Sette.
La pioggia è tutta un’altra cosa, liquida, inafferrabile, erotica come un bacio che dalla bocca scivola dappertutto.
-lilaschon, Twitter
Andare a scuola non è mai stato così stancante come oggi. Maddison e Max stanno già sclerando per il piccolo bacio che mi sono data con Nathan, che ovviamente, ho raccontato già appena svegli. Il cortile della Ronwood High School, pullula di studenti. A mettersi in mostra, come al solito, i Lion, la nostra squadra di football. Giocheranno una partita molto presto, Ryan non fa che ricordarlo ad ogni alunno presente in questo liceo, il che può risultare snervante.
Le matricole del primo anno, si sentono più spaesati del solito, stamattina. Mi fanno tenerezza, a volte, soprattutto quando Chuck Harris si prende gioco di loro, solo perché si sente più grande. Chi glielo spiega che mentalmente la sua età è pari ad un bambino di cinque anni?
«Buongiorno, Weasley!» Ryan mi raggiunge con il suo solito sorrisetto snervante, il che non mi dà buone previsioni. «Oggi pranziamo insieme. Dobbiamo studiare, non lo dimenticare.» aggiunge facendo l’occhiolino.
Lo guardo accigliata, annuendo subito dopo. «Studiare, Ryan Walker. Non farti altre idee strane, altrimenti il latino lo recupero da sola.» borbotto, superandolo per andare verso gli armadietti.
Vedo Cassie appoggiata al mio, che mi sorride con un ghigno malefico. Ruoto gli occhi, facendo una smorfia strana e mi avvicino a lei, sorridendo falsamente. La scanso senza guardare, poi mi volto alzando un sopracciglio. «Devo mettere la combinazione, ti puoi spostare?» borbotto scocciata, mettendomi a braccia conserte.
«Il suo numero, Weasley. Dammi il suo numero e io ti lascerò in pace.» dice facendo spallucce. Maddison prende i libri e la guarda accigliata, ridendo subito dopo. Si prepara a parlare, ma io la blocco con un cenno della mano.
«Il numero di chi?» chiedo passandomi una mano tra i capelli. Oggi per qualche strana ragione, li ho lasciati liberi. Niente coda, niente di niente.
«Il numero di Nathan, ovvio.» risponde con nonchalance, prendendo il telefono.
Scoppio a ridere, scuotendo la testa. «Rimettilo dentro, tesoro. Preferisco essere torturata a vita piuttosto che darti il suo numero.» rispondo decisa.
Lei gira i tacchi, indignata, andandosene. Maddison scoppia ridere, appoggiandosi al suo armadietto e osservando poi Addison passare davanti a noi. «Nathan è ormai tuo, Ginger. Le altre sono di passaggio.» sussurra, non togliendo lo sguardo da Addison.
«Non è un oggetto, cristo!» sento la campanella suonare, così la tiro per il braccio e la porto in classe con me.
Devo essere onesta, non sono pronta per un altro giorno dietro a questi stupidi banchi. Prendo posto accanto alla porta, non sento Nathan dalle sei, probabilmente starà ancora dormendo, visto che al mare non abbiamo chiuso occhio. Non chiedetemi perché sono in piedi, non lo so neanche io. La professoressa Mayers, la madre di Blake Mayers, un ragazzo molto ambito tra le giovani donzelle, ci insegna storia. Lei non è molto apprezzabile come il figlio, se consideriamo che quando ne ha l'occasione mette una F a tutti quanti. Mi chiedo quali problemi abbiano certi professori, sono sempre perennemente incazzati con il mondo.
Il nostro bidello, il signor Brown, entra in classe interrompendo la parlantina della professoressa. È un uomo molto impacciato, goffo, ma terribilmente dolce e comprensibile verso noi povere vittime della Ronwood High School. Si schiarisce la voce, cercando qualcuno con lo sguardo, poi si sofferma su di me.
«Sophie Cooper? Devi venire in presidenza.» sorride appena. Maddison spalanca la bocca e dà un calcio alla sedia, per attirare la mia attenzione.
«Che hai fatto?» sussurra. Faccio spallucce e mi alzo, raggiungendo il signor Brown.
In due anni che sono stata in questa scuola, non ho mai visto la presidenza. Ve lo giuro, ho evitato come la peste una stanza del genere. Entro silenziosamente, prendendo posto nella poltrona in pelle nera. Il preside Andrews, entra dopo di me, con un sorriso a trentadue denti. Prende posto di fronte a me e congiunge le mani sul tavolo, guardandomi curioso.
«Avrei un paio di cose da dirle, signorina Cooper.» sorride, indicando le caramelle al mio fianco.
«No, grazie signore. Ero a lezione di storia, spero non sia successo nulla di importante.» spiego schiarendomi la voce.
L’uomo mi guarda dai suoi occhiali spessi, scuotendo poi il capo. «Sei una delle nostri studenti migliori e come ben, sai sabato ci sarà la partita dei Lion. Abbiamo fatto delle nuove magliette per i tifosi. Mi chiedevo se ti andrebbe di distribuirle durante le materie facoltative.» mi chiede serio.
«Nessun problema, signore.» annuisco.
«So che non mi deluderai. Inoltre, pensavamo di indurre una gara di latino americano per la sera dello Spring Prom. So che tu lo balli da molto, giusto?» domanda.
«Dieci anni, signore.» sorrido.
«Bene, se per te non è un problema, vorrei impartire un corso pomeridiano, di sole due ore al giorno. Appenderemo in bacheca un foglio con le adesioni, chiunque vorrà partecipare alla gara dovrà prendere lezioni nel pomeriggio. Sarebbe un piacere immenso se tu e Denis Doukas, potreste insegnare loro a ballare, so che in un mese è praticamente impossibile, infatti la gara sarà per principianti. Avevo pensato a voi perché appunto siete bravissimi, sarebbe un peccato dover chiamare un professore esterno.» spiega giocherellando con la penna.
«Per me va benissimo, per Denis non so dirle.» dico cercando di rimanere il più composta possibile.
«Con Doukas parlerò io, non preoccuparti. So che state avendo delle divergenze, di recente, magari è un modo per appianarle. Manca molto il vostro trio compatto.» sorride dolcemente. «Ovviamente la cosa farà credito.» aggiunge.
«La ringrazio molto, signor Andrews.»
«Un ultima cosa, poi ti lascio tornare alle lezioni. Chi sarà il tuo accompagnatore al ballo?» chiede interessato, facendo un mezzo sorriso.
«Oh, ehm… Nathan Coleman. Non frequenta il liceo, signore.» spiego imbarazzata.
Lui annuisce, facendo un gesto strano con la mano. «In ogni caso non è un problema. Se sa ballare va benissimo, altrimenti dovrà impartire lezioni anche a lui, visto che tu e Denis aprirete le danze riguardanti la gara. Non sarete gareggianti, ovviamente, ma darete il via.»
«Tutto chiaro, vedrò di fare il possibile anche con Nathan.» rispondo cercando di non risultare una ragazzina imbarazzata. È una cosa assurda, spero che Nathan sia d'accordo, altrimenti che figura ci faccio?
Il preside mi invita a raggiungere la classe, lo saluto cordialmente e percorro il corridoio con aria assorta. Devo parlare con Nathan, più tardi. Speriamo non mi prenda in giro e mi abbandoni all'ultimo minuto. Non ce lo vedo, come ballerino di latino americano.
Suona la campana poco prima che potessi raggiungere la classe, così aspetto Maddison per andare a chimica. Nel corridoio le racconto quello che mi ha detto il preside, lei ascolta attenta, annuendo.
«Quindi dovrai improvvisati professoressa per un mese intero?» chiede sorpresa, ridendo.
«A quanto pare. Ma non sono loro il mio problema. Hai idea di cosa significhi ballare quel tipo di danza con tuo fratello? Sarebbe come cercare la sofferenza con le mie stesse mani!» esclamo, entrando in classe e vedendo Ryan seduto al mio banco. Sta scrivendo qualcosa su un biglietto, non appena mi vede, si sposta senza fiatare, mettendosi dietro.
«Ricordati la mensa, Weasley. Abbiamo fatto un accordo.» dice puntandomi il dito contro con un ghigno.
«Ricordo, sì. Ora non rompere fino al pranzo, okay? Perché altrimenti potrei cambiare idea e farti prendere un'insufficienza plateale.» faccio una smorfia, gettando lo zaino al mio fianco.
«E come farai con latino?» borbotta dandomi un bacio in guancia. Che faccia da culo. Posso picchiarlo senza essere sospesa?
«Me la caverò.» dico sbuffando e aspettando che arrivi la professoressa di chimica.
