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Trentasei

"Il valore di un sentimento è la somma dei sacrifici che si è disposta a fare per esso."

-John Galsworthy

Non so cosa sta succedendo, è tutto confuso e la mia vista è annebbiata a causa delle lacrime. Ho ancora il rumore dello sparo che mi rimbomba in testa, Nathan sul pavimento che cerca di respirare bene, il suo sangue che piano piano si espande per la via. Mi avvicino al ragazzo, camminando a passi lenti e inginocchiandomi sulla pozza scura che mi bagna le ginocchia, facendoli diventare rosso cremisi. Lo sento colare, deve averne perso tanto. Gli prendo la testa tra le mani, respirando a fondo, cercando di mantenere la calma.

«Nathan, mi senti?» chiedo, deglutendo più volte.

Il ragazzo tossisce, sputando una grande quantità di sangue, che gli copre il collo e le labbra. Annuisce debolmente, emettendo dei piccoli respiri strozzati. «Ho... ho freddo, Sophie. Ho freddo.» dice con estrema fatica, tossendo rumorosamente e strizzando gli occhi per via del dolore.

Lascio cadere qualche lacrima, passandomi una mano insanguinata sotto l'occhio, per asciugarla. «Resisti, adesso chiamo il 911. Ti prego.» dico singhiozzando, per poi cercare freneticamente il telefono dentro la borsa. Non appena lo trovo, faccio un immensa fatica a digitare il numero, forse per via del tremolio alla mano, o magari per il sangue che le macchia entrambe. Porto il telefono all'orecchio, mentre Nathan emette dei rantoli sommessi. Per favore, non lasciarmi.

«911, buonasera. Qual è l'emergenza?» chiede una donna con voce professionale.

«Sì, salve, il mio ragazzo è stato ferito, perde molto sangue.» rispondo di fretta, reggendo il telefono con l'orecchio e cercando di tappare il buco con la mano.

«Come è stato ferito?» domanda.

«A-arma da fuoco. Per favore fate presto, è pallido e respira appena!» li prego, cercando di fermare i singhiozzi.

«Dove vi trovate?» domanda la donna.

«Rose District, cinquanta A. Faccia in fretta la prego.» dico accarezzando il viso di Nathan.

«Mando subito una squadra. Nel frattempo, può dirmi se il proiettile è già uscito?» chiede la donna.

Mi guardo intorno, freneticamente. «Credo di no, non lo vedo.» rispondo allarmata.

«Bene, prema sulla zona ferita e cerchi di farlo uscire fuori, altrimenti il metallo potrebbe avvelenare il sangue della vittima.» spiega cauta.

Annuisco, deglutendo. «Okay, però per favore, rimanga in linea.» la supplico, poggiando il telefono sopra la borsa. Tolgo la mano e strizzo gli occhi, premendo sulla ferita, mentre Nathan fa svariate smorfie di dolore. Non riesco, deve essere in fondo. A quel punto mi viene in mente un'idea, riprendo il telefono e deglutisco, respirando affannosamente. «Posso usare una pinzetta per sopracciglia? Non riesco a spingerlo via solo premendo.» chiedo.

«Meglio se lo fai con le dita, la pinzetta è pur sempre un metallo.» spiega la donna.

Annuisco, deglutendo di nuovo. Poggio il telefono nella borsa, per poi infilare un dito nella ferita e cercare il proiettile. Eccolo, lo sento. Infilo due dita e lo estraggo, mentre Nathan urla di dolore. «Scusami tanto!» esclamo, togliendo di fretta la camicia e stringendola intorno alla ferita. «Ho fatto!» dico tirando un sospiro di sollievo, mi sono ritrovata un coraggio che neanche io sapevo di avere.

«È stata bravissima. I soccorsi stanno arrivando, per qualsiasi cambiamento, chiami pure.» dice.

Riattacco, appoggiando la testa sulla pancia di Nathan e piangendo a grandi singhiozzi. «Mi dispiace, stanno arrivando, okay? Resisti, ti prego.» sussurro. Sento dei passi, qualcuno sta correndo verso di noi. Non mi sposto, non mi volto. Non mi interessa nulla, voglio stare qui con Nathan fin quando non arriveranno i soccorsi.

«Quello è mio figlio!» urla Ahlam, inginocchiandosi al mio fianco. «Sophie, cosa è successo?» chiede prendendo il viso di Nathan tra le mani. Ha chiuso gli occhi, ma respira ancora.

