Capitolo 16 - Vicini al fronte
Baccara mise il caffè sul fuoco, attirando l'attenzione di Ostuni, ancora impegnato a montare la guardia al piano di sopra. Era appena l'alba ma Baccara si era stancata di rimanere sdraiata nel sacco a pelo fissando il soffitto nell'attesa di quell'interminabile notte.
Nessuno dei due aveva chiuso occhio, lei troppo turbata per i suoni atroci, simili a grida, che aveva udito con l'attivazione della macchina e lui al piano di sopra, impegnato a fare la guardia.
Baccara sentiva ancora nelle orecchie il lungo grido di agonia, un richiamo sinistro, proveniente da mondi distanti, universi ultraterreni in cui le energie della creazione confluivano, scorrendo a fiumi in attesa di essere richiamati dal ciclo naturale, di potersi trasformarsi in vita, elementi, pianeti, esseri materiali e immateriali, fatti sia di carne che di pietra.
- Sei già sveglia – sussurrò Ostuni, scendendo le scale, - mi fa piacere, mi stavo giusto annoiando.
- Non riuscivo a dormire – sorrise Baccara.
- È per le macchine che ci sono in cantina?
- Te ne sei accorto?
- Vorrei essere così perspicace, la verità è che mi ha avvertito Isamu durante il cambio della guardia, anche lui era molto turbato.
La caffettiera iniziò a bollire e Baccara la tolse dal fuoco, spegnendo il piccolo fornello elettrico da campo.
- Tu cosa ne pensi? - domandò Baccara, riempiendo due tazze.
- Io non le ho ancora viste, e Isamu ha detto che ne ha trovato solo un accenno tra i files dei vaticani. È tecnologia dell'apostata, qualcosa che supera il sapere vaticano.
Baccara guardò la botola, ora che se l'era trovata di fronte, capiva quanto la tecnologia dell'apostata potesse essere pericolosa e perché i vaticani erano intenzionati a combatterlo tanto strenuamente.
C'era qualcosa di sinistro in quelle macchine, qualcosa che le faceva pensare che l'energia a cui attingevano avrebbe inevitabilmente destabilizzato gli equilibri taumaturgici della regione, se non del pianeta intero.
Sorseggiarono il caffè in silenzio, attendendo che anche gli altri compagni si risvegliassero poi, dopo una frugale colazione, tutti insieme si diressero dagli strani macchinari.
- Quindi non ci capite niente neanche voi... - concluse Petrangola, terminata la spiegazione.
Baccara e Isamu fecero cenno di si con la testa.
- Siamo messi male ancora prima di arrivare – disse, rivolta a Ostuni.
- Questo probabilmente era un avamposto, prima della guerra, questa è roba che era sul campo di battaglia e che i vaticani conoscono sicuramente. Temo che "tutte" le informazioni che ti hanno dato non fossero effettivamente tutte.
- Oppure non ci hanno capito niente neanche loro – commentò Isamu, - il fatto che i vaticani siano potenti e incontrastabili alla fine è solo un luogo comune, esistono organizzazioni ed entità ben superiori sia come conoscenza che come capacità.
- Tipo? - domandò Petrangola.
- Tipo Volgott - rispose Isamu.
- In ogni caso non abbiamo tempo di fermarci a studiare bene queste cose, dobbiamo rinunciare... - disse Ostuni.
- Dacci un'ora – propose Isamu, - anzi, mezz'ora.
Petrangola guardò Isamu, poi Baccara: - E va bene, avete un'ora, ma cercate di portarmi dei risultati.
Isamu non perse tempo, prese i suoi attrezzi, che in realtà aveva già preparato, ed iniziò a cimentarsi sulle macchine per aprirne l'intelaiatura e poterne ammirare il funzionamento interno. Baccara invece prese il cubo. Per lei era chiara la funzione di quel cubo, riusciva a vedere, nella tinta unita dell'oggetto, segni e simboli opalescenti che reagivano al suo contatto. Erano piccole lettere dorate che si formavano, di volta in volta, in base a come o dove piazzasse le dita.
- Posso accenderlo? - domandò, mentre Isamu rimuoveva la copertura frontale di uno dei macchinari mettendo in mostra una serie di circuiti bianchi, grigi e argentei.
- Sì, certo, nessun problema – rispose, sedendosi per osservare meglio.
Baccara iniziò a manipolare il cubo, simboli e lettere si formavano sulla sua superficie, alcuni di difficile interpretazione, altri comuni e familiari al linguaggio taumaturgico della sua gente.
Il macchinario si riattivò, proiettando nell'aria una serie di simboli tridimensionali unito ad una riproduzione olografica delle campagne attorno a loro prima che la guerra iniziasse. L'edificio in cui erano era uno dei più grandi ed alti della zona, segno che aveva una qualche importanza strategica per i fattori, ed era segnato come "infinito".
- È una macchina divinatrice – disse Baccara, dopo averne studiato le proiezioni per almeno venti minuti.
- Che cosa? - domandò Isamu, togliendo la testa dall'interno della macchina.
Una macchina divinatrice, serve a predire il futuro, utilizza le energie di Tiferet e Malkhut. Aveva sicuramente un utilizzo agricolo, serviva a predire il tempo, a calcolare il periodo migliore per semina e raccolta, a stabilire le sementi migliori e a stimare la possibile produzione.
- Quindi è un'attrezzatura agricola.
- Spiegherebbe perché si trova qui, ma non spiega come dei semplici contadini siano in grado di manipolare una tecnologia così complessa.
- Anche Volgott nacque per divinare il futuro, forse non lo facevano loro direttamente, forse c'era un intermediario.
Baccara pensò che poteva essere una delle soluzioni.
- Che indice di affidabilità ha, secondo te?
- Essendo tecnologia taumaturgica direi vicino al 100%, ma non capisco bene come utilizzarla, non è una cosa che si vede tutti i giorni, i vaticanisti per primi se trovassero una cosa del genere la distruggerebbero.
- Io non penso – rispose Petrangola. Sedeva sulle scale della cantina, chissà da quanto tempo li stava osservando.
- La tecnologia è incredibilmente complessa - commentò Isamu, - questi schemi sono fatti di materiali preziosi, gemme, conduttori che non dovrebbero condurre energia eppure lo fanno. Mi ci vorrebbero anni per capire come funziona questa roba.
- Anni che noi, al momento, non abbiamo – rispose Petrangola, - avete fatto anche più di ciò che dovevate. Tra dieci minuti ripartiamo.
Abbandonarono la fattoria a metà mattinata, marciando sotto il sole, intenzionati a non riposare fino a sera.
Marciarono per le campagne spoglie, tenendosi lontani dalle tratte più trafficate ed osservando da lontano il costante flussi di uomini e mezzi da e per il fronte.
Verso metà giornata si udirono delle esplosioni provenire dalle montagne, era in corso un attacco o una qualche sorta di bombardamento.
Ostuni guardò spesso verso le cime dei monti, dove migliaia di soldati combattevano, calati in trincee umide e male odoranti, tra forti e cave in rovina. Da lì a poche ore sarebbero arrivati ai piedi di quei monti e nessuno voleva trovarsi in mezzo al fuoco incrociato dei due schieramenti.
Le esplosioni proseguirono per tutto il giorno, tingendo il cielo della sera di luci rosse e bagliori improvvisi, di proiettili veloci che, come lucciole supersoniche, correvano verso il cielo.
- Se le danno di santa ragione – commentò Ostuni, dopo una esplosione particolarmente rumorosa.
- Pensi che non riusciremo ad arrivare ai cunicoli? - domandò Petrangola.
Ostuni la guardò e scrollò le spalle.
Arrivarono ai piedi dei boschi più bassi che il sole era oramai tramontato da quasi un'ora. Ostuni propose di accamparsi ma Petrangola insistette per proseguire.
- Finché le truppe sono impegnate nell'assalto non troveremo problemi ad entrare nel passaggio – disse.
Ostuni dovette darle ragione e, anche se Baccara si sentiva sfinita, proseguirono.
- Se siete troppo stanchi utilizzate le nanomacchine – propose Ostuni.
Baccara finse di stare meglio, strinse i denti e proseguì in coda alla comitiva.
Passo dopo passo si avvicinavano al rumore di esplosioni e, di tanto in tanto, il vento portava stralci di grida, di ordini tuonati, di urla di dolore. Baccara vedeva la morte danzare nell'aria, la percepiva come percepiva le armonie delle aure sopra la montagna estinguersi, piombare nell'eterno silenzio della vacuità della morte.
Per una taumaturga come lei quei luoghi erano un inferno, assorbiva il male di quella guerra esattamente come una spugna, affaticandosi l'anima ancora di più del corpo.
- Tutto bene? - domandò una voce distante.
Baccara guardò il volto della persona che gli stava parlando e si rese conto di non poter vedere, il suo sguardo era avvolto da una nebbia rosso-rosa cangiante in cui i volti si scomponevano in lineamenti confusi, distanti.
Provò a rispondere, ma il suo corpo non volle rispondere, barcollò e cadde. Qualcuno la prese al volo, liberandola dello zaino. Si sentì sollevare verso l'alto, poi il tocco caldo della schiena di qualcuno sul petto. Chi era? Isamu? Ostuni?
Non importava. Era stanca, sentiva solo sofferenza, solo angoscia, solo paura, solo guerra, emozioni che la sfiancarono tanto da farla piombare in un sogno oscuro.
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