5.2-Legami.
Xavier.
Le palpebre si ostinavano a rimaner chiuse, mugugnai costringendole ad aprirsi. Mi stropicciai gli occhi un paio di volte prima di comprendere che la realtà era ciò che vedevo: il buio totale.
Tastai il pavimento facendo scorrere le dita, il suolo aveva una consistenza che non avevo mai percepito prima di allora e risultava umido.
Mi diedi lo slancio con le braccia atterrando in piedi, notai all'istante l'assenza delle manette intorno ai polsi e il dolore era scomparso. Mi sentivo leggero come se stessi sfiorando la libertà, il mio sguardo scorreva attorno a me ma non riuscivo a vedere oltre la punta del naso.
«Keadel!» urlai tentando di farmi udire da qualcuno, regnava il silenzio, non era presente neanche il minimo rumore e cominciava ad essere snervante.
Camminai tenendo un braccio sollevato per raggirare gli ostacoli, la solitudine mi investì come un treno in corsa. Ero solo, per davvero.
Corrugai la fronte non appena scorsi un bagliore di luce davanti a me, le gambe presero a muoversi da sole e senza pensare mi ritrovai a correre.
La luce si allontanava sempre di più, ogni volta che mi sembrava di esser arrivato la meta si spostava, come se non volesse essere raggiunta.
Ero ostinato, volevo sapere cosa stava accadendo e non riuscivo nemmeno a trovare una risposta alle miriadi di domande che mi frullavano per la testa.
Dopo svariati tentativi riuscii nel mio intento, appoggiai le mani sulle ginocchia tentando di riprendere fiato e mi accorsi che quel suolo strano, non era altro che erba.
Rappresentava il paesaggio che ammiravo ogni giorno dalla mia cella, tramite la piccola fessura nel muro, il vento cullò i miei capelli trasmettendomi quella sensazione tanto bramata.
Il ciondolo dorato che custodivo gelosamente, appeso al collo tramite un cordoncino, iniziò ad emanare all'improvviso una luce surreale.
In quell'istante mi accorsi di non portare nemmeno l'odioso collare argenteo, «Xavier? Sei tu?» mi irrigidii.
Ero consapevole nel profondo di conoscere quella voce soave, così calda che proveniva dalle mie spalle.
Mi voltai lentamente spalancando gli occhi.
Una giovane donna era in piedi di fronte a me, possedeva dei lunghi capelli castani che incorniciavano il suo viso dai lineamenti fini. Mi rivolse un sorriso colmo d'amore e percepii qualcosa smuoversi all'altezza dello stomaco, i suoi occhi erano lucidi e dello stesso, identico, colore dei miei.
Si inginocchiò abbassandosi alla mia altezza prima di avvolgermi con le sue braccia, le mie labbra si schiusero come se volessero pronunciare delle parole ma non riuscirono ad emettere alcun suono.
Venni avvolto da un piacevole tepore e istintivamente le lacrime presero a sgorgare dai miei occhi, il suo profumo mi impregnò le narici «Mamma?» singhiozzai prima di ricambiare l'abbraccio.
Le mie dita si strinsero in una presa salda attorno al tessuto leggero della sua maglietta, appoggiai il mento sulla sua spalla sperando che quel momento non giungesse mai al termine.
Si allontanò mantenendo le labbra curvate in quel dolce sorriso, la sua mano si appoggiò sulla mia guancia «Ora devo andare» mormorò «Ti amerò sempre, Xavier» si alzò allontanandosi velocemente.
«Aspetta! Mamma!» cercai di raggiungerla ma fui bloccato da un muro di fiamme, un villaggio prese forma dietro ad esse rendendomi spettatore della mia stessa vita. La donna di prima correva cingendo un bambino di circa due anni tra le braccia, non trascorse molto tempo prima che realizzai che quello ero io.
Le lacrime continuavano a segnare le mie guance, le mie gambe tremavano e mi sentivo impotente.
Crollai al suolo osservando l'arma del Drafer trafiggere il petto di mia madre, il sangue attraversò le sue labbra carnose prima di gocciolare sulla lama colorandola di un rosso rubino.
«Mamma!» urlai disperatamente con tutto il fiato che possedevo in corpo, cadde a terra con un'espressione attonita in volto. Le fiamme mi avvolsero improvvisamente, a seguito delle grida strazianti e stridule, tanto da non sembrare umane, si diffusero velocemente. Strizzai gli occhi premendo i palmi delle mani sulle orecchie, con la speranza di riuscire ad attutire i suoni.
«Xavier, svegliati!» spalancai gli occhi sedendomi di scatto, il mio viso era umido e le lacrime continuavano a solcare piccoli sentieri prima di cadere sui miei pugni serrati.
La mia vista era annebbiata, il cuore accelerato, i miei respiri erano brevi e frequenti.
Serrai la mascella e tentai di sopprimere un singhiozzo, «Cos'è successo?» domandò Redda con la voce impastata dal sonno, «Non è niente, torna a dormire» rispose prontamente Laphia che era situata al mio fianco.
«Tocca a me fare da guardia, riposati» insistette convincendo il ragazzo, attese qualche istante prima di parlare, probabilmente per assicurarsi che tutti stessero dormendo. Appoggiò una mano sulla mia spalla, mi voltai non curandomi del mio aspetto ed incontrai i suoi occhi celesti. I capelli di Laphia erano talmente biondi da apparire quasi bianchi, tanto quanto la sua carnagione, senza pronunciare nulla si intrufolò in mezzo alle mie braccia evitando così l'intralcio delle manette.
Le sue mani si posizionarono dietro la mia nuca e mi tirò verso di sé, quell'abbraccio era riconducibile alle sensazioni provate all'interno del brutto sogno. Rimasi interdetto «Lo fa sempre Keadel con me quando ho un incubo, spero che funzioni anche con te» sussurrò, tenni il mento appoggiato sulla sua spalla sospirando.
Tentai di sopprimere l'emozioni ma quel gesto le faceva fuoriuscire maggiormente, «Mi fido di te» rimasi sorpreso delle sue parole, era come se fosse riuscita ad infiltrarsi nella mia mente e capire a cosa stessi pensando.
Da quanto avevo visto gli altri non nutrivano simpatia per me, eccetto Keadel, «Perché?» chiesi. Ero fermamente convinto che la mia domanda fosse più che lecita, «Perché l'ho visto, ho visto il dolore nei tuoi occhi. Hai solo sofferto tanto» pronunciò a fior di labbra, rimasi sbigottito da quella onestà che risiedeva nella sua voce.
Emise uno sbadiglio delicato per poi stropicciarsi gli occhi, «Sembrano fare molto male» proseguì accarezzando i miei polsi lividi, scrollai le spalle scrutando il suo viso stanco «Riposati se vuoi, sto io sveglio» biascicai attendendo un riscontro.
Provavo difficoltà a dormire da sempre, di certo non mi avrebbe cambiato nulla una notte in più.
Le sue iridi si sciolsero con le mie, erano cristalline, di un azzurro limpido come il cielo in estate e mi bastava incontrarle per sentirmi più leggero.
«Ho paura di fare un altro incubo» la sua voce giunse alle mie orecchie lieve, quasi impercettibile «Sai, quando non riesco a dormire penso ad una melodia che risuona da sempre nella mia mente» con quelle parole catturai la sua attenzione, «Se vuoi posso provare a...» mormorai imbarazzato.
Ottenni immediatamente la sua approvazione, mi schiarii la voce percependo le guance avvampare «Vola libero su, nel cielo blu il piccolo usignolo, ma la sua mamma non trova più. Cerca dovunque impanicato, e quando la sua mamma ha ritrovato, si sente al sicuro e rasserenato...» conclusi insicuro abbassando lo sguardo, il suo viso era appoggiato al mio petto e le palpebre ricoprivano quelle pozze contenenti il mare.
Appoggiai il mento delicatamente sulla sua nuca, non mi spiegavo il suo atteggiamento così rasserenato al mio fianco e nemmeno il motivo per cui, riuscisse a far sentire in quel modo anche me.
Sospirai pensando che alle prime luci dell'alba avrei dovuto comunicare il piano ai ragazzi, senza essere certo di aver l'approvazione di tutti quanti.
Mancavano esattamente dieci tramonti al prossimo esperimento, il tempo a disposizione non era molto ormai per poter realizzare lo stratagemma: avrei dovuto conquistare la loro fiducia con ogni mezzo a disposizione.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro