Ventuno
"La verità trionfa sempre da sola, la menzogna ha sempre bisogno di complici."
-George Orwell.
Dormire. Avete idea di quanto sia bello doverlo fare senza essere interrotti? Io no. Ogni volta che provo a riposare decentemente, c'è sempre qualcuno pronto ad interrompermi. Tipo adesso, che il cellulare suona insistentemente da più di un'ora. Considerando che sono le cinque del mattino, la cosa si rivela essere assai preoccupante. Allungo la mano verso il comodino, tastando su di esso per ritrovare il mio tanto amato cellulare. Lo acchiappo senza pensarci e rispondo, sbadigliando.
«Mh, sì?» borbotto a bassa voce, cercando di sembrare più sveglia possibile.
«Sophie Cooper! È un piacere poterti conoscere.» una voce praticamente sconosciuta e femminile, parla dall'altro lato del telefono, facendomi accigliare. Lo sposto dall'orecchio per leggere il numero, ma ciò che vedo è semplicemente "Sconosciuto".
«Chi parla?» chiedo assonnata, mettendomi a sedere sul letto.
«Oh, non importa. Voglio farti una domanda. Sei sicura di conoscere bene Nathan Coleman?» chiede con tono divertito.
Mi gratto il capo e annuisco, sospirando. «Credo di sì, certo.» sussurro.
La sento ridacchiare. Una risata perfida e decisamente poco rassicurante. «Allora non ti stupirai di vedere ciò che farà stasera alle undici, al Saint Martin. Conto nella tua presenza.» riattacca. Rimango a fissare lo schermo con aria confusa. Chi era quella donna? Cosa voleva da me? Sbadiglio e mi alzo dal letto, scossa. È ancora presto per andare a scuola, ma posso assicuravi che quella telefonata mi ha fatto passare il sonno. Trascino i piedi fino alla cucina, l'unica cosa positiva di essermi svegliata così presto è il fatto che posso almeno sistemarmi con calma. È passata esattamente una settimana dal ballo, con Nathan le cose vanno più che bene, anche se siamo ancora in fase "ni".
Onestamente, non gli do tutti i torti. Dover sopportare mio padre non è facile, e mettersi con me significa dover avere una grande pazienza. Io sono disposta a lottare, sul serio, ma lui? Dirlo è diverso che farlo, questo è più che evidente. Non ci rimarrei male se mi dicesse di non riuscire più a reggere la situazione. Lo capirei e mi congratulerei lo stesso con lui, per averci almeno provato.
Apro la dispensa, prendendo un pacco di biscotti e dirigendomi al frigo, così da poter prendere il succo d'arancia. Il fatto di sentirmi degli occhi addosso, alle cinque e mezza del mattino, quando chi abita questa casa tecnicamente dorme, devo dirvi che è piuttosto inquietante. Sento qualcuno schiarirsi la voce, il cartone di succo si riversa sul pavimento con un tonfo, facendo schizzare il liquido dappertutto.
«Non volevo spaventarti.» ammette Ethan ridacchiando e venendo verso di me.
Faccio una smorfia, annuendo e cercando di riparare al danno, mentre il migliore amico di mio fratello si inginocchia al mio fianco per aiutarmi. «Cristo, Ethan. Ero seriamente a rischio di un infarto. Che ci fai sveglio a quest'ora?» sbuffo, passando uno straccio sul pavimento.
Fa spallucce, girandosi per sedersi e appoggiare la schiena sul mobile. «Non ho dormito, il che è diverso.» sussurra, osservando davanti a sé.
Gli rivolgo uno sguardo veloce, annuendo. «Problemi?» chiedo rialzandomi e andando verso il lavandino per lavarmi le mani.
Lo sento sospirare pesantemente e quando mi volto, lo vedo con la testa tra le mani e il capo chino verso il pavimento. «Ho conosciuto una ragazza, lì a Parigi. Credevo che fosse quella perfetta, ma da quando sono tornato qui in America non è più come prima. So che la distanza può essere un fattore scatenante, ma se tu ami una persona cerchi di sorvolare, no?» borbotta tristemente.
Getto un profondo respiro e mi siedo al suo fianco, appoggiandogli una mano sulla spalla. «A volte non si è abbastanza forti per reggere questo peso. Il contatto fisico, specie una relazione, credo sia essenziale. Per quanto ne sappia io, ovviamente. Hai provato a farle presente ciò che ti turba?» domando con dolcezza, accarezzando la sua spalla.
Scuote la testa, mordicchiando il labbro. «No, non proprio. Diciamo che ho paura che lei possa lasciarmi o tirare fuori l'argomento della distanza. Mi frena parecchio, l'idea che possa andarsene per sempre.»
Faccio un sorriso debole, annuendo. «Per quanto la mia situazione sia estremamente diversa, posso capirlo. Ma vedi, non deve essere questo a farti paura, ma il fatto che tu non sappia sul serio che cosa succede. Molto spesso tendiamo a tirare troppo la corda per paura che si spezzi, ma dovremmo tener conto anche delle ferite che ci procuriamo tenendola stretta.»
Ethan alza lo sguardo verso di me, sospirando e facendo un mezzo sorriso. «Hai ragione, domani le parlerò, grazie mille. Tu perché sei sveglia così presto?» chiede curioso, accigliandosi.
Faccio spallucce, mordicchiando il labbro e passandomi una mano sul viso. «Ho ricevuto una chiamata parecchio strana, a dire il vero.» ammetto appoggiando la testa alla sua spalla, fa un verso di assenso che nel nostro linguaggio significa "raccontami", così lo faccio, senza tralasciare alcun dettaglio.
«Beh, io direi di non andare. Mi sembra una provocazione bella e buona. Magari è qualche sua ex.» sussurra accarezzandomi i capelli.
Faccio una smorfia ed emetto un verso confuso, sospirando. «Anche io non avevo intenzione di andare, comunque. Volevo capire perché proprio io, però. Ci sono molte ragazze a cui chiamare.» borbotto.
Ethan ridacchia dolcemente, continuando ad accarezzarmi i capelli. «Chi è la sua quasi fidanzata, in questo preciso istante? Dai, vai a riposarti, non permettere a nessuno di rovinare il vostro momento.»
Il computer acceso al mio fianco sta dando in riproduzione Snatch, una delle mie serie preferite. La tazza fumante di tè mi sta donando il giusto relax che ci vuole per affrontare la giornata, e infine il mio muffin mattutino mi permette di stare meglio. Sono le sei del mattino, Daisy è deserto se non fosse per me e la proprietaria. La luce che filtra dalle vetrate è soffusa, mentre l'immensa insegna luminosa sembra dare un po' di luce a questa mattinata uggiosa e decisamente fredda. Questo è la pace dei sensi, lo dico sul serio. Mi piace stare qui, adoro questo posto, mi sento a casa.
Sento la campanellina della porta aprirsi, così alzo lo sguardo per osservare. Nathan sta appena entrando, il volto stanco, i capelli fuori posto e gli abiti decisamente messi male. La felpa che porta è leggermente strappata, il jeans è sporco di terra e la giacca che ha le spalle sembra essere bagnata. Si siede al bancone, mettendo le braccia su di esso e appoggiandoci la testa, per poi fare un lungo sospiro. Cerco di non farmi notare e tolgo una cuffia, intenta a capire.
«Nathan, tesoro, hai una brutta cera!» Daisy gli accarezza i capelli, mentre il ragazzo alza il capo con aria decisamente stravolta.
«Sono stanco, non ce la faccio più. Puoi farmi un'intera brocca di caffè bollente? Credo di averne bisogno.» sospira, tamburellando le dita sul bancone.
La donna lo guarda tristemente, annuendo e voltandosi per preparare il caffè. «Problemi con Sophie?» domanda, trafficando con la macchina.
Il ragazzo aggrotta la fronte, scuotendo poi la testa. «Credo che lei sia l'unica buona in questo bordello, cara amica mia.»
Sorrido enormemente e mi schiarisco la voce, attirando la sua attenzione. Nathan si volta di scatto, sorridendomi e guardandomi poi confuso. Si avvicina, chiudendo il mio laptop e squadrandomi da capo a piedi. «Okay, Muffin, perché sei qui alle sei del mattino?» domanda.
Faccio spallucce, portando una mano sul suo viso e accarezzandolo. «Le mie solite notti insonni, nulla di particolare. Ti pensavo.» sussurro.
Sorride enormemente, prendendomi il viso tra le mani. «Anche io.» dice dandomi un bacio dolce e lungo. Mi stacco, incastrando i miei occhi azzurri nei suoi verdi, arricciando il naso.
