Trentatré
"È costume degli uomini tenere se possibile in gabbia l'oggetto del proprio amore."
-Tommaso Landolfi
Il ritorno a Ronwood è stato decisamente estenuante. La vera difficoltà si è mostrata quando, naturalmente, ho dovuto alzarmi per andare a scuola. No, il problema non è stato svegliarmi. Per quello ci ha pensato Isaac che mi ha letteralmente tirato una secchiata di acqua gelida sul viso, con la scusa che tanto è estate. Se non fosse che abbiamo la stessa madre, a quest'ora l'avrei insultata nel peggiore dei modi. Comunque, sto andando a scuola con Addison e Mad, che tanto per cambiare è scesa all'ultimo minuto con la consapevolezza di essere straordinariamente in ritardo. Ovviamente, come da tradizione, ci fermiamo da Daisy a consumare la nostra colazione composta prettamente da schifezze varie e bevande a base di latte. Giusto per fare schifo di prima mattina, in sostanza. Davanti alla tavola calda, come ormai è risaputo, ci attendono Max, Denis e Ryan. Le loro facce dicono tutto. Esprimono la voglia di tornare tra la morbidezza del loro materasso o nella loro camera d'albergo a New York. Mi avvicino ai tre ragazzi e li saluto con il solito bacio, prima di spingere la porta di Daisy e alzare lo sguardo verso la solita campanellina snervante e immancabile.
«Ehi, il nostro tavolo è occupato!» esclama Max indignato, per poi fare un mezzo inchino a Jason che sta reggendo i milkshake tipo equilibrista. Nathan, invece, è dietro il bancone che prepara cibi vari a dei ragazzini delle medie super affamati. Gli mando un bacio veloce, beccandomi un occhiolino del ragazzo, per poi guardarmi intorno e storcere le labbra.
«Potremmo...» mormoro incerta, storcendo il naso.
«Prendere quel tavolo. Adesso ve lo libero. È vicino alla finestra, non molto distante dall'aria condizionata ma non troppo vicino così da non ammalarti, e se noti, il sole non lo tocca minimamente, come piace a te.» dice Jason sorridendomi.
Annuisco, indietreggiando. «Wow, sei inquietante.» borbotto stranita.
Ryan alza un sopracciglio, giocherellando con il piercing al labbro. «Lui? E tu che fai tutti questi giri per mangiare un muffin e bere un milkshake? Metti ansia.» dice scuotendo la testa, dirigendosi verso il tavolo.
Maddison scoppia a ridere, facendo spallucce. «Mi metto io da questo lato, c'è un piccolo raggio di sole. So che ti dà fastidio.» mormora ridendo ancora.
Sorrido e prendo posto al suo fianco. Bene, qui ho un'ottima visione del locale e dei suoi clienti. Non mi sento estranea, né chiusa. Però... se ci fosse un incendio? Sarei l'ultima ad uscire. Sono troppo distante dall'uscita principale e anche da quella d'emergenza. Mi alzo di scatto, scuotendo la testa. «Quel tavolo lì forse sarebbe meglio. Se notate, siamo ancora più lontani dall'aria condizionata e più vicino alla porta, nel caso di emergenze. Dio, odio quando il nostro tavolo è occupato.» sbuffo. L'unico ad esserne sorpreso è Ryan, che spalanca gli occhi incredulo.
«Cioè, sei seria?» dice, mentre prendo di fretta la mia cartella.
«Sophie e le sue ansie. Spostiamoci dai, o si sente davvero male.» replica Denis ridacchiando.
Così, prendiamo posto nel tavolo davanti a quello che usiamo di solito. Nathan ci raggiunge con il taccuino e l'espressione accigliata. «Stavate provando i tavoli per vedere qual era il migliore o cosa?» chiede perplesso.
Ryan mi guarda ancora sconvolto, scuotendo la testa. «La tua ragazza. Vive di ansie.» replica sorpreso.
Ruoto gli occhi. «Non vivo d'ansie. Quel tavolo non mi piaceva. Soffro la claustrofobia e non trovavo via d'uscita.» ribatto scocciata.
Nathan ridacchia, scuotendo la testa. «Qui ti senti meglio, Muffin? Se no vedo dove sistemarti in modo che tu non ti senta troppo chiusa.» mi dice dolcemente.
Sorrido e gli prendo la mano. «No, qui va benissimo grazie. Portami il solito, comunque.» dico sistemandomi meglio nella sedia.
Nathan annuisce, guardando il resto dei ragazzi. «Solito anche per voi?» domanda accigliato.
Annuiscono e fanno dei piccoli versi di assenso, così il ragazzo si dilegua per portarci le nostre ordinazioni. Nel frattempo, nel tavolo si imbatte un discorso riguardante le nostre solite argomentazioni strane. Non abbiamo mai qualcosa di serio di cui parlare, ci piace variare e farlo in modi assolutamente disagiati.
«Beh, comunque il professore di chimica non è stato molto dettagliato e io alla fine dell'anno gli porto quello che so.» commenta Max con nonchalance.
Aggrotto la fronte, perplessa. «Non puoi portare agli esami quello che ti pare e sperare di essere promosso comunque. Non puoi nemmeno rischiare di perdere Yale, altrimenti tuo padre ti ammazza.» incrocio le braccia.
«Mio padre mi ammazzerebbe lo stesso quando scoprirà che sono omosessuale, quindi non vedo dove sta il problema. Il punto è che mi sono rotto il culo da inizio giugno, sapendo che il mese prossimo finisce la scuola, quindi esami. Tu, professore del cazzo, non puoi dirmi che non te ne frega un cazzo di quello che poterò, senza controllarmi la tesina. Per cui, se la cosa non ti garberà, non sono cazzi miei. Agirò di conseguenza.» mormora infastidito.
Ryan scoppia a ridere, muovendo le braccia in modo anomalo. «Insomma, Max incazzato è qualcosa di epico.» dice giustificandosi per i suoi comportamenti da pazzo. Punta lo sguardo verso la porta, tornando subito serio e facendo svariate smorfie. «I giocatori di Lacrosse hanno deciso di scendere tra i comuni mortali?» mormora a denti stretti.
I giocatori di Lacrosse.
È raro che, come ha appena detto Ryan, loro si mischiano con la gente come noi. Il loro capitano, Evan Smith, è il male assoluto. Spocchioso, pieno di sé e assolutamente arrogante. Tra i corridoi della Ronwood, loro sono quelli che vengono guardati male da tutti gli studenti, ma nonostante ciò, camminano con aria fiera. Quest'anno, erano partiti tutta la squadra per un campionato annuale all'estero. E proprio adesso, a un mese della fine della scuola, sono tornati a rompere letteralmente le scatole. Rimango rigida sulla sedia, stringendo i pugni, mentre i passi decisi di Evan cominciano ad avvicinarsi.
«Guardate chi abbiamo qui, i giocatori di football insieme al trio sfigato e al piccolo omosessuale dai capelli rosa.» dice quest'ultimo con voce sprezzante. Ryan si alza di scatto, seguito da Addison e Denis, che stringono i pugni talmente tanto che loro nocche diventano bianche.
Alzo lo sguardo verso il ragazzo, con espressione seria, trafiggendolo. «Perché non cambi aria, Smith? Non vedi che qui non sei ben gradito?» rispondo con una calma micidiale.
Il ragazzo sorride beffardo, accarezzandomi la guancia sinistra. Chiudo gli occhi, schifata, facendo un profondo e lungo respiro. «Piccola Sophie, ti preme il fatto che non ci abbia mai provato con te?» chiede passandosi le mani sui capelli scuri e facendo scivolare la lingua lungo le labbra.
Mi alzo, guardandolo negli occhi. «Mi hai sempre fatto ribrezzo, Evan.» replico fredda.
I suoi compagni di squadra scoppiano in una risata davvero patetica, mentre in lui nemmeno l'ombra di un sorriso. «Vuoi provarmi? Magari potresti cambiare idea.» dice avvicinandosi pericolosamente a me.
Rido sarcastica, scuotendo la testa. «Ti secca sapere che, come tu stesso puoi constatare, non mi ecciti per nulla? Perché se così fosse, preparati a mangiarti il fegato.» sibilo furiosa.
«Ecco a voi le vostre ordi...» Nathan si blocca con il vassoio in mano, spostando lo sguardo tra me e il ragazzo, accigliato. «Cosa sta succedendo?» chiede calmo.
Evan ride sprezzante, passandosi la lingua tra le labbra. «Pensa a fare il tuo lavoro, stupido cameriere.» dice schifato.
L'espressione di Nathan si indurisce, mentre io chiudo gli occhi e prendo un profondo respiro. Ha osato chiamare stupido cameriere il mio ragazzo. Calma, Sophie, conta fino a dieci prima di agire.
Uno, due, tre... dieci.
Alzo la mano chiusa a pugno, sostenendo il suo sguardo e sferrando un colpo proprio sul suo naso, con tutta la forza di cui sono capace. Alza il volto, leggermente sgomento, mentre un liquido cremisi gli scorre dalla narice sinistra. Nathan e il resto dei presenti mi stanno guardando sconvolti, io continuo a respirare a fondo.
«Ma che problemi hai?» chiede lui incazzato, asciugando la gocciolina di sangue.
«Tu hai osato chiamare stupido cameriere il mio ragazzo. Sparisci da questo locale o non ci metto molto a fracassarti il cranio sul bancone di vetro.» dico con voce tremante a causa dei nervi, fregandomi della mano sporca del suo lurido sangue.
Evan indietreggia, facendo cenno ai suoi amici di seguirlo. Emerito codardo. Prendo il mio zaino con forza e lo metto alle spalle, guardando i presenti con aria dura. «Ci vediamo a scuola.» borbotto andando via dal locale. Sono troppo nervosa per poter stare con qualcuno. Ho bisogno di fumare una sigaretta e sbollirmi.
Cammino a passo spedito verso una meta non ancora programmata. Mi tasto le tasche freneticamente, alla ricerca del mio pacchetto di Marlboro, senza alcun risultato.
Merda, devono essere nella tasca dello zaino.
Lo appoggio sopra la moto di Nathan, aprendo tutte le tasche possibili e innervosendomi ancora di più, visto che non riesco a trovarli da nessuna parte. Vaffanculo.
Tiro fuori i libri, i quaderni, l'astuccio... niente. Non c'è assolutamente niente. Li ho dimenticati a casa. Sono una sbadata del cazzo.
«Muffin...» mi volto di scatto e vedo Nathan davanti a me, con una salvietta in mano. «Dovresti pulirti quel sangue.» continua, guardandomi con un piccolo accenno di curiosità. Prendo il fazzoletto umidificato tra le mani, cercando di non farlo troppo bruscamente. Lo passo sulle nocche, sfregandolo e togliendo via ogni macchia di quel sangue maledetto.
«Hai una sigaretta?» chiedo, gettando la salvietta dentro un cestino dei rifiuti. Il ragazzo ne tira fuori una dal pacchetto, l'accende e me la passa. Quando tiro via la prima boccata di fumo, mi sento già meglio. Meno tesa, meno nervosa. Nathan rimane in silenzio, osservandomi senza pronunciare alcuna parola. Probabilmente anche lui è sorpreso per il mio folle gesto di poco prima, neanche io me lo aspettavo. «Chi si crede di essere? Mancarti di rispetto in questo modo, come se tu fossi nessuno! Dio, se potessi gli farei saltare i denti ad uno ad uno. Stupido figlio di papà viziato.» sbraito, cercando di prendere aria.
Nathan mi guarda, sospirando e sorridendo appena. «Sei stata una pazza, ma mi sei piaciuta. La mia piccola Harley Quinn.» sussurra, ridacchiando.
Mordicchio il labbro, abbassando lo sguardo di colpo e sospirando a pieni polmoni. «Potrei diventare sul serio psicopatica, semmai osassero farlo di nuovo. Tu non sei uno stupido cameriere, non sei uno spericolato, un criminale o qualsiasi altro aggettivo che ti hanno affibbiato ingiustamente. Sei Nathan Coleman, la persona più buona e fantastica del mondo. Sono stanca di tutte queste malelingue che ti etichettano in modo assolutamente errato.» rispondo alzando il capo e puntando il mio sguardo su di lui.
Il ragazzo aggrotta la fronte, sospirando. «Perché sono convinto che adesso tu non ti stia riferendo a quel bamboccio di prima?» domanda incerto.
Scuoto la testa. «Già, non più. Mio padre.» replico.
Annuisce. «Tu mi ami, quindi tuo padre può credere quello che gli pare. Adesso vai a scuola, o arriverai in ritardo.» dice sorridendo dolcemente, per poi darmi un lieve bacio sulle labbra.

Il compito di chimica è stato estenuante. Mi chiedo perché, con gli sgoccioli di fine anno, devono comunque subissarci di verifiche di ogni tipo. Sono stanca. Ho la testa che mi scoppia per via delle varie formule scientifiche che ci hanno accompagnati per queste interminabili due ore. Raccolgo le mie cose ed esco dalla classe, emettendo un sospiro di sollievo. Nessuno dei miei amici, fortunatamente, ha fatto riferimento a ciò che è accaduto qualche ora fa da Daisy. Il che è davvero confortante, considerando che qualche secondo dopo mi sono pentita del gesto. Non ho tendenze violente, non mi piacciono. Ma Evan è stato così meschino al punto di farmi uscire fuori di senno. Raggiungo con passi strascicanti il mio armadietto, intenta a posare chimica e prendere il materiale di spagnolo. Se non altro, la professoressa Connor è molto rilassata e ci permette di poter passare la sua ora in tranquillità. Secondo Max, è così fin quando non arrivi al tanto temuto anno da Senior. In quel caso, comincia a farti sentire il peso degli esami che si avvicina, il che mi sembra molto strano. Secondo un mio modesto parere, Max è solo in estrema tensione per la maturità, al punto di vedere il marcio in ogni cosa.
Raggiungo l'aula di spagnolo e mi siedo, come di consueto, al banco destro vicino alla finestra. Tiro fuori il telefono dalla tasca e rispondo ad un messaggio di Nathan, scritto proprio cinque minuti fa.
"Dove sei?"
"In classe, dove vuoi che sia?" rispondo confusa.
"Puoi uscire? Sono qui fuori, ti porto al mare."
Sorrido enormemente e alzo lo sguardo verso la cattedra, trovandola ahimè, vuota. "Appena arriva la prof chiedo se posso mettere firma."
Non appena scrivo questo messaggio, lei fa il suo ingresso con un sorriso a trentadue denti. I suoi ricci dorati schizzano via dalla crocchia ben ordinata che porta ai capelli, i suoi abiti scuri la rendono elegante e femminile.
«Buenos Dias, chicos! Feliz de verte.» esclama con la sua cadenza dolce e allegra. Ha il vizio di parlarci in spagnolo, perché secondo lei riusciamo meglio ad imparare a capire i suoni e gli accenti della lingua.
Sorrido e alzo la mano, attirando la sua attenzione che non tarda ad arrivare. «Mi scusi, so che non è tecnicamente giusto ma avrei bisogno di un'uscita anticipata. È possibile?» chiedo schiarendomi la voce e attirando anche l'attenzione della mia migliore amica.
La donna alza un sopracciglio, sorridendomi appena. «Seguro! Controllo se per questo mese hai superato la soglia delle uscite concesse.» dice raggiungendo il registro e leggendo tra le righe. «Cooper... eccoti! Sì, puoi andare, tesoro. Devi solo mettere la firma e sgattaiolare via, del preside me ne occuperò io.» dice dolcemente.
Mi alzo e sorrido alla donna, firmando il mio permesso e prendendo poi il mio zaino. «Muchas gracias, profesora!» esclamo, uscendo dalla classe e raggiungendo Nathan. Esco dall'istituto e corro verso il ragazzo, dandogli un lungo bacio sulle labbra. «Passiamo da casa, vero? Devo mettere il costume.» replico salendo in sella moto.
«Sì, certo. Hai le chiavi? Isaac è ancora a lavoro.» risponde facendo rombare il motore della sua fiammante moto.
Annuisco e mi attacco alla sua schiena, mi godo il vento fino alla destinazione, e scendo poi dalla moto. Tiro fuori le chiavi dallo zaino e mi avvicino alla serratura, aprendo la porta e attendendo il ragazzo per poi chiuderla. «Salgo di sopra. Vieni con me o aspetti qui?» chiedo, riposando con cura le chiavi. Cammina spedito verso le scale, senza rispondermi. «D'accordo, lo prendo come un sì.» dico ridendo, salendo le scale. Lo trovo ben disteso sul mio letto, con le mani dietro la testa e l'espressione corrucciata.
«Rupert Grint non smette di fissarmi. È angosciante.» replica accigliato.
