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Capitolo 2 - La piramide migrata nel tempo

Petrangola abbatteva un fungo dopo l'altro procedendo nel corridoio ingombro a passo spedito, incurante di ciò che la circondava, concentrata solo sulle escrescenze fungine che, come arbusti in una foresta, sembravano fare di tutto per ostruire il suo passaggio, forse custodendo qualcosa, un tesoro massimo che era il cuore di quella infestazione.
Sentiva il corpo pronto, scattante, irrorato di un'energia quasi divina, della voglia spasmodica di arrivare alla fine di quell'avventura, di consacrare il suo nome alla fiamma della scoperta, dell'esplorazione, dell'archeologia, di seguire il suo destino così come aveva fatto Trisac e gli altri suoi avi, prima di lei.
"Stavolta potrei veramente farlo tutto il giorno" pensava, procedendo a grandi passi in quel soffocante passaggio di spore, oscurità e calore senza stanchezza, come se non li sentisse, come se non gli pesasse. "Tutto il giorno, giuro, potrei farlo tutto il giorno".
I funghi cadevano, disgregandosi in nubi di spore violacee saettanti nell'angusta oscurità.
"Niente e nessuno può fermarci,saremo al bottino prima di accorgercene. Zio Trisac sarà orgoglioso di me".
I funghi cadevano e ricrescevano a un ritmo serrato, alimentati dall'umidità e dal calore soffocante si rigeneravano alle spalle di Petrangola a un ritmo sempre più serrato, rigenerandosi quasi con voracità, consumando il nuovo spazio lasciato da quelli appena abbattuti.
Petrangola quasi non vi faceva caso, concentrata com'era sull'aprirsi la strada, sul dimostrare allo Zio, a Kiloro e persino a Ostuni di che pasta era fatta.
Non era più una ragazzina, ora aveva sedici anni ed era pronta, secondo ciò che le aveva detto suo zio, a diventare una grande archeologa. Forse la più grande di tutti, forse persino superiore a Trisac.
Ebbra di quei sogni di gloria quasi non si accorse che il passaggio si stava allargando, aprendosi su una nuova più ampia camera che si elevava per decine di metri in altezza e almeno centinaia in lunghezza , uno spazio tanto grande che riusciva a definire solo grazie ai funghi, grossi occhi fluorescenti, che la osservavano dalle alte pareti e tra le stalattiti ricoperte di muschio, oramai geologicamente morte. Lo stillicidio però era continuo, non più causati dalle infiltrazioni ma dall'infestazione stessa che precipitava in una pioggia fluorescente aggregandosi in piccoli rivoli, pozzanghere di luce e stagni placidi, specchi lucenti nell'immensità irregolare del pavimento cavernoso. Sembrava una vallata sommersa nell'oscurità, in cui si specchiava un cielo sotterraneo sospeso sul baratro.
- Che posto meraviglioso! - esclamò, volgendosi. - Ora dove dobbiamo andare, Zio?
Fu solo in quel momento, con terrore, che si rese conto di essere rimasta sola, di aver proceduto così ebbra di quelle nuove traboccanti energie da dimenticare il resto della spedizione, i suoi compagni. 
Presa dal panico corse da dove era venuta ma la sua luce lampeggiò prima di spegnersi all'improvviso lasciandola sola e disorientata, incapace di individuare il punto da cui era venuta. 
Il cuore le si strinse nel petto mentre l'ansia la attanagliava dal bassoventre. 
"Sono rimasta sola", pianse. "Sola al centro della terra..."
Nell'oscurità, interrotta solo dalla bioluminescenza dei funghi, l'intero antro aveva assunto un aspetto inquietante e i funghi stavano diventando sinistri occhi alieni che si ingigantivano, allungandosi su di lei, osservandola, schiacciandola.
L'oscurità attorno divenne sempre più opprimente, gli occhi più vicini, la tenebra più schiacciante, il baratro stesso sembrò curvarsi su Petrangola pronto a inglobarla.
Cercò di sfuggire, di scappare, di muoversi, ma l'immensa vallata si era stretta in una sorta di caotico labirinto e ovunque si voltasse si vedeva la strada sbarrata da quegli occhi fluorescenti, sempre più grandi, sempre più vicini, sempre più vivi e terrorizzante. 
Il terrore la colpì alle gambe privandola di tute le forze, facendola crollare a terra incapace persino di gridare.
A un tratto si trovò sdraiata, schiacciata in un condotto infestato alto solo poche decine di centimetri, sepolta viva in un giaciglio di spugnosi funghi tossici che le avvolgevano il corpo, stringendoglisi sulle gambe, sul busto, sul petto.
Un grido si elevò dal basso, qualcosa le afferrò lo stivale, poi il polpaccio, il ginocchio, le cosce. Petrangola guardò in basso, lo stesso cadavere che l'aveva afferrata nei condotti ora le stava salendo addosso bucandole i pantaloni, strappandole la carne, urlando dalla tenebra con la bocca e le orbite vuote piene di funghi. 
Cercò il suo coltello, ma si rese conto che era praticamente nuda mentre un secondo cadavere la afferrava per le spalle avvicinando la bocca marcescente al suo collo, cercando forse di morderla, forse di sussurrarle qualcosa.
"Aiuto"

- Tutto ok Bambina? - la riscosse Trisac. 
Petrangola balzò a sedere, aveva i vestiti pregni di sudore, il cuore che batteva all'impazzata. Sentiva ancora le mani dell'essere esplorarle il corpo e ringraziò il cielo che si fosse trattato solo di un sogno.
- Hai fatto un incubo?
Petrangola guardò gli occhi stanchi e preoccupati del vecchio Zio.
"Chissà se i funghi possono crescere negli occhi umani?" fu la prima, strana, disorientata domanda che le venne in mente.
- Mi senti?
- Zio? - sorrise Petrangola, saltandogli al collo.
- Sì, sono qui.
- Ho fatto un incubo terribile Zio – singhiozzò.
- Va tutto bene, era solo un sogno – rispose Trisac, accarezzandole la testa - siamo ancora tutti qui con te, va tutto bene.
- Ti avevo detto che non era una buona idea portarla – commentò Kiloro. - La stiamo traumatizzando per nulla.
- Ti avevo detto che la discussione era chiusa.
- È giovane, sfido chiunque a rimanere sano di mente davanti a esperienze del genere – commentò Ostuni. - Anch'io mi sono cagato addosso quando quel coso è sbucato dal muro.
- Sì ma non c'è nessun problema, sono solo stanca, ora sto meglio, grazie – sorrise, asciugandosi le lacrime.
- Sicura? - domandò apprensivo lo zio.
- Sono pur sempre tua nipote, no?
- Degna erede dell'attività di famiglia – disse Trisac, accarezzandole la testa. - Sapevo che eri quella giusta.
- Sono pronta ad andare avanti.

La strada proseguiva fino a un'altra porta stagna, in un paesaggio immutabile e soffocante, appesantito delle tonnellate di roccia, pietra e terra che erano una presenza percepibile sopra la loro testa.
Questo nuovo corridoio sgombro aveva meno porte del precedente ma più slarghi, cartelli metallici nell'antica lingua dell'europa occidentale e curiose stanze, spazi simili a giardini in cui panchine circolari vigilavano su aiuole di terra marcia, strani macchinari rettangolari giacevano spenti ancorati alle pareti, vecchi acquari circolari dal fondo di povere secca e monitor scuri incastrati nelle pareti.
- Ci sono molti oggetti, qui – commentò Petrangola.
- Il fungo o la muffa devono avere un qualche tipo di effetto corrosivo su plastica e metalli sottili– ipotizzò Ostuni.
- O semplicemente non abbiamo visto niente perché tutto era coperto dalla biomassa – disse Trisac.
Svoltarono un paio di volte, cambiando sempre direzione in una marcia che sembrava più un girare intorno che un andare da qualche parte.
Da che erano entrati nel dedalo, a parte le due piccole colonie di Cuarte e Dallorca in cui si erano fermati approfittando della protezione dei Crociati, Petrangola non aveva visto altro che condotti e caverne. Anche lì non facevano che muoversi in spazi angusti, sollevando gli occhi solo sul buio, senza più alcuna concezione del giorno e della notte.
A Petrangola mancava il colore e l'immensità del cielo, la luce del sole, respirare l'aria fresca che dai monti spira verso le vallate dalle Alpi, vedere di nuovo i boschetti e i pascoli in cui giocava nella più tenera infanzia.
Petrangola iniziava a capire perché quel luogo si chiamasse Dedalo e provò a immaginare quante strade, vie, antri, condotti e caverne si ammassassero nel roccioso silenzio sopra la sua testa, poi pensò a tutti quelli che dovevano accumularsi ai suoi piedi estesi come una tela di ragno tra la roccia, un vero e proprio alveare umano di tenebra, funghi fluorescenti, gocciolante umidità, silenzio e morte. 
Ripensò al cadavere che l'aveva afferrata, al terrore, alle sue mani sul corpo, al sogno. Chissà quanti di loro giacevano in pose scomposte seppelliti solo dalla tenebra, chissà quanti di loro respiravano ancora.
Sulla superficie, quando la sera radunava tutta la famiglia attorno alla fiamma crepitante del camino e lo Zio raccontava delle mille avventure vissute da se stesso e dai suoi uomini era facile relegarle ad un'universo di pura immaginazione, un luogo sicuro in cui la sicurezza era data dal fatto che Trisac fosse lì, ora, impegnato a raccontare le sue avventure ai nipoti e questo stigmatizzava l'assurdità, l'orrore e l'eccezionalità di ciò che le sue parole raccontavano.
Ora invece. Ora invece erano reali, erano un incubo materiale, tangibile, capace di farle del male, di ucciderla, di trasformarla in un cadavere urlante alla ricerca d'aiuto, perché questo facevano, chiedevano aiuto, chiedevano qualcuno che ponesse fine alla loro eterna sofferenza. Solo ora capiva.

Arrivarono a un grande slargo circolare, una sorta di stanza da cui si dipanavano cinque corridoi sigillati da altrettante porte blindate. Al centro della stanza vi era una sorta di scrivania, circolare anch'essa, da cui pendevano schermi fissati al pilastro centrale. Petrangola immaginò che un tempo dovevano aver proiettato immagini e dati di oscuri esperimenti consultabili da scienziati e operatori oramai estinti da tempo. 
"Chissà che gente era quella del passato, chissà quali erano gli esperimenti che sono venuti a fare qui" si domandò Petrangola, cercando di ricordare tra le centinaia di racconti fatti dallo Zio quali si riferissero a La Piramide e quali no.
- Facciamo un'altra pausa – disse Trisac, estraendo il palmare.
- Perché continui a guardare quel coso, possibile che tu non sappia scegliere una strada senza consultare la mappa ogni 200 metri? - protestò Ostuni.
- La struttura è spostata. La voragine da cui siamo entrati non doveva essere lì, la cosa ci ha risparmiato un bel po' di strada ma l'inconveniente è che ora la struttura è tutta sballata.
- Cosa vuol dire che è tutta sballata?
- Che è sballata, spostata di lato. L'intera struttura è un reticolo di corridoi che conducono a laboratori, non possiamo andare a caso, non sappiamo cosa possiamo trovare.
- Quindi i funghi non sono l'unico pericolo di questo posto – commentò Petrangola.
- I sistemi d'allarme sono tarati per non eliminare gli esseri umani, ma non è mai detto, in più non si può sapere cosa si trovi in un laboratorio o in un container qui sotto, la maniera più sicura per muoversi è stare lontani da qualsiasi struttura principale tranne quella che ci interessa, in questo caso il blocco interno, quindi fino ad allora ho tutte le intenzioni di non visitare nulla che non sia strettamente necessario e di non risvegliare nulla che non si trovi per forza sul mio cammino – spiegò Trisac.
- Una strategia che io approvo appieno – disse Kiloro.
Ci fu un attimo di silenzio e per la prima volta Petrangola percepì la paura trasparire dalle parole di quei due veterani. Persino Kiloro, normalmente fredda e posata, dava segni divisibile disagio.
- Quindi avete già avuto altre esperienze del genere – indagò Ostuni.
Kiloro lanciò un'occhiata a Trisac,che stava consultando la mappa borbottando.
- Un paio, diciamo che non sono andate proprio benissimo.
- Questa andrà bene – commentò lo Zio, - non sono mai stato così preparato come stavolta.
Nessuno osò fargli notare che non aveva la più pallida idea di cosa fosse il fungo o come agisse, neppure Ostuni che avrebbe potuto approfittarne per prendersi una piccola rivalsa, su quel punto, ma più probabilmente doveva sentire anche lui il peso della profonda tensione che i due avevano cercato di mascherare fino a quel momento.


- Ci siamo, è la numero 5 – disse Trisac, alzandosi vittorioso.
Kiloro forzò l'ennesima porta dal quadro aperto e una ventata di aria fresca li investì carica di spore bluastre: i funghi stavano per tornare.
Stavolta. però, la biomassa non ostruiva più il passaggio, i funghi non erano più enormi, ingombranti e invasivi come quelli già affrontati, questi erano piccoli, friabili e appena luminosi, fragili esattamente come funghi normali. Anche la muffa sembrava non aver attecchito del tutto aggregandosi solo ai lati del passaggio, negli angoli, inerpicandosi appena sulle pareti ma lasciando tutto lo spazio necessario per camminare.
- Qui l'infestazione è più debole – valutò Trisac.
- È più freddo, magari è legato a quello – rispose Ostuni.
Kiloro richiuse la porta alle loro spalle e la spedizione proseguì in quel nuovo corridoio così familiare eppure così alieno consunto com'era dalla ruggine e dai segni del tempo.
- C'è una grande quantità di umidità – disse Kiloro, toccando la parete – però la parete è stranamente soffice, il metallo delle placche si è consunto.
- C'è un corso d'acqua, sentite questo scrosciare? - domandò Ostuni.
- Un'infiltrazione? Possibile che anche quella sia stata causata dalla spaccatura - valutò Trisac. - Andiamo a controllare, al limite torneremo indietro e cercheremo una seconda strada se il tutto è troppo pericoloso.
Avanzarono ancora per qualche decina di metri poi ogni loro dubbio trovò la sua risposta: il corridoio era troncato a metà in maniera netta aprendosi su un grande slargo oscuro, una grotta che a Pinnacora ricordò, in parte, la vallata sotterranea del suo sogno anche se lì stalattiti e stalagmiti erano stati sostituiti da gigantesche colonne di roccia squadrate che reggevano una volta vecchia di secoli.
- È una grotta naturale? - domandò Petrangola, quasi con un sospiro di sollievo.
Trisac estrasse il suo palmare: - No,no, no, no, no. Questo non dovrebbe esserci, io non capisco, ma...
- Posa quell'aggeggio e guarda bene – disse Kiloro, illuminando il centro della grotta. - Guarda bene.
Piccole aperture quadrate e regolari si aprivano sulle pareti artificialmente lisce dei pilastri squadrati rendendoli simili in tutto e per tutto ad alti palazzi congiunti, su più livelli, da ponti di pietra, corridoi coperti, piattaforme sospese sul quale germogliavano fitte colture di funghi luminescenti. Di fronte a loro, in quello che sembrava essere uno spazio aperto adibito a una qualche utilità, un fiume scrosciava da un'alta cascata passando in una rete di canali d'irrigazione regolari che si perdevano in vasche rettangolari. L'acqua in eccesso, invece, veniva convogliata più in basso dove una sorta di grosso lago artificiale sommergeva la grotta perdendosi, forse, in canali sotterranei che la conducevano ancora più in profondità. 
I funghi infestavano tutta quella zona, ma in modo sporadico, artigliandosi alle pareti delle primitive costruzioni in formazioni fitte, benché rare.
- Uno spazio di subterraformazione... - disse Trisac. - Questa è un'opera umana della seconda o terza era dedalica.
- Costruito proprio nel mezzo di una struttura de La Piramide? Come hanno fatto a commettere un errore tanto grossolano – concluse Kiloro, - non mi sorprenderebbe se i coloni fossero stati infettati dalla muffa e lasciati al loro destino.
- Che roba è? - domandò Ostuni.
- Una cittadella primitiva, una colonia morta del ventottesimo, forse anche trentesimo secolo – rispose Trisac, - magari minatori, magari una farm, forse il primo abbozzo di colonia.
- È una cosa importante? - domandò Petrangola.
- È una cosa per romantici – rispose Kiloro, finendo di assicurare la corda per scendere all'interno della colonia.
- Taci! - la zittì. - Maledetta cinica.
- All'epoca era tutto difettoso, le tecnologie di questi posti non valgono un fico secco. In più sono così primitivi e le loro coperture sono così scarse che di solito è impossibile trovare qualcosa di utile o decente.
- È vero – confermò Trisac, - ma è grazie a queste colonie se siamo sopravvissuti alla Catastrofe, quindi anche questi ritrovamenti meritano almeno un po' di rispetto – disse, guardando sottecchi Kiloro.
- Per me sei troppo romantico e basta – rispose, calandosi verso la cittadella.
Lo Zio Trisac la guardò scendere, si volse verso Petrangola e disse: - L'hai sentita quella? Bene, non diventare mai come lei.

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