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Valutazioni romance pt.1

Le nostre recensioni per i partecipanti al concorso! La pubblicazione avviene in ordine del tutto casuale.

La classifica con i voti arriverà non appena finiremo di leggere tutto =)

Bianca__Ferrari - Partita Doppia - dialogo imbarazzante

"Nel frattempo facciamo un gioco, ti va?" le chiese il ragazzo, seduto su una scaletta di legno a due scalini vicino alla finestra, mentre la avvicinava a sé prendendola dai fianchi.

"Non mi piace giocare"

"Ma come? Mi sembravi molto divertita ieri sera con i tuoi amici" la prese in giro.

"Allora diciamo che non mi sento a mio agio a giocare con te"

"Ti faccio paura?"

"Sì" ammise lei.

"Beh, diciamo che l'obiettivo del gioco che voglio fare è proprio quello di scrollarti di dosso questa paura assurda. Non sono mica un mostro" le disse guardandola negli occhi e rivolgendole uno dei suoi rari magnifici sorrisi.

Cinnamon si stupì. Solitamente era uno che aveva sul volto espressioni serie o al massimo un ghigno sarcastico. Ma quando si lasciava andare e rilassava il volto mostrando serenità e felicità sembrava quasi un ragazzino. E diventava mostruosamente bello, rendendole impossibile resistergli.

"Va bene" capitolò.

"Ok, siediti qui tra le mie gambe sul gradino basso e passami il phon"

"Io non capisco"

"Il gioco consiste nel fatto che potrai farmi tutte le domande che vuoi e io risponderò con sincerità ad ognuna di esse, ma nel frattempo io ti asciugherò i capelli. In questo modo potrò parlarti vicino così che tu non perda nessuna delle mie risposte. E dopo... beh dopo faremo viceversa. Non aver paura, fidati, è un gioco innocuo e non approfitterò minimamente della situazione. Vedi? Ho lasciato anche la porta aperta..."

"Se ti dico di no?"

"Insisterò finchè non dirai di sì e più ci metterai ad accettare più rovinerai il pranzo che mio fratello Abel sta preparando per te"

"Ok" si arrese lei, sedendosi tra le gambe di quel demone biondo.

Caleb accese il phon e cominciò a passarlo tra le splendide ciocche rosse di Cinnamon, assaporando la sensazione di quella chioma setosa tra le sue dita, sentendosi intimamente vicino a lei.

"Perché ti comporti come se fossi superiore agli altri?" gli chiese alzando la voce per farsi sentire.

"Ho detto che avrei risposto sinceramente e ho intenzione di mantenere la promessa. Io mi sento superiore agli altri. Sono giovane, bello, abbastanza intelligente da creare un'azienda che è salita ai vertici del suo settore in un tempo che definire breve è eufemistico, ricco da far schifo. Quante altre persone possono dire di essere migliori di me?" le rispose sussurrando la risposta al suo orecchio.

"Avrei da ridire sul tuo metro di giudizio, ma sarebbe una conversazione troppo lunga. Andiamo avanti" ribattè Cinnamon cercando di non mostrare i brividi che il suo fiato sul collo e la vicinanza con lui le provocavano incontrollati.

"Quali sono le cose che ti fanno più felice al mondo?" continuò mentre lui le asciugava meticolosamente ciocca per ciocca.

"Direi esercitare il mio potere, guardare una donna che si spoglia per me e passare del tempo con mio fratello"

"E sono le stesse cose che ti rendevano felice da ragazzino?"

Caleb scoppiò a ridere, una risata buona, genuina, che Cyn non aveva mai sentito e che ora risuonava direttamente nel suo cervello, passando dalla sua bocca quasi appiccicata all'orecchio ed entrando in lei scavando e demolendo la sua forza di volontà. Si obbligò a tenere gli occhi fissi sulla porta spalancata e a frenare l'impulso di girare il volto fino a far scontrare le loro labbra.

"Beh direi che per quanto riguarda le ultime due confermo la preferenza ma al posto del potere da ragazzino mi rendeva felice la colazione della domenica mattina con tutta la mia famiglia riunita. Mio padre lavorava moltissimo ma, nonostante i suoi mille impegni e le responsabilità, non ha mai saltato una domenica mattina con noi. Era il nostro momento. Era la nostra roccia" le confessò seriamente.

"Non c'è più?"

"Puoi dire tranquillamente che è morto. Non amo le frasi volte a nascondere la realtà. Non se ne è andato, non è passato oltre, non è salito in cielo. E' morto, anche se vorrei che non fosse così"

"Quando è successo?"

"Quello che sarebbe dovuto essere il mio ultimo anno del liceo, quindi dieci anni fa circa. Quell'anno è stato molto difficile per la mia famiglia e io non ho contribuito a procurare serenità. Ho cominciato ad uscire la sera fino a tardi, bere e fumare. Ho perso l'anno e mi sono ritrovato in classe con mio fratello. In quel momento il nostro rapporto si è evoluto e grazie a lui sono rientrato in carreggiata"

"Non l'avrei mai sospettato. Tu sei sempre così... controllato"

"Già. Ed è un lavoro costante contro la mia parte più istintiva"

"Cosa farebbe ora la tua parte istintiva" sussurrò lei quasi rivolta a se stessa.

"E' meglio che tu non lo sappia" le rispose lui morsicandole leggermente il lobo, invitandola subito dopo a scambiare le posizioni, visto che ormai i suoi capelli si erano asciugati, evitando così che lei potesse reagire di fronte a quel gesto così intimo e provocatorio.

Cinnamon si alzò sedendosi dietro di lui e accogliendo la sua schiena tra le sue gambe. Accendendo il phon, attese la domanda, chiedendosi come fosse possibile sentirsi creta nelle mani di Caleb, sentire la propria risolutezza sciogliersi come neve al sole sotto il suo sguardo. Era davvero un demone o uno stregone, da qualche parte doveva pur prendere quel super potere. Oppure era lei ad essere la più debole del mondo.

"Perché non ti lasci mai andare?"

La domanda arrivò inaspettata proprio perché lei si sentiva sempre così vicina al cedere, anzi al pregare di farla sua che si chiese come e dove lui vedesse tutta quella rigidità.