Scoppio in una fragorosa risata, dirigendomi verso l'armadio. «Lui vede tutto.» dico tirando fuori un costume intero. «Troppo sexy per gli standard di Nathan Coleman?» chiedo divertita.
«Nathan Coleman ti preferisce senza niente addosso.» risponde facendo l'occhiolino.
Appoggio la schiena all'armadio, fissandolo con espressione beffarda. «Allora dovresti spogliarmi.» rispondo incrociando le braccia.
La sua espressione cambia notevolmente. Comincia a squadrami da capo a piedi, sospirando e mordendo il labbro. «Potrei, sì. Ma mi piacerebbe che fossi tu a farlo, mentre io resterei a guardarti.» risponde serio, incrociando le caviglie. Rimango a fissarlo, sconvolta, mentre lui scoppia in una fragorosa risata. «Rilassati. Ho utilizzato quella che nel gergo comune viene chiamata ironia.» dice divertito.
Assottiglio lo sguardo, tirandogli un Funko Pop di Ron Weasley in divisa da Quidditch, in testa. «Io non sono dentro la tua testa, idiota! Mi hai messo paura, stavo pensando ad un modo per scappare senza essere vista.» mormoro contrariata.
«Avresti potuto usare la smaterializzazione.» replica con nonchalance.
Annuisco, per poi guardarlo sorpresa. «Aspetta... hai detto sul serio quella parola? Come fai a conoscerla?» dico spalancando la bocca.
Sorride compiaciuto, facendo spallucce. «Quando abbiamo litigato, c'erano i dvd di Harry Potter sulla mensola in camera di Maddison, così ho deciso di guardarli tutti in una notte per sentirti più vicina.» risponde sincero.
Sbatto le palpebre più volte, incredula. «Se ti dicessi Leviosà?» chiedo di scatto.
Mi guarda male, scuotendo la testa contrariato. «Dio, lo sanno che tutti che è Leviosa!» esclama indignato.
Spalanco ancora di più la bocca, guardandolo. «Se ti dicessi api frizzole?» chiedo di nuovo.
«Preferisco le cioccorane.» risponde.
«Albus Silente?» domando.
«Sono le scelte che facciamo che dimostrano ciò che siamo veramente, molto più delle nostre capacità.» recita tranquillo. «Quell'uomo è un genio.» commenta.
Sorrido enormemente e corro verso di lui, saltandogli addosso e appoggiando la mia fronte alla sua. «Sposami!» esclamo, baciandolo di colpo. Il ragazzo spalanca gli occhi, forse per via della sorpresa. Sorride appena e appoggia le sue mani sopra le mie cosce, sollevandomi e sistemandomi sopra la sua vita. Mi guarda negli occhi, appoggiando le mani sui miei fianchi e sorridendo ad un centimetro dalle mie labbra. «Ti sposerei anche subito. Sophie Coleman... sta benissimo.» replica dolcemente.
Annuisco, accarezzando il labbro inferiore del ragazzo con il pollice. «Sono d'accordo. È un reato non poter portare il tuo cognome.» dico avvicinandomi di più a lui, baciandolo dolcemente.
Quando le nostre lingue si intrecciano con dolcezza, sento una scarica elettrica percorrermi la schiena. Mi attacco di più a lui, giocherellando con i suoi capelli e sentendo il respiro farsi via vai più intenso.
Io la passione non la capisco proprio, comunque. Un momento prima sei lì, a baciarti con la persona che ami, l'attimo dopo senti il disperato bisogno di avere qualcosa in più. Senza pensare minimamente a quello che sto facendo, infilo una mano sotto la sua maglietta, accarezzandogli gli addominali. Nathan sospira, mordendomi il labbro e staccandosi per riprendere fiato.
«In effetti... c'è molto caldo per andare al mare, non trovi?» dice senza nascondere un velo d'ironia.
Arriccio il naso, annuendo leggermente. «Si soffoca.» ribatto, sfilandogli la maglietta e riprendendo il nostro bacio, stavolta con più passione. Appoggio le mie labbra al suo collo, baciandolo molto lentamente. Nathan appoggia il capo alla parete, chiudendo gli occhi e facendo dei grossi sospiri.
«Dio se ti amo.» dice tra un respiro e l'altro, facendo scivolare le sue mani lungo i miei fianchi.
«Ti amo anche io.» rispondo, per poi dargli un piccolo morso sul collo. Nathan mi sfila la maglietta, gettandola sul pavimento, per poi passare a slacciarmi il reggiseno. La cosa divertente è il fatto che lui non riesca, visto che ho ripreso di nuovo a baciargli il collo e i suoi movimenti sono decisamente sconnessi. Trattengo una risata e mi fermo, guardandolo negli occhi. «Nathan Coleman, assolutamente vulnerabile e in mio totale potere. Dovrei segnarlo sul calendario e dedicarci un giorno apposito.» borbotto ridacchiando.
Ride leggermente, annuendo appena. «Solo tu hai la capacità di fottermi il cervello in un nanosecondo.» dice prendendomi in braccio, per poi fare aderire la mia schiena con delicatezza sul materasso. «Mi fai impazzire, Muffin.» aggiunge, riuscendo finalmente nella sua impresa e gettando anche il reggiseno sul pavimento. Mi bacia il collo, passando poi sul seno con una lentezza disarmante. È inutile negarlo: Nathan ha un potere strabiliante sulla mia persona. Mordo il labbro e incastro le dita tra le sue onde scure, respirando a fondo. Il suo tocco è qualcosa di sensazionale, mi manda in estasi. Sfila i pantaloncini con dolcezza, per poi fargli fare la stessa sorte di tutti gli altri vestiti. Allungo le mano verso la sua vita, sbottonandogli i jeans e lanciandoli anche io in chissà quale parte della stanza. Ci guardiamo per un secondo negli occhi, fermi e immobili, con il fiato corto e la voglia di unire i nostri corpi in un gioco tremendamente sbagliato. Appoggio una mano sui suoi fianchi, togliendogli anche i boxer e continuando a sostenere il suo sguardo. Amo guardarlo negli occhi, soprattutto in momenti come questi. Il ragazzo, senza perdere altro tempo e mantenendo il contatto visivo, fa lo stesso con il mio intimo, per poi sospirare e lanciare una lunga occhiata al mio corpo nudo sotto di lui. Unisce le nostre intimità con delicatezza, facendo dei lievi movimenti costanti. Chiudo gli occhi e mi aggrappo alla testiera del letto, mordendo il labbro. Quando fai l'amore con la persona che ami, c'è una connessione unica e forte che non si può spiegare a parole. È come se tutte le forze della natura si concentrassero sui nostri corpi, dando vita a qualcosa di meraviglioso. Rimango con il fiato spezzato quando i suoi movimenti cominciano ad essere più decisi, al punto che non posso evitare di tirare fuori un piccolo gemito sommesso. Nathan ansima leggermente, per poi avvicinarsi al mio viso e annullare la distanza tra di noi con un bacio che esprime così tante cose che a momenti potrei scoppiare. Amore, passione, vita. Noi insieme siamo tutto questo. Qualcosa che va oltre i legami umani stessi, qualcosa che solamente noi due possiamo capire. Nathan è tutto quello che ho sempre voluto, è quella persona che mi ha fatto capire il vero significato della parola libertà, quella che credevo di avere prima di conoscere lui. Nathan è la vera essenza del bene. Quello vero, quello puro.
Il ragazzo si posiziona al mio fianco, cercando di regolarizzare il respiro. Faccio lo stesso anche io, passando una mano sui suoi capelli sudaticci e umidi. «Questo è stato molto meglio del mare, sei d'accordo?» chiede ridacchiando, osservando il soffitto.
Un sorriso enorme si fa spazio tra le mie labbra, così sincero e spontaneo da illuminarmi anche il viso stesso. «D'accordissimo.» ribatto, sentendo le così dette farfalle nello stomaco.

Quando mio padre torna a casa da lavoro, sono le dieci e mezza di sera. Sono stanca, vorrei andare a dormire. Ho deciso di parlarci adesso, perché la mamma diceva sempre che il cerotto va strappato tutto in un colpo, altrimenti la ferita brucia di più. Così, mi armo di buona volontà e gli faccio trovare una cena degna di nota, al punto che lui stesso si sorprende per tale gentilezza da parte mia. Dopo aver consumato il nostro cibo, Isaac decide di uscire un po' con Ethan, mentre io e lui rimaniamo sul tavolo già sparecchiato e pulito. Prendo un profondo respiro e raccolgo tutto il coraggio che ho, mordicchiando il labbro con insistenza. «Papà, devo parlarti.» dico seria, cercando di mantenere il contatto visivo. La paura e l'incertezza potrebbero farmi perdere punti.
«Non puoi farlo domani, tesoro? Sono stanco, sono stato via da casa per parecchi giorni, vorrei riposarmi.» risponde, posando i suoi occhiali da vista sul tavolo e strofinandosi gli occhi con insistenza.
Scuoto la testa, decisa. «No, papà. Devo farlo adesso, è importante.» insisto, poggiando le mani sul tavolo. Cominciano a sudare fredde, devo mantenere la calma.
Sospira, rimettendo le sue lenti e guardandomi curioso. «Illuminami.» dice incrociando le mani sul tavolo.
Deglutisco, annuendo freneticamente. «Fammi parlare, poi potrai farmi tutte le domande che vuoi.» dico, sentendo la gola schifosamente secca. «Quando ti ho detto che io e Nathan abbiamo litigato, in parte era vero. Ma abbiamo fatto pace il giorno del mio compleanno.» spiego, prendendo un lungo respiro. Non riesco a tirare via il cerotto tutto in una volta, mi costa caro.
Lui mi guarda senza alcuna emozione, poi annuisce freddamente. «Credi che io non me ne sia accorto? Aspettavo solo il momento giusto, magari beccandovi in flagrante. Ma, come ben sai, mi hai facilitato il lavoro.» pronuncia serio.
Vacillo per un secondo, poi cerco in tutti i modi di aggrapparmi al quel pizzico di coraggio che mi è rimasto. «C'è dell'altro. Io e lui stiamo insieme da un po', è stato con noi a New York.» confesso con voce tremante.
Mi guarda, annuendo di nuovo. «Prevedibile. Sei ancora vergine, Sophie?» chiede con tono calmo.
Sospiro, stavolta spostando lo sguardo altrove. «No.» ammetto sincera, cercando di non incrociare i suoi occhi.
La cosa che mi sorprende è che lui non fa nessuna sfuriata. Niente urla, niente minacce... niente di niente. Il che, lasciatemelo dire, mi porta ad avere un dubbio atroce: devo fidarmi o no? «Bene, adesso puoi andare a dormire.» risponde, alzandosi dalla sedia. Tutto qui, sul serio? È un miracolo! Mi alzo dalla sedia senza obbiettare e filo dritta verso camera mia, prima che cambi idea. Mi raggiunge, porgendomi la mano. «Il telefono e il pc, Sophie.» dice serio. Ah, ecco. Senza ribellarmi, gli passo il mio telefono e gli indico il portatile sopra la scrivania. Li prende, per poi sbarrarmi la finestra.
«Papà... ma cosa stai facendo?» chiedo confusa, guardando ogni suo movimento. Si avvicina alla serratura e sfila via la chiave, sospirando.
«Non volevo arrivare a questo punto, Sophie. Ma mi ritrovo costretto a doverlo fare. Rimarrai segregata in camera, fin quando non troverò un modo per allontanare in via definitiva quel pazzo criminale dalla tua vita.» spiega.
Cosa?
Balzo in piedi, cercando di arrivare alla porta prima di lui. Mi guarda con espressione glaciale, per poi chiuderla e girare la chiave, senza rimorsi o paure.
È un pazzo psicopatico.
Mi avvicino alla porta, prendendola a pugni, urlando, cercando invano aiuto. Tutti i miei sforzi, tutti i miei tentativi disperati, non servono e non serviranno a nulla.
Mi ha segregata qui dentro, senza possibilità di poter uscire. È forse questa, la mia fine?
Nathan mi aveva detto di prepararmi ad una guerra spietata, e io ci avevo anche scherzato su ipotizzando un'assurdità del genere. Non potevo pensare che lo facesse sul serio. Questa è davvero una guerra all'ultimo sangue.
Mi sento davvero pronta per poterla affrontare?
-Spazio Autrice
Devo dirlo: ho assolutamente adorato scrivere la scena del pugno! È stata una scarica di adrenalina. Per il resto, Ian ha rinchiuso Sophie in camera. È stato un gesto folle, vero? Ma non è finita qui! Nel prossimo capitolo, Nathan e Ian avranno una piccola discussione. Secondo voi, chi ne uscirà vincitore? A mercoledì! ❤️
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro