare il Natale come una fandonia, perché per chi ci crede davvero, non lo è. Per chi ci crede, il Natale non è solo cibo, regali, addobbi... è magia, è luce, è calore.– si voltò a guardarlo.
Fran era sempre stata una tipetta orgogliosa e dalla lingua lunga. Adorava parlare, e amava farsi rispettare. Era stata educata così sin da piccola: se qualcuno dice qualcosa di sbagliato, tu lo aiuti a capire il suo errore con argomentazioni valide.
Stefan rimase in silenzio, preso alla sprovvista. Era come se in quel momento avesse ricevuto uno schiaffo bello forte. La domanda di quella ragazza simile più ad una fatina, gli avevano fatto tornare in mente alcune scene della sua infanzia: la mamma, il papà, i loro sorrisi, i regali, il pudding...
-Per quanto riguarda la scomparsa di bambini anche in questa circostanza...- Fran addolcì il suo tono.- è una cosa terribile, davvero terribile, ma purtroppo... siamo solo degli esseri umani e non è colpa di nessuno quando una malattia porta via una persona a noi cara. Possiamo anche chiederci mille volte perché succedano certe cose, ma non avremo mai risposta. Possiamo solo aver fede e pregare che chi ci lasci fisicamente, non lo faccia mai con lo spirito.
Stefan abbassò lo sguardo, colpito dalla grinta che quella ragazza irlandese, all'apparenza così piccola, stava dimostrando.
Fran dall'altra parte aveva capito che Stefan faceva riferimento a quel bambino che lei aveva visto così tante volte, in ospedale.
-Anche a mia madre piaceva il Natale; - Stefan trovò la forza di dirle.- lei e mio padre mi facevano sempre fissare la stella sul puntale dell'albero, dandomi la possibilità di aprire un solo regalo la notte della vigilia, mentre gli altri la mattina di Natale.- fece un piccolo sorriso.- In quel periodo era tutto davvero bello...
A lei sembrò che la sua voce fosse più cristallina.
-E poi?- lo interruppe Fran.
-Cosa?- domandò lui.
-Cosa le ha fatto cambiare idea sul Natale, se posso... se posso chiederglielo?- rispose intimidita.
Se qualcuno le avesse detto che avrebbe passato la vigilia di Natale bloccata in ascensore, con la sua cotta con cui stava avendo una conversazione fuori dal comune, non ci avrebbe creduto.
-I miei genitori mi hanno lasciato quando ero ancora molto giovane.- abbassò lo sguardo.- A diciotto anni sono entrato nell'esercito, ma un infortunio di guerra mi ha esonerato da ogni incarico; così sono diventato vigile del fuoco. Fu proprio in un incendio che riuscii a salvare Michael, un bambino dolcissimo a cui ho voluto tanto bene. Michael, purtroppo, si è spento per complicazioni polmonari, la notte di Natale, due anni fa.- snocciolò con un tono di voce basso.
Stefan non era un tipo di molte parole. Fin da quando era solo un bambino aveva sempre trovato nella solitudine una valida e sempre fedele amica. Non gli piaceva parlare; lo annoiava e gli faceva perdere tempo che avrebbe potuto impiegare per agire, per fare qualsiasi altra cosa che non fosse chiacchierare. Anche nei campi di battaglia, gli era stato insegnato a fare e a non perdersi dentro parole inutili.
Con gli anni era diventato un vero e proprio orso, o un lupo solitario, a scelta, ma quella sera quella ragazzina vestita di rosa, con un abete più grosso di lei tra le mani piccole e inguantate, con una voce zuccherosa e quasi infantile, gli aveva fatto sentire uno strano calore all'altezza della pancia. Non la conosceva, se non per quelle occhiate che le riservava di sfuggita per non farsi passare per un guardone, ma gli sembrava una persona buona.
Fran deglutì un paio di volte, colpita da ciò che aveva sentito.
Stefan era stato un soldato e aveva subito ferite di guerra in qualche battaglia; in più aveva perso i suoi genitori quando era ancora molto giovane, e un bambino a cui si era molto affezionato, dopo averlo salvato da un incendio, era morto proprio la notte di Natale.
Quanto poteva essere crudele la vita, a volte.
C'erano decisamente troppe cose da metabolizzare, e Fran dovette far appello a tutta la sua forza per non mettersi a piangere.
-Mi spiace per quello che ha passato.- gli disse soltanto.
Lui scrollò le spalle, improvvisamente a disagio nel vedere quella fatina così triste.
Si vedeva che non ci sapeva proprio fare con le donne, soprattutto con quelle che lui trovava carine.
Le aveva vomitato addosso parole dure e fredde, solo perché lui la luce del Natale non la vedeva più. Che diritto si era preso per farlo?
-Scusi se prima ho esagerato con i toni...- disse allora lui.- ha ragione, io posso credere in ciò che voglio, ma ognuno vive il Natale come vuole. Lei mi sembra che lo viva molto bene...
Fran annuì, sorridendogli.
Con sua grande sorpresa, anche lui le sorrise.
Il cuore di Fran prese allora a battere un po' più in fretta; sentiva che quella sera qualcosa di magico stava succedendo.
-Puoi parlarmi anche in modo più formale, sai?- prese coraggio.- Ho solo 25 anni e non credo tu sia molto più grande di me. E poi... mi chiamo Fran... non signorina.- gli tese la piccola mano.
-Io ne ho 30, Fran.- ricambiò la stretta.
Poi rimasero a guardarsi per qualche secondo.
-Le va,- si schiarì la voce.- scusa, ti andrebbe di venire a cena da me questa sera e magari anche domani a pranzo? Ovviamente se riusciamo a uscire di qui.- gli chiese speranzosa.- In caso contrario, mangeremo il mio orsacchiotto. – si divertì.
"Poi ci dovremo vedere anche per l'orologio e magari anche i giorni dopo ancora..." pensò, ma ritenne più giusto tenerlo per sé.
Lui le lasciò la mano, riprendendo a guardare di fronte a sé.
-Non so... non festeggio da tanto tempo, ormai...- le confessò.
-È tornato il momento di farlo, allora! E poi, sono super in ritardo nella mia tabella di marcia, e ho assolutamente bisogno di qualcuno che mi aiuti a scongelare il tacchino e a cucinare tutto il resto. Fallo per il bene di una buona cena...- giunse le mani.
Non sapeva neanche lei perché, ma le sembrava che lei e quel ragazzone si conoscessero da tanto tempo; come se potesse fidarsi di lui anche se solo in quel momento si stavano finalmente conoscendo.
-Ti hanno mai detto che parli troppo?
Fran fu sul punto di stringere le labbra per la delusione, quando lui le fece un altro dei suoi sorrisi scombussola cuore.
-E ti hanno mai detto che hai un viso davvero bello?- continuò.
Il cuore di Fran prese a battere di nuovo velocemente. Il ragazzone le stava dicendo che la trovava bella?
Fece poi di 'no' con la testa.
-Oh, strano! Io ho notato quanto fossi bella sin dalla prima volta che ti ho visto con gli scatoloni vicino al portone, ma sai...- si grattò il collo, in imbarazzo.- sono piuttosto timido con le ragazze e ho sempre ritenuto la fuga un mezzo ideale per evitare ogni situazione imbarazzante.
Lei si mise a ridere, emozionata da queste parole.
Poi, proprio mentre anche lei fu sul punto di dirgli che anche lui non era male, sentì lo stesso rumore sordo che aveva sentito in precedenza.
Dalla sorpresa, si aggrappò al braccio del ragazzo.
Lui non la allontanò.
Quando le porte dell'ascensore si aprirono, trovarono tre paia di occhi guardarli curiosi.
Fu inevitabile per Fran non pensare che il blocco in ascensore fosse stato un piccolo miracolo di Natale.
-Oh ma allora avevo sentito bene, c'erano il miscredente e l'irlandese a fare chissà cosa nell'ascensore!- disse il signor Harrison.
-Gli stringi il braccio? Ma se non vi siete mai parlati! Che indecenza, figliola.- ci tenne a far sapere la Dupont.
-Se hai sporcato l'ascensore con la colla del tuo albero, stai pur certa che dovrai sganciare un bel po' di soldoni, folletta.- terminò la signora Adelaide.
Fran e Stefan non poterono fare a meno di mettersi a ridere.
Lui le prese l'albero dalle mani, mentre lei uscì trionfante con la sua busta di giocattoli.
Quando arrivarono sull'uscio di casa O'sullivan, lei lo guardò.
-Allora resti?
Lui ricambiò lo sguardo.
-Non ti ho mica detto di aver cambiato idea sul Natale.- puntualizzò lui.
Fran fece spallucce. -Oh beh... questa è l'occasione giusta per cambiarla, allora. -gli fece un occhiolino.
Stefan ripiombò nel silenzio.
Ma gli angoli della sua bella bocca si sollevarono in pochi attimi.
-Ma solo se posso condirlo io il tacchino.- si decise a rispondere.
Lei ridacchiò, aprendo così la porta di casa.
-Il vischio, il vischio. Dovete baciarvi, miscredente e folletta.- disse poi Adelaide.
Fran sollevò lo sguardo, accorgendosi che effettivamente lei e la sua cotta si trovavano proprio sotto quel vischio che lei aveva messa per i suoi genitori e per suo fratello e sua moglie.
Mai si sarebbe aspettata che ci sarebbe passata proprio lei da sotto, in compagnia del ragazzo che le piaceva.
-Ma no, io l'ho messo per i miei e per mio fratello e quindi...
-Non puoi rifiutare, irlandese. –continuò il signor Harrison.- è la tradizione.
-Fatevi gli affari vostri.- disse in risposta Stefan.
Posò impacciatamente una mano sulla spalla di Fran ed insieme, sotto gli sguardi allibiti di quelle vecchie ciabatte, entrarono in casa.
Fran ridacchiò, ma prima che potesse allontanarsi verso la cucina, mentre stringeva ancora la busta di giocattoli e mentre Stefan stringeva ancora l'albero sul petto, lui le prese il mento con la mano libera e posò la bocca sulla sua.
Un bacio.
Un baciò che durò solo qualche secondo, ma che fece tremare il cuore di Fran.
-Le tradizioni vanno rispettate.- le disse lui, con una punta di malizia nella voce.
Fran lo sapeva.
Quel Natale sarebbe stato il più bello della sua vita.
Proprio come Fran anch'io mi calo completamente nel clima natalizio sin dal primo dicembre.
È per questo che non ho resistito all'impulso di scrivere questa breve storia natalizia, malgrado manchino ancora venti giorni al Natale. È partito tutto dalla copertina e dai protagonisti; soddisfatta del risultato, la storia di Fran e Stefan ha iniziato a dispiegarsi nella mia mente.
Prendetela come una favoletta di Natale, perché per me è davvero tutto possibile in questa festa magica.
Spero tanto vi sia piaciuta! ❤️⭐️
In largo anticipo, buon Natale e buone feste! 🎄
Rob
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