«C'è qualcosa che devi dirmi, Caffè?» chiedo, attorcigliando un dito sulla punta del suo ciuffo.
«No, perché?» domanda curioso, guardandomi.
«Nulla tesoro, nulla.» dico poggiando le mie labbra sulle sue, baciandolo in modo casto.
Daisy serve il suo caffè bollente, così il ragazzo ne prende un sorso e chiude gli occhi, facendo un profondo respiro. «Credo di scoppiare.» sussurra, passandosi una mano sul viso.
Aggrotto la fronte, prendendogli la mano. «È successo qualcosa?» chiedo dolcemente, accarezzandogli il dorso con le dita.
Scuote la testa, sospirando. «No, non proprio. Sono solo stanco. Appena tutto sarà tornato alla normalità, giuro di venirti a prendere. Ce ne andiamo in giro per il mondo, io e te. Senza nessuno che ci dica cosa fare, lasciandoci i problemi alle spalle.» mordicchia il labbro.
Faccio un mezzo sorriso triste, guardando il suo viso rilassato e con ancora gli occhi chiusi. «Caffè, lo sai che non possiamo...» dico a bassa voce, guardando le nostre mani unite.
«Non possiamo? Chi te l'ha detto, tuo padre? Giuro che ti porto via da questo casino, da questa città, da questa gente. Ti porto via da tutto. Tu meriti di più. Noi lo meritiamo.» dice serio, accarezzando la mia mano.
Il resto del tempo passato alla tavola calda, l'occupiamo guardando un film insieme sul mio pc. Abbiamo scelto un comico, in fin dei conti avevamo entrambi bisogno di rilassarci un po'. Adesso sono le sette del mattino, ciò significa che il posto si sta riempiendo di studenti assonnati e con poca voglia di vivere. Ryan e Addison stanno letteralmente trascinando i piedi verso il nostro tavolo. Il moro sembra solo assonnato, il biondo invece sembra che voglia uccidersi.
«Latino, verifica, prima ora.» borbotta Ryan strisciando al mio fianco.
Spalanco gli occhi, battendo la testa sul tavolo ripetutamente. «Scusa, tu me lo dici solo adesso? Io non ho aperto neanche un libro di latino!» piagnucolo, mentre Nathan ridacchia e sbadiglia subito dopo.
Addison beve il suo milkshake con aria assorta, lanciandomi occhiate strane ogni tanto. «Red, tutto bene?» domanda.
Annuisco, guardando Nathan che si è praticamente messo comodamente nella panca. «Sono solo un po' stanca.» borbotto mangiando il... terzo? Quarto muffin? Non lo so, credo di aver perso il conto.
Il moro annuisce, facendo spallucce. «Oggi si prospetta una giornata di merda. Voglio crepare.» sussurra.
Nathan alza un sopracciglio, facendo una smorfia. «Addy, non davanti a noi, grazie. Non voglio essere testimone di un suicidio.» replica scocciato.
Spalanco la bocca, scoppiando poi a ridere, insieme a Ryan, mentre Addison rimane praticamente scioccato. «Certo che sei proprio gentile, eh.» scuoto il capo, pizzicandogli una guancia.
Ridacchia. «Ehi, o sono gentile o sono figo. Essendo che madre natura mi ha dato l'ultima qualità, non credo di poter dare di più. Non posso essere tutto, altrimenti sarei perfett... ah, no, quello lo sono già.» fa l'occhiolino, gonfiandosi il petto.
Addison scuote la testa, facendo una lieve risata. «Ti amiamo così come sei, Nat.» sussurra divertito.
Ryan balza in piedi, passandosi una mano tra i capelli. «Ci conviene andare a scuola, almeno abbiamo il tempo di passare in biblioteca per studiare un po'. Altrimenti ci becchiamo una F e tanti cari saluti.» dice sorridendo a Max che ha appena fatto il suo ingresso con Maddison e Den.
Faccio una smorfia contrariata e mi alzo, sospirando. «Io mi uccido.» ruoto gli occhi.
Nathan incrocia le braccia, stirando le gambe. «Magari anche tu per i cazzi tuoi.» mi prende in giro, per poi alzarsi e stiracchiarsi per bene. «Vi do uno strappo, così vado a casa a dormire. Mi sento un cadavere.»
Gli do un leggero schiaffetto sulla spalla, fingendomi offesa. «Vorresti dirmi che se morissi non ti mancherei?»
Scoppia a ridere, scuotendo la testa. «Ovvio che mi mancheresti, come Addison. Stavo solo scherzando. Andiamo?» sbuffa.
Saluto i miei amici, abbracciandoli stretti, mentre Maddison si lamenta che stiamo già andando via. «Non è giusto, io volevo fare colazione tutti insieme!» si lamenta, incrociando le braccia.
«Io e Sophie mangiamo da tipo le sei di stamattina. Credo di aver fatto la colazione più lunga del secolo. Tu mangia e fila dritta a scuola, chiaro?» Nathan punta il dito contro la sorella, mentre lei si acciglia.
«D'accordo capo, ma calmati. Il caffè ti fa male.» replica scocciata.
Lo tiro dal braccio e rivolgo un sorriso a Max, che mi sta guardando ammiccante. Emerito idiota, pensa sempre male. Però lo amo, dopotutto io e lui ci capiamo solo con lo sguardo.
La sera è arrivata talmente presto che non mi sono neanche resa conto di come sia andata questa giornata. Sono a testa in giù, sul letto, che sto fissando l'orario sul telefono con aria annoiata.
Le dieci.
Stranamente, per quanto abbia cercato di non pensarci, ho la mente fissa alla chiamata di questa mattina. Non avevo alcuna intenzione di andare, sul serio. Ma adesso sento come se dovessi, come se ci fosse qualcosa di assolutamente importante che devo sapere. Digito il numero di Denis, osservando il soffitto con aria assorta. Giuro che se non risponde nemmeno stavolta, come minimo lo faccio fritto.
«Ehi, bella rossa! Dimmi tutto.» ha una voce allegra e, a giudicare dal rumore assordante dall'altro lato, è sicuramente a una festa.
«Sei ubriaco, Den?» domando divertita, disegnando in aria degli strani cerchi con le mani.
«Che? No, no. Sono un attimo passato alla festa di Justin, giusto perché glielo avevo promesso. Come mai mi chiami a quest'ora? Non è da te, a meno che tu non debba dirmi uno scoop di quelli pazzeschi.» ridacchia, allontanandosi dalla musica assordante, vista la calma improvvisa.
Sospiro, mordicchiando il labbro. «Puoi passarmi a prendere?» chiedo incerta.
Il ragazzo rimane per un attimo in silenzio, poi fa un verso strano. «Per andare dove? Tuo padre non ti ammazza?» sussurra.
«Al Saint Martin.» dico di colpo, preparandomi già alla miriade di domande.
«Il Saint Martin a quest'ora non è posto per te. Perché vuoi andare lì?» domanda.
«Ti spiego tutto appena arrivi. Non fare tardi, okay? Dobbiamo essere lì per le undici.» riattacco, alzandomi dal letto per togliermi il pigiama. Prima cosa da fare: vestirmi. La seconda... beh, quella è più complicata. Dovrei inventare una balla colossale a mio padre per far sì che mi permetta di uscire alle dieci di sera. Mi fisso allo specchio, chiudendo gli occhi e facendo un profondo respiro. Forza, Sophie, da quando c'è Nathan nella tua vita sei diventata bravissima ad inventare cazzate.
Metto una felpa e un paio di jeans, per poi legare i capelli in una coda. Scendo di fretta le scale, raggiungendo il salotto dove mio padre, mio fratello ed Ethan, stanno guardando il football. Perfetto, quando guarda le partite si rilassa parecchio, e pur di continuare a vederle senza intoppi, si convince facilmente. Mi siedo al suo fianco, facendo un piccolo sorriso finto, mentre lui abbassa il volume della televisione. Benedette pubblicità, almeno mi dà retta.
«Cosa ti serve, tesoro?» mi chiede curioso, osservandomi da capo a piedi. Sì, padre, non ho il pigiama e ti sto per chiedere di uscire.
«Sai, papà, è una bella serata e per qualche strana coincidenza Denis mi ha detto che si trova nei paraggi...» sussurro vaga, schiarendomi la voce.
Alza un sopracciglio, bevendo un po' della sua birra rigorosamente al limone. «Ah, Denis! Caro ragazzo, non lo vedo da un po'. Potresti invitarlo qui, magari passate un po' di tempo insieme.» mi sorride.
No, aspetta. Forse non hai capito il concetto, riproviamo. «Veramente, beh, lui voleva che io sì, insomma... andassi a fare un giro con lui. Giuro di non metterci molto, per mezzanotte massimo sarò a casa.» mi giro i pollici, mordicchiando il labbro.
