9.2-La Fragilità dell'Anima.
Xavier.
Era comprensibile che quell'atmosfera asfissiante, fosse ricaduta anche sugli altri ragazzi presenti nella cella.
Osservando Lasbert, però, notai che non fosse interessato alla conversazione che stava per avvenire.
Rimase seduto in un angolo cingendo le ginocchia al petto, i lunghi capelli nero pece ostruivano la visuale che conduceva al suo viso.
«Sei proprio un'idiota, Keadel» fu Gard ad accendere la miccia dell'esplosione che ci avrebbe travolti.
Spalancai gli occhi rimanendo allibito, «Chiunque versi due lacrime al tuo cospetto, lo prendi in automatico sotto la tua ala. Dagli sbagli si dovrebbe imparare, no?» faceva sicuramente riferimento a un qualcosa avvenuto in precedenza, ero estraneo a tutto quello e scelsi di non intromettermi.
Spostai lo sguardo sul biondino, sembrava essersi trasformato in un manichino privo di emozioni.
Il suo viso era cupo e ciò che era accaduto in precedenza, si stava tramutando in un lontano ricordo.
Sentivo il cuore pulsarmi in gola, «Come puoi fidarti pure di lui?» la voce di Gard era intrisa di rabbia.
Il suo indice era rivolto verso di me, non avevo idea di come si sarebbe evoluta la situazione ma di certo non sarebbe risultata piacevole.
«Ci sta ingannando» proseguì, le sue parole stavano riaprendo tutte quelle ferite che si erano rimarginate con il tempo.
Mi ero imposto di essere un bambino come tanti ma le mie convinzioni, si dissolsero di fronte ai miei occhi.
Le sue iridi nocciola non avevano intenzione di schiodarsi dalle mie, «Quella collana è la dimostrazione del divario presente tra noi, lui è privilegiato» Redda si intromise senza alcun riguardo, ero consapevole che saremmo giunti a quel discorso molto presto.
La sua supposizione era fondata: una volta arrivati in struttura ci veniva sequestrato ogni oggetto personale.
Ci imponevano di indossare dei pantaloni beige e la maglia dello stesso colore rendendoci uguali, in fondo non eravamo altro che bestie da macello.
Non possedevamo un nominativo per loro, rovistando tra i fascicoli avevo notato che eravamo registrati tramite un codice, probabilmente collocato al collare.
«Chiunque la tocchi ne rimane folgorato» risposi prontamente, la spiegazione che avevo attribuito era veritiera ma non avrei saputo giustificarne i motivi.
Il moro mi scrutò con superiorità, «Pensi che me la beva?» mi aggredì, stava totalmente perdendo il controllo.
Lo stress e la paura ci comprimevano come una morsa, le sue dita afferrarono con violenza il colletto della mia maglietta.
Abbassai il capo, «Lasciami» affermai con rigidità.
Le mie dita erano strettamente serrate in dei pugni, «Come potrei mai riporre la mia fiducia in uno come te?» continuò ad inveire e assumere il controllo della rabbia, mi stava risultando quasi impossibile.
«Nessuno ti obbliga a farlo» asserii mantenendo un tono di voce rigido, «Avrai anche corrotto i più piccoli e Keadel, ma uno cresciuto qua dentro come può comprendere? Come puoi provare le emozioni che sento io?» percepivo l'ira scorrere repentina nel mio corpo amalgamandosi con il sangue, «Smettila» biascicai serrando la mascella.
Il biondino tentò di calmarlo fallendo miseramente, venne respinto all'istante e ciò non fece altro che incrementare le mie emozioni contrastanti.
Quella situazione non sarebbe giunta a un lieto fine, ormai ne possedevo la certezza, «Non sai cosa significhi possedere una famiglia e attendere di riabbracciarla per anni!» spalancai le palpebre a quelle parole affilate, tanto quanto lame che sgualciscono la carne.
La lucidità abbandonò il mio corpo, nella mia mente scorrevano ricordi frammentati di quel giorno come il trailer di un film.
Il mio respiro iniziò a divenire irregolare e la rabbia prese il sopravvento come un animale rinchiuso in gabbia per fin troppo tempo, afferrai con veemenza il suo polso costringendolo a mollare la presa.
«Ti ho detto di smetterla!» il mio grido attraverso la gola graffiandola e rimbombò tra le pareti della cella, riuscivo a scorgere le espressioni attonite dei presenti.
Incastonai le mie iridi in procinto di tempesta in quelle di Gard, la sua espressione mutò improvvisamente.
Ero giunto al capolinea e non potevo arretrare proprio in quel momento, cedetti definitivamente iniziando a percepire un formicolio espandersi al di sotto della mia pelle lattea.
Un sottile e fulmineo fascio di luce, si palesò di fronte ai miei occhi precedendo un enorme boato.
Si espanse all'interno della stanza per una frazione di secondo, schiusi le labbra non appena realizzai l'accaduto.
Mi ero lasciato sopraffare senza pensare che intorno a me ci fossero altri ragazzi, nel migliore dei casi sarebbero potuti rimanere feriti a causa mia.
Nessuno osava pronunciare la minima parola, un dolore lancinante prese il possesso della mia testa e mi costrinse a portare una mano sul viso.
Mi appoggiai al muro posto di fianco a me serrando le palpebre, «S-scusa io...» Gard prese a farfugliare parole sconnesse tra loro.
Il collare non si era attivato probabilmente per il breve lasso di tempo, in cui era emerso il mio Xiù.
Nonostante ciò mi era impossibile rilassarmi, ero consapevole che il mio corpo non reggeva quel potere e ne avevo avuto dimostrazione durante gli esperimenti.
«Xavier?» captai la voce di Laphia, mi era impossibile donarle una risposta.
La mia mascella era serrata alla disperata ricerca di contenere quel dolore lancinante, le mie gambe cedettero e mi ritrovai tra le braccia di Keadel.
Doveva aver intuito qualcosa per potersi spostare così velocemente di fronte a me, le sue dita scostarono i miei capelli color mogano dal collo.
Trasse un sospiro di sollievo quando si accertò che gli aghi non avessero trafitto il mio collo, «Ti rendi conto di cos'hai appena causato, Gard?» mi si accaponò la pelle alle parole del ricciolo.
Era la prima volta che usava un tono così rigido, mantenni il silenzio tentando di compiere respiri regolari.
Mi stavo comportando da emerito idiota e ne stavo prendendo coscienza a pieno, strizzai le palpebre accumulando un odio smisurato nei miei confronti.
Il biondino si sedette tenendomi ancora tra le sue braccia, soltanto in quella posizione riuscivo a non sentirmi fuori luogo.
Nella mia mente si plasmò un pensiero fulmineo: a causa della potenza il boato di certo aveva rimbombato e nel peggiore dei casi, sarebbe giunto anche alle orecchie delle guardie.
Le mie supposizioni si tramutarono in realtà quando, dei veloci passi si espansero nel lungo corridoio causandomi la secchezza delle fauci.
Rimasi immobile come una statua di marmo non sapendo cosa mi attendeva, tanto meno come avrei reagito.
Non potevo mentire a me stesso, ero consapevole che ormai la mia mente avesse perso la lucidità.
Ragionare in modo razionale mi era impossibile in quell'istante, due guardie si palesarono di fronte alle sbarre.
I due uomini sfoggiarono entrambi un ghigno macabro prima di girare la chiave nella toppa, permettendo l'apertura della cella.
Il più basso era calvo e appariva sicuramente più minaccioso dell'altro, nella mano destra reggeva un Ciameri.
Non appena lo vidi, tentai inconsciamente di nascondermi tra le braccia di Keadel.
Quell'arma era la più temibile ma soprattutto innescava ricordi raccapriccianti in me, l'avevano già usata diverse volte e venivo sopraffatto dalla paura soltanto guardandola.
Appariva come una normale frusta ma il realtà emetteva fiamme allo schiocco, «Sbaglio o qualcuno qui, ha usufruito del suo Xiù?» la voce roca mi riportò sulla terra ferma.
Elevai di poco lo sguardo percependo le parole bloccate in gola, «Vi sarete sbagliati, non è accaduto nulla. Magari era un rumore proveniente dall'esterno» esordì Keadel facendo spallucce.
L'uomo si avvicinò a passo calmo, «Sembra che voi abbiate proprio voglia di assaggiare questo gioiellino» ringhiò, accarezzando disgustosamente la sua arma, come se ne andasse fiero.
Il suo sguardo si spostò sulla cicatrice che spiccava sul lato sinistro del mio viso, «Qualcuno qui l'ha già provata, non vorresti un secondo round?» pronunciò a denti stretti, per poi avvicinare le sue luride dita alla mia mascella.
Sfiorò la parte interessata con lo sguardo intriso di eccitazione, un senso di nausea mi assalì nell'osservare quella situazione surreale.
«Ohi, non abbiamo le prove. Se dovessimo ucciderlo, loro farebbero fuori noi» tentò di farlo ragionare l'altra guardia, appoggiando una mano sulla spalla del calvo.
Entrambi sorrisero maliziosamente, «Per sta volta ve la caverete, ma attenzione a ciò che fai moccioso» concluse il basso avvicinando il suo viso al mio, riuscii solamente a deglutire.
Uscirono dalla cella concedendo alla paura di galleggiare libera nell'aria.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro