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Adam si alzò dalla sedia a bordo stanza sulla quale era seduto e quasi si sbilanciò. Non era solito bere alcolici fino a perdere la lucidità, ma stavolta ci aveva calcato un po' la mano, tanto che le sfarzose luci riprodotte all'infinito dal lampadario in cristallo iniziavano a fargli bruciare gli occhi. Niente che non potesse tenere sotto controllo, comunque.
Poggiò il bicchiere ancora mezzo pieno di champagne sul vassoio di uno dei camerieri che Eleanor aveva assunto per la cena della vigilia e si destreggiò tra i vari invitati che non conosceva per andare a prendere una boccata d'aria.
Amava il Natale, come lo intendevano gli altri. Amava il Natale degli altri. Ma Eleanor coglieva ogni occasione per trasformare tutto in feste formali e su vasta scala, e il significato di quella giornata svaniva semplicemente. Non era più come quando suo padre era stato con loro.
Scosse la testa e si diresse sulla balconata per non lasciarsi andare a idee malinconiche. Sebbene il sovraffollamento in casa e il dover costantemente dimostrarsi cordiale e intrattenere discorsi con gli sconosciuti, non poteva lamentarsi, specie perché in quel momento era solo. Nessuno si azzardava a uscire con quella temperatura intorno allo zero.
Il freddo gli penetrò nella pelle non appena fu fuori, nonostante la giacca del completo che indossava fosse abbastanza pesante. Forse era per quello che all'interno aveva iniziato a sentirsi soffocato. O forse per l'alcol.
Alzò lo sguardo verso il cielo e lo trovò privo delle nuvole che negli ultimi giorni erano state annunciare e acclamate per la neve. Al loro posto, una luna bianchissima splendeva attorniata da tanti altri piccoli puntini luminosi, che a tratti si confondevano davanti ai suoi occhi.
Adam tornò a fissare un punto indefinito e sbuffò. Che senso aveva comprare regali per tutti, se poi non poteva nemmeno consegnarli non appena scattava la mezzanotte? Non che qualcosa glielo impedisse, ma non poteva semplicemente tirare fuori i suoi quattro pacchetti e distribuirli davanti agli invitati. Sempre che avesse trovato i destinatari, in mezzo a quel caos.
Non parlava con Alec da quel pomeriggio, dopo averlo colto diverse volte a rivolgergli occhiate fugaci.
«Cosa c'è?» gli aveva chiesto di punto in bianco, e l'aveva visto inspiegabilmente schivo. Fino al giorno precedente erano stati tranquilli insieme, e ora di punto in bianco lui si era fatto sfuggente.
Non aveva voluto dirgli cosa lo premeva tanto, e non appena erano arrivati gli invitati, lui si era dileguato. L'aveva intravisto qualche volta tra la folla, o forse se l'era solo immaginato, ma quando aveva provato a raggiungerlo l'aveva perso di vista.
L'aveva lasciato solo.
Perché l'aveva fatto? C'entrava qualcosa con il suo comportamento di quel pomeriggio – che non aveva ancora avuto l'occasione di farsi spiegare – oppure non voleva farsi vedere con lui? O forse il desiderio di fuga era stato più grande di quello della sua compagnia? Ma provava davvero il desiderio di stargli vicino?
«Ma certo che lo prova» bofonchiò tra sé, ma fu più un tentativo di tirarsi su.
Cosa gli stava prendendo? Di solito non faceva questi pensieri, non aveva queste insicurezze. Doveva essere l'alcol. Ubriacarsi faceva schifo. Anche se lui non era ubriaco, solo un po' allegro... Sì, decise che non lo era e annuì.
«Parli da solo?»
Sobbalzò un attimo prima di riconoscere la voce alle sue spalle e si girò talmente veloce che gli vorticò la testa. Dovette fissare per diversi secondi le mattonelle sul pavimento prima di essere in grado di alzare lo sguardo verso chi aveva parlato.
Alec era stranamente elegante. Quando l'aveva intravisto non aveva fatto in tempo a focalizzarsi sul suo vestiario, e ora era stato colto alla sprovvista. Ma doveva ammettere che stava davvero bene così, con quei pantaloni stretti color antracite e la camicia stranamente composta e abbottonata ovunque. Non aveva una giacca, e Adam ebbe paura che morisse di freddo.
Gli si avvicinò e alzò una mano per scompigliargli i capelli. Se l'eleganza del suo corpo gli piaceva anche troppo, preferiva quando andava in giro con una zazzera spettinata.
«Ehi!» si lamentò lui, ma non ebbe il tempo di scansarsi o sistemarsi perché Adam gli afferrò gli avambracci con le mani. Avrebbe voluto reggersi a lui perché non si sentiva molto stabile, ma ricordò a sé stesso di non essere un peso che l'altro avrebbe avuto difficoltà a sostenere. Quindi rimase fermo a guardarlo. Aveva le guance e la punta del naso arrossate, segno che era fuori già da un po' e lui non se n'era accorto.
Quasi non gli sembrava vero che finalmente stesse fermo davanti a lui, dopo che era stato fugace per quasi un giorno intero. Dopo che l'aveva lasciato solo, sommerso da quella marea di persone.
«Sei vero?» gli chiese, poi si sentì incredibilmente stupido a fare una domanda del genere e scosse la testa. Il movimento ondeggiante lo fece sbilanciare e per un attimo credette di cadere, ma Alec gli portò le mani dietro alla schiena e lo strinse a sé. Non si era nemmeno accorto di aver lasciato la presa su di lui.
Sorpreso da un gesto simile, abbassò il viso per guardare quello dell'altro, ora coperto da uno strato più accentuato di rossore sulle guance, come se non fosse solo dovuto al freddo. Per qualche istante rimasero così, con l'eco di una canzone soft che suonava all'interno per gli invitati su un'improvvisata pista da ballo. Poi l'espressione concentrata di Alec si tramutò in una sorpresa.
«Sei ubriaco?!» Non era una domanda, ne era quasi sicuro. Ma non era nemmeno un'affermazione. Sembrava qualcosa a metà tra le due, come se ciò che Alec aveva detto fosse evidente ma non ci credeva nemmeno lui. Beh, faceva bene, a non crederci, perché lui non era affatto ubriaco.
«Certo che no» rispose, forse un po' in ritardo.
In quel momento una folata di vento gelido si insinuò nel piccolo spazio tra i loro corpi, e Adam sentì Alec tremare davanti a lui. Ancora non l'aveva lasciato, forse lo stava tenendo per scaldarsi.
E se lo stesse facendo perché non vuole lasciarmi?
Mandò al diavolo i pensieri confusi e provò a ritrovare una punta di lucidità. Il tessuto della camicia di Alec era molto sottile, probabilmente stava congelando. Ma, conoscendolo, avrebbe preferito diventare un ghiacciolo piuttosto che rientrare ora che si erano riuniti, soli, e Adam la pensava esattamente allo stesso modo.
Dopo interi minuti di immobilità, finalmente si mosse verso destra, togliendosi una volta per tutte dalla visuale della vetrata. Trascinò Alec con sé e lo spinse addosso al muro esterno della villa, sentendolo emettere un'esclamazione sorpresa. Con la brezza invernale che ancora imperversava contro le loro figure, passò le proprie mani dietro la schiena di Alec e lo sentì irrigidirsi per un momento, poi lo strinse a sé e il ragazzo si lasciò andare contro il suo petto.
«Dove sei stato?» mormorò al vento, affondando leggermente con le dita verso le scapole di Alec. Poggiò la testa sulla sua spalla e venne scosso da un tremito che non era il suo mentre sussurrava all'orecchio: «È da oggi che ti nascondi. Ho forse fatto qualcosa che non va?»
Lo sentì esitare, poi finalmente udì la sua voce, chiara e concisa. «No!»
«Dimmelo, Alec.»
«Scusa» lo sentì sussurrare. «Non ce la faccio con... tutte queste persone e... Lo so che per te è importante, e ci sto provando, cazzo, altrimenti non sarei proprio sceso, però... Sono un idiota.» Era a disagio.
Alzò il capo e lo interruppe, portandogli una mano sulla bocca. In un attimo si sentì un ingrato: Alec, che aveva sempre avuto problemi con le persone, aveva comunque partecipato alla festa perché sapeva che a lui avrebbe fatto piacere. Era lì, ora, in piedi davanti a lui, nonostante fosse faticoso, nonostante avesse dovuto scavarsi una via tra le persone per arrivarci, nonostante facesse freddo. Era lì e c'era per lui. E lui si stava lamentando come un cretino per non averlo visto per un pomeriggio.
Si sentì così in imbarazzo che non riuscì più a stargli vicino. Si allontanò di scatto e il vento lo fece quasi barcollare. Vide Alec davanti a sé spalancare gli occhi e stringersi le braccia con le mani in un tentativo di scaldarsi. Aveva sbagliato ancora, lasciandolo scoperto con quel freddo.
«Ecco, ho sbagliato di nuovo!» sbottò. «Perché non faccio altro che sbagliare, stasera?» si lamentò senza guardare Alec. Era tutta colpa sua, ma perché? Di solito non faceva quei pensieri da protagonista incompresa di telenovela per adolescenti, era tutta colpa di... Non dovevo bere. Ecco cosa.