Scuoto la testa, facendo cadere svariate lacrime. «N-non lo so. C'era un uomo, voleva me e lui si è messo davanti. Mi dispiace, avrei dovuto prendere io il proiettile, mi dispiace tanto.» singhiozzo, tenendo la testa sullo stomaco di Nathan.

Dei fari di una macchina ci puntano addosso, qualcuno scende a velocità, fermandosi davanti a noi. «Nathan!» urla Maddison, gettandosi sopra il fratello. «È vivo? Ti prego ditemi che è vivoo!» continua scoppiando in lacrime. Alzo lo sguardo, c'è Addison sconvolto, Isaac ed Ethan paralizzati e mio padre che guarda la scena pallido come uno straccio. Non rispondo, rimango a fissare i presenti con espressione vuota, piena zuppa di sangue, il suo.

Ahlam asciuga gli occhi, schiaffeggiando il viso del figlio e guardando poi tutti noi. «Rientrate in casa.» dice serio, cercando di nascondere il tremolio della voce.

Casa.

Io una casa non ce l'avevo più, da quando io e Nathan ci eravamo lasciati.

«No! Devo stare con mio fratello!» urla Maddison.

«Vai a casa, adesso! Potrebbe tornare quel bastardo!» ringhia, guardando Addison e facendo cenno di portarla via.

Il ragazzo sospira, chiudendo gli occhi. «Mi dispiace, amore. È per il tuo bene.» la prende tra le braccia, mentre lei si dimena come una pazza.

Ahlam mi guarda, accarezzandomi il viso. «Sei stata bravissima, ma adesso devi tornare a casa. Ci penso io a lui.» dice con dolcezza.

Scuoto la testa, sconvolta. «No, dovevo avere io quel proiettile, non lui! Sapeva il mio nome, cercava me!» urlo a pieni polmoni, sentendo la gola bruciare.

Isaac viene verso di me, circondando la mia pancia e sollevandomi, mentre tiro calci a vuoto. «Devo stare con lui! Non separateci di nuovo! Vi prego!» urlo, disperata. Ma la mia supplica non serve a nulla, Isaac mi riporta a casa, mettendosi davanti alla porta.

«C'è Ahlam adesso, andrà tutto bene.» spiega con voce asciutta.

Mi metto la mano in testa, scuotendo la testa. «Se lui morisse io...» sussurro.

«Non morirà, chiaro? Andrà tutto bene. Smettila. Fai una doccia e vai a dormire.» sussurra.

Mi avvicino alla porta, cercando di uscire. «Devo andare in ospedale, devo andare da lui!» lo supplico.

«Te lo scordi.» replica mio padre, alle mie spalle.

Chiudo gli occhi, voltandomi di scatto e guardandolo male. «Sei ottuso, forse? Non hai capito che sta rischiando la vita per me, per tua figlia? Cos'altro deve fare per cadere nelle tue grazie, suicidarsi?» dico andando pericolosamente verso di lui.

Mio padre mi guarda, impassibile. «Ho detto di no, non costringermi a rinchiuderti di nuovo in camera.» replica serio.

Rido sarcastica, annuendo. «Vaffanculo. Nessuno di voi mi fermerà stavolta. Rompo anche la finestra, lo giuro. Ti odio da morire.» dico fredda, correndo in camera e gettandomi sul letto. Affondo la testa sul cuscino, scoppiando in lacrime. Mi sento inutile, un verme. Se io avessi dato ascolto ad Addison, adesso lui starebbe bene. Ho voluto seguire la mia testardaggine e tornare a casa piedi, mettendo in pericolo la mia vita e quella dell'unica persona che io abbia mai amato. Devo andare da lui, a tutti i costi.

Non so quante ore siano passate da quell'evento terrificante. Ho ancora il corpo sdraiato sul letto, mi sono lavata e sono seminuda. Aprono la porta della stanza, così mi volto a vedere chi è entrato. Isaac sospira, accarezzandomi il viso.

«Ho parlato con Ahlam, è stabile. Papà si è appena addormentato, ti va di andare da lui?» domanda dolcemente.

Isaac.

Non credo esista fratello migliore di lui. Mi è sempre stato accanto, aiutandomi anche nei momenti difficili. La mia vita sarebbe nulla senza di lui. Mi alzo di scatto e metto una maglia a caso, annuendo.

«Per favore, andiamo.» lo prego, prendendo la borsa e scendendo di fretta le scale. Ethan è già in macchina, non appena saliamo a bordo, sfreccia verso il Heart and Life Hospital, in assoluto silenzio. Non l'ho mai visto così silenzioso, è una cosa stranissima. La nostre vite sono state sconvolte in un paio d'ore, senza capire come. Non appena sosta, scendo velocemente, raggiungendo l'ingresso e attendendo i due ragazzi, che sapranno sicuramente dove andare.

Terapia intensiva.

Il corridoio è pieno: ci sono Denis, Max, Addison, Maddy, Jared, Chris, Phoebe, Lali, Ryan, Bianca, Braxton, Mary e Ahlam. Quest ultimi sono seduti sulla sedia, lui ha la schiena appoggiata al muro, come così anche il suo capo, e ha gli occhi chiusi. Mary, invece, è appoggiata alla spalla dell'ex marito, che piange. È sorprendente come il dolore condiviso riesca anche a dissipare i rancori. Non appena mi notano, mi guardano tutti senza parlare. Vado spedita verso i genitori di Nathan, fermandomi davanti a loro. Mary si alza, abbracciandomi di colpo e scoppiando in un pianto straziante. Rimango con le braccia lungo il corpo, immobile. Non mi sento capace di fare nulla, come un'emerita idiota. Come faccio a dare conforto ai genitori, se sono la causa del loro dolore? La donna si stacca, accarezzandomi il viso e continuando a piangere.

«Lui ti ama tanto, Sophie. Lo sa che sei qui, con tutti noi.» dice dolcemente.

Lascio cadere qualche lacrima, annuendo leggermente. «Mi dispiace, si è messo davanti e io... io avevo paura. Mi dispiace tanto.» sussurro, cercando di fermare i singhiozzi.

Ahlam si alza, appoggiandomi una mano sulla spalla. «L'avrebbe fatto comunque, anche se tu lo avessi fermato. Nathan ha sempre avuto la sindrome dell'eroe, fin da piccolo.» racconta dolcemente.

Sento Maddison ridacchiare piano, per poi vederla avvicinarsi a me. «Posso confermarlo. Una volta stavo cadendo da un piccolo burrone e lui per salvarmi la pelle è scivolato giù. Se l'è cavata con quindici punti in testa e il servizio totale della mamma. Nathan è così, si sacrifica sempre per chi ama. A volte senza pensare alle conseguenze. Avrebbe preferito morire lui, che rimanere in vita con la consapevolezza che tu non avresti potuto farcela.» spiega con dolcezza.

Annuisco, chiudendo gli occhi. «Vi hanno detto qualcosa? Come sta?» chiedo a bassa voce.

Ahlam sospira. «Coma. Speriamo che non duri a lungo.» sussurra.

«Dov'è? Si può entrare?» chiedo di scatto.

Scuote la testa, indicando qualcosa dietro di me. Mi giro e vedo una lunga vetrata, così mi avvicino a passi lenti. Appoggio le mani sul vetro e lo vedo lì, sdraiato nel letto con l'ossigeno alla bocca e vari macchinari, come quella che segna la frequenza cardiaca. Vedere Nathan in questo stato è terribile. Sono sempre stata abituata a vederlo sorridente, pieno di vita e con voglia di fare tantissime cose. Adesso è fermo, immobile e debole. Non è da lui, è straziante vederlo in queste condizioni. Deglutisco e lascio cadere svariate lacrime, appoggiando la fronte sul vetro.

Ce la farà, è molto forte. Deve assolutamente farcela. Non può lasciarmi così, un po' di sangue perso non è così potente da spegnere del tutto la vita di una persona resistente come lui. È una roccia, l'ho sempre pensato. E continuo a farlo, nonostante adesso lui sia totalmente vulnerabile.

Nathan ha affrontato questioni peggiori: tutta la situazione della droga, di Ahlam, della nostra relazione...

È anche vero che questa è una cosa molto diversa, ma se ha resistito ai graffi dell'anima, il suo corpo dovrà necessariamente guarire dalle ferite profonde. È così, lo sento. Una persona come lui non può morire per un colpo di pistola.

Deve farcela.

Per la famiglia, per i suoi amici, per me e soprattutto per sé stesso.

Nathan Coleman non permetterà che la vita, un dono così forte e prezioso per lui, finisca così presto. Ha ancora molte follie da compiere, e sono sicura che in questo momento le sta pensando tutte per quando si sveglierà.

Qualche ora dopo, la situazione è sempre la stessa. Nessun cenno da parte del medico, né delle infermiere che si stanno occupando con dedizione al caso. È già l'alba, lo posso costatare dagli uccellini canticchianti che provano a rendere tutto meno pesante e tranquillo. Nel corridoio c'è un silenzio tombale, Ethan ha preso la colazione per tutti ma nessuno di noi ha mangiato un misero boccone. Neanche lui stesso, nonostante fosse uscito per andare a comprarla. Adesso sono arrivati anche Jason e Daisy, che per l'occasione ha deciso di chiudere il locale fino alla guarigione totale di Nathan. È un gesto carino da parte sua, considerando che non è stata costretta da nessuno e ha fatto tutto di sua spontanea volontà. Sono seduta sul pavimento, con la testa appoggiata contro la parete e Maddison dormiente con il capo sulla mia spalla. Anche Addy ha preso sonno, dorme con la testa sulle gambe della sua fidanzata, russando lievemente. In effetti, siamo tutti un po' stanchi, scossi e in attesa di una qualche notizia che ci possa aiutare a mettere l'animo in pace. Ho finito il pacchetto di sigarette, che ho consumato nella bellezza di tre ore. Fortuna che quando Ethan e Isaac sono andati a prendere da mangiare, hanno ben pensato di prendermi la nicotina, altrimenti mi sarei sentita più nervosa del previsto. È la nottata peggiore della mia vita, sento gli arti intorpiditi e il collo che comincia a farmi male, ma onestamente non bado molto alla stanchezza fisica. Apro gli occhi, rimanendo nella stessa posizione. Un uomo in divisa sta avanzando nel corridoio, con passo fiero ed elegante. Si ferma davanti a noi, sistemando il distintivo sul petto e schiarendosi la voce. «Ci sono testimoni riguardo all'accaduto?» chiede serio, incrociando le braccia.

Alzo la mano ingessata, sospirando. «Io. Ero presente, ho visto tutto.» spiego con voce stanca, passandomi una mano sul viso.

L'uomo annuisce, scrutandomi curioso. «Se la sente di rispondere a qualche domanda, signorina?» chiede.

Annuisco e sposto Maddison, facendo in modo che la sua testa venga appoggiata sulla spalla di Denis, che sembra essersi appisolato al momento. Mi stiracchio, sorridendo leggermente ad Ahlam che si prepara per raggiungermi. «Posso essere presente, agente?» domanda.

L'uomo mi guarda, accigliandosi. «Dipende dalla signorina.» dice, attendendo un cenno da parte mia.

«È il padre, quindi non dovrebbero esserci problemi. Può accompagnarmi.» spiego, allungando la mano sana verso Ahlam, pronta a farmela afferrare.

Ci conduce nello studio del caporeparto, facendoci cenno di sederci nelle due sedie in pelle nera, davanti alla scrivania. Prendo posto, schiarendomi la voce e incrociando le braccia.

«Qual è il suo nome?» domanda l'uomo, aprendo un taccuino e stappando la sua penna rigorosamente nera.

«Sophie Cooper.» rispondo, sospirando.

L'uomo annuisce, scrivendo poi sul foglio. «La sua età?» chiede.

«Diciassette.» spiego.

«Mi assicura di essere completamente e totalmente sincera nel raccontare i fatti accaduti?» chiede.

Annuisco. «Sì, le dirò tutto quello che so.» mormoro.

«Chi è lei per Nathan Coleman?» chiede di nuovo.

«Ex fidanzata.» rispondo di scatto, incrociando le gambe.

«Mi racconti la sua versione dei fatti.» mi incita con un cenno della mano, ascoltandomi attento.

Sospiro, passandomi la lingua tra le labbra. «Eravamo invitati ad una festa di un amico, che si è diplomato a pieni voti. Nathan è andato via prima, io qualche ora dopo. Stavo camminando a piedi, a pochi metri da casa mia, alla Rose District. Sentivo dei rumori simili a dei passi, così mi fermai davanti al cinquanta A per capirne la fonte. Inizialmente non vidi nulla, se non un piccolo gatto che dormiva su un muretto, così ripresi la mia marcia, fermandomi poco dopo a causa dello stesso rumore. Dietro di me, c'era un uomo con il volto coperto, da quel poco che sono riuscita a percepire per via della scarsa luce, aveva gli occhi di un azzurro glaciale. Puntava una pistola contro il mio stomaco, non so bene quale fosse, non conosco le armi. Aveva paura, questo lo posso assicurare. Stava tremando, era restio nel voler compiere l'atto. Non mi disse nulla, pronunciò solo il mio nome per assicurarsi che fossi davvero io. Non so bene cosa successe dopo, Nathan si fermò al centro della strada, parandosi davanti a me. Chiusi gli occhi per la paura, sentendo poco dopo il rumore dello sparo. Quando li riaprì, lui era sparito e Nathan era a terra, ferito.» spiego cauta.

L'uomo annuisce, mentre Ahlam stringe i pugni. «Lei aveva questioni in sospeso con qualcuno?» domanda.

Scuoto la testa. «No, sono completamente estranea alla criminalità, se è questo che vuole sapere.» spiego.

«E Nathan? Non si preoccupi, lui non verrà arrestato. È solo per arrivare ad un nesso.» dice serio.

Faccio spallucce. «Non so dirle molto di Nathan. So che frequentava il Saint Martin, poi ha smesso. Aveva qualche questione in sospeso con un certo Cobra, che per quanto so è stata risolta da tempo.» ammetto sincera, non prima di avere l'approvazione di Ahlam con lo sguardo. Non lo avrei mai fatto se lui non mi avesse assicurato di parlare.

«Lei crede che quel ragazzo fosse uno dei suoi scagnozzi?» chiede.

Annuisco. «Ne sono convinta. Anche perché non avrebbe avuto motivo di cercare proprio me. Io e Nathan ci siamo lasciati per forza di cose, quindi io sono una delle persone a cui tiene di più. Magari il Cobra ha chiesto qualcosa a Nathan che lui non gli doveva, visto che con lui aveva già finito, così ordinò a qualcuno dei suoi uomini di ferire me per spaventarlo. Non lo so, sto solo ipotizzando. Io e Nathan non ci siamo parlati per qualche settimana e lui magari ha pensato di nascondermi qualcosa, poco prima di rimetterci insieme.» spiego.

L'uomo annuisce, allungando una mano verso di me. «Molte grazie. Raccoglieremo delle foto degli scagnozzi del Cobra, se se la sente, farà un riconoscimento attraverso gli occhi.» spiega cauto.

Annuisco. «Aspetto suoi riscontri, agente.» dico alzandomi e attendendo Ahlam, per poi raggiungere di nuovo il corridoio. Il medico è lì, con le mani incrociate.

Ahlam sospira, guardando l'uomo. «Ci sono novità?» chiede.

Il dottore sospira, passandosi una mano tra i capelli scuri. «Sì, attendevo lei per parlarne. Nathan è ancora in condizioni critiche. La nostra unica speranza è la sua forza. Se non supera questa giornata, mi dispiace ma non ci sarà nulla da fare.» spiega, andando via con una freddezza micidiale. Ma come si permette? Dirci una cosa del genere senza il minimo tatto... è da persone senza cuore!

Il verdetto è stato decretato, quindi.

Indietreggio, scuotendo la testa e scoppiando in un pianto disperato, mentre Maddison caccia un urlo straziante. Lo sconforto si può notare negli sguardi di tutti noi. Ma io lo so che Nathan ce la farà, ne sono assolutamente certa, non può mollare.

Mi getto sulle braccia di Ryan, mentre Ahlam tira un pugno sulla vetrata, spaccandola di sana pianta. È un dolore davvero troppo forte per me, non oso immaginare per i genitori.

Ryan mi dà una leggera gomitata, avvicinandosi al mio orecchio. «Ci sono visite inaspettate...» sussurra.

Mi volto, vedendo mio padre avanzare verso il corridoio.

Cosa è venuto a fare qui? 

-Spazio Autrice

Buonasera! Come state? Spero bene! Allora, come spiegato in bacheca, ho pubblicato adesso perché domani non so se riesco. Ragion per cui, il prossimo capitolo sarà messo venerdì. E rullo di tamburi... SARÀ L'EPILOGO.
Che fine vi aspettate per Muffin e Caffè? A venerdì! ❤️

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