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The watcher


Prompt n. 18 Squishing the other's cheek

OS Rating Rosso



Settembre, autunno appena iniziato. Una stagione che ho imparato ad apprezzare solo di recente.

Insomma, il sole che perde la sua implacabilità nello scudisciare le strade; il cielo che, dal celeste chiaro forzato -quasi bianco- passa al più rilassante carta da zucchero. Stagione un poco più riflessiva e tranquilla che, di certo, non pretendo piaccia a chiunque abbia meno di diciott'anni e l'entusiasmo irrefrenabile della vita davanti.

Età che, comunque, io ho ormai superato. Quel tanto che basta per farmi rendere conto quanto la gente sia schiava del divertirsi per forza. Quanto siano dispotiche le idee inculcate dalla società secondo cui in determinati giorni, stagioni o festività, se non fai questo o quello in compagnia di chicchessia, se non frequenti certi posti con modalità predefinite, se non mangi o bevi ciò che vedi sul tavolo del tuo clone che ti siede accanto; sei una nullità, uno sfigato, o degno di chissà quale altro epiteto.

Da quando divertimento, passioni, interessi e gusti hanno smesso di essere soggettivi? Probabilmente non lo sono mai stati, surclassati dalla cazzata del quieto vivere, dal maledetto chissà cosa penserà la gente, eccetera eccetera.

Me ne frego se, agli occhi della maggioranza, risulto un tipo controcorrente e strambo. Io penso a me, alle mie soddisfazioni. Che cazzo, ne ho avute così poche nella vita!

Che pensino pure quelle che più gli aggrada di questo tizio seduto su un gradino cosparso di merda di piccione, da solo, che fuma una sigaretta dietro l'altra fissando le finestre dell'università ben nascosto sul retro dell'edificio.

Soffia vento di Tramontana. È quella chiara, l'alito di Dio che pulisce il cielo addirittura dal ricordo delle nuvole. Fa strano adesso pensare che possano essere mai esistite e che torneranno a farsi vedere.

Le raffiche sono gelide, già attaccano gli angoli della mia bocca, domani mi faranno saltare per aria torturati da minuscoli taglietti. Incredibile in quanti pertugi sia capace di infilarsi il freddo, non li calcolo mai tutti e non abbastanza. La sciarpa pecca di spifferi, scopro adesso che la chiusura del mio giubbotto non è ermetica e che gli stivaletti non valgono niente anche se allacciati fino in cima. Nonostante a me la Tramontana sia già venuta a noia, ne avremo per tre o quattro giorni.

Grondaie e vetri vibrano nella desolazione, a volte non mi capacito come possa un architetto disegnare parti di edifici così oggettivamente brutte e deprimenti. Voglio dire, è una università o un capannone industriale? Tubi a cielo aperto, stessa sorte toccata ai condotti dell'aria condizionata e alle ventole delle cucine; le angolazioni delle curve che compiono sono stupide, fastidiose. Spazi angusti accatastati l'uno sull'altro.

Forse faccio caso a tutti questi particolari perché lui, là dentro, ci sta passando un'eternità. Tuttavia, potrebbe trattarsi di un segnale positivo, magari lo stanno trattenendo proprio perché hanno visto che se la cava e si sono messi a spaziare con le domande.

Itachi è immune all'ansia da esame, o almeno questo e ciò che trasmette all'esterno.

Sì, ne uscirà vittorioso. Come sempre.

Ho fumato meno di metà dell'ultima sigaretta, ma la lascio cadere appena lo vedo uscire da quella porta. Mai sciatto pur essendo semplice, il dolcevita beige non ha bisogno di essere coperto da chissà quali giacche eleganti. I suoi capelli non necessitato di elaborata manutenzione, la discreta coda bassa e più che sufficiente.

Attira gli sguardi, suo malgrado. E non solo il mio.

Abbraccia il fratello e la futura cognata, camuffa la scintilla di delusione che ha negli occhi. Qualcuno non si è presentato.

Itachi li consola, è evidente che sta loro accampando una scusa per non farsi accompagnare dovunque sia diretto. Sta promettendo di tornare subito, difatti lascia loro in custodia la sua borsa di pelle marrone.

Nonostante quest'uomo sia un fuoriclasse nell'arte di nascondere le emozioni, per chi sa osservarlo finemente qualcosa sfugge sempre. Non sento le sue parole, ma con Itachi non serve. Comunica con gli occhi.

Sfila davanti alle finestre a testa bassa, non ci vuole molto a capire che è diretto in bagno. Desidera concedersi qualche minuto per sfogare la frustrazione, vedo un lieve pallore impadronirsi del suo viso. Inutile il celarsi tra le ciocche di capelli, ormai lo conosco come le mie tasche.

Devo sbrigarmi se voglio raggiungerlo passando inosservato, quello non è il corridoio principale, perciò i controlli sono molto blandi soprattutto adesso che è quasi ora di pranzo. In realtà il tratto è percorso perlopiù dal personale delle pulizie e della cucina.

È giunto il momento di palesarmi. I tempi sono maturi, ormai ho capito tutto di lui, compreso il linguaggio speciale e impercettibile trasudato dal suo sguardo e dai suoi gesti. Persino dal respiro, a volte.

Riesco a leggerlo come un libro aperto, e ne sono dipendente.

Interrompo il flusso di simulacri che mi collega a lui giusto il tempo per fare il giro e raggiungere la porta. Il riscaldamento, anche se blando, dona subito sollievo al mio viso gelido. Mi sbarazzo della sciarpa, la appallottolo e la metto il tasca.

So in quale porta è entrato, mi appropinquo con falcate veloci e silenziose. Sento il lieve scrosciare dell'acqua ovattato dalle pareti. Non mi preoccupa l'eventuale presenza di altre persone nello stesso bagno. Ormai conosco Itachi abbastanza, ha scelto i servizi più deserti possibili. Altrimenti, avrebbe atteso in corridoio.

Prima di appoggiare il palmo aperto della mia mia mano sulla porta, mi slaccio la cintura e la estraggo dai pantaloni. La arrotolo, pronta all'uso, intorno al polso destro; con la sinistra spalanco la porta.

Itachi mi dà le spalle, è intento a sciacquarsi il viso. Gli basta davvero questo per lavare via l'amarezza e ridiventare presentabile per il fratello, lo so.

Sobbalza al brusco schiudersi della porta. Prima che possa voltarsi, gli piombo alla spalle per serrargli il collo sottile con la mia cintura. Stringo il cappio, per ora gli faccio solo girare la testa. Gli concederò il lusso di svenire solo quando sarà trafitto dal mio cazzo.

La vertigine lo rende docile abbastanza affinché io gli agguanti i polsi e glieli torca dietro la schiena, uso l'altra estremità della cintura per immobilizzarli, poi lo trattengo dalla specie di maniglia che ho creato.

Lo libero di pantaloni e boxer, ho il respiro già accelerato e le cerimonie sarebbero una tortura.

Gli palpo le natiche leggermente muscolose e squadrate, sode all'inverosimile. Sulla coscia sinistra, il lieve filamento della cicatrice dell'incidente in cui è rimasto coinvolto in primavera lo rende ancora più sexy. Lo percorro in giù con un dito e in su con la punta della lingua. Serro l'improvvisato collare per soffocare il suo grugnito di protesta.

Appena si zittisce e mi concede di procedere, gli mordo un gluteo inebriato dall'estremo calore emanato della sua pelle di seta: "Hai un culo che è la fine del mondo."

E non si tratta solo del culo. No.

Stavolta non proferisce suoni, avverto rabbia nel suo respiro. Sicuramente sta ponderando qualche stratagemma per fregarmi e liberarsi. Peccato non sia consapevole di quanto io lo conosca minuziosamente.

Sogghigno al pensiero di avergli precluso ogni via di scampo.

Mi rialzo, struscio il cazzo scalpitante e ancora vestito sul suo corpo. Tremo, spero che lui non se ne avveda. Mi interessa, invece, fargli constatare quanto sia dura e implacabile la mia erezione.

Sbircio il suo riflesso allo specchio. Mentre mi premuro di mantenere un'angolazione dalla quale non possa vedermi, spio i suoi occhi taglienti e carichi di astio. È ancora più affascinante preda di quella collera per lui così straordinaria.

Lascio perdere la maniglia di contenimento, preferisco imbrigliarlo in modo più piacevole e a regola d'arte. Insinuo le braccia sotto il suo dolcevita e stringo il corpo esile ma tonico. Infilo il viso tra i suoi capelli, aspiro il suo profumo di ambra e zucchero di canna direttamente dietro la sua mascella: "Oh, sì..."

Inibisco il suo tentativo di divincolarsi stringendo la presa, intanto tasto le forme di addominali e pettorali. Gli pizzico i capezzoli, lui soffoca un grugnito e un altro tentativo di dimenarsi.

Devo ricorrere ancora al manico improvvisato, ho bisogno per forza di una mano libera per potermi finalmente disfare dei pantaloni. Il mio cazzo assomiglia ormai a un animale famelico stufo di stare in cattività.

Il primo contatto è casuale e non me lo aspettavo. La mia cappella tesa e gonfia si attacca a una delle sue natiche. Non sono pronto a una scossa così liquida e sconvolgente, sono costretto a prendermi una pausa. Strizzo gli occhi e mi concentro per non venire, registro ottenebrato le mie mani che strizzano i suoi fianchi e freno l'istinto di sbattergli subito dentro il cazzo.

Ho atteso per tanto tempo, non è il caso di rovinare tutto a causa del mancato autocontrollo. Perderei all'istante la sua stima, lui di posatezza ne ha da vendere.

Inspiro tra i denti stretti per calmarmi.

Abbandono la cintura per dedicarmi, sì, all'artigliargli i fianchi, però lo faccio con criterio. Con le mani messe a coppa, inglobo le sue natiche, le allargo, ammiro le grinze dell'entrata ancora contratte.

So come fare per scioglierlo, lo trasformerò in soffice burro fuso.

Mi curo di concedergli un'anticipazione di quello a cui sto per accingermi, perciò mi assicuro che percepisca il mio respiro e il calore della mia pelle lì dove tra poco passerà, senza sforzo, il mio cazzo.

Irrigidisce i muscoli delle cosce, un fremito contrariato gli attraversa il corpo.

Siccome lo ammiro e lo rispetto, mando all'aria il proposito di tuffarmi nella carnalità a fare incetta di piacere senza pensare alle sue sensazioni.

Tratto le pieghe che tra poco ingloberanno il mio cazzo con la massima cura. Prima di erompere dentro la sua carne anche solo con la lingua, deposito piccoli baci sulle rughe ancora rigide. I mugugni che manda adesso sono già cambiati, il suo sdegno non è più solo nei miei confronti, ma anche verso se stesso. Vorrebbe impedirsi di provare piacere, di darmi soddisfazione. Non posso esimermi dal ghignare sardonico con la faccia in mezzo al suo culo.

Io so quali nervi stimolargli per farlo gridare, ormai l'ho studiato a puntino.

I baci si trasformano in lente lappate. Suo malgrado, inarca la schiena. Forse non si rende neanche conto del movimento sinuoso e provocante sfuggito alle maglie dei suoi buoni valori.

Gli arpiono i glutei e continuo a leccare, conscio dell'ormai inutilità della cintura con cui l'ho parzialmente immobilizzato.

Come previsto, ho aperto una breccia nel suo corpo, basta solo la pazienza di saperlo prendere per il verso giusto. L'entrata, ormai rilassata, lascia lo spazio necessario a far passare la mia lingua senza problemi. Uso la saliva per lubrificarlo sia dentro che fuori, la sua carne brucia e non ha certo la capacità di mentire: sta gridando che vuole di più.

Mi alzo lentamente in piedi, premo il mio petto contro la sua schiena. Le sue natiche si adattano alla perfezione con l'incavo del mio bassoventre.

Sobbalza alla mia frustata di bacino, emette solo un flebile lamento mentre lo infilzo col mio cazzo. La sua carne bianca e cremosa non oppone resistenza, spingo finché non sento le palle schiacciarsi sul bollore che emana. Mi fermo giusto un attimo prima di sentire dolore.

Dolore e piacere, due facce della stessa medaglia. I nervi sono sollecitati con la stessa intensità.

Ha completamente fagocitato la mia cappella tesa e sensibile. Agguanto i lati dei suoi fianchi stretti,. Scavo nello stretto pertugio, sfrego. Su e giù, cercando di dare sollievo alla smania ma, al contempo, desiderando che non finisca mai.

A malincuore, esco per pochi istanti da lui. Lo volto, arpiono la base delle sue cosce e stringo la presa per sollevarlo e sederlo sul lavandino. Voglio guardarlo in faccia mentre lo scopo.

Mi dona all'istante lo spettacolo che mi aspettavo: i suoi occhi. Le lunghe ciglia si rilassano, fremono in quel piacere che adesso è contento di concedersi. Non si sente più sporco, bensì degno. L'ossidiana dardeggia lucida mentre un lieve sorriso gli incurva le labbra morbide.

Getta la testa all'indietro mentre il mio cazzo lo infilza di nuovo, i muscoli ora sono rilassati, ondeggia morbido sotto i miei affondi e manda caldi mugolii.

Afferro le sue gambe e le sollevo il più possibile, voglio ammirare il suo culo spettacolare bersagliato dal mio bacino. Stringo ottenebrato dal godimento, le mie dita scavano avvallamenti nella sua pelle di luna. Ma lui non si lamenta, lo so, adora essere preso in un certo modo, sebbene fatichi ancora ad ammetterlo. È uno dei nostri segreti.

"Naruto..." il mio nome è un sussurro rauco fuso col suo respiro affaticato. Raddrizza la schiena per cingermi le spalle in un'energica presa, schiaccia la guancia sudata contro la mia per sibilarmi intrigante all'orecchio "Sono felice che tu sia qui."

Felice che io prenda tutto senza consenso. Lo so, Itachi.

Vorrei dire tante parole, gridare il mio immenso piacere, quanto Itachi sia meraviglioso, ma tutto ciò che ottengo è un grugnito così forte e ruvido da graffiarmi la gola. Sono troppo concentrato per muovermi, non voglio perdere la fenomenale posizione. Quando ricapita? Nel bagno dell'università dopo un esame certamente vittorioso? Mai più. Perciò resto lì, con la guancia premuta su quella di Itachi per trasformare quel bugigattolo in uno dei più bei ricordi della nostra giovinezza, uno di quelli che risponderanno ai vari -ti ricordi quando...?- che accompagnano sempre le vecchiaie più soddisfacenti del mondo.

Itachi viene in soccorso alla mia immobilità. Con un colpo secco, mi salda le natiche sul bassoventre e mi conficca il cazzo in pancia. Preme, spinge, finché il suo movimento sinuoso non lo conduce dritto all'orgasmo che mi riversa sulla pelle senza starci tanto a pensare. Adorabile egoista, libera un sospiro. Avverto il suo cuore martellare mentre gli inoculo il mio abbondante piacere nel corpo.

Mi allaccia le gambe alla vita ancora scosso da un residuo ansimare, lo sento ridere sommessamente, il suono più bello del mondo. Allora lo sgombro della mia cintura e lo abbraccio: "Adesso andiamo a festeggiare, giusto?"

"Puoi scommetterci, Naruto" balza gratificato giù dal lavandino, basta questo a comunicarmi che l'esame è andato più che bene.

Ci rivestiamo guardandoci negli occhi; in quel momento, come non mai, ho la certezza che staremo insieme per sempre.

"Andiamo prima che Sasuke mi creda rapito dagli alieni e chiami la polizia."

Rido mentre mi lascio prendere a braccetto e scortare in corridoio, freno i salti di gioia e decido di tenermeli per dopo. Stento a credere quanto sia cambiato Itachi nell'ultimo anno. Ma il merito è anche un po' mio, no?

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