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.17.

Il sangue scorreva tre le sue dita, mentre Minho invano scuoteva il suo migliore amico in preda al panico.
-No, no, NO! HYUNJIN-
Changbin spalancò la porta, allarmato dall'eco dello sparo, ed inorridì per quello che vide. Con gli occhi sbarrati, fissava il cadavere del suo padrone. Neanche per un attimo pensò che fosse stato Minho, per due motivi: il primo era che aveva imparato la lezione e sapeva che il ragazzo dai capelli viola era una persona troppo buona e troppo leale per agire in quel modo; il secondo era che il ragazzo in questione stava urlando dal dolore davanti a lui.
-Non puoi morire anche tu. Svegliati subito! Non puoi condannare Felix in questo modo, la persona che ami di più al mondo. Non puoi trascinarla nel baratro come hai fatto con me. Non è giusto, non è giusto. Sei un coglione-
Gridava e piangeva Minho, mentre le corde vocali lo imploravano di smetterla. Picchiava e scuoteva quel corpo, ormai senza anima e senza ricordi.
Alzò per un attimo lo sguardo su Changbin, notando che delle lacrime scivolavano silenziose anche sulle sue guance, per poi ritornare a fissare Hyunjin.
-Lo vedi? Sei una testa di cazzo, ma la gente che ti conosce davvero ti vuole bene. Piange pure il tuo maggiordomo, che tu hai sempre trattato come uno straccio. Pure lui ci tiene a te. Come ti permetti?-
Le parole di Minho, cariche di affetto, tristezza ed ira come le nuvole prima di una tempesta, si riversavano su Hyunjin, ma ormai non gli potevano più essere utili. Erano parole che Minho gli avrebbe voluto dire e ripetere e ripetere ancora fino a che il corvino non vi avrebbe creduto, ma da quel momento non ce ne sarebbe più stato tempo.

Hyunjin era nato sfortunato. I suoi genitori lo avevano amato, ma non gli avevano insegnato che anche ad altri era concesso il privilegio di amarlo con sincerità e che quello era un privilegio, non una vulnerabilità. Tante altre persone avrebbero potuto farlo, non solo mamma e papà, sangue del suo sangue: Hyunjin riteneva di non meritarlo, perché era una persona senza garanzie, come se per gli altri fosse fondamentale ricevere qualcosa in cambio.
Da sempre era solito confondere gli affari con l'affetto, pensando che fossero la stessa cosa, quando invece sono due cose completamente diverse. Anzi, è proprio quello il fulcro: si ama senza garanzie.
Chi era Hyunjin per Hyunjin stesso? Un ragazzo che era potente, era qualcuno, era l'orgoglio di suo padre solo perché faceva paura e, grazie a questo, la gente gli obbediva, eseguiva i suoi ordini, lo temeva. Oltre a quello non c'era nulla, era solo un fantoccio anonimo da buttare. Pensava che nessuno avrebbe apprezzato la sua compagnia, perché non aveva niente da offrire. Nessuno avrebbe tenuto davvero a lui, gli avrebbero sempre mentito tutti e prima o poi sarebbero andati via, lasciandolo da solo.
Aveva realizzato troppo tardi quanto Felix tenesse a lui e quanto Minho gli fosse leale, sempre dalla sua parte, anche rischiando la sua stessa vita per salvare chi poteva renderlo felice.
Aveva rapito centinaia di ragazze per l'onore, il compiacimento dei genitori, il dovere, l'abitudine.
Aveva drogato ed allontanato Felix per senso di protezione.
Aveva sparato ad Han per ferire Minho.
Aveva ucciso se stesso per fare del bene e vendicare il suo migliore amico.
Aveva fatto la cosa sbagliata per l'ennesima volta ed adesso il tempo per cambiare e rimediare non gli era più concesso.
Hyunjin era morto da spietato criminale ed al suo piccolo cuore non era stata permessa una singola parola.

-Non posso perdonarti, ma anche io ti voglio bene. Sei uno stronzo, uno stronzo! Lasci Felix ed i tuoi genitori ad agonizzare e non hai scontato la tua pena per avermi strappato Han. Dovevi imparare ad essere felice ed odiarti per non averlo concesso a me. Come osi andartene in questo modo?-
Changbin intervenne e lo allontanò dal corpo quando Minho ricominciò a colpirlo, con gli occhi da folle dipinti in faccia, e più si inzuppava nel suo sangue più piangeva e gridava ed impazziva.

EPILOGO
Felix dondolava sulla sua amaca colorata appesa tra due palme. La sabbia fine sotto di lui rifletteva la luce del sole, rendendo quasi difficile tenere gli occhi aperti.
Il ragazzo si riposava, con il venticello a scompigliargli delicatamente i capelli, le palme che ondeggiavano placide, il mare blu che accarezzava con reverenza la sabbia, ma il suo cuore era avvolto, come da tanto tempo a questa parte, da una fitta nube grigia.
Si godeva la sua splendida isola, diversi cani a fargli compagnia, la vita di campagna che gli riempiva le giornate, ma c'era qualcosa che mancava a quella paradisiaca vita.
Era come finire un puzzle da duemila pezzi per poi scoprire di averne smarrito uno: non ha importanza quanto stupendo sia il resto, quel buco, proprio lì al centro, rovina tutto e fa solo tanto rodere le viscere.
Hyunjin mancava come l'aria da cinque mesi, ma aveva scelto il suo destino, forse l'unica volta in cui aveva potuto fare qualcosa perché lo voleva lui e non qualcun'altro.
Non c'era motivo per sentirsi in colpa né per odiare Minho, il mondo o Dio. Era andata così e, per quanto potesse soffrire, Felix voleva guarire da quelle ferite, sebbene non avesse nessuna intenzione di dimenticare.
Avrebbe conservato tutti quei ricordi nel suo cuore.
-Ecco qui Felix. Omijacha con ghiaccio-
-Ti ringrazio Changbin- gli rispose con un sorriso, afferrando la bevanda e mettendosi a sedere per non rovesciarla.
Il ragazzone si adagiò sulla sabbia, ai suoi piedi.
-Perchè non ti siedi qui?- gli chiese Felix, battendo la mano sul posto accanto a sé.
-L'amaca si curverebbe troppo con il mio peso, saremmo troppo vicini-
-Mica ti mangio- ridacchiò il biondo.
Changbin gli fece un sorriso angelico. -Tu non mi mangi, ma io mi ubriacherei troppo della tua presenza e poi non risponderei della mia fame-
-In che senso?-
Changbin sbuffò per l'ingenuità del ragazzo. -Ti mangerei di baci...quindi magari evitiamo-
Felix abbassò lo sguardo, con un sorriso timido.
-Okay, adesso evitiamo- mormorò Felix.
Quando alzò lo sguardo, Changbin lo stava osservando con dolcezza. -Magari più avanti te lo richiederò-
Il moro annuì, con il cuore che gli batteva forte. -Aspetterò-
-Quando sarò pronto-
-Non ho fretta. Prenditi tutto il tempo che ti serve. Io sono sempre qui-

Secondo una poco conosciuta leggenda malese, un principe cinese, naufragato sulle coste del Borneo, fu soccorso dagli abitanti locali. Mentre riprendeva le forze, si innamorò di una delle donne di quel villaggio e la sposò. I due ebbero figli e vissero per diverso tempo felici, finché al principe non venne nostalgia di casa. Perciò chiese alla moglie il permesso di far visita all'imperatore cinese e le promise che, una volta tornato, avrebbe portato con sé in Cina lei ed i loro figli.
Quando, però, mise piede in patria, i genitori dapprima lo accolsero con gioia e poi gli negarono la possibilità di portare la donna ed i figli in Cina. Anzi, gli comunicarono di averlo già promesso ad una principessa di un regno vicino. L'uomo, che nutriva profondo rispetto verso imperatore ed imperatrice, non poté far altro che obbedire.
Nel frattempo, nel Borneo, sua moglie era ansiosa del suo ritorno e, non riuscendo ad avere la visuale del mare e del traffico marittimo, ogni mattina scalava la vetta del monte più alto per controllare l'orizzonte e riscendeva solo al tramonto per occuparsi dei figli. Sfortunatamente, un giorno si ammalò e morì di freddo sulla vetta.
Lo spirito della montagna, che l'aveva osservata per tutti quegli anni, rimase così colpito dalla lealtà della donna verso il marito che decise di trasformarla in pietra, con il viso rivolto verso il mare, affinché potesse continuare ammirarlo ed aspettare per l'eternità. Anche gli abitanti del villaggio, commossi dall'accaduto, decisero di chiamare il monte Kinabalu in sua memoria.
Quella vetta e quella pietra sono il simbolo di una lealtà esemplare e di un amore senza fine.
Minho si mise a scalare proprio quel monte: quante volte Han gli aveva raccontato quella leggenda, anche lui stupito, come gli abitanti del villaggio, di un sentimento così autentico.
A Minho costò molta fatica arrivare in cima, ma non tanto fisicamente: aveva giurato ad Han che ci sarebbero andati insieme e lui era lì da solo...
Diverse volte aveva pensato di tornare indietro, perché niente avrebbe avuto senso senza di lui, ma ogni volta la sua anima lo spingeva in avanti. Arrivato in cima, un moto di soddisfazione gli riempì il cuore, seppur con un retrogusto amaro.
Come la donna della leggenda, anche lui avrebbe voluto osservare il mare ed illudersi che Han fosse ancora là fuori e fosse solo in ritardo.
Il suo cellulare squillò e lui si apprestò a rispondere alla videochiamata.
-Hyung! Guarda che spettacolo- disse a Si Woo sorridendo, inquadrando poi il panorama.
-È stupendo, Minho! Chi se lo pensava che avresti scalato una montagna di 4000 metri-
-Infatti. Non ci credeva nessuno ed invece non vengo mai meno alle promesse-
-Mamma guarda- disse Si Woo, chiamando a gran voce la donna. -Guarda dov'è Minho. È salito sulla cima del monte Kinabalu-
-Sei coperto? Lassù farà freddo, non ti ammalare- si agitò la donna. Aveva perso un figlio, ma ne aveva acquistato un altro, anche se tutto ciò non leniva affatto quel dolore che sarebbe rimasto nel suo cuore.
-Tranquilla, eomma, ho il giubbino giusto. Non preoccuparti. Ammira bene- la esortò, inquadrando di nuovo il paesaggio.
-Bellissimo. Han lo avrebbe amato molto. Avrebbe disegnato ogni dettaglio per mesi-
La voce grave ed il sorriso spento furono difficili da ignorare per Minho, ma doveva essere forte anche per loro.
-Io non sono bravo come lui a disegnare, quind-
-No, tu fai proprio schifo a disegnare- lo interruppe Si Woo.
-Hyung! Zitto, non ti permettere, come se tu fossi meglio. Era Han l'artista, tu hai le capacità di un pesce rosso-
Tutti e tre si misero a ridere. Ormai Minho era davvero parte di quella famiglia: ne aveva sempre desiderata una vera ed adesso era felice di averla oltre che riconoscente, sebbene avrebbe voluto viverla appieno con un'altra persona.
-Dicevo, non sono bravo come lui a disegnare, ma scatterò per te mille foto, cosicché tu possa guardare questo panorama da ogni angolazione- le disse Minho con affetto.
-Ti ringrazio, figlio mio. Ci vediamo presto-
-Appena rientro, vengo a pranzo-
-Ti aspettiamo tutti-
-Ciao eomma. Ciao hyung-
-Stammi bene fratello-
Quella parola gli fece scaldare il cuore. Aveva sempre sognato che qualcuno lo chiamasse così, ma era sempre stato solo. Adesso, senza Han, quando si sentiva più solo che mai, c'era qualcuno disposto a stargli accanto senza remore e questo lo rendeva felice.
Aveva bisogno di loro, come loro di lui, per celebrare e tenere sempre vivo il ricordo di Han.
Una felicità a metà, che non sarebbe mai più stata piena, ma ormai ci conviveva con questo pensiero. Ci stava provando per il suo Han...ed anche un po' per se stesso.
Si sedette sul bordo del dirupo e prese dallo zaino un anello dorato, identico a quello che portava al collo. Li incrociò davanti a sé.
-Non ne abbiamo avuto l'occasione e lo so che è un po' stupido, ma non prendermi in giro da lassù- lo avvertì.
Guardò il cielo limpido, con solo qualche nuvoletta ad affacciarsi, e poi il mare che si perdeva nella foschia, gli alberi, il ponte di legno, il trifoglio sotto la sua scarpa.
Fece un profondo respiro prima di cominciare a parlare.
-Prometto di esserti fedele sempre, di amarti finché il cuore non cesserà di battere, di ringraziarti ogni giorno per questa seconda possibilità, nella gioia e nel dolore, perché io adesso sono qui solo grazie a te. Prometto di onorarti e di portarti con me in tutti i miei gesti, in ogni foto che scatterò, in ogni respiro. Prometto che proverò ad essere felice, anche se non sei qui. Con questo anello, suggello le mie promesse e mi lego a te per sempre.
Sappi che quando morirò, se mi sarà concesso, ti cercherò senza sosta e, quando ti troverò, ti ritroverai bloccato con me per l'eternità. Ti amo, pulce. Mi manchi-
Una lacrima gli rigò la guancia, mentre si infilava l'anello all'anulare sinistro.
Alzò lo sguardo e corrugò le sopracciglia, quando si accorse che nel cielo era comparsa una piccola nuvola a forma di cuore.

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