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Valutazioni fantasy pt.1

Le nostre recensioni per i partecipanti al concorso! La pubblicazione avviene in ordine del tutto casuale.

La classifica con i voti arriverà non appena finiremo di leggere tutto =)

Alebluerose - il Destino della Rosa  Blucreatura/luogo/indivivuo particolare

Il lungo mantello nero strisciava sul terreno arido e impolverato, provocando un debole fruscio sinistro. Lady Sybelle si sistemò meglio la cappa sul viso per confondere la propria identità nell'ombra, nonostante sapesse che nessuno lì, nelle viscere più remote della Terra di Ironoka, avrebbe potuto riconoscerla. Si scrutò nervosamente attorno, non vedendo nient'altro che un'arida distesa polverosa, connubio perfetto di sabbia e sedimento roccioso.

Si trovava nei pressi della città di Ostfort.

L'aria salmastra, umida e pungente, era pervasa dal fragore delle onde che si ingrossavano e si frantumavano sugli scogli, miscelandosi con fine precisione al rombo dei tuoni e al gracchiare dei corvi con un occhio solo. La magia nera faceva da padrone, e Lady Sybelle poté avvertirla con ogni fibra del proprio essere, perché la sentiva serpeggiare sottopelle e Moira sgomitava per venir fuori, impaziente. Le parve che i suoi artigli affilati le agguantassero le viscere, stritolandole per regalarle un intenso dolore e lasciarla senza fiato.

Lady Sybelle sollevò il capo verso il cielo ricoperto di nubi gonfie e gravide. I lampi le squarciavano, gettando lame di luce intermittente sulla superfice rabbiosa e increspata dal vento dell'Oceano poco distante. Era uno scenario raccapricciante, e in tutto ciò poteva avvertire l'essenza di Moira, palpabile quasi.

Quando le gocce di pioggia cominciarono a precipitare dalla volta celeste per infrangersi sul suo viso, chiuse le palpebre e deglutì, assumendo un'espressione di muta tristezza.

Le tempeste erano preludio del sopravvento dell'altra metà di se stessa, ed ebbe il terrore che potesse di nuovo riemergere e annebbiarle la coscienza.

Aveva paura che avrebbe ucciso e fatto a brandelli qualcuno. Era un terrore così folle che per un attimo non riuscì a respirare, la gola soffocata da un groppo improvviso.

In realtà la sacerdotessa sapeva che non sarebbe accaduto ancora per molto. Aveva compiuto un lungo viaggio appositamente per trovare un modo efficace con cui liberarsi di lei. In quegli anni, cercando di tenerlo nascosto alla sua metà, aveva effettuato numerose ricerche a riguardo, e tutto ciò che era riuscita a trovare per poter annientare il mostro che albergava dentro di lei era stato scritto in alcune pagine ingiallite e logore di un libro antico che aveva trovato al tempio. Tutti gli indizi l'avevano portata lì, in quel punto preciso della Terra di Ironoka.

Aveva appreso che la sua condizione era estremamente rara, dovuta ad un'immensa magia che consentiva a due anime agli antipodi di essere contenute in un unico corpo. Come e perché avesse scelto lei non le era dato saperlo: era una mera casualità, una beffa del destino che si attuava ogni migliaia di anni.

Un destino crudele che lei aveva scelto di sfidare.

«Sacerdotessa Sybelle. Ti attendevo.»

Una voce cavernosa e profonda le giunse da oltre le spalle e la costrinse a voltarsi lentamente. Davanti a sé vide la donna che aveva cercato per tutti quei giorni, l'unico essere su tutto Algos dotato della magia necessaria per liberarla dalle catene che le aggrovigliavano il corpo e le impedivano di respirare, di vivere.

Nonostante non potesse vederla in volto percepiva con chiarezza il suo sguardo puntato addosso. La scrutava dall'ombra della cappa di un lungo mantello nero come la notte e le mani perlacee unite in grembo erano l'unico accenno di pelle visibile. Le parve che sorridesse, e non le chiese come facesse a sapere chi fosse né come avesse fatto a raggiungerla.

Lady Sybelle la fissò con insistenza, puntando gli occhi azzurri nei suoi.

«Puoi liberarmi?» le chiese soltanto, con un filo di voce. Era certa che l'avrebbe capita.

Non era da lei essere così remissiva, eppure la magia della donna che aveva dinnanzi, antica di migliaia di anni, sembrava volerla schiacciare con tutta la sua imponenza. Tutti i libri che aveva consultato parlavano di lei, paragonandola ad un dio, ergendola a custode della magia dell'intero Algos. Aveva dovuto sacrificare degli animali ed estrarne il sangue, seguendo ciò che aveva trovato in una pergamena, per poterla invocare e renderla partecipe del suo bisogno di aiuto. Lady Sybelle sapeva che lei era l'unica al mondo a poterla aiutare, ed era disposta a fare qualunque cosa affinché l'ombra oscura di Moira le si levasse di dosso alla stregua di un drappo ingombrante, lasciandola nuda con se stessa, come sarebbe sempre dovuto essere.

Come era giusto che fosse.

L'entità davanti a lei non rispose e si limitò a sollevare con lentezza il braccio destro. Sybelle la sentì mormorare parole in una lingua sconosciuta e arcaica, mentre la sabbia attorno a lei iniziava a turbinare, creando vortici che crescevano via via in perfetto sincrono con il profondo sibilo della voce. Le parve sovrastare il fragore dei tuoni, il gracchiare insistente dei corvi e l'infrangersi delle onde: non esisteva nient'altro che quelle parole di una lingua incomprensibile e spaventosa.

Sì sentì all'improvviso spiazzata e terrorizzata, avrebbe desiderato poterle chiedere cosa stesse accadendo, tuttavia non poté perché un dolore la trafisse in pieno petto. Era come se centinaia di spade fossero state conficcate in ogni lembo di pelle, e fu costretta a cadere in ginocchio al suolo, ansante. Posò i palmi delle mani sul terreno sabbioso e abbassò il capo, cercando sollievo in grandi boccate d'aria. La voce della donna si attenuò un poco, come se avesse intuito il suo malessere, e Lady Sybelle socchiuse le palpebre, ringraziando mentalmente per quella clemenza. Prima che potesse concludere la preghiera, la donna che la sovrastava sollevò anche il braccio sinistro. Il suo sibilare si tramutò in un canto assillante, una nenia senza fine, monotona e ruggente.

Sybelle strillò, quando avvertì con fine precisione la pelle degli avambracci squarciarsi per lasciar uscire fiotti di sangue denso. Con orrore lo vide sgorgare da sotto il mantello e raccogliersi in gocce, per poi precipitare e macchiare il suolo.

Il dolore era così intenso che credette di morire. «Perché mi stai facendo questo?» sbraitò, portandosi le mani alle tempie e scuotendo il capo. I suoi occhi si colmarono di lacrime, che in breve tempo sfuggirono al suo controllo e le inondarono il viso di tristezza e rassegnazione. «Volevo solo che mi aiutassi!»

La donna parve sorda alle sue lamentele e proseguì la stregoneria. Lady Sybelle venne travolta da una nuova ondata di malessere, ormai senza più neppure un lembo di pelle che non fosse tagliato con precisione; sotto di sé vi era una miscela di sangue e sabbia.

L'essere si avvicinò a lei, passo dopo passo, continuando quel canto incredibilmente ripetitivo e melodico, tenendo le braccia alte sopra la testa. Continuava a ignorare le urla di Sybelle, che ormai si contorceva in due per il dolore. La sacerdotessa si era abbracciata il busto con entrambe le braccia sanguinanti e implorava pietà, il capo chino e le spalle scosse da tremiti convulsi. Man mano che la donna avanzava nella sua direzione e si faceva più vicina, avvertiva con precisione l'essenza di Moira sempre più insistente. La sentiva strisciare sottopelle come un serpente e venir fuori assieme al sangue che ormai le inzuppava gli abiti, mentre la sua risata cupa e sinistra si miscelava alla nenia, creando qualcosa che nella mente di Sybelle si disegnò simile a un grido. Non vi era spazio per nient'altro, pareva che tutti i suoi sensi si convergessero in quel subbuglio di sensazioni contrastanti, così intense da spezzarle il petto e soffocarla.

Quando la donna fu a una spanna da lei, Lady Sybelle sollevò il capo a fatica e cercò di scrutare il suo volto dentro l'ombra oscura del cappuccio, ma non vi trovò nulla se non il vuoto assoluto.

Il canto cessò, così come il dolore che la sconquassava.

«Mostrami le braccia.» le ordinò la donna, melliflua. Il suo tono le fece accapponare la pelle, tuttavia Sybelle obbedì e sollevò gli avambracci verso di lei. L'essere abbassò le mani e strinse le dita gelide attorno ai suoi polsi, provocandole un sussulto; la pelle della donna senza volto era così fredda da darle l'impressione di appartenere a un morto.

Riprese a sibilare sinistramente, strascicando ogni sillaba, le sue dita come incollate alle braccia di Sybelle.

Per un attimo furono una cosa sola e il dolore esplose nella mente della sacerdotessa. Incontrollabile, incessante, fu come se una grossa lama le trapassasse il capo da parte a parte. Il dolore, però, non fu l'unico protagonista, perché delle immagini nitide presero a rincorrersi come se le avesse dinnanzi agli occhi: vide con chiarezza il volto di un bell'uomo in armatura, dai capelli biondi e gli occhi verdi, parlare animatamente con quello che lei riconobbe essere Re Thanatos, il reggente della Terra di Helàn che aveva avuto modo di vedere di sfuggita alcune volte. L'immagine sfumò, sostituita dal volto bellissimo e angelico della regina e consorte di Re Thanatos, mentre si apriva in un sorriso carico di amore verso l'uomo dai capelli biondi.

Poi, con un boato assordante, delle fiamme apparvero all'improvviso, fameliche, ruggivano come una bestia pronta a lambire la sua preda. Lady Sybelle poté giurare di avvertire l'odore acre di carne bruciata, mentre udiva l'uomo dai capelli biondi e gli occhi verdi gridare e dimenarsi per raggiungere le strilla inumane della sovrana, proprio nel punto in cui il rogo esplodeva. Sentì la voce della regina chiamare il nome di Andreia a gran voce, implorante quasi, e Sybelle non ebbe alcun dubbio che si trattasse di lui.

Lady Sybelle sentiva nelle viscere tutta la sofferenza dell'uomo chiamato Andreia. Il dolore per la perdita della donna che aveva amato con tutto se stesso era lancinante e lei poteva respirarlo, denso, colava fino ai polmoni e la colmava di tristezza e senso di vuoto.

Le immagini di quegli avvenimenti non ancora accaduti si frantumarono, riducendosi a brandelli, quando all'improvviso il sangue sulle sue braccia iniziò a fluire all'interno delle dita della donna davanti a sé, quasi lo richiamasse a raccolta.

Si sentì sempre più debole e svuotata, via via che il canto dell'essere si tramutava in grida di evidente sofferenza. Lady Sybelle sgranò gli occhi con orrore, quando osservò la pelle delle mani della donna marcire e disperdersi in polvere, per lasciare infine soltanto le ossute falangi ben visibili.

Si domandò cosa stesse accadendo e perché all'improvviso si sentisse leggera, come se il peso che aveva avvertito gravare dentro di sé per tutta la vita si fosse dissolto senza lasciare traccia.

La donna davanti a lei smise di emettere grida di dolore e Lady Sybelle prese a respirare normalmente, nonostante sentisse il suo sguardo su di sé. Un brivido le corse lungo la schiena e si costrinse ad alzare il capo.

Rabbrividì, incrociando due occhi azzurri e glaciali, lo specchio perfetto dei propri: in maniera del tutto inaspettata, Moira era lì, davanti a lei; la riconobbe, ne era certa, sebbene non potesse vederla in volto. Tutto ciò che emergeva dall'ombra della cappa erano solo quegli occhi più azzurri e più freddi del ghiaccio.

«Sybelle, finalmente ci vediamo di persona. Che piacere.» le sussurrò, carezzevole e sinistra. Udire per la prima volta la voce che aveva popolato i suoi incubi fu come annegare in un mare gelido e oscuro.

«Moira» ringhiò Lady Sybelle, terrorizzata e furiosa. «Cosa ne è stato della donna a cui avevo chiesto aiuto? Aveva una magia spaventosa dentro di sé, come è possibile che tu sia riuscita a entrare nel suo corpo?»

Gli occhi di Moira si ridussero a due fessure, poi la sentì sghignazzare.

«Oh, mi sottovaluti, sai? Io sono capace di grandi cose. Ebbene, l'ho uccisa, ho ucciso la sua coscienza e nell'esatto istante in cui stava per tirarmi fuori da te mi sono appropriata di lei. Ora questo corpo è mio, siamo libere! Dimmi, non era ciò che volevi, sorella?»

Sybelle si liberò dalla presa sui suoi polsi con uno strattone e si alzò di scatto in piedi, fissando la sua nemesi con disgusto. Era un mostro, lo era sempre stato, tuttavia ora le interessava più. Non era più dentro di lei e non le importava dove sarebbe andata.

Aveva ottenuto ciò che aveva desiderato con ardore per anni e, nonostante una persona fosse morta, il suo fine era stato raggiunto.

Da quel momento in avanti, Moira non sarebbe stata più affar suo.

«Addio, Moira.» le disse, sollevandosi il cappuccio sul volto ormai privo di espressione. Le volse le spalle e si allontanò da lei, incapace di gettarle un'ultima occhiata per accertarsi che fosse davvero accaduto, nonostante il bruciore negli avambracci ne fosse una prova evidente.

Abbassò il capo per vederne le condizioni, e quasi sussultò nel notare che i tagli si fossero quasi rimarginati del tutto.

Aveva eliminato l'essenza di Moira che per tutta la vita le aveva infestato le membra, tuttavia non riuscì a sentirsi serena come aveva pensato, perché non poté cancellare dalla sua mente le importanti visioni riguardo a un futuro prossimo.

Mentre camminava lungo il promontorio, allontanandosi dalla figura di Moira e dall'ombra dell'ennesimo omicidio da lei commesso, si domandò se sarebbe mai stata davvero libera. 

#GmS

Coinvolgimento emotivo: l'estratto è molto lungo, quindi, probabilmente, il primo pezzo avrebbe potuto essere tagliato. Comunque da quando l'incantesimo inizia abbiamo un aumentare progressivo del coinvolgimento, fino ad arrivare al punto delle visioni, il momento clou dell'estratto, che mostra le immagini direttamente davanti ai nostri occhi.

I pensieri della Sacerdotessa sono molto coinvolgenti tanto che si possono percepire come propri. All'inizio, però, lascia la lettura un po' in sospeso il fatto che a Sybelle non interessi che la persona che l'ha salvata da Moira sia morta. Poi però vediamo che l'omicidio è una cosa che non la impressiona più di tanto, quindi ogni tassello torna al suo posto, ma per non lasciare la lettura con questo "peso" sarebbe stato meglio specificarlo prima. La freddezza che mostra può essere un poco contrastante con le sue forti emozioni.

Abbiamo riscontrato la stessa "perplessità" sul fatto che lei sapeva che le visioni erano del futuro, tuttavia sicuramente questo ha una spiegazione precedente nella storia.

Grammatica e lessico: durante il suo corso abbiamo notato poche disattenzioni. Un errore ricorrente di cui tenere conto è il modo in cui vengono utilizzate le maiuscole e la punteggiatura nei dialoghi. Ad esempio in «Addio, Moira.» le disse, quel "le disse" è il seguito di ciò che sta nel dialogo e quindi nel dialogo vi è un punto di troppo che non dovrebbe esserci proprio perché la frase completa non termina lì ma è continuata da "le disse".

Sono presenti inoltre alcune ripetizioni disseminati nel testo, ma nel contesto non è qualcosa di troppo visibile.

Per il resto la lettura scorre fluida, grazie anche a un ampio lessico.

L'unica cosa è che forse potremmo farti notare è che la prima parte potrebbe risultare un poco pesante data l'assenza di emozioni e di introspezione, anche se quel vuoto viene colmato dopo, durante la scena in cui la protagonista viene avvolta dalla magia dell'altra donna.

Originalità: è più che palese che la "creatura" particolare sia questa doppia faccia Sybelle/Moira, ma appare anche un terzo elemento fantasy del quale non sappiamo molto e che sembra molto misterioso. Ci dispiace solo che non sia stato esposto maggiormente, la figura della donna misteriosa poteva essere meglio caratterizzata, in modo da non farla apparire semplicemente un guscio vuoto, considerando anche che è una creatura molto potente dai poteri che superano l'immaginabile,

L'indifferenza della Sacerdotessa anche a questo fatto lascia dell'amaro sulla lingua e un vuoto dentro, considerato anche che Sybelle ha cercato per molto molto tempo, qualcuno che potesse salvarla dall'altra sé. Quindi questa freddezza nei confronti di chi la salva è innaturale.Tuttavia capiamo che l'estratto gira attorno a Sybelle e Moira, non ad altri. 

Danielle_Wang - The feathers of the beginning - creatura/luogo/individuo particolare

Ingoiò a vuoto, infilando con riluttanza la mano nella busta e toccandolo con la punta del dito. Era soffice proprio come se lo immaginava, con le piume che gli solleticavano i polpastrelli e lo rilassavano. Inclinò la busta, facendolo rotolare delicatamente nella sua mano ed estraendolo. Era piccolo se messo a confronto con il palmo della propria mano. Sembrava talmente delicato da temere di potergli fare del male senza volerlo. Lo studiò attentamente, fissando con cura quelle ali che sembravano risplendere per conto proprio, dando a Mark l'impressione che potessero riflettere la luce del sole.

<< Quello è uno Ieliah. >> Il ragazzo sollevò lo sguardo all'improvviso, colto di sprovvista dalla voce di sua madre che gli era arrivata diretta e dolce al tempo stesso. I suoi genitori erano fermi davanti l'ingresso della cucina e lo osservavano amorevolmente, come facevano quando era piccolo e si faceva male, o scopriva nuove cose del mondo che lo circondava.

<< Un cosa? >> domandò poi, come se si fosse svegliato solo in quel momento.

Suo padre si avvicinò, sedendosi sul pavimento accanto a lui e fissando la cosa appallottolata nella mano di Mark. << Uno Ieliah è una creatura magica. I maghi evocatori se ne servono per tracciare cerchi magici. >>

<< E come si usa? >> Mark lo studiò con attenzione, non notando nulla in quell'essere che fosse in grado di scrivere.

