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Capitolo 14 - L'arma dimenticata

Ostuni guardò Petrangola e Trisac, la ragazzina doveva aver subito un bello choc con quel bagno di fanghiglia putrida, ma almeno era viva, questo era l'importante.
Erano finiti in una grossa camera rettangolare, quello che doveva essere l'ingresso di un'altra area del grande complesso di laboratori. Al centro della stanza c'erano quelle che dovevano essere vecchie docce chimiche attraverso le quali bisognava passare per esplorare il resto del complesso. Il resto erano solo armadietti pieni di vecchi oggetti polverosi, quasi friabili tanto erano vecchi.
- Queste robe funzionano ancora – disse Kiloro, attivando una scarica di gas all'interno di una delle docce chimiche.
Ostuni chiuse l'armadietto che stava ispezionando e si diresse dalla donna.
- Sembra incredibile che possano funzionare ancora dopo tutto questo tempo.
- Le tecnologie di questi posti sono molto semplici e fatte per durare quasi in eterno – rispose Kiloro, accarezzando la superficie sporca della doccia chimica. - Comunque sono contenta che tu te la sia cavata, mi sarebbe dispiaciuto perdere un membro della spedizione.
Ostuni rise.
- Sono un osso duro, non basta un abominio per farmi fuori.
- Basta eccome – commentò Trisac, avvicinandosi ai due.
- Petrangola? - domandò Kiloro.
- Dorme – rispose. - Grazie ragazzo, se non fossi venuto a salvarci il culo avremmo perso la ragazza.
- Mi paghi per questo, no?
- Mi sembri stranamente rilassato per esserti fatto decine di chilometri da solo. È stato un viaggio tanto tranquillo?
Ostuni rise di nuovo.
- In realtà no, a un certo punto mi sono perso ed ho attraversato il centro della colonia.
- Com'era la situazione lì? - chiese Trisac.
- Un disastro – rispose, - era pieno di respiranti e funghi alti come alberi. Però dovrei aver fatto saltare tutto, almeno ci troveremo una colonia più "pulita" per il nostro ritorno.
- Non avevo intenzione di tornare per quella strada, ma vista la quantità di imprevisti che stiamo affrontando non mi sento di darti torto, è un bene che tu abbia trovato un altro accesso per l'interno della base da quella direzione. 
Ostuni rimase qualche istante interdetto, non ricordava precisamente come era arrivato di fronte alla porta blindata del laboratorio né come avesse fatto ad aprirla. I suoi ricordi, dopo il centro della colonia, erano confusi.
- Tra l'altro, ho bisogno di un po' di cariche di nanomacchine – disse, controllandone la quantità sull'orologio. - Ne ho consumate parecchie combattendo.
- Nessun problema – rispose Kiloro, andando a recuperarle dal proprio zaino.
- Come hai intenzione di proseguire? - domandò Ostuni, una volta rimasto solo con Trisac.
- Siamo vicini ma su tutt'altra strada – rispose. - Ora che abbiamo attivato non so quanti sistemi di allarme non possiamo che proseguire e sperare di sopravvivere fino in fondo.
- Non avevi detto che i sistemi di sicurezza non si attivavano per gli umani? 
- Ho detto che in genere non lo fanno, anche se effettivamente è una cosa strana, forse è perché siamo ricoperti di questo liquido fetente - concluse.
- Hai spiegato alle ragazze ciò che stiamo cercando? - domandò il soldato. 
Trisac lo guardò con aria meditabonda. 
- Perché non vuoi essere sincero con loro? Cosa c'è che non vuoi che sappiano?
- Ho le mie ragioni - rispose Trisac, - ma forse hai ragione, forse avrei dovuto essere sincero fin dall'inizio anche con loro - disse, dirigendosi verso le due.  
Ostuni lo seguì, Kiloro e Pietrangola stavano discutendo, l'una in ginocchio e l'altra seduta, la flebo nel braccio e la pelle pallida, smunta.
- Tutto bene? - domandò Trisac, rivolto soprattutto alla nipote.
- Sì, sì, tutto ok – farfugliò Pietrangola, cercando di rimettersi in piedi.
- Riposeremo ancora un po' non preoccuparti, qui siamo al sicuro – disse Trisac.
Ostuni attese qualche istante, poi gli diede un colpo sull'avambraccio.
Trisac lo guardò.
- Va bene - disse, con un sospiro. - Ostuni mi ha fatto notare che non vi ho ancora detto nulla sull'obiettivo – tutti annuirono, - quindi direi che è meglio spiegare a tutti per non dovermi ripetere. Il nostro obiettivo è un'arma, un'arma posseduta da un grande eroe dimenticato e che morì proprio qui sotto, probabilmente infettato dalle stesse spore che abbiamo incontrato.
- Quello di cui parlavano i respiranti della colonia? - domandò Petrangola.
Trisac fece cenno di sì con la testa.
- In realtà non immaginavo che questo eroe avesse avuto a che fare con la colonia, ma a quanto pare... - sollevò le spalle. - Quest'arma non è un'arma regolare e non è stata costruita da La Piramide, le sue origini sono differenti, più recenti. Fa parte di un set di armi leggendarie forgiate da Conclave all'interno del dedalo...
- Conclave? - domandò Kiloro. - Praticamente è mitologia guerriera, non è mai esistita un'organizzazione del genere.
- è esistita eccome, solo che gente come te è troppo ottusa per dare credito alle leggende dedaliche. Sono loro che ci hanno commissionato questa spedizione – rispose Trisac, - o meglio, la commissionarono a mio padre.
- Nonno Belot? - domandò Petrangola.
- Proprio lui – rispose Trisac, - fu grazie a loro se il mio vecchio gettò le basi della Villa di granito.
- Non ha senso, ci hai fatto venire qui sotto in base a una commissione presa da tuo padre? - domandò Kiloro, esterrefatta – Una spedizione per cui tra l'altro ha già incassato qualcun'altro un secolo fa.
- La vera ricompensa arriverà quando riusciremo a ricostruire il set completo, e fino ad allora potremo utilizzare le armi a nostro vantaggio.
- Non posso credere che sto rischiando la pelle per una stronzata simile – protestò Kiloro.
- Che tipo di armi sono? - domandò Kiloro.
- Le cronache parlano di armi tecnologicamente superiori attribuite come premio ai migliori guerrieri di Conclave. Non si sa' molto di più. Questa dovrebbe essere una specie di guanto che aumenta la potenza del guerriero che la indossa, poi ve ne è un'altra che è in grado di confondere i pensieri dei nemici ed un'altra è in grado di plasmare la tenebra per sfruttarla in battaglia. Delle ultime quattro non so' nulla.
- Perfetto, quindi non siamo neanche sicuri che esistano veramente! - sbuffò Kiloro.
- Si chiamano forgotten per un motivo – ribattè Trisac. - Questo è tutto.
- Ah, vaffanculo! - esclamò Kiloro. - Vecchio pazzo incosciente che non sei altro, ci hai portato qui a morire per la tua ennesima stronzata da credulone idealista.
Ostuni ridacchiò.
 - A me sta bene.
- Lo credo che ti sta bene, tu il compenso l'hai già intascato prima di partire – concluse Kiloro, allontanandosi in un fiume di bestemmie.
Ostuni la guardò allontanarsi e quando si voltò vide che Trisac lo stava studiando attentamente.
- Che c'è? - domandò.
- Sei decisamente troppo rilassato – mormorò.
- Forse quest'avventura solitaria ci è servita a scioglierci.
- Ci?
Ostuni rise.
- Scusa, ho parlato pertutto il tempo da solo, sai, per superare la tensione.
- Giusto – rispose. - Mi fa piacere che finalmente sei diventato un uomo – commentò, dandogli una pacca sulla spalla. Ora fatti queste nanomacchine e riposa mezz'ora anche tu, io e Kiloro controlleremo che quei cosi non entrino a disturbare.
Trisac si alzò, lasciandolo solo con Petrangola, ripiombata nel sonno a metà di quella discussione. Preparò le quattro iniezioni di nanomacchine e guardò di nuovo l'orologio con un filo di inquietudine.
Il display segnava 10. Una in più di quelle che segnava alla sua partenza dall'anfiteatro sotterraneo.
Rimase qualche istante a fissare quel numero imbambolato, poi decise che probabilmente era solo un difetto dell'orologio, che forse non aveva calcolato bene il quantitativo di nanomacchine iniettate all'epoca, si scoprì il braccio, disinfettò ed iniziò con le sue iniezioni.



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