Capitolo 12 - L'ultima pianura
Un fazzoletto di terra brulla, imbruttita dai cigoli dei carri armati, dai piedi delle legioni, dalle voragini delle esplosioni.
Un'ultima striscia di terra, un'ultima pianura, una landa stuprata dall'orrore della guerra, intrisa di sangue, carica di pericoli.
Lo straniero marciava in quella landa già da qualche giorno, sempre vigile, meticoloso nel calcolare ogni singolo spostamento tra una macchia d'alberi devastata e l'alta, cercando di confondersi con il grigio di quei territori muovendosi di notte, giacendo ore nella propria coperta termica, immobile per non essere rilevato da alcun sensore termico.
Era un viaggio difficile, era il viaggio in cui sentiva la sua vita fosse da sempre destinata a convogliare.
Quel momento in particolare gli ricordava i giorni della sua giovinezza, quando lasciava i confini dei clan, quando disertava dalla sua stessa gente per cercare fortuna nel mondo. Certo ora i suoi muscoli avevano perso tono, vuoi per l'età, vuoi per la mancanza degli anabolizzanti dei clan, ma sentiva in se la stessa speranza giovanile che lo avevano spinto fuori dai territori dei suoi padri.
"Ho lasciato i clan, perché non dovrei lasciare anche i Vaticani. L'europa non è il mondo e oltre l'oceano, anche là si vocifera che ci sia gente. Forse anche l'Apostata conosceva quelle genti, forse aveva risanato le tecnologie marittime e vi commerciava pure."
Il mondo era grande, troppo persino per un vagabondo come lui, ma abbastanza per nasconderlo, per sfuggire alle spire dei vaticani, per scomparire, finalmente libero, in un paese nuovo.
Era la quarta notte che marciava nella tenebra, tenendo sempre d'occhio i fuochi dei bivacchi del fronte e tenendo l'orecchio sulle esplosioni dei mortai per paura di eventuali pattuglie equipaggiate di visori notturni, quando vide il fuoco di un bivacco comparire dal fitto della boscaglia.
"Un soldato solitario?" pensò lo straniero. "Magari qualcuno che ha perso la strada durante la marcia..."
Si avvicinò con cautela, cercando di non fare alcun rumore e più si avvicinava più sentiva una calda sensazione di sicurezza, o meglio un'inquietante sensazione di sicurezza, così sottile e innaturale in quel luogo ostile, in quel confine martoriato.
Scivolò all'interno della macchia in silenzio, cercando di controllare i suoi impulsi e i suoi desideri fino all'ultimo e non si sorprese nel vedere lo strano uomo, seduto di fronte alla fiamma rossastra del fuoco guardando in sua direzione come se lo attendesse.
- Benvenuto mio caro amico - disse l'uomo, facendo con la mano cenno di avvicinarsi.
Lo straniero entrò nel cerchio di luce delle fiamme e guardò attentamente l'uomo. Aveva la carnagione scura, tipica delle colonie del mediterraneo, anche se la forma delle sue labbra e l'altezza dei suoi zigomi ricordavano di più le popolazioni perdute dell'antica Farafra. Vestiva con abiti di pelle grezza decorati con ossa di animali e piume variopinte mentre sul volto aveva disegnato un teschio mentre altri segni gli decoravano il muscoloso petto nudo.
Lo straniero avrebbe voluto mettere mano alla pistola, forse avrebbe dovuto farlo, ma non vi riuscì, la mano rimase immobile. Ciò che si mosse fu il suo corpo, sospinto da quel senso indicibile di sicurezza, obbedendo all'invito di faccia da teschio che intanto aveva preso ad alimentare il fuoco con piccole ossa di animale che estraeva da un sacchetto.
- Ho atteso questo incontro da quando sono entrato in questa terra - disse l'uomo con un sorriso cordiale.
Lo straniero indicò la forgotten infilata nella sua gola e fece cenno che non poteva parlare.
L'uomo sorrise di nuovo e gli porse il collo.
Sorpreso, lo straniero si ritrovò ad obbedire, sfiorando il pomo d'adamo dell'uomo con due dita.
"Se sai perché me lo hai fatto fare?" domandò lo straniero.
- Perché questo fuoco arde solo per i veri amici - rispose faccia da teschio.
"Questo fuoco...?" pensò confuso guardando al centro del centro di pietre e solo in quel momento notò che non vi era alcun legno alla base del falò ma solo un pugno di ossa di animali, ossa bianche che si consumavano diventavano lentamente prima brace e poi carbone.
"Che cosa sei? Una specie di spirito?"
- Io sono Jash-ai, la tua gente chiamerebbe la mia "Camminatori delle praterie" e viviamo a sud, oltre i territori dei vaticani, quelli che voi chiamate territori selvaggi.
"Esiste gente lì?"
- Esiste gente ovunque, la superficie è più grande di quanto i Vaticani stessi possano immaginare.
"Quindi sei una specie di taumaturgo, come i prelati?"
Jash-ai mise un'altra manciata di ossa nel fuoco.
- Il mio popolo custodisce conoscenze simili ma differenti a quelle di cui vanno fieri i vaticani ma sì, possiamo dire che sono un taumaturgo.
Lo straniero ripensò al mondo come lo conosceva e faceva fatica a figurarsi dove fossero questi territori selvaggi e, anche se era l'ultima delle stranezze di quello strano conciliabolo, era quella che più lo affascinava.
"Cosa ci fai qui e cosa significa che mi hai chiamato?"
- Sto cercando mia sorella, ma mi è stato predetto che non sarò io a trovarla, ma il primo alleato che avrei trovato in questi territori, per questo da allora, ogni notte, ti ho chiamato con il mio fuoco, per questo ora stiamo parlando.
"Non è l'unica assurdità che mi sia capitata in questa vita ma perché proprio io?"
- Sei anche tu uno straniero in una terra straniera, un vagabondo alla ricerca di qualcosa, forse questo ci accomuna più di tutto. Poi entrambi custodiamo un grande potere - concluse, indicandogli la gola.
Lo straniero si toccò la forgotten. Croce e delizia. Benedizione e dannazione.
Quante volte gli aveva salvato la vita e quante vite erano state sacrificate per salvare la sua.
"Io non sono una brava persona" disse lo straniero.
- Nessuno di noi lo è, la natura umana è avversa alla perfezione - rispose, gettando altre ossa nel falò.
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