<< Non si usa, Mark. E' un essere vivente, come me e te >> lo sguardo dell'uomo si fissò in quello del figlio, poggiando la mano accanto la sua per incitare il ragazzo a far rotolare lo Ieliah verso di lui. << Guarda, ti faccio vedere. >>

Morgan sollevò lo sguardo, poi spinse il braccio verso l'alto, sospingendo la creatura. Mark lo vide schizzare in aria e per un attimo il cuore gli balzò in gola, temendo che suo padre si fosse sbagliato. Non stava succedendo nulla. Poi, mentre ricadeva, lo Ieliah scintillò appena e due piccole ali si aprirono su quella che Mark assunse fosse la schiena. Sembravano simili a quelle di un angelo, di quelle che aveva scorto in varie illustrazioni sui libri dei racconti fantasy. Intravide due piccoli occhietti scintillanti e neri come pozzi di catrame, ma trasmettevano gioco e curiosità, come quelli dei bambini piccoli.

Vide lo Ieliah vorticare in aria e girare attorno l'albero di Natale, poi passare davanti a lui e infine riposarsi sulla mano di suo padre che gli accarezzò il capo. Quello emise un verso lieve e concitato, quasi come se stesse esprimendo la sua gioia per quelle attenzioni. Suo padre gli rivolse un'occhiata e poi si avvicinò di più, con un sorriso.

<< Prova a toccarlo >> gli disse. Mark non sapeva bene come avrebbe dovuto fare. Non aveva mai avuto animali e non era il tipo a cui questi si avvicinavano di propria volontà. Se per sbaglio ci avesse messo troppa forza e gli avrebbe fatto male? Ingoiò a vuoto, fissando lo sguardo negli occhi verde-azzurro di suo padre che lo guardavano speranzosi.

Lo toccò piano, all'inizio rimanendo immobile e godendosi il calore e la morbidezza che la peluria emanava. Poi iniziò a muovere il dito con calma, cercando di non fargli male e dandogli piccole carezze che lo Ieliah sembrò gradire. Si voltò verso di lui e sfregò la testolina contro il suo dito in cerca di altre attenzioni. Mentre lo accarezzava, Mark vide un piccolo cerchio dorato comparire sulla creatura e si ritrasse di scatto, spaventato.

Suo padre sorrise. << Ti ha accettato come suo padrone, Mark. E' un segno, un invito quasi. Ti ha fatto capire che è pronto a tracciare cerchi magici per te >>.

Lo Ieliah emise un verso dolce e stridulo come se stesse dando conferma a quando detto da Morgan e spiccò un breve volo, riatterrando sul palmo di Mark appena in tempo perché questo lo prendesse. Poi si accucciò meglio e le ali si richiusero, tornando a sembrare una pallina con le piume.

#GmS

Coinvolgimento emotivo: l'estratto inizia un po' all'improvviso, ma fin dalla seconda riga è riuscito a catturare la nostra attenzione grazie all'entrata in scena della creatura sovrannaturale. Il coinvolgimento sale fino a che non vediamo lo Ieliah riconoscere Mark.

Certamente tutto sarebbe stato ancora più avvincente se lo stile adottato fosse più misterioso e leggermente più descrittivo, sia di aspetti puramente fisici che emotivi. Non c'è grande emotività o introspezione, se non per qualche frase che indica lo stupore di quel che crediamo sia un bambino. Da una persona così piccola ci saremmo aspettate poco più entusiasmo e curiosità.

Grammatica e lessico: per quel che abbiamo potuto vedere tutto ciò che è dal punto di vista grammaticale è quasi perfetto. Abbiamo trovato un errore nella punteggiatura dei dialoghi. Quasi sempre viene messa all'interno (.>>) ma a volte è all'esterno (>>.). Nessuna delle due forme è errata, ma è consigliabile usarne solamente una, a propria discrezione (e attenzione ma i caporali corretti sono « non <<). Un'altra cosa, in espressioni come "come me e te >> lo sguardo", dopo te andrebbe un punto e quel "lo" andrebbe con la lettera maiuscola poiché è una frase distaccata che non continua quella all'interno del dialogo.

Nonostante non si possa dire molto altro su ambiti puramente grammaticali, si possono fare dei piccoli accorgimenti: infatti nella parte iniziale del testo si incontrano varie ripetizioni, una evidente è il continuo ripetersi della parola "mano".

Originalità: l'apparizione sovrannaturale scelta è di gran lunga originale. Siamo riuscite a figurarci lo Ieliah su per giù dal momento che è descritto in modo dinamico e mai statico. La cosa del cerchio di magia dorato ci ha incuriosite, presentando davvero bene la storia nel complesso. Il nome della creatura è intrigante e accattivante.

Nonostante questo, le descrizioni presenti non permettono di figurarci nella nostra mente con chiarezza la forma precisa di questo essere: si capisce che è alato, infatti viene detto che ha ali simili ad angeli, ma effettivamente si sa poco di come sono esattamente, di come è tutto il resto, quindi della forma pure si può intuire poco.

Sarebbe perfetto riuscire a conciliare scene dinamiche alle descrizioni, aggiungendo particolari senza interrompere la scena in corso.

Tutto sommato un buon estratto!

chiarafabb - Il Cavaliere Alato - scena di combattimento

Un leggero fruscio tra il fogliame lo indusse a voltarsi e a mettere mano alla spada. Due uomini abbigliati con delle casacche, pantaloni ampi e stivali, sbucarono dal sottobosco. Erano armati di tutto punto, con spadoni alle cinture e un vasto assortimento di pugnali in bella vista. Il più anziano portava un arco a tracolla.

«Guarda Zack! Chi avrebbe mai immaginato di incontrare una coppia di piccioncini nel bel mezzo di questa dannata foresta? Vi sembra il posto adatto per venire ad amoreggiare?» osservò l'arciere.

«La ragazza è carina» ribatté l'altro, squadrando Kether con occhio critico. «Ehi bellezza, perché non molli quel damerino e vieni a divertirti con noi?» domandò, facendo un passo verso di lei.

Cole si parò davanti a Kether prima che lei potesse sfoderare la spada. «Sta dietro di me» sussurrò.

«Vuoi combattere ragazzino?» chiese il tipo di nome Zack, volgendosi ad affrontare Cole. «Interessante, vediamo come te la cavi!» Sfoderò lo spadone, roteandolo sopra la testa ed eseguendo delle finte con mano esperta, ma Cole lo schivò abilmente. Quando il compagno si unì all'attacco, il ragazzo tenne testa a entrambi senza difficoltà.

Kether esultò quando Cole riuscì a disarmare uno degli avversari e a chiudere l'altro in un vicolo cieco, ma improvvisamente udirono dei rumori provenire dalla stessa direzione da cui erano comparsi i due. Altri tre uomini erano apparsi al limitare della radura e fissavano la scena divertiti.

«Allora non ci sono solo creature mostruose in questo posto!» esclamò uno, lanciando un fischio d'ammirazione a Kether, che per la prima volta si sentì a disagio nel suo nuovo abbigliamento. Aveva infatti abbandonato la gonna divisa che usava per cavalcare, per acquistare un paio di pantaloni di foggia maschile e stivali da equitazione, che mettevano in risalto le sue lunghe gambe e i fianchi ben torniti. «Vergognati Zack! Farsi disarmare a quel modo da un moccioso!» disse un altro.

«Invece di blaterare, perché non venite a darmi una mano?» grugnì esasperato quello di nome Zack, asciugandosi il sangue che gli colava dal naso rotto e dal labbro spaccato. Gli altri risero e si mossero in modo da circondare Cole. Sul volto del giovane si dipinse una smorfia, mentre gettava uno sguardo nella direzione di Kether. Avrebbe potuto sbarazzarsi facilmente di loro, ma la presenza della ragazza gli impediva di battersi liberamente.

Come se non bastasse, Kether aveva sfoderato la spada e sembrava pronta a correre in suo aiuto. Era talmente concentrata sugli uomini che avevano circondato e messo alle strette il suo compagno, da non accorgersi della minaccia che incombeva alle sue spalle. Cole cercò di avvertirla, ma quell'attimo di distrazione gli costò caro. Un colpo superò la sua guardia, ferendolo alla gamba. Kether gridò alla vista del sangue e fece per gettarsi verso di lui, ma fu trattenuta da un'enorme mano, che si serrò attorno al suo polso, stringendo così forte da costringerla a lasciar cadere la spada.

Il gigante che l'aveva bloccata sorrise, mostrandole un ghigno deformato dalla cicatrice che gli solcava il volto dal labbro superiore alla tempia. Aveva il cranio rasato, a eccezione di un ciuffo di capelli legato in un codino che spuntava dietro la nuca. Indossava una cotta di maglia metallica e stivali di cuoio e puzzava come uno dei mostri della foresta.

«Mi piaci, carina, diventerai la mia donna per un po'» disse, scrutando Kether con aria lasciva.

«Non è giusto, Darius! Non puoi prenderla tu, l'abbiamo vista prima noi!» sbottò un altro, risentito.

«Sbarazzatevi dell'uomo e ve la lascerò provare, quando mi sarò stancato di lei».

Kether non perse tempo a pensare a quello che avrebbero potuto farle quei bruti e cercò di divincolarsi tempestando di pugni il braccio del gigante, ma senza altro risultato se non quello di suscitare l'ilarità del suo aguzzino.

Cole assisté alla scena impotente. Kether lo fissava con gli occhi spalancati per il terrore, ma lui non poteva cavarli da quell'impiccio finché lo guardava...

La preoccupazione per lei lo rese vulnerabile. «Si può sapere dove stai guardando?» Zack, quello a cui aveva rotto il naso, si era rialzato, sferrandogli un destro che gli fece perdere l'equilibrio. Kether urlò. Il gigante rise di gusto, strattonandola come fosse una bambola. La ragazza non riuscì a trattenere un gemito di dolore, mentre sul braccio si facevano evidenti i segni rossi lasciati dalle sue dita.

«Darius, ammasso di carne senza cervello, cosa diavolo stai facendo?!»

Kether posò lo sguardo su colui che aveva parlato. Era vestito come gli altri, ma a differenza di loro, appariva curato e in ordine. Aveva i capelli biondi, più scuri di quelli di Tiferet, che portava corti, tranne che per un codino intrecciato dietro la nuca. Si passò una mano sul viso e fece una smorfia, mentre un paio di caldi occhi nocciola si spostavano da lei a Darius. La sua mano si posò mollemente sulla cintura, dove pendeva, minacciosa, una sciabola dalla lama ricurva, sinuosa come un serpente. Lo sconosciuto le rivolse un sorriso ammiccante e si avviò, con passi misurati, nella sua direzione, gli occhi fissi in quelli del gigante, senza mostrare alcuna paura, nonostante l'altro lo superasse di tutta la testa e avesse un torace più sviluppato di quello di un toro.

«Non intralciarmi Ralph, altrimenti...» Darius non riuscì a completare la frase, perchè il nuovo venuto gli sferrò un calcio nel bassoventre, che lo costrinse a piegarsi in due e a lasciare il braccio di Kether. Il secondo colpo lo raggiunse dietro la nuca, di taglio, e il colosso si accasciò al suolo privo di sensi.

La ragazza era stupefatta. Quell'uomo aveva atterrato un simile avversario in due sole mosse! Gli rivolse un'occhiata più attenta e si rese conto che nonostante l'atteggiamento arrogante e sicuro di sé, doveva avere poco più di vent'anni.

Cercò Cole con lo sguardo e scoprì che si era rialzato e fissava sospettoso il nuovo venuto. Senza degnarli di uno sguardo, quest'ultimo raccolse la spada di Kether, saggiando la consistenza della lama. Ammirò la squisita fattura, poi domandò: «Dove l'hai presa?»

«È stata un regalo» ammise, senza sbilanciarsi.

«Un'arma davvero magnifica, non c'è che dire... opera di un maestro armaiolo di Gevurah». Il mercenario arricciò il naso. «Non è roba adatta a una femmina» aggiunse, infilando la spada nel fodero che portava sulla schiena. Il volto della ragazza si imporporò per la collera.

«Quella spada appartiene a me! Restituiscimela!»

L'altro sorrise, compiaciuto. «Fa parte del bottino mia cara. Insieme a te naturalmente».

#GmS

Coinvolgimento emotivo: l'estratto è abbastanza corto e scorre molto velocemente, forse anche troppo. Il combattimento sembra un po' statico, mancano alcune descrizioni che ci mostrano lo "sfondo" di ciò che accade, e quindi non riusciamo a sentirci coinvolti al cento per cento.

Le emozioni dei personaggi, oltre oltre a essere solo vagamente accennate, sono anche piatte, nonostante la situazione abbastanza "tragica". Il tutto sarebbe stato apprezzato di più se ci fosse stata data la possibilità di entrare a far parte di personaggi stessi.

Grammatica e lessico: una lettura scorrevole senza troppi errori, se non qualche virgola fuori posto. La virgola a volte manca, spesso prima di un complemento di vocazione come in "Guarda Zack". Inoltre ricordiamo che l'accento sulla e di "perché" è acuto e non grave. 

 Attenzione al cambio di soggetto all'interno di una stessa frase.

Anche a livello di lessico è ok, nonostante non ci sia nulla di eccezionale. È abbastanza banale, nella media. Una cosa che abbiamo notato è che i discorsi sembrano un po' fatti e sono anche abbastanza privi di originalità, ovvero uno dei personaggi viene deriso e sottovalutato, anche se poi si rivela essere di tutt'altra solfa. A influenzare è anche l'assenza di emozioni. 

Originalità: la battaglia sembra iniziare nel più banale dei modi, Zack stesso è banale e privo di carattere troppo sviluppato. Sembra un idiota a caso pescato e messo lì tanto per, ma potremmo anche sbagliarci.

Il combattimento in questione non viene quasi per nulla descritto, vien detto solamente che due personaggi si stanno infilzando a vicenda, per cui un lettore medio può avvertire questa mancanza.

Come abbiamo citato prima, la scena stessa non può essere considerata originalissima, e a questo fatto si aggiunge l'atteggiamento di Darius nei confronti della ragazza, così sfrontato e freddo, quasi cliché, anche se un po' incuriosisce; tuttavia guadagni qualche punto con il gigante, il quale è un elemento che ci ha colpito.

Ciscandra - Ciscandra - Solo la follia conosce il mio nomecreatura/luogo/indivivuo particolare

Quando i miei occhi si aprono vedo un cielo di conchiglie sopra di me.

Sono sdraiata in qualcosa che sobbalza, spinto dallo sciabordio dell'acqua.

Stranamente, non mi terrorizza accorgermi che sono in una bara di legno. Non mi spaventa neppure il pupazzo a forma di coniglio che mi sta di fronte, con due grandi bottoni al posto degli occhi, tantissime cuciture sfilacciate, e una cannuccia gialla tra le zampe. In realtà, non capisco se riesca a vedermi, perché continua a remare in silenzio.

«Ti sei svegliata», a parlare è una bambina sdraiata ai suoi piedi: porta i capelli blu raccolti con un nastro rosa, e una camicia da notte sporca di macchie color ruggine. Gli occhi della bimba restano chiusi, come se stesse dormendo, e vedo che le pallide manine, congiunte sul petto, stringono un mazzo di camelie.

Uno strano flash di ricordi mi abbaglia, e mi rendo conto che quella è la stessa bambina che mi ha preso per mano, prima che l'oscurità mi accecasse.

«Chi sei? Dove mi trovo?», chiedo ferma. Inizio a pensare che ci sia davvero qualcosa che non va, perché non c'è panico nella mia voce.

Com'è possibile che io sia così calma?

Perché non c'è un brivido di paura nel mio respiro o perlomeno di ansia?

«Sei nel mio sogno», risponde la creaturina restando immobile, prima di aprire uno dei suoi occhi per squadrarmi interamente. «Io sono Agata, e lui è il mio amico Caronte», aggiunge poi, spalancando anche il secondo specchio azzurro.

Guardo per un secondo l'enorme coniglio-traghettatore di pezza, e noto solo in quel momento che ha due grandi macchie bagnate sotto i bottoni, come se avesse pianto.

«Agata, perché sono nel tuo sogno?», chiedo guardandomi attorno.

La bara galleggia in uno sconfinato mare verde-azzurro, colmo di giocattoli abbandonati: ci sono cavallini a dondolo spezzati, dadi galleggianti, giraffe da cui esce un po' di imbottitura bianca come neve. E poi trottole, palle, ali colorate di cartapesta, soldatini e vagoni di trenini ammaccati.

Agata si mette a sedere immergendo lo sguardo nel mare sconfinato. Poi mi sorride enigmatica: «Stiamo per arrivare.»

Vorrei chiederle dove stiamo per arrivare, ma sono troppo distratta dalla museruola di cuoio che la bimba estrae dal nulla, per poi appoggiarsela sul viso legandola stretta.

Non so perché, ma non le chiedo il significato del suo gesto. Le pongo invece una domanda diversa e forse senza senso: «Perché non sono agitata Agata?»

«Ora sei nel mio sogno!», ripete nuovamente la bambina, senza rispondere veramente.

Un gracchiare improvviso mi fa voltare di scatto.

C'è un corvo appollaiato su un trono di bronzo, ed è alquanto particolare per essere un corvo: ha un monocolo appoggiato sul becco d'avorio e indossa una camicia inamidata.

«Agata mangia cuori perché non sa amare! Agata mangia cuori perché non sa amare! Cra!», gracchia l'uccello carbone in tono canzonatorio.

«Vai via farabutto!», la museruola soffoca le parole della bambina, che paonazza si alza in piedi con i pugni frementi, scaraventando poi un camion giocattolo contro il pennuto. Questo si scansa divertito arruffando le piume bruciate.

«Chi è quello?», chiedo, mentre cerco di aggrapparmi a un bordo della bara, che ondeggia spaventosamente.

«È il mio psicoanalista. Dicono che sia il più bravo dottore di tutti i tempi, ma è solo un piccione con un cervello di gallina!», sibila furente la creatura.

Quando la bara attracca su un pezzo di lego rosso, mi stupisco della facilità con cui scavalco alcune gambe di bambole consumate (sono incastrate nel terreno come delle strane piante ornamentali), anche se appoggiarsi alle biglie (che trovo poco dopo) non si rivela una grande idea.

Agata saluta Caronte con un grattino sotto il mento, poi mi raggiunge prendendomi per mano, ma senza dire nulla.

Lo scenario che in seguito si staglia davanti a me è surreale a dir poco.

Mi ritrovo a passeggiare di fronte a una successione di stanze aperte, come se vagassi in un negozio di immobili o stessi osservando una casa per le bambole scoperchiata.

Le stanze sono collegate tra loro da una piccola porticina laccata di rosso, ma hanno tutte un arredamento diverso. In ognuna c'è una bambina o un bambino, più o meno della stessa età di Agata. Tuttavia a sorprendermi maggiormente, è l'insegna formata da alcune lampadine ronzanti, che recita: I modi d'amare.

«Agata», chiedo con tono tiepido, «che cos'è questo posto?»

«Oh, mi piace tornare a questo ricordo!», sospira la bambinetta. L'azzurro dei suoi capelli sembra ora sbiadito, come se fosse cosparso di cenere, «Questa era la mia casa prima che l'Imperatore Pallido mi adottasse. Sai... io sono un modo d'amare!»

Una vertigine mi circonda il cuore quando ripenso al terapeuta, ai suoi occhi striscianti sulla folla, mentre stringeva il microfono-coltello con le nocche bianche.

«Vedi», prosegue Agata, la sua voce distorta dalla museruola, «quella è Clarissa. Lei ama a distanza, attraverso pensieri dolcemente lancinanti e così densi, che riescono a trasformarsi in stormi d'uccelli! Però non osa mai avvicinarsi alla persona amata! Poi c'è Ines, che porta a spasso tutto il giorno il suo grande pesce rosso. Lo nutre con le sue aspettative più prelibate! Lei ama l'immagine dell'amato che costruisce nella sua testa, ma non accetta che nella realtà la persona sia diversa!»

Il pavimento della stanza di Clarissa è pieno di sabbia. Lei è seduta a terra, concentrata a disegnare con le dita sottili tante spirali intorno a sé, mentre uno stormo di uccelli si libera assordante dai suoi capelli, avvolgendola con un frullo d'ali.

Ines invece passeggia avanti e indietro, stringendo con forza il guinzaglio dell'enorme pesce rosso, che fluttua come un palloncino gigante alle sue spalle. Vedo la piccola bocca arricciata della bambina borbottare tra sé, per poi voltarsi di tanto in tanto con un blando sorriso verso il pesce volante.

Agata mi trascina con una forza tale che fatico a camminare, e mi sento anche in imbarazzo, perché con i miei occhi affamati e curiosi mi pare di strappare un velo di intimità a queste piccole figure. Tuttavia nessuno sembra accorgersi di noi.

«Poi c'è Guido», prosegue Agata, «ha due teste, ma non sa mai quale ascoltare! E Michele! Cade sempre svenuto in un roveto di mosche, pronte a mangiargli la pelle!»

Osservo le due piccole teste di Guido rapite in un discorso concitato, e poi vedo Michele, che giace inerme in un letto di spine, simili alle dita di una mano socchiusa in un pugno. Le piccole mosche colorate che gli ronzano attorno sembrano divorarlo lentamente, ma lui non si scuote, pare addormentato.

«E loro? Che modi d'amare sono?», chiedo.

«Sai, non ne sono sicura! Ma credo che Guido si senta lacerato tra ragione e sentimento, che cerchi di avere il controllo su tutto, dimenticandosi di lasciarsi stravolgere dall'amore! Mentre Michele finge di non essere pronto ad amare, perché le sue paure sono troppo importanti! Ma chi può biasimarli! Il ripetersi delle stesse battaglie a un certo punto non ti rende forte, ti fa solo sentire tanto fragile!»

L'ultima stanza in cui arriviamo è completamente vuota, se non per due grandi poltrone di pelle rossa che si fronteggiano nel mezzo della camera, e una lampadina nuda che ondeggia legata al soffitto.

«E tu che modo d'amare sei?»

Agata lascia la mia mano solo in prossimità di una delle poltrone, così mi siedo aspettando una risposta.

Tutta questa calma deriva quindi dal fatto che sono nel suo sogno?

«Io divoro cuori», dice Agata accomodandosi, «sono cannibale.»

Osservo la bambina sistemarsi un ciuffo blu dietro le pallide orecchie, poi il mio sguardo si abbassa sul vestitino stracciato. È in quell'istante che realizzo, che le macchie non sono ruggine, ma sangue vecchio.

Resto in silenzio mentre tutto diventa spaventosamente freddo.

«Sono sempre stata avida», prosegue Agata, sprofondando nella pelle rossa, «Non sono mai riuscita ad esempio a guardare un bel fiore senza metterlo sotto alla lingua! Volevo che mi appartenesse, che diventasse una vena pulsante del mio corpo, un respiro nel mio ventre! Quando qualcosa o qualcuno mi piace voglio che sia tutto mio!»

Fisso Agata senza dire nulla. Ora sprofondo anch'io nello schienale.

«Io so amare solo divorando», aggiunge la bambina, iniziando a sbattere le gambe contro la poltrona.

Il silenzio ci avvolge per qualche interminabile secondo. Ascolto il mio battito accelerato pulsare nelle orecchie.

«Si chiamava Layla. È l'ultimo cuore che ho mangiato. Aveva un sapore dolce e il suo peso era greve nelle mie mani», la bambina si rannicchia improvvisamente, come infreddolita da quel ricordo. Con quella museruola pare uno strano animale impaurito.

«Quel giorno le ho chiesto cosa fosse per lei amare. Mi ha risposto:

Forse amare è avere quella pazienza e dolcezza disarmante di fronte ai coltelli della vita.

Forse amare è non mettersi totalmente nelle mani di un altro. Forse è non pestare i piedi lamentandoci, appena uno si comporta in modo diverso da come ci aspettiamo.

Forse amare è non pretendere che l'altro sia il nostro ossigeno e il nostro centro gravitazionale, capire che non è un giocattolo per sostituire le nostre cuciture venute male.

Forse amare è saper dare tempo all'altro per trovarsi e riconoscersi. Forse amare a volte è anche permettere una certa distanza necessaria per rinascere.»

Fisso Agata accarezzare il sangue secco sulla sua veste: «Nel sentire questo le ho piantato un coltello dritto nel petto e mi sono macchiata il vestito di sangue. Ero gelosa di quelle parole! Avrei voluto essere io a partorirle! Così ho tagliato la sua carne lentamente per ascoltarne il suono. Lei ha tenuto gli occhi aperti e vitrei sul mio delitto, ma era bella anche così, senza vita e con l'anima appannata.»

È in quel momento che il gelo mi avvolge in un tremito e, dietro a quel piccolo viso impaurito, scorgo quanto i desideri che imbellettiamo di buone intenzioni possano a volte essere perversi.

«Sai perché era il cuore più buono che abbia mai mangiato?», chiede in tono sommesso.

Scuoto la testa deglutendo, mentre la bambina sorride, stretta nella sua museruola: «Perché pulsava di speranza.»

#GmS

Coinvolgimento emotivo: dal primo istante all'ultimo, l'estratto mantiene incollati ad esso per via della sua originalità e dei suoi scenari mai visti, così inquietanti da farci brillare gli occhi!

Grandiose le descrizioni dei modi d'amare, ci hanno completamente rapite e catapultate nel loro strani mondo. Questi esseri, rinchiusi nelle stanze, sono la personificazione dei sentimenti più crudi, profondi e perversi nascosti nel cuore di ogni persona. Hai analizzato con grande cura queste sensazioni, facendo in modo da rendere cosciente il lettore con una delicatezza crudele, immortalata in bambole deturpate dai loro difetti e vizi.

Tutto ha un'inquietante dolcezza davvero disarmante, nonostante quel che venga detto sia crudele, malvagio. Davvero un ottimo lavoro.

Grammatica e lessico: stile impeccabile, con descrizioni qua e là che completano un quadro già di per sé accattivante. Un lessico perfetto che accompagna delicatamente questi temi un po' bruschi, che rimangono impressi nella mente. Alcune parti, poi, risultano molto poetiche e affascinanti.

La grammatica è perfetta, vi è solo una virgola mancante che non può essere attribuita allo stile, ma per il resto ti facciamo i nostri complimenti!  

Originalità: non siamo riuscite a capire se l'elemento originale scelto fosse un luogo o una creatura tra le numerose elencate, poiché dentro questo estratto qualsiasi cosa sprizza di originalità, e lo sfondo inquietante creato non fa che aumentarla.

Molto originale è l'ambientazione del tutto "sconvolta" dell'Ade. Si può infatti riscontrare una c'era somiglianza con Percy Jackson, ad esempio per il fiume di oggetti sperati, le varie camerate e Caronte, ma la tua bravura è stata nel fatto di aver modificato questi aspetti già più seri in qualcosa di poco più infantile e dolce, pur mantenendo la serietà.

AlessiaLeone719 - Elements: Il Segreto di Daphne - creatura/luogo/indivivuo particolare

Ci sono arrivati due estratti per entrambe le categorie, ma dato che la prova prevedeva di scegliere abbiamo preso il primo dei due.

Qualche giorno dopo, Maya concluse finalmente l'acquisto di una baita sulla quale aveva messo gli occhi da molto tempo. La casa era incredibilmente spaziosa e accogliente, aveva una cucina a vista collegata direttamente alla sala e tre ampie camere da letto, le quali avevano ognuna un bagno annesso. Nella sala c'era un grande tavolo in legno d'ebano rettangolare circondato da otto sedie, un divano bianco davanti al quale Maya aveva messo un grande televisore e una lunga scrivania, sopra la quale erano stati messi tre portatili sempre pronti all'uso. Nell'angolo infondo alla parete di destra infine, c'era un vecchio pianoforte a muro nero ancora in ottime condizioni, che la Yami aveva insistito rimanesse. Il perché, rimaneva un mistero. 

La baita era situata al centro di una radura della foresta tropicale di Solas, nell'est del regno, luogo scelto dalla Yami a causa della sua peculiare vegetazione. La foresta di Solas era definita "la foresta dai mille volti", poiché la flora locale si spostava di continuo, mutandone ogni giorno la conformazione. Erbe, muschi e piante di ogni tipo si spostavano da una parte all'altra della foresta da sole o in gruppo, a seconda del carattere d'ogni pianta. L'erba viola, sicuramente la più veloce, batteva di gran lunga i vecchi e acciaccati alberi secolari, che si spostavano solo una volta all'anno, mentre i muschi e i licheni facevano ogni giorno una gara di velocità, per vedere chi avrebbe raggiunto per primo le nuove zone ombreggiate. La zona in cui si trovava la loro baita era, tuttavia, sotto un incantesimo che impediva alla vegetazione di invadere la loro radura e che li teneva al sicuro da possibili attacchi di piante "perdute", ovvero, piante che non erano riuscite a trovare in tempo un posto dove adagiarsi e che perciò impazzivano, attaccando qualunque cosa intralciasse il loro cammino. Il gruppo aveva appena finito di traslocare e mentre Maya si stava allenando col suo vecchio insegnante di scherma, Hiro, April e Ginevra ne avevano approfittato per esplorare la zona.

#GmS

Coinvolgimento emotivo: l'estratto parte con la descrizione della baita e ci mette un po' a ingranare poiché il punto fantasy che davvero incuriosisce arriva più avanti. Forse sarebbe stato meglio iniziare con la descrizione della foresta, non avrebbe fatto nulla se fosse venuto più corto.

La parte descrittiva è quasi del tutto piatta, non c'è accenno a emozioni né meraviglia. Anche durate la descrizione della foresta magica, se così possiamo chiamarla, non v'è traccia di emozione o misteriosità. È tutto troppo statico.

Grammatica e lessico: buona grammatica, nonostante ci siano alcune ripetizioni. Belle descrizioni anche se, come già detto, un po' statiche.

Ti vorremmo fare un appunto, e cioè che non è mai presente un invio a capo, con il risultato che va letto tutto d'un fiato senza soste. Ne abbiamo sentito specialmente il bisogno alla fine, quando si cambia discorso e si inizia a parlare del gruppo.

Tuttavia, nonostante la grammatica sia buona, durante il testo si possono riscontrare davvero moltissime ripetizioni.

Ti ricordiamo inoltre che la parola "infondo" per indicare qualcosa che per l'appunto sta lontano da chi parla è scorretto, perché è voce del verbo infondere, prima persona singolare. Per quel che intendi tu, sarebbe corretto "in fondo".

Originalità: sicuramente una descrizione di un luogo originale è più complicata da fare rispetto a un personaggio. La foresta ha una sua particolarità, ovvero le piante si muovono, ma non viene detto moltissimo a parte ciò. Non stuzzica la curiosità, sarebbe stato meglio aggiungere dell'altro, cosicché avrebbe potuto essere veramente originale.

Non si sa nulla del resto, ma questo fatto può esser giustificato dal fatto che si tratta di un estratto e varie informazioni vengono date mano a mano.

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