"In che senso?"

"Sembra che tu non sappia divertirti. Sei sempre così frenata e dura con te stessa e con gli altri"

"Io non credo di essere come tu mi dipingi. Non sono una party girl, questo mi pare ovvio, ma so divertirmi. Solo non lo so fare come voi. A me divertono altre cose. Credo"

"Tipo?"

"Ascoltare la musica, passeggiare, leggere"

"Wow, sei davvero selvaggia" la prese in giro Caleb.

"Non ho mai detto di esserlo. Sono una persona tranquilla" dentro la quale divampano incendi ogni volta che sono vicina ad un Cavendish, qualsiasi esso sia.

"Hai mai scopato?"

"Questa è una domanda troppo personale"

"Io ti ho risposto sinceramente senza tirarmi indietro. E mi pare più personale parlarti di come ho reagito alla morte di mio padre che sapere se l'hai mai preso o meno"

"Oh mio... ma non puoi parlare in un altro modo?" squittì lei sconvolta dalla piega che la conversazione aveva preso. Spense il phon, lo appoggiò sul gradino alto della scaletta e si alzò per uscire.

Caleb la prese per un polso facendola girare verso di sé ed attirandola vicino al suo petto.

"Rispondimi. Per favore"

"Cosa te ne frega?"

"Voglio togliermi una curiosità, così come tu ti sei tolta la tua. O vuoi che controlli da solo?"

Cinnamon cercò di fare un passo indietro ma lui la teneva stretta a sé, impedendole di fuggire.

"Se ti rispondo mi lascerai andare?"

"Sì" concesse lui.

"Non ho mai fatto l'amore con nessuno"

Una voce li raggiunse dallo stipite della porta: "Buono a sapersi. Il pranzo è pronto" disse Abel.

#GmS

Coinvolgimento emotivo: in questo estratto c'è tanta, tanta emotività. Riusciamo a leggere tra le parole di Cyn il forte desiderio che prova nei confronti di Caleb e di come lui, invece, non pare accorgersene, forse perché la ritiene ancora molto innocente e ingenua o forse lo sa ma si diverte a stuzzicarla per metterla in imbarazzo. La scena presenta un mix di sensazioni differenti, passiamo dall'ironia allo stupore, dalla tristezza al divertimento e dalla tranquillità di una semplice chiacchierata alle imbarazzanti parole celate dietro a un gioco che dapprima sembrava innocente. Abbiamo apprezzato molto le introspezioni della ragazza, particolarmente all'inizio, in cui ci dona le sue impressioni sul personaggio, permettendoci così di riuscire a mettere a fuoco la sua controparte.

Cioè che rimane scarno, abbiamo notato, è più che altro la descrizione della situazione. Abbiamo l'introduzione del "gioco" fatta da Caleb, le intima di sedersi con lui, ma dove si trovano i personaggi? Cosa succede all'ambiente intorno a loro? C'è della luce che filtra da qualche parte, illuminando la loro pelle? Qualche suono dall'esterno? Questi sono semplici esempi, ma vogliamo farti notare che aggiungendo delle piccole descrizioni ti aiuterebbero non solo a descrivere in modo poco pesante e noioso l'ambientazione ma anche a dare più vita alla scena. Magari potresti approfittare e aggiungere queste piccole parti alle sequenze dialogiche dato che per la maggior parte sono prive di descrizioni. Per esempio, per farci capire meglio le emozioni che prova Abel, avresti potuto inserire, magari, un tratto del suo carattere ad accompagnare il suo breve dialogo. Così avremmo saputo se la conversazione tra Cinnamon e Caleb ha provocato in lui qualche tipo di sentimento, come la gelosia, la rabbia, il disappunto.

Grammatica e lessico: forse l'abbiamo fatto notare nella recensione precedente, ma usi la e maiuscola con l'apostrofo invece che la forma corretta. Per inserire È, da computer basta utilizzare il codice Alt+0200, da Mac invece è Alt+Shift+e.

Uno dei suoi rari magnifici sorrisi → andrebbe posta una virgola tra rari e magnifici

Le rispose sussurrando la risposta → qui c'è una ripetizione

Non ha molto senso segnalarti le stesse cose della precedente recensione riguardo la conclusione dei dialoghi, per il resto la punteggiatura è perfetta, brava!

Originalità: per quanto riguarda la scena abbiamo la classica situazione di "risponderò sinceramente a ogni tua domanda" quindi certe questioni erano destinate a spuntare fuori, la scelta classica di prendere la strada del "l'hai mai fatto" forse non è la più originale, ma il modo in cui questa va a concludersi e l'inaspettato arrivo di Abel ci ha fatto ridere eccome, risollevando moltissimo la narrazione e facendoti guadagnare un mucchio di punti.

ArisFitzMaurice - One Two... & One, Two, Three, Four... - momento comico

In tutta franchezza, mi vergogno un po' dell'episodio di cui sto per parlarvi, perché diciamocelo in maniera schietta: ero davvero un cretino, ma questo è ciò che succede a chi si perde nel vizio, a chi vive in maniera dissoluta e a chi sguazza in un mondo che di reale ha ben poco.

Mia ed io eravamo tornati insieme agli inizi di quell'anno (1996 n.d.a.) e la nostra non era un'unione convenzionale. Non che lo fosse mai stata, ma riuscimmo a superare noi stessi con quel ritorno di fiamma: eravamo di nuovo insieme sotto le sembianze di coppia aperta, perché la signorina all'epoca volle sperimentare il suo lato bisex e il sottoscritto non storse di certo la bocca. Ma non era tutta lì la faccenda. Quando ci eravamo lasciati, lei aveva tentato il suicidio e la cosa ebbe delle ripercussioni enormi su di me: mi fece sentire in colpa; non che fossi stato alla base della sua motivazione per commettere quel gesto, ma con il senno di poi, presumo che la mia coscienza sporca nei suoi confronti, unita alla cocaina, siano state un cocktail tale da alimentare questo genere di paranoie. Tornammo insieme, quindi, e pieno di soldi e di sensi di colpa com'ero, decisi di regalarle questa vacanza di qualche mese, perché lei in Europa non c'era mai stata.

Nel corso di quell'agosto vistammo anche la Spagna, in modo particolare il Sud, l'Andalusia. Erano viaggi spartani i nostri: treno e zaino in spalla; non mi sfiorò neanche l'idea di spendere dei soldi negli agi che, invece, mi concedo adesso quando decido di andare a vedere che aria tiri in giro per il mondo.

Ci eravamo fermati in un paesino minuscolo all'epoca e fu lì che incontrai Martina. Lei non fu la sola in quel viaggio: conoscemmo tanti ragazzi e ragazze lungo il nostro itinerario e non giocai le mie carte solo con lei; anche con altre calai l'asso e ammetto che il bottino fu ben più sostanzioso rispetto a quello che ne ricavai dalla conoscenza di quella bella e giovane donna italiana.

Di solito, alloggiavamo in ostelli o camere in affitto, proprio come i ragazzi e le ragazze che come noi, con pochi soldi in tasca, giravano per il vecchio continente per mesi. Non che ai miei misfatti si debba aggiungere anche l'avarizia, niente di tutto questo: mi piaceva mescolarmi con i giovani europei, conoscerli e capirne i gusti, i modi di vivere e quello che li appassionava. Perciò, le sistemazioni low budget erano i covi di malaffare dove avrei potuto trovarli, confrontarmi con loro e magari, ricavarne pure un qualche diversivo, come avvenne delle volte: alcune con Mia di mezzo, altre senza e di nascosto.

In quel paesino, però, ci eravamo sistemati in un campeggio, perché non avevamo trovato una camera libera. Non ricordo per quale dannato motivo, ma con il senno di poi, riconosco che quello fu un dono del destino. Il fato mi aveva teso la mano, stava a me dimostrargli che me la fossi meritata.

Lungo il viaggio, oltre a tante belle ragazze di ogni nazionalità, anche Zorro incrociò il mio cammino e, forse, se non fosse stato per lui, con Martina le cose sarebbero andate in modo differente. Era un pastore tedesco ed era stato abbandonato. Lo trovammo a Madrid e mi fece così tanta tenerezza che, senza batter ciglio, lo portai via con me lungo il nostro viaggio e infine a Los Angeles quando rientrammo.

Era un tipo divertente il nostro Zorro, mansueto a dispetto della sua stazza in cui era racchiusa la sua indole dolce e affettuosa. Era come il suo padrone: aveva l'aria da duro, ma un cuore tenero, oltre ad essere un dongiovanni.

Appena la vide apparire dalla strada, una specie di highway che a quei tempi si poteva attraversare a piedi, a nostro rischio e pericolo, per recarsi sulla spiaggia che questa costeggiava, iniziò a girovagare come un'anima inquieta. Noi eravamo alla fermata dell'autobus per una puntatina in paese a far solo Dio sa cosa, lei e i suoi amici ci stavano raggiungendo.

Era un caldo allucinante: l'aria era secca, ma a mezzogiorno il sole picchiava, lì non c'era un filo d'ombra neanche a pagarlo oro e dall'asfalto rovente il calore si sprigionava con ancora più intensità.

La sua apparizione avvenne proprio fra le fiammate di caldo della strada, la polvere e il sudore che ci grondava dalla fronte. La guardai e lì per lì, non so perché, non m'incuriosì per niente. In verità mi accorsi di lei perché, invece, Zorro dal palato fino non vedeva l'ora di farsi spupazzare da quella bella ragazza; lo fu così tanto che, incurante della sua stazza, le voleva saltare addosso come se non ci fosse stato un domani. Lei, però, lo scacciò: forse impaurita, forse per motivi suoi, ma fu tutt'altro che gentile con il mio adorato amico.

La cosa mi mandò in bestia e iniziai a inveir contro di lei. Mi fermai quando mi accorsi che i suoi amici, due ragazzi e una ragazza, stavano capendo ogni parola di quelle che, senza vergogna alcuna, le avevo indirizzato e non erano roba da poeti, tutt'altro. Lei invece, non mi degnò di uno sguardo né replicò ai miei epiteti, mascherandosi dietro ad un'aria di pura indifferenza e superiorità.

Uno del suo gruppo di amici mi riconobbe: era un fan degli Hellhound, un gruppo che avevo prodotto pochi anni prima, e parlava pure un buon inglese. Così, con un sorriso a trentadue denti, si presentò e cercò di ricomporre la situazione: Martina pensava fosse un randagio, per questo ne aveva paura. La cosa non mi convinse più di tanto: se tutti facessimo così con i cani abbandonati, nessuno di loro si salverebbe, ma per giustificarla devo ammettere che, quando trovammo Zorro, il poveretto era davvero malconcio e non ritrovò una forma smagliante finché non giunse a Los Angeles. Gli ci vollero mesi per riprendersi da quella brutta esperienza, a quel poveraccio.

Il suo ragionamento, quindi, non mi convinse per niente, faceva acqua da tutte le parti, ma quello che mi riportò in ranghi più civili non furono né le spiegazioni di quel tizio né le insistenze di Mia affinché la smettessi d'insultarla e di prendermela. Furono le sue gambe e il suo viso a fermarmi e subito dopo a convincermi che

ero stato un coglione: sarà stata l'afa, il caldo, lo smog o il fatto di essermi svegliato da poco, ma che fosse una bella ragazza lo realizzai solo dopo averla ricoperta di merda per dieci minuti buoni. Era una reazione inspiegabile per uno della mia risma. A quel punto cambiai atteggiamento: sorrisi, cercai di scusarmi, sfoderando il lato più simpatico di me, ma ormai il danno era fatto; con la scusa di non capire quello che le stavo dicendo, non ne volle sapere di avere a che fare con me.

Un po' la sua bellezza, un po' la sfida che mi lanciò, non so cosa successe in realtà, ma sta di fatto che la cosa iniziò ad intrigarmi per davvero.

La rividi il giorno dopo in spiaggia e lì la sfida si tramutò nell'ossessione onirica che negli anni seguenti consolò la mia vita dissoluta e persa; divenne la mia donna dei sogni, quella che avrei desiderato fino alla fine dei miei giorni e l'unica a farmi compagnia in quell'esistenza senza un capo né una coda: Martina divenne il mio sogno proibito. La immaginavo sempre a ogni risveglio, quando le mie amanti passeggere se n'erano andate, fantasticavo su una vita insieme a lei, sull'intimità che avremmo condiviso se ci fossimo incontrati di nuovo. Era una fuga dalla realtà né più né meno che, però, mettevo da parte quando incontravo qualcuna delle mie belle, capace di intrattenermi per qualche ora in carne ed ossa. Questo è stato l'apice del mio romanticismo, lo ammetto.

Martina era bella, molto bella; era il classico tipo di ragazza che da sempre mi faceva girare la testa: magra ma non troppo, alta senza sembrare una giraffa, gambe lunghe e ben fatte, seni piccoli e sodi, acerbi ma armoniosi e infine, delle rotondità interessanti dall'aspetto sodo e morbido, che vedevo spuntare da uno slip rosso. Inoltre, si era dimostrata una tipa tosta e molto femminile: un'altra forse mi avrebbe preso per il collo, la sua superiorità, invece, mi dette una sonora sberla in faccia a cui francamente non ero avvezzo; m'instillò rispetto nei suoi confronti. Non che le donne di polso fossero il mio pane quotidiano, ma, non so, lei fu capace di ammaliarmi in maniera totale, viscerale e unica.

Disteso sul mio asciugamano a pochi passi dal suo, la guardai per tutto il tempo e non potendo fare come Zorro, che invece le si avvicinava di continuo sbavando e annusandola in ogni dove, oltre a cercare di rubarle il panino, l'eccitazione montò. La volevo e dovevo averla, incurante di quello che ne pensasse lei oppure Mia e in quegli anni con difficoltà il sottoscritto mancava l'appuntamento con la vittoria.

Ero sicuro di me, del fatto mio, perché sebbene di sfuggita, non passarono inosservate le occhiate furtive che anche lei m'indirizzava, ritraendo lo sguardo con quell'aria altezzosa ogni volta la guardassi a mia volta: benzina sul fuoco del mio desiderio.

Così, come un cretino, feci la mia mossa la sera, verso il tramonto; la incontrai per il viale principale del campeggio, lei era con la sua amica, io invece ero con Mia e con Zorro: la prima già sul piede di guerra perché si era accorta delle mie mire lussuriose, l'altro impaziente di fiondarsi su di lei e continuare ad annusarla, un po' come lo ero io, del resto.

Mi staccai dalla mia compagnia e le andai incontro: avevo poco tempo e come tale ero obbligato a una sintesi estrema, oltre a cercare di non dare troppo nell'occhio per via di Mia.

Mi avvicinai a lei, dando le spalle alla mia donna in modo che non potesse né sentirmi né leggere il labiale.

"Hi, do you understand me?" già, oltre alla sintesi c'era un altro fattore di disturbo, pareva non sapesse l'inglese. Ad ogni modo, quando le fui davanti, a quelle parole, sembrò annuire.

"Do you understand me? Yes? Well, honey, I wanna fuck you. Did you understand?"

Arrivati a questo punto del racconto, i miei amici si misero a ridere come se non ci fosse stato un domani. Ero stato un idiota, ma a onor del vero in quegli anni, sembra impossibile, quel tipo di dichiarazione sincera, onesta e veritiera aveva sempre funzionato, perlomeno nel giro che ero solito frequentare.

Eric era piegato in due sul suo sgabello, Charlie aveva le lacrime agli occhi e Quentin aveva le mani sul viso che scuoteva a destra e a manca, come a sottolineare che non voleva crederci.

"Oddio, Moccioso! Ma come cazzo ti è venuto in mente di dirle I wanna fuck you? Ma, porco cane!" esclamò il pirata fra una risata e l'altra.

"Certo, amico, eri davvero fuori dalla grazia di dio in quel periodo" si unì Eric. "E quindi? Poi com'è andata a finire?"

"È andata a finire che lei mi guardò con due occhi grandi come una casa, poi con una mossa svelta, mi scansò come se fossi stato un untore di scabbia e prese la sua strada", continuai divertito a quel pensiero, "ma non mollai la presa. Non ero mica contento del figurone che avevo fatto. Così, le urlai se per davvero mi aveva capito. L'unica risposta che ebbi, però, fu da parte della sua amica, che mi mandò a quel paese mostrandomi il suo dito medio."

"Ma quindi, non è successo niente?" domandò Eric.

"No, non è successo niente di tangibile, a parte il fatto che poi l'ho pensata ogni fottuto giorno della mia vita. A parte questo: no, non è successo niente, Eric."

"Un colpo di fulmine. Un classico senza tempo."

"E con la fidanzata come hai fatto? Dico, è improbabile come scena: la molli ad aspettarti, ti avvicini a un fiorellino, a cui sussurri una poesia delle tue e come risposta ti becchi un bel vaffanculo, il più meritato della tua vita," enfatizzò Quentin, ormai incuriosito.

#GmS

Coinvolgimento emotivo: ci è stato un po' difficile capire questo cambio di idea da parte del protagonista riguardo Martina. Prima la insulta senza pensarci troppo, però poi dopo un bel po' di tempo, si rende conto che la ragazza, prima considerata poco interessante è invece parecchio attraente. Ci è parso di intravedere una stilla di insicurezza accompagnata dall'inguaribile orgoglio maschile per essere stato rifiutato con un bel due di picche.

Ci siamo comunque ritrovate assorbite dalla narrazione e dagli eventi che raccontati sommariamente dal protagonista ai suoi amici, ci hanno donato perfettamente l'idea della situazione.

Grammatica e lessico: non abbiamo trovato grandi errori, al massimo qualche virgola di troppo che ci ha messo un po' in dubbio perché non suonavano benissimo le frasi → Non che le donne di polso fossero il mio pane quotidiano, ma, non so, lei fu capace di...

Può essere anche una scelta stilistica ma qui ci pare forzatamente rallentata la frase. Ad ogni modo la narrazione funziona, è fluida e scorre bene, anche se possiamo suggerirti di andare a capo un po' più spesso per non affaticare troppo il lettore.

Il resto della punteggiatura nella scrittura e nei dialoghi è corretta, ti facciamo i complimenti per questo perché utilizzando periodi lunghi riesci comunque a non sbagliare.

Originalità: all'inizio la storia scorre su una lunghezza d'onda del tutto diversa dalla piega che poi sembra prendere tutta la situazione. Da un punto serio e drammatico siamo arrivate a una situazione colma di humor, momenti comici e imbarazzanti che sono stati raccontati egregiamente, strappandoci più di un sorriso, quasi fino a farci sbellicare. Ad ogni modo una scena del genere è davvero una buona unione di comico e imbarazzante, è stato bello ricevere una partecipazione del genere, nonché interessante, perché a seconda del punto di vista che si sceglie di seguire abbiamo due situazione molto distinte. Per quanto il risultato finale fosse abbastanza ovvio.

LabyrinthumEfp - La Sindrome di Didone - momento comico

Nel frattempo il ristorante si riempì di nuove persone, presumibilmente invitati di un altro matrimonio: dopotutto, c'erano abbastanza padiglioni da ospitare più di un ricevimento.
L'attenzione di Cat si concentrò in particolar modo su un giovanotto dalla pelle ambrata che sua madre stava salutando con due baci sulla guancia.

«Papà» balbettò, strabuzzando gli occhi. «Papà, ma quello è... ?» cercò a tentoni il braccio dell'uomo al suo fianco, troppo traumatizzata per staccare gli occhi dall'aitante giovane, che ora stava conversando amabilmente con sua madre, e voltarsi per guardarlo in faccia.
Il maestro di yoga di sua madre, alias il cubano, si trovava lì, nello stesso ristorante, a pochi metri da loro.

Doveva essere per forza lui!
E se suo padre lo avesse affrontato? Pensò, allarmata. In fondo, in ogni matrimonio che si rispetti c'è una rissa: era ciò che i film le avevano insegnato, perlomeno.

«Che c'è?» sbottò Giorgio, brusco, ancora infastidito dal comportamento del suocero.
Cat gli indicò con braccio tremante sua madre e il cubano, impegnati a ridere con spensieratezza. «Sì, sì, è il cubano. Lo so» minimizzò l'uomo in tono scocciato, sorprendendola.
«E non dici nulla? Cioè... ma l'hai visto?».

Era talmente bello da risultare imbarazzante, talmente bello da fare male a chiunque lo guardasse. Il genere di individuo che sotterrava la tua autostima e poi non sapevi più dove andare a cercarla.
«E che devo dì? Buon per lui!» divagò ancora suo padre, che con quella nota di nervosismo nella voce le fece venire il sospetto di star nascondendo qualcosa.
«Mi spieghi come fai ad essere così tranquillo?!» si spazientì Cat, incredula che non fosse scioccato quanto lei. Avrebbe dovuto bruciare di gelosia, conoscendolo!
L'uomo prese un profondo respiro, pronto a rivelare qualcosa di sconvolgente alla figlia, che non aveva idea di essere stata tenuta all'oscuro da questo su un episodio che vedeva lui e il cubano protagonisti.

Qualche sera prima si era offerto di andare a prendere la moglie a lezione di yoga, imprecando insulti a caso contro il famigerato cubano per tutto il tragitto e beccandosi per questo motivo le occhiate scandalizzate dei passanti. Aveva deciso che fosse finalmente giunto il momento di conoscere il suo nemico per constatare coi suoi occhi in che misura costui avrebbe potuto rappresentare una minaccia per la sua famiglia.

Da buon romano de Roma, era del parere che bisognasse mettere in guardia il proprio rivale, della serie che, se avesse osato toccare sua moglie anche con un solo dito, si sarebbe improvvisamente ritrovato a nuotare a faccia in giù nel Tevere.

Era nervoso e lo si poteva notare dal modo in cui sbuffava, irritato, strofinandosi il pizzetto e controllando in maniera ossessiva l'orologio da polso.

La hall della palestra era gremita di donne di ogni età, incluse delle vecchiette dall'aria ancora parecchio arzilla, che spettegolavano tra di loro vicino ai distributori e che, con sommo sconcerto di Giorgio, ammiccarono maliziosamente nella sua direzione, non appena lo videro entrare.
L'uomo rabbrividì di disgusto e pensò saggiamente di distogliere lo sguardo.
Per fortuna c'erano gli occhiali da sole a celare il suo reale stato d'animo, quando sua moglie comparì, tutta sorridente, a braccetto con il cubano.

Giorgio se li sfilò di scatto, sbottando d'istinto un «Limortacci» con un'espressione sbigottita. Quel tipo sembrava appena saltato fuori dalla copertina di Men's Health!
Altissimo, levissimo, purissimo, abbronzatissimo; un paio di spalle che si estendevano da est a ovest, pettorali super scolpiti, messi in risalto dalla t-shirt attillata, e bicipiti tanto pompati che davano l'impressione di voler esplodere. I capelli castani di media lunghezza facevano swish a ogni dannato movimento del capo, facendolo sembrare una specie di Eduardo Palomo in "Cuore Selvaggio", la telenovela preferita di sua moglie. La adorava così tanto da averne registrato tutte le puntate in varie videocassette, al momento sistemate nella libreria del soggiorno.
Giorgio si rese tristemente conto di non poter competere con la versione più giovane e palestrata di Juan del Diablo, personaggio interpretato dal compianto attore.

Immerso nelle sue elucubrazioni mentali, non si era accorto che Veronica gli stava presentando quello che lui aveva appena ribattezzato "Er Diablo".
«Giorgio, ti presento Juan Miguel, il mio insegnante!» gli annunciò, raggiante.
Mo' se chiama Juan pure questo, commentò, infastidito, dentro di sé.

Giorgio si rimise gli occhiali per mostrarsi più impassibile di quanto non fosse in realtà e gli strette con esagerato vigore la mano.
«Piacere» borbottò in quello che pareva un ringhio.
«Lei deve esserre il marrito de Verronica» lo salutò Er Diablo, affabile, con un marcato accento spagnolo.
E si permetteva anche di chiamarla per nome?! Chi credeva che fosse, sua sorella?! Si era preso troppe libertà per i suoi gusti, ma adesso lo avrebbe rimesso lui al suo posto!

«Farnesi. Veronica Farnesi. Mia moglie, mio cognome» sottolineò di proposito, riducendo gli occhi a due fessure e scandendo le parole come se si fosse trovato davanti un alieno che sconosceva la lingua dei terrestri.
Il cubano lo guardò con un'aria perplessa, stirando le labbra in un sorriso di circostanza; Veronica, invece, gli diede un pizzicotto sul braccio senza farsi vedere dal giovane e gli scoccò un'occhiataccia di rimprovero.
Giorgio si massaggiò la parte lesa nel modo più disinvolto possibile, mentre la moglie gli comunicava, torva, che doveva andare a cambiarsi, suggerendogli, poi, sottovoce, di comportarsi bene, altrimenti ci sarebbero state delle conseguenze. Giorgio sapeva che tali conseguenze erano da interpretarsi come: "Non te la do per due mesi".
Pertanto, digrignò i denti ed ingoiò il boccone amaro.

In un attimo di lucidità si rese conto che sarebbe stato più saggio mostrarsi strafottente di fronte al cubano, così questo non avrebbe avuto modo di pensare che fosse spaventato. Se lo avesse minacciato o guardato in cagnesco, avrebbe solo dimostrato di avere paura di lui e di ritenerlo un valido avversario.
Convinto che Er Diablo se ne sarebbe andato borbottando qualche saluto formale, quasi sussultò, quando gli si rivolse con garbo.

«Por qué no se inscribe anche lei al corso? Me parece un poco nervioso, señor! El yoga ayuda la relajación muscular, diventerebbe anche più snodabile, lo sa?» gli propose, sicuramente interessato a guadagnare più soldi.
Ma non era controproducente per lui invitare i mariti delle proprie "allieve"? Se questi avessero assistito alle lezioni, lui come avrebbe fatto a sedurle indisturbato?
«Be'... ecco, veramente... » Non sapeva cosa ribattere, il ragionamento che si era fatto non faceva una piega: se voleva farsi sua moglie, perché proporgli di iscriversi al corso? Non aveva molto senso.
La spiegazione non avrebbe tardato ad arrivare.
«Non che ne abbia bisogno, con un cuerpo così... Se allena en palestra, verro?» E nel dirlo prese a tastargli il bicipite con un che di malizioso nella voce.
Giorgio sgranò gli occhi, ritraendo il braccio ed indietreggiando d'istinto, mentre un terribile sospetto gli si stava insinuando nel cervello.

Ma questo ce sta a provà? Non sarà mica...?

«Oh. Ah. Ehm... sì, di tanto in tanto ... sa, per tenermi in forma» farfugliò, grattandosi la nuca in completo imbarazzo.
Il cubano fece scorrere gli occhi nocciola su tutto il suo corpo, che Giorgio tentò invano di coprire, incrociando in modo goffo le braccia al petto. Si sentiva quasi profanato!
«Ottima forma, señor» si complimentò il giovane, dando quasi l'impressione di starsi leccando le labbra.

Ce sta a provà, cazzo, ce sta a provà! Non è possibile!

«Gra-grazie» balbettò, guardandosi attorno con disagio, come se temesse che qualcuno potesse ascoltare la loro conversazione.
Sperò con tutto il cuore che Veronica si sbrigasse e lo tirasse fuori da quella situazione, ormai diventata senza ombra di dubbio la più imbarazzante della sua vita.
Prima di andare via, però, doveva accertarsi che El Diablo avesse un solo gusto preferito, perché, se fosse stato bisessuale, avrebbe potuto comunque mettere le mani su sua moglie. O peggio: proporgli una cosa a tre.
«Scusi, ma... Cioè, lei è ... è? Sì, insomma, ha capito... Gi piacciono solo gli uomini, non le donne, giusto?».
L'altro lo guardò con fare ovvio.
«Claro que sì» sorrise, seducente.
«Ma è una notizia grandiosa!» esclamò Giorgio in un moto di spontaneità, più che sollevato.
Il cubano gli fece l'occhiolino.
«Anche a lei, verro? He entendido bien»
«Che?! Io?! Ma quale gay, ahò, che stai a dì?!» chiarì subito lo psichiatra, stringendosi il nodo della cravatta con fare impettito e scrollandosi della polvere immaginaria dalla giacca. «Significa che non vuoi farti mia moglie, per questo dicevo che è una notizia grandiosa!».

«Je piace er pene. Il mio, per la precisione» concluse Giorgio, sbuffando con aria contrariata.
Cat si morse la lingua per non scoppiare a ridere sguaiatamente.
Suo padre non era un uomo dalla mentalità chiusa, aveva in cura diversi pazienti omosessuali che non riuscivano ad accettare la propria sessualità e che avevano cercato di farsi del male, quindi non era rimasto turbato dal cubano in quanto gay, bensì dalle avances che gli aveva rivolto.

«Oh, no, mi sta guardando...» D'un tratto si coprì la faccia con la mano, sgomento, girandosi di scatto.
Purtroppo Cat non riuscì a trattenersi oltre, beccandosi un'occhiata d'ammonimento da parte del padre, che arrossì lievemente. «Non ridere, per cortesia!».
Cat scoppiò a ridere con più veemenza, come se chiedendole di non farlo avesse aggravato la cosa, facendosi quasi venire le lacrime agli occhi, mentre l'uomo incrociava le braccia al petto e alzava gli occhi al cielo con un'espressione rassegnata: sapeva che sarebbe finita così.

«La mamma lo sa?» boccheggiò Cat tra le risate.
«Che è gay? No, non lo sospetta minimamente e io mi guardo bene dal dirglielo» ghignò Giorgio con un sorriso malefico. «Lasciamole credere di avere una chance, poverina. Non uccidiamo i suoi sogni di gloria così presto».
Cat era indecisa tra il rimproverarlo o il battergli le mani, vista la sua geniale malvagità.
«Sei spregevole, però ti stimo» gli concesse, sinceramente colpita.
Suo padre era un mito. Nonostante la spropositata gelosia che provava nei suoi confronti per via di Adriano, nonostante la prepotenza e le sue manie di protagonismo, non poteva non ammettere di provare una certa adorazione per lui.
Le ricordava qualcuno, ma in quel momento le sfuggiva chi.
«Tsk. Andiamo, non avrebbe mai potuto preferire quell'ammasso di muscoli a me» esclamò Giorgio con arie di superiorità, scacciando una mosca invisibile con la mano, come se avesse voluto allontanare da sé quell'idea, per lui, folle.
«Eresia! Tu sei l'uomo più bello del mondo, papino!» gli resse il gioco la figlia, abbracciandolo per la vita e poggiando il capo sulla sua spalla.
«Ben detto, piccola!» proruppe Giorgio, gonfiandosi il petto d'orgoglio. «Ma non credere che fare la ruffiana servirà a farmi andare a genio il tuo fidanzato» l'avvertì, scoccandole un'occhiata in tralice.
Non fece in tempo a terminare la frase che dovette dileguarsi alla velocità della luce, quando vide il cubano muovere dei passi nella loro direzione.
Povero papà, deve essere dura venire inseguiti da cubani muscolosi e bellissimi.

[...]

Note:
-"Cuore Selvaggio", telenovela messicana del 1993.
- Juan del Diablo, personaggio interpretato da Eduardo Palomo nella suddetta telenovela.

Coinvolgimento emotivo: con questo estratto l'autrice è stata in grado di suscitare molta suspense, condita ovviamente da piccoli ed essenziali momenti tragicomici che sono serviti a tenere alto il livello dell'umorismo. È stata azzeccata la scelta di far rivivere la scena attraverso i pensieri del padre, ciò ha permesso al lettore di ricreare attraverso la propria mente lo stesso scenario e di immedesimarsi in Giorgio e nella sua imbarazzante e maldestra avventura.

Ci piace molto lo stile con cui la vicenda viene illustrata, la narrazione è personale e a volte sarcastica, con brevi pensieri e introspezioni che ci hanno fatto sorridere, soprattutto riguardo al famoso cubano.

Lo stile che usi si è adattato perfettamente a questa scena, ci ha fatto sorridere con i vari riferimenti a telenovelas di serie B e atteggiamenti particolari, facendoci giungere alla fine con la voglia di continuare a leggere.

Grammatica e lessico: sconsigliamo l'uso del sottolineato, per evidenziare una o più parole, magari per dare più enfasi, basta porle in corsivo o al massimo tra virgolette.

Ti facciamo notare semplicemente che in questo passaggio → "Papà, ma quello è...?" cercò a tentoni... ci andrebbe la maiuscola al verbo fuori dal dialogo, perché non è dichiarativo.

Per il resto la punteggiatura è gestita molto bene, e abbiamo apprezzato molto il lessico che hai utilizzato, inserendo dialetto e accenti vari senza sembrare forzata o fuori luogo.

Originalità: per quanto riguarda la scena che ci hai mandato, beh, non abbiamo potuto fare a meno che leggere il tutto con un sorriso. Fraintendimenti e pregiudizi posti in questo modo così leggero e aperto sono stati davvero belli da leggere. Non stancano per nulla il lettore, anzi, fanno in modo che sia coinvolto ancora di più. La curiosità alimenta il tutto, anche se verso la metà del testo avevamo immaginato una presunta possibilità che la parte in causa della moglie venisse ribaltata, ponendo invece, Giorgio come "soggetto" di desiderio alla mercé di un bel Juan Del Diablo. Per quanto il fatto del potenziale amante che invece si scopre essere gay possa non essere il massimo dell'originalità sicuramente è stata una sorpresa scoprirlo in questo estratto, visto come era iniziato il tutto.

Ci è anche piaciuto moltissimo che la "situazione comica" non si sia ridotta semplicemente al flashback, ma che si sia andata a ricollegare con la situazione iniziale, allungando la comicità.

A_dreaming - Trick - dialogo imbarazzante

«Mamma?» chiedo attraversando il disimpegno appena illuminato dal vetro incastonato nella porta d'ingresso.

«Pulcino!» esclama allegra non appena mi vede, guadagnandosi un'occhiataccia per l'epiteto. «Non dovevi essere alle gare con Daniel?» domanda non curandosi del mio rimprovero, scambiando un'occhiata interrogativa con Ashley.

«Hanno litigato» chiarisce Ashley con un'espressione rassegnata, alzando gli occhi al cielo.

Mia madre, che sta tagliando una fetta della torta alle pesche preferita di Ashley, alza la testa di scatto, con un'espressione perplessa e uno sguardo confuso. «Non capisco quale sia il problema. Voi due non fate altro.»

Appoggia la fetta di torta su un piattino di ceramica e la porge ad Ashley, senza smettere di guardarmi interrogativa.

Sbuffo infastidita e prendo il piatto con il dolce per servirmi da sola e avere, così, mani e occhi impegnati per non dover sostenere lo sguardo inquisitorio.

«È quello che le ho detto anche io» rinforza quella traditrice della mia migliore amica, mentre addenta compiaciuta un pezzo di torta. «Il problema è che questa volta c'è di mezzo una ragazza...» china la testa di lato e lancia uno sguardo eloquente a mia madre che la ascolta incuriosita, passando lo sguardo da lei a me.

«Una che ha già visto per più di qualche ora.» Specifica leccandosi le dita.

Appoggio il coltello sul piatto da portata e sbatto le palpebre più volte, interdetta. Guardo Ashley e incrocio le braccia infastidita dalla sua incontinenza verbale e scuoto la testa decisamente scocciata, pensando al terzo grado che questo scatenerà.

«Come mai lei è a casa?» Ashley prova a riparare il guaio che ha appena fatto, cambiando argomento.

«Avevo pensato di fare una sorpresa al padre di Alice» dice raggiante incapace di trattenere un sorriso. «Insomma, sapevo che non ci saresti stata, quindi avevo pensato di preparare qualcosa di speciale» continua agitando le mani, fino ad appoggiarle sulla collana.

«Che idea romantica!» Le da corda la traditrice, battendo le mani.

«Dici, cara?» I suoi occhi brillano per l'emozione, le sue guance si sono tinte di rosa e sembra ringiovanita di vent'anni. «Sai, siamo in un periodo un po' noioso...» Sospira tra sé e poi sorride nuovamente ad Ashley «per questo ho organizzato tutto nei minimi dettagli.»

Spalanco gli occhi, terrorizzata dalla piega che sta prendendo la conversazione e lancio una muta richiesta di aiuto agli occhi della ragazza che mi sta seduta di fronte.

Le faccio un cenno verso la porta per invitarla a seguirmi, ma lei non coglie e mi sorride incerta.

«Cucina qualcosa?» La incalza appoggiando il viso sui gomiti invece di scappare con me.

Prego silenziosamente che la conversazione finisca al più presto, perché conosco perfettamente la donna che sta sorridendo maliziosa e non è la prima volta che spero di scomparire e di dimenticare ogni cosa.

«Non solo» dice misteriosa chinandosi a prendere qualcosa da una borsa che aveva ai piedi. «Ho comprato della lingerie!» Aggiunge con uno sguardo lussurioso, coprendosi la bocca con le mani.

Guardo per terra, probabilmente nella speranza che si apra una voragine sotto i miei piedi che mi porti direttamente in un'altra dimensione, in un altro universo, nella mia vita parallela, insomma.

Nascondo il viso tra le mani per nascondere la vergogna, ma un calcetto sui piedi della sedia mi fa riportare l'attenzione sul tavolo davanti a me.

Mia madre, in chiaro delirio da menopausa, sta stendendo con estrema cura, i completi pieni di pizzo e fiocchetti di vario colore sul tavolo davanti a noi.

«Mamma...» balbetto impacciata, mentre Ash tenta in tutti i modi di nascondere una risata e io resto immobile, incapace di distogliere lo sguardo da quello che sembra un tanga nero con piccole roselline rosse ricamate.

Schiocco la lingua sul palato e mi premo le dita sulle tempie, chiudo gli occhi qualche istante e cerco di respirare profondamente per mantenere la calma. Questa cosa mi perseguiterà per sempre.

«Mamma» ricomincio con maggior convinzione «ci sono cose che io non voglio sapere, o vedere...» indico con un gesto nervoso della mano la stoffa striminzita davanti a me, ma, per non sembrare crudele, rinforzo la mia affermazione con un sorriso rassicurante, pensando che forse dovrei solo alzarmi dalla sedia e andarmene.

Ashley prende fiato e si allunga verso il piatto con la torta, per poi buttarsi su un altro pezzo con la testa bassa e gli occhi fissi sul piatto, anche se posso chiaramente vedere il ghigno della sua bocca.

«Tesoro, mi dispiace se ti metto in imbarazzo» confida mia madre appoggiando la sua mano sulla mia, «pensavo che dopotutto ormai non fosse più un tabù per te» mi sorride dolcemente con uno sguardo comprensivo. «Insomma, visto che tu e Mark...»

Ci metto un attimo ad alzarmi e a tenere stretta al petto la mano che prima era a contatto con lei. Un riso strozzato attira la mia attenzione e Ashley mi passa scusandosi velocemente inventando una scusa che non capisco.

«No, mamma» chiarisco con il viso in fiamme, indietreggiando verso la porta per scappare il più lontano possibile. «Non so cosa pensi di me e Mark, ma ti assicuro che non è successo niente che implichi l'utilizzo di biancheria intima» continuo nervosa, lanciando un'occhiata veloce al tavolo ancora imbandito.

Alza le mani davanti a lei e sorride a disagio. «Scusami tesoro, pensavo che... sai lui dorme qui tutte le notti da un anno ormai...»

Spalanco la bocca, senza parole e senza fiato. Non appena me ne rendo conto, cerco di tirare le labbra in un sorriso, ma il senso di colpa e l'imbarazzo non mi aiutano. «Tu... lo sai?» Chiedo vergognandomi per tutte le volte in cui Mark è uscito all'alba per non farsi vedere da loro.

Sorride divertita e si alza per venirmi incontro e accorciare le distanze. «Davvero credevi che non lo sapessimo?» Domanda alla fine abbassando la testa per cercare i miei occhi concentrati su una minuscola imprecisione della piastrella.

Mi sfrego un secondo gli occhi, forse per prendere tempo, e penso a qualcosa da dirgli che non mi faccia sembrare completamente idiota.

«Alice! Suona il telefono!» Un urlo di Ashley, la mia salvezza.

«Scusa, devo andare.» Le do un bacio veloce sulla guancia e corro in camera.

#GmS

Coinvolgimento emotivo: secondo il nostro parere, se questo aspetto fosse stato gestito un pochino meglio, magari aggiungendo qualche pensiero in più della protagonista e allungando quelli già presenti, come ad esempio quello riguardo la menopausa, il tutto sarebbe risultato più entusiasmante e interessante. L'ironia si sente, ma non ce n'è molta, se avessi forzato un poco di più la mano su questo aspetto, poco ma sicuro ci avresti catturate di più. Abbiamo avvertito un forte imbarazzo nel momento in cui la madre ha tirato fuori la lingerie e quando ha fatto presente alla figlia di sapere già che lei e il fidanzato dormissero insieme. Anche se ci pare un po' strano il fatto che lo sappia, che ne sia felice e che lo permetta tranquillamente nelle quattro mura della loro casa. Ma ogni madre è fatta a modo suo, quindi su questo non giudichiamo!

Grammatica e Lessico: ci sono alcune imprecisioni con le virgole, a volte non ne poni quando servirebbero, lasciando troppi verbi vicini, che quindi dando un senso di frettolosità.

[...] dice raggiante incapace di trattenere un sorriso → dice raggiante, incapace di trattenere un sorriso.

Nascondo il viso tra le mani per nascondere → ripetizione

La punteggiatura dei dialoghi non è corretta (forse l'abbiamo già detto nell'altra recensione?). Quando alla fine del dialogo c'è un verbo dichiarativo questo va messo minuscolo e non ci va il punto alla fine della battuta.

Originalità: a pensarci forse la situazione più imbarazzante che ci è stata inviata è proprio questa, insomma, la lingerie dei genitori? Il dover pensare che una volta usciti dalla porta di casa, i due, rimasti soli soletti potrebbero fare quello che agli occhi dei figli risulta essere raccapricciante e disgustosamente smielato è molto, molto difficile da cancellare dalla mente. Una scena che a livello di imbarazzo è tremendamente ardua da battere, ammettiamolo.

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