Lo sento sospirare pesantemente, il che non è un buon segno. Ethan e Isaac sono immobili, pronti magari alle sue sfuriate madornali. «Sei sicura che sia Denis e non Nathan?» replica serio.
Ah, ecco qual era il suo problema. Ruoto gli occhi, scuotendo la testa. «No, appena viene puoi benissimo uscire a controllare. Ti ho già detto che io e Nathan non ci parliamo più, ormai.» sbuffo. Cazzata del secolo, ma tanto ha retto benissimo per un sacco di tempo, perché non dovrebbe farlo adesso?
«Okay, allora, divertiti.» sorride. Ah, così facile? Io pensavo fosse un'impresa titanica.
Gli do il mio solito abbraccio da leccaculo e corro fuori, sentendo il clacson di Denis che mi sta letteralmente spaccando i timpani.
Dieci e trenta.
Se siamo fortunati, per le undici meno un quarto saremo già appostati nella piazza principale del quartiere.
Salgo in macchina, salutando il mio amico con un enorme bacio in guancia e mettendo le cinture di sicurezza. «Sicuro che per te non sia un problema tornare lì, vero?» chiedo.
Il ragazzo scuote la testa. «No, ho ripulito i miei debiti. Non so come ma Nathan mi ha concesso la libertà, per cui adesso non devo niente a quella gente. Ma tu, piuttosto, perché vuoi andarci?» mi lancia una veloce occhiata, prima di mettere in moto.
«Stamattina, circa alle cinque, ho ricevuto una chiamata da un numero sconosciuto. Era una ragazza. Parlava a proposito di Nathan, dicendomi se sono sicura di conoscerlo bene e quando ho detto di sì, mi ha detto di vederci al Saint Martin alle undici di stasera.» spiego velocemente, appoggiando i piedi sul cruscotto.
Mi guarda male, sbuffando. «Scendi quei cazzo di piedi.» mi rimprovera, per poi riguardare la strada. «In ogni caso, non credi che sia tempo perso? Secondo me ti voleva solo provocare o impaurire. Magari arriveremo lì e ciò che troveremo saranno i classici ragazzi che spacciano la droga.» fa spallucce.
Annuisco, appoggiando la testa sul sedile. «Sì, ma io mi tormento da tutto il giorno e ho bisogno di averne la certezza, capisci?»
«Certo. Ma non sarebbe stato meglio parlarne con Nat anziché raggiungere il quartiere?» domanda con fare ovvio.
Faccio una smorfia. «Ma dimmi un po', se tu nascondessi qualcosa a qualcuno e proprio quel qualcuno ti chiede di dirglielo, lo faresti?» borbotto.
«Beh, in effetti...» sussurra, fermandosi alla tanto famosa piazza del Saint Martin, la Golden Square. Posso assicuravi, che di dorato non ha nulla. È malandata, piena di graffiti e oltretutto è frequentata da gente poco onesta. Mi chiedo perché mi abbia dato appuntamento qui e non in un bar, come le persone normali. Scendiamo dall'auto, guardandoci intorno. Ci sono i soliti ragazzi abituali del posto, il chioschetto all'angolo della strada è ancora aperto, con la sua insegna a intermittenza decisamente inquietante.
Sono le undici e cinque, e tutto tace.
«Hai visto? Nessuno ti stava aspettando. Dai, andiamocene da qui, non mi piace che tu stia per molto tempo in un posto del genere.» dice prendendomi per il braccio. Sento le gambe molli e una sensazione decisamente strana. Scuoto la testa, risoluta, avanzando verso il gruppo di ragazza davanti a noi. «Soph, dove diamine stai andando?» dice sorpreso, venendomi dietro.
Mi blocco a metà tragitto, sbiancando notevolmente e appoggiando la mano su un manubrio nero. «Questa è la moto di Nathan. È qui.» dico seria, guardando il mezzo ripetutamente, come se potesse dirmi qualcosa.
Denis si passa una mano sui ricci scuri, sospirando. «Dai, andiamocene. Non mi piace l'aria che tira, ho un brutto presentimento.» sussurra, prendendomi la mano.
Mi scanso bruscamente, proseguendo la mia traiettoria verso il gruppo di ragazzi che sta ridendo e si sta tirando dei pugni scherzosamente. «Den, chi è che qui sa tutto di tutti? Il più informato?» chiedo continuando a camminare.
Il ragazzo, che sembra notevolmente agitato, sospira. «Non lo so. Prima ero io, il capo mi passava le informazioni necessarie per gestire gli spacciatori più piccoli.» spiega a bassa voce.
Rabbrividisco al pensiero di quello che faceva il mio migliore amico, poi annuisco. «E un modo per arrivare a questa persona?» chiedo di nuovo.
«Chiedere dell'erba buona. Solo chi gestisce il tutto ha quella che non fa molto male, l'altra è chimica. Ma non ti consiglio di chiedere di lui, non ne vale la pena. Non c'è nessuno Soph, andiamo via.» mi supplica.
«Senti, c'è la cazzo di moto di Nathan e vorrei sapere perché diamine lui è qui. Se la cosa non ti sta bene, aspettami in macchina.» replico nervosa, fermandomi davanti al gruppo dei ragazzi. Non appena ci notano, cominciano a salutare il mio amico calorosamente, mentre io metto le mani in tasca in attesa che finiscano i convenevoli.
«Denis cosa ti serve?» chiede quel ragazzo con gli occhi azzurri che era da Daisy con Nathan, qualche settimana prima.
«In realtà è a me che serve qualcosa. Dell'erba buona, per favore. Una delle migliori.» dico seria, mentre la ragazza bionda al suo fianco mi scruta curiosa.
«Erba buona, eh? Seguimi.» risponde facendomi cenno di andare con lui in un vicolo. Denis cammina al mio fianco, decisamente sudato.
«È una pessima idea. Torniamo indietro.» sussurra al mio orecchio.
Scuoto la testa, sbuffando. «Prova a fidarti di me.» bisbiglio, schiarendomi la voce quando vedo il ragazzo che si avvicina ad un tipo, parlandogli all'orecchio. Ci raggiunge di nuovo, sorridendoci appena.
«Il nostro amico sta arrivando. Potete attenderlo qui con Jordan, non ci metterà molto. È andato a svuotare la vescica.» dice con tono gentile, per poi andarsene. Annuisco e mi appoggio all'enorme muretto in pietra, osservando dall'altra parte. Ci sono una schiera di roulotte e dei bambini che giocano a calcio, inzuppandosi nel fango. Sembra di essere alle favelas brasiliane, il che mi rende proprio triste. Perché il comune non fa niente per questa povera gente?
«JD è venuta gente in mia assenza?» al sentire quella voce, la terra sotto ai piedi comincia a mancarmi. Stringo le dita nel muretto, chiudendo gli occhi e voltandomi molto lentamente.
«Nathan?» dico con voce tremante, mentre il ragazzo davanti a me, diventa leggermente pallido.
Jordan sorride, annuendo. «Vedo che lo conosci! Chiedigli pure ciò che ti serve, sarà felice di accontentarti.» dice allegro.
Rimaniamo a fissarci. Lui sconvolto, io decisamente distrutta. Denis al mio fianco sembra decisamente disperato, pare che a momenti non respiri più. Adesso mi è tutto chiaro. Ecco cosa dovevo vedere, ecco svelato il suo grande segreto, quello che non conoscevo di lui. «Sophie... cosa... cosa ci fai qui?» domanda rimanendo a distanza di sicurezza.
Faccio una risata sarcastica, asciugando una lacrima che mi cade lungo la guancia sinistra. «Potrei farti la stessa domanda. Ah, no. Tu sei qui per... cosa? Spacciare droga? Sentirti importante?» dico nervosa, sostenendo il suo sguardo.
Si passa una mano in faccia, scuotendo la testa freneticamente. «Posso spiegarti.» dice avvicinandosi e prendendomi la mano. Mi scanso bruscamente, guardandolo molto male.
«Spiegarmi? Io non le voglio le tue cazzo di spiegazioni! Non mi interessa sapere il motivo per cui sei qui. Non voglio sapere cosa ti spinto a farlo, né sentire le tue stronzate per giustificarti!» urlo.
Nathan annuisce, abbassando lo sguardo. «Perché sei qui?» ripete.
Rido di nuovo, respirando in un modo decisamente agitato. Il cuore mi batte così forte che potrebbe scoppiare a momenti. Mi sento male. «Ti racconto una storiella parecchio interessante. Stamattina, alle cinque, mi ha chiamato una ragazza con lo sconosciuto. Mi ha detto di venire qui, alle undici, era per dimostrarmi che forse ci sono cose di te che non so. E sai qual è la cosa divertente? Che io neanche volevo venire perché, di nuovo, mi fidavo! Ero arrivata qui con la consapevolezza che sarei tornata a casa con la conferma di ciò che credevo, e invece indovina? Mi hai deluso. Mi hai dato un motivo in più, l'ultimo, per farmi rendere conto che devo starti alla larga!» rispondo urlando di nuovo. Denis ha lo sguardo basso, Jordan invece è confuso, ma non osa intromettersi.
«Quindi tu... tu non ti fidi più di me?» domanda guardandomi con gli occhi lucidi.
«Sei perspicace, Nathan.» rispondo con la voce tremante, mantenendo un tono più basso. «Ma sai qual è la cosa che mi fa più male? Quella che mi distrugge? Che io sono innamorata di te e tu mi stai dando tutti i motivi per pentirmene! Io ci credevo davvero, Nathan, a tutto quello che mi dicevi, a noi in giro per il mondo, a me che ti ho insegnato a vivere. Ci credevo ai baci che mi davi, alle promesse dettate sottovoce...» dico scoppiando in un pianto liberatorio.
Il volto di Nathan viene rigato da una lacrima, che asciuga in fretta. «Devi ancora farlo, Muffin. Io non mentivo, non l'ho mai fatto. Tutto quello che ti ho detto, tutto quello che ho fatto con te, era vero.» dice prendendomi le mani e guardandomi negli occhi.
«Ma come faccio? Come mi fido se tu non mi dai la possibilità di poterlo fare?» dico tra un singhiozzo e l'altro, scuotendo il capo freneticamente e strizzando gli occhi.
«Per favore...» mi prega, accarezzandomi il viso.
Emetto un singhiozzo strozzato, continuando a scuotere la testa. «Ti prego, lasciami andare. È difficile per me doverlo fare, non renderlo ancora più complicato.»
«Allora non andartene, resta con me.» dice tirando su con il naso.
«Non posso. Non riuscirei a guardarti negli occhi sapendo che non mi fido, che mi hai deluso. Dimenticami, Nathan. Dimenticaci.» mi allontano, facendo segno a Denis di andare via.
Nathan rimane a guardarmi in silenzio, mentre gli volto le spalle per andarmene. Ha perso la mia fiducia, mi ha persa. Mi dispiace davvero tanto, non volevo andasse a finire così. Certe storie sono destinate a finire prima di cominciare, perché sono sbagliate. Dovevamo capirlo fin dall'inizio, abbiamo solo sperato fino all'ultimo in qualcosa che ci avrebbe fatto del male comunque. Da oggi in poi devo stare alla larga da lui, devo andare avanti. Continuo a camminare, senza voltarmi indietro. Non voglio guardarlo, altrimenti questo addio farà ancora più male. Forse mio padre aveva ragione, la differenza di età porta solo a grandi sofferenze. Era una favola troppo bella, per continuare ad essere reale. È giusto così, io con i miei coetanei e la mia vita, lui con i suoi. Molto spesso alcune strade camminano in parallelo, senza avere la possibilità di incrociarsi del tutto, senza prendere mai lo stesso cammino. Ho corso tanto per arrivare all'incrocio e così anche lui, ma è inutile farlo quando esso non esiste. E forse sì, avremmo potuto costruirlo da soli, ma evidentemente non siamo stati forti abbastanza. Mi auguro che comunque vada, lui continuerà ad avere cura di sé stesso.
Salgo in macchina, senza proferire parola. Neanche Denis ha intenzione di commentare e sono contenta così, non avrei la forza per poter esprimere ciò che sento.
Sono distrutta, mi ci vorrà un bel po' per riuscire a rimettere insieme i pezzi rotti. E nel frattempo, so di farmi male riattaccando i cocci di vetro frantumati. Ma un'anima spezzata rinascerà sempre più forte di prima. Basta solo crederci.
Ciao, Nathan, sei stato l'addio che non avrei mai voluto pronunciare.
-Spazio Autrice.
Hello! Mi sa che questi poveri ragazzi non avranno mai pace. Nel prossimo, capiremo in parte perché Nathan sta conducendo questa vita. Per adesso, non ho molto da dirvi, vi lascio con questo capitolo! Ci leggiamo presto. ❤️
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