Percepì vagamente Alec che gli chiedeva qualcosa, sembrava perplesso, ai limiti dello sconvolto, ma stava cercando di formulare un'idea geniale che avrebbe risolto tutta quella situazione, quindi si concentrò.
Poi, in un attimo, riuscì ad afferrare un pensiero e tornò a guardare i diamanti che ogni volta gli facevano perdere il controllo. Occhi freddi come il ghiaccio, ma nei quali lui trovava soltanto calore. Forse era perché gli si sprigionava nel petto ogni volta che ci si perdeva dentro. Gli faceva piacere pensare che per chiunque altro, quelle iridi erano il freddo più assoluto, ma non per lui. Per lui significavano tutt'altro.
«Andiamo su» disse.
*
Quasi inciampò quando, fuori dalla stanza di Adam, venne trascinato troppo velocemente.
Aprì la bocca per lamentarsi, ma poi ricordò il senso di colpa immotivato che aveva letto nello sguardo dell'altro nemmeno cinque minuti prima e rimase in silenzio a sforzarsi di non essere un peso.
Adam aveva superato la stanza di Alec, quindi quest'ultimo aveva ipotizzato fossero diretti alla sua, ma nemmeno davanti a quella porta si era fermato.
Ormai Alec non aveva più alcun dubbio sul fatto che avesse bevuto, anche perché quando gli si era avvicinato, sul balcone, aveva avvertito l'odore tipico dell'alcol. Però non credeva fosse abbastanza andato da perdersi dentro casa propria.
«Dove stiamo andando?» decide quindi di chiedergli.
«Lontano dagli altri» fu la risposta poco logica dell'altro, con parole leggermente strascicate. Non aveva mai pronunciato qualcosa di simile, era proprio partito.
Passò qualche attimo di silenzio in cui avanzarono nella villa. Alec non si addentrava spesso da quella parte, quindi non aveva ipotesi plausibili da formulare.
«Che ore sono?» chiese Adam dopo qualche passo.
Ma che gli è preso? Con quel pensiero, decise di assecondarlo perché voleva sapere dove volesse arrivare. Prese il cellulare e controllò l'orario. «Mezzanotte meno cinque.» Era quasi Natale. Il pensiero gli trasmise un'insensata felicità, che mai prima d'ora aveva provato per qualcosa di simile. Perché dopo diciassette anni gli interessava il Natale per la prima volta? Era forse per via del ragazzo le cui dita calde erano intrecciate alle sue?
«Dobbiamo sbrigarci» disse Adam, ma non accelerò il passo. Forse aveva capito che Alec era quasi al suo limite.
Qualche altro istante e si fermarono davanti a una porta, che Alec riconobbe quasi subito. Era l'entrata per la biblioteca.
«Che cosa ci facciamo qui?» domandò, ma l'altro non gli rispose e lo trascinò dentro.
L'odore di carta vecchia gli riempì le narici, e non gli dispiacque essere finalmente circondato da una fragranza che non fosse un miscuglio tra alcol, profumi chimici e dolci da buffet. Si ritrovò a comparare il primo odore alla pace e il secondo al caos, ma ben presto perse il controllo di quel pensiero perché Adam stava rallentando.
Una volta compreso che erano arrivati a destinazione, si guardò intorno. I soliti scaffali alti fino al soffitto lo circondavano dividendo la stanza in corsie o quadrati. Si domandò che cosa ci facessero lì quando Adam voltò l'angolo e si infilò in uno stretto passaggio lasciato da due scaffali.
Dietro, la luce arrivava soffusa, ma era abbastanza perché Alec potesse identificare un pianoforte nero petrolio. Nonostante la lucidità, si dimostrava parecchio antico, tanto che Alec si domandò se potesse funzionare ancora, perché improvvisamente sentì il bisogno di udire i suoni provenienti dalla pressione su quell'avorio lavorato.
Quel relitto era sempre stato lì? Come poteva non averci mai fatto caso? Rifletté sul fatto che non aveva mai passato molto tempo in biblioteca, e comunque era in un angolo piuttosto nascosto. Chissà quante altre cose non aveva mai colto in villa Brass.
«Credevo avessi un solo pianoforte, nell'aria svago.»
Adam si voltò finalmente verso di lui e Alec riconobbe che i suoi occhi erano meno lucidi rispetto a prima: si stava riprendendo, forse non aveva bevuto così tanto.
«Infatti, è così. Questo era di mio padre – sai, amava molto l'arte lui – e non è stato utilizzato per anni, finché qualche giorno fa non gli ho dato una rispolverata.»
Alec venne attraversato da un brivido di freddo e si sentì come se stesse violando un cimelio antico, ma il volto tranquillo di Adam lo rassicurò. Sembrava felice che si trovassero lì, anche se non capiva perché.
«Come mai? Cosa ti ha portato a farlo? Hai il tuo.»
«Non volevo il mio» asserì serio Adam mentre si sedeva davanti al pezzo d'antiquariato per poi passare le dita sui tasti, senza premerli. «Volevo che fosse qualcosa di speciale, per oggi.»
«Non capi...» Alec venne subito interrotto.
«Che ore sono?»
Alzò un sopracciglio, sempre più perplesso, ma tirò fuori il cellulare per mostrarlo anche a Adam. Il numero undici e cinquantanove cambiò qualche secondo dopo in tre zeri in successione, e la giornata si trasformò in Natale. Solo tra loro due. Il loro Natale.
«Bene. Spero di essere in grado di suonare, altrimenti non me lo perdonerò mai» ridacchiò Adam, ma non chiarì la confusione che Alec aveva nella testa.
Schioccò le dita e le allungò sopra i tasti. Alec rimase in silenzio perché non voleva interrompere quel momento, nel quale percepiva qualcosa di magico, anche se non comprendeva cosa.
Adam incrociò il suo sguardo e sorrise. Poi iniziò a esibirsi.
Le prime note arrivarono improvvise ma chiarissime, gli vibrarono alla base del collo e raggiunsero la schiena, dove lasciarono un brivido. Si evolsero, quelle quattro note, fino a diventare otto, e poi dodici, e da quel punto una composizione prese forma nelle orecchie incredule di Alec.
La melodia lo circondò, lo racchiuse in una bolla e lo fece sentire a casa. Gli parlò di Natale e di lui stesso, e poi di lui con Adam, tanto che non riuscì a capire come il ragazzo avesse potuto cogliere così tanto di quella giornata con un'opera che coinvolgeva un solo senso, almeno apparentemente. Perché Alec si rivedeva, in quella musica, e percepiva il profumo di Adam presente in ogni singola nota, riconosceva la sua mano che premeva i tasti anche se non la vedeva; l'avrebbe distinta tra mille. E, più di tutto, era in grado di avvertire una mescolanza di emozioni, sue e non, probabilmente quelle di Adam, che gli mozzavano il respiro e gli facevano tremare le gambe.
Improvvisamente non si sentì più in grado di stare in piedi, quindi si avvicinò all'altro e si sorresse su una sua spalla. Lo sentì sbagliare una nota per l'emozione, ma quel cambio di intonazione rese la melodia ancora più bella e originale, tanto che alla strofa seguente, che ripeteva quella dell'errore, Adam premette la nota sbagliata di proposito, e Alec si sentì estasiato: era la sua nota, quella, l'aveva scritta con il solo aiuto dell'emozione che provava. E Adam l'aveva capito.
Le sue dita tremarono sulla spalla dell'altro man mano che la composizione andava avanti, e quando essa finì aveva gli occhi lucidi. Non era nemmeno in grado di fare nulla per nasconderlo. Era scioccato, non poteva crederci: Adam aveva scritto qualcosa per lui per quel giorno speciale tutto loro. Ne era certo, l'aveva sentito nella passione che c'era al suo interno, ma voleva anche udirlo dalle sue labbra.
«L'hai... l'hai scritta per... oggi?» Avrebbe voluto dire "per me", ma non ne ebbe il coraggio.
«L'ho scritta per te, Alec. Per augurarti buon Natale. È la tua canzone di Natale: Frammenti di Alexavier.
Koa
Alla fine non ce l'ho fatta a finire in tre capitoli, nonostante fossi convinta di sì. Mi sono ritrovata a 10 pagine di capitolo che ancora non era stato fatto accenno al regalo di Alec, quindi ho dovuto interrompere xD ora non prometto più nulla, ma il prossimo DOVREBBE bastare per concludere.
Come avrete notato, ho finalmente cambiato titolo all'opera, che è anche il titolo del componimento di Adam. Ho scelto questa parola perché era quella che più mi sembrava poter riassumere ciò che la melodia riassumeva.
ps. avverto i lettori che la mia tastiera si sta forse friggendo perché la uso troppo xD e ogni tanto mi preme una lettera più volte, quindi potrebbero esserci errori scaturiti da ciò. In caso vi prego di segnalarmeli perché non ho avuto tempo di rileggere i capitoli a fondo come faccio con la storia principale.
Grazie di cuore a tutti!
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