Dopo scuola, andiamo direttamente da Daisy a prendere la nostra meritata merenda. Max sta parlando a vanvera, di qualcosa che a me personalmente interessa poco. Ma siamo amici, ed esserlo significa ascoltare nonostante la cosa non sia di mio gradimento.
Prendo posto vicino al muro, guardando Jason che divide frappè a non finire. Non ho idea di cosa prendere oggi, ma ho una fame immensa.
Maddison si siede di fronte a me, così anche Max, lasciando due posti liberi al mio fianco.
«Ragazze, il sesso è qualcosa di meraviglioso. Il sesso è arte.» dice Max guardando il menù. Io dò le spalle alla porta, sentire il campanellino snervante ogni volta che si apre, mi rende più nervosa del solito.
«Scusate? Ma come siamo finiti da parlare di rapporti sociali disagiati al sesso? Non ci trovo un nesso.» borbotto, mangiucchiando una patatina fritta. Jason è fantastico, nonostante non l'avessimo ordinata, ci ha portato una porzione di patatine fritte per stuzzicare. Naturalmente, tutto offerto dalla signora Daisy, la maga della cucina. Si vede poco, visto che sta sempre di là, ma credetemi è graziosa e super brava. La vorrei adottare come cuoca personale.
«Il sesso è un rapporto sociale disagiato.» Maddison ride, guardando verso la porta che si è appena aperta.
«Il sesso è pura poesia. Il sesso è… lui.» sussurra Max. Lo guardo confusa, girandomi per vedere chi è entrato.
Nathan ha appena varcato la soglia della porta, ha un berretto nero, una felpa e un paio di jeans strappati. Sembra distratto, più del solito, ed ha il viso terribilmente assonnato. Sorrido e mi volto di nuovo.
«Il sesso è Nathan Coleman? Non glielo dire, potresti impaurirlo.» dico divertita, vedendo che si siede in qualche tavolo prima di noi. Non ci ha visti, considerando che non ci sta minimamente calcolando.
«Chissà chi sta aspettando.» sussurra Maddison sospettosa, non togliendo lo sguardo dalla porta d’ingresso.
«Beh, spero non una ragazza.» borbotta Max ridendo.
Scuoto la testa, guardandomi intorno. Lui mi sta dando le spalle, tamburella le dita sul tavolo e sembra aspettare veramente qualcuno. Cerco di non farmi notare e ritorno a guardare i miei amici, fin quando non noto Max e Maddison con la bocca spalancata.
«E quella mora supersexy chi è?» dice Max guardando dietro di me. Mi giro per la milionesima volta. Una ragazza dai lunghi capelli mori, lisci come degli spaghetti, sta entrando proprio in questo momento. Ha un crop-top di pizzo bianco, dei jeans a vita alta chiari, un paio di Adidas, gli occhi scuri truccati con dell’eyeliner, e le labbra carnose colorate di rossetto rosso. E credetemi, è altissima. Si sta sedendo al tavolo di Nathan, che non appena la vede la saluta con un bacio in guancia. Lei appoggia la sua mano sul tavolo, per poi appoggiarla su quella di Nathan. Lo sta toccando con quelle sudice unghie smaltate di nero.
Max mi prende il viso tra le mani, costringendomi a guardarlo. La mia espressione è impassibile, Maddison invece, sta provando ad allungare il collo per vedere meglio.
«È una delle tante troie.» sussurra la bionda, con nonchalance.
«Sapete? Mi è venuta voglia di prendere il milkshake seduta al bancone. Vi dispiace?» dico beffarda, alzandomi.
Max ridacchia divertito e mi batte il cinque, esultando. «Io ti amo, Sophie Cooper.» dice.
Raggiungo il bancone con passo svelto, sedendomi sullo sgabello. Nathan non mi ha ancora visto, sta parlando con miss sonolareginadiRonwood.
«Ehi, Jas! Dov'è finito il mio milkshake?» dico a voce sorprendentemente alta. Nathan si volta di scatto, guardandomi. Faccio lo stesso, fingendo di essermi girata a causa del suo sguardo. «Nathan! Anche tu qui?» dico sorridendo falsamente e avvicinandomi al suo tavolo.
Lui annuisce, mordicchiando il labbro. «Lei è Abby Clark…» sussurra, indicando la ragazza.
La mora mi sorride, porgendomi la mano. La guardo, senza stringerla. «Ciao, Abby, piacere.» dico spostando i capelli di lato.
«Ciao, ehm… come hai detto che ti chiami?» chiede curiosa, facendo un'altro sorrisetto snervante.
Fulmineo Nathan con lo sguardo, poi lo ripongo nella mora. «Oh, cara, il mio nome non ha assolutamente importanza. A meno che non sarai presente spesso nel nostro gruppo di amici, ma questo dovrà deciderlo il signor Coleman, non è così?» dico guardandolo.
«Sì, ehm… certo.» borbotta il moro, grattandosi i capelli.
Jason arriva alle mie spalle, mostrandomi il milkshake. «Tesoro, scusa il ritardo.» sorride, salutando Nathan con un cenno del capo.
«Cosa farei senza di te?» dico sorridendo. «A proposito, riguardo alla partita di sabato dove mi avevi invitato a venire con te… voglio dirti che ci vengo. A patto che però, dopo, mi porti a fare un giro.» dico beffarda. Nathan alza lo sguardo, guardandomi con espressione infastidita.
«Perfetto, ci sto. Si ritorna ai vecchi tempi, come quando passavamo un sacco di tempo insieme.» Jason sorride dolcemente.
«Adesso torno al mio tavolo, non voglio disturbare i due fidanzatini.» guardo Nathan e Abby. «Sabato mi passi a prendere a casa. Ti aspetto.» dò un bacio in guancia a Jason e poi saluto con un gesto della mano Nathan e la sua amica. Il moro sospira e sorride falsamente, ricambiando il gesto. Dopo ciò, con estremo orgoglio, ritorno dai miei amici.
Finiamo la nostra ordinazione, così ci alziamo dal tavolo pronti ad andare casa. Nathan è ancora lì, con la ragazza, stanno ridendo e sembrano essere molto in sintonia. Maddison lo guarda accigliata, facendo una smorfia. Gli dà un bacio in guancia veloce e guarda Abby, con un sorrisetto.
«Dovrò presentarmi, suppongo. Sono Maddison, la sorella di questo giovane testa di minchia. In ogni caso, non mi sta simpatico nessuno, quindi neanche tu.» la bionda fa l’occhiolino, guardando poi Max che cerca di non ridere.
«Dove stai andando?» chiede Nathan, tranquillizzando la mora con lo sguardo, che sembra essersi offesa per la presentazione di Maddison.
«A casa, dove vuoi che vada? Non fare tardi, stasera ci sono i Cooper a cena. La mamma ci tiene a queste cose. Ciao, fratello.» esce dal locale, lasciandolo lì. Max mi prende per mano, saluta Nathan e mi porta fuori, scoppiando poi a ridere.
Sono davanti all’armadio, guardando cosa potrei mettere per stasera. La cena a casa di Maddison è stata qualcosa organizzata all'improvviso. Mio padre e Mary lavorano insieme, quindi hanno indetto la loro noiosa cena d'affari. Di solito la fanno a fine mese, ma stavolta hanno deciso di farla con largo anticipo. So già come funzionano questi incontri, ci si veste bene, a tavola si parla della famiglia, poi a noi ragazzi ci fanno fare delle cose per non ascoltare le loro pratiche noiose, e loro parlano d'affari davanti ad una tazza di tè.
Ogni fine mese per me e Maddison è una tortura, ma almeno è una scusa per rimanere insieme un po’ di più.
Prendo un vestito nero, semplice, con un colletto al collo, che lascia il centro del petto scoperto. Ci abbino degli stivali al ginocchio, dello stesso colore, e un cappotto inglese grigio chiaro. I capelli li piastro il più possibile e metto giusto quel po’ di trucco per non sembrare una zombie, senza far mancare il rossetto rosso che dà l'effetto da ragazza decisa e dotata di charme. Scendo di sotto, guardando mio padre che sistema la cravatta unica tinta. Sorrido compiaciuta e gli dò un bacio sulla guancia.
«Stai bene, signor padre.» dico divertita.
Isaac fa le svolte alla camicia, per poi passarsi una mano tra i capelli. «Stai bene anche tu, sorella. Stiamo bene tutti. Adesso andiamo che ho fame?» borbotta prendendo le chiavi dell'auto.
Percorro il vialetto con il telefono in mano, leggendo la moltitudine di messaggi che Maddison mi sta inviando. Visualizzo tutto senza rispondere ed entro nella macchina mettendomi comoda. Come sapete, la strada per arrivare a casa dei Coleman non è troppa, così una volta arrivati, acchiappo la mia pochette grigia e scendo dall'auto, appendendomi al braccio di mio fratello.
Mio padre si liscia la giacca con le mani, si schiarisce la voce e suona il campanello, guardandoci. «Ragazzi vi raccomando, non fate il solito vostro.» dice serio.
«Saremo dei bravi cuccioli, papà.» borbotta Isaac ruotando gli occhi.
Mary ci accoglie con il suo solito sorriso dolce. Sta benissimo nel suo vestito di pizzo rosso, sembra essere un’altra persona. «Ian Cooper! Quanto tempo, eh? Entrate, entrate.» dice allegra, facendoci passare.
Maddison ha una tuta intera, elegante e molto femminile, bianca. Mi saluta con un bacio e mi invita ad andare verso la cucina, fingendosi una persona di classe. «Odio queste cose.» sussurra, divertita.
«Beh, stai facendo bene la tua parte.» ridacchio, sedendomi sullo sgabello. Maddison ride, per poi saltare addosso a Isaac una volta che ci raggiunge.
«Stanno già parlando d'affari?» ruota gli occhi.
«Sì, prima di cena lo fanno spesso, no?» sbuffa, giocherellando con il centrotavola. «Ma Nat?» chiede.
«Si sta ancora sistemando, credo. A volte ci mette più di una donna.» Maddison ride, facendo una smorfia.
La porta della cucina viene aperta di nuovo. Ci voltiamo tutti quanti, curiosi. Sono sicura in questo momento che la morte sia venuta a prendermi, o forse semplicemente l'illegalità, o qualcosa del genere. Nathan è appena entrato, ha una camicia bianca sbottonata sopra, una giacca nera, un pantalone nero con un cintura, e delle scarpe classiche. I capelli sono leggermente sistemati con il gel, ma quel ciuffo ribelle che gli ricade sul viso è sempre lì. Che ci crediate o no, Nathan Coleman è il diavolo. I miei ormoni in questo momento hanno deciso di ballare la salsa.
«Scusate il ritardo, tuo padre mi ha trattenuto più del solito.» dice guardando Isaac. Ripone lo sguardo su di me, sorridendo appena. «Wow, sembri quasi una donna, Muffin.»
«È un complimento o una presa per il culo?» rispondo alzandomi per dargli un bacio in guancia.
«Un po’ tutti e due.» fa l’occhiolino, scompigliando poi i capelli alla sorella. «La cena è quasi pronta, dobbiamo andare.» borbotta, guardando poi le mie gambe. Isaac si alza scocciato, prendendomi per mano.
«Per stasera sono il tuo cavaliere.» dice ridacchiando.
Scuoto la testa. «Sei uno stupido.» rido anche io, raggiungendo il salotto.
Ci sediamo a tavola, che per l'occasione e sistemata per bene, con un bel mazzo di rose rosa al centro. Mio padre prende posto al mio fianco, Nathan di fronte a me. Mary sistema il cibo nei piatti, poi si siede e ci fa cenno di iniziare a mangiare. Ha cucinato l’Irish Salmon, un piatto tipico della cucina irlandese. La mamma ne sarebbe andata pazza. Cominciamo a mangiare, in silenzio, poi Mary guarda Isaac con un sorriso.
«Allora, Isaac, non vieni da anni alle nostre cene d'affari.» dice cordialmente.
Lui ridacchia annuendo. «Essere il figlio maggiore ha i suoi vantaggi, signora Coleman.»
«E cosa fai? Vai al college, lavori…» chiede lei, interessata.
«Lavoro in un negozio di fumetti, giusto per tenermi occupato. Il college non fa per me, stare lontano da mia sorella Sophie mi costa tanto.» spiega, tagliando un pezzo di salmone. Sorrido dolcemente e gli prendo la mano.
«Tu e Sophie avete un rapporto bellissimo, si sa. Mi parla spesso di te.» la donna sorride. Nathan mi guarda per un secondo, sorseggiando del vino dal bicchiere di vetro.
«Sì, il nostro rapporto è fantastico. Ma come dice spesso mio padre sta crescendo, e questo fa paura.» mi guarda dolcemente, faccio una smorfia.
«È vero, fanno paurissima quando crescono. Li vedi in quella stanza che si truccano, si vestono per il loro fidanzatino… e guai a noi se per puro caso cercheremo di infilarci nella loro stanza. Chissà cosa ci nascondono.» Nathan scuote la testa.
«Ottima osservazione, Nathan. Ma vedi, nella mia carriera da padre, se così si può definire, mi sono reso conto che avere un figlio adolescente è davvero difficile da gestire, almeno questo lo pensavo prima che crescesse Sophie. Lei è uguale alla madre in tutto e per tutto, Lily era ribelle, cocciuta e impossibile da capire. Sono identiche, sia fisicamente che caratterialmente, mia figlia è una sfida, ogni giorno.» dice mio padre ridacchiando.
Nathan mi guarda beffardo, facendo spallucce. «Non metto in dubbio che sia un sfida, signor Cooper.» sorride divertito, lo guardo male.
«Voi vi conoscete, vero? Almeno quella volta a pranzo da me, così sembrava. Qual'è esattamente il vostro rapporto?» chiede curioso, guardandomi sottecchi.
Ruoto gli occhi, sbuffando. «Papà…» borbotto.
Nathan sorride gentilmente, posando il bicchiere sul tavolo. «Sophie è una ragazza fantastica, almeno da quel poco che sono riuscito a comprendere stando a contatto con lei. La vedo spesso, con Maddison, il nostro rapporto è uno scambiarci di battute ogni tanto. Capita molto spesso che non sa come reagire di fronte a certi problemi tipici della sua età e così provo ad aiutarla. Non c'è nulla di particolare, se per puro caso avesse voluto saperlo e ogni caso, non sono così stupido da informarla.» dice con nonchalance. Spalanco gli occhi, tossendo rumorosamente e bevendo dell’acqua.
«Nathan, non è educato.» dice Mary seria, schiarendosi la voce.
Mio padre le fa un cenno con la mano, sorridendo divertito. «Non fa niente, Mary. Nathan ha un bel caratterino ed è molto intelligente, vedo che non si fa sfuggire nulla. In ogni caso, errore mio, un padre geloso tende a voler sapere quante più cose possibili sulle relazioni sociali della figlia.» spiega.
Faccio una smorfia e guardo Nathan, che ha assunto un'espressione incredibilmente seria. «Capisco il suo punto di vista, signor Cooper. Ma siamo in una nazione che fortunatamente ci ha dato il diritto e la libertà di parola, per ciò le dico che non sono d'accordo con lei. Certi atteggiamenti non fanno altro che incrementare la ribellione di sua figlia, il che potrebbe portare a delle conseguenze drastiche. Ma è lei il padre, non io, e come è giusto che sia, non sono io a doverle dire come crescere sua figlia.» Nathan sorride.
Io e Maddison spalanchiamo gli occhi, mentre mio fratello cerca di non ridere. Gli unici ad essere impassibili sono mio padre e Mary, che cerca di nascondere l'indignazione per il comportamento del figlio.
Mi schiarisco la voce, alzandomi e posando il tovagliolo sul tavolo. «Vado un attimo in bagno.» borbotto, salendo di sopra.
Corro verso il bagno e scivolo sul pavimento, appoggiando la testa al muro e chiudendo gli occhi. Ma che diavolo gli è venuto in mente? Sfidare mio padre in quel modo… vorrebbe farselo come nemico? Non che la cosa mi importi, comunque, voglio dire… cristo!
Mi alzo dal pavimento e mi sciacquo le mani. Mi sistemo i capelli ed esco dal bagno, notando Nathan davanti la porta della stanza.
«Devo parlarti.» dice serio, osservandomi con le braccia conserte e le caviglie incrociate.
Sbuffo, alzando un sopracciglio. «Proprio adesso?»
«Sì, proprio adesso. O temi che tuo padre venga a saperlo?» dice beffardo, facendo un sorrisetto snervante.
Ruoto gli occhi ed entro nella sua stanza, sedendomi sul letto. È la prima volta che la vedo da vicino, ha le pareti blu, i mobili neri, ed è… anonima. Niente poster, niente foto attaccate al muro, niente. Solo i mobili, la Playstation, il pc e una televisione.
Il ragazzo entra, chiudendo la porta della stanza, appoggiandosi su di essa. Mi torturo i pollici, guardandolo. «Perché hai chiuso la porta?» chiedo agitata, mordicchiando il labbro.
«Non so tu, ma io non vorrei che sentissero i nostri discorsi.» dice serio, tirando la sedia girevole e sedendosi di fronte a me, scrutandomi curioso. «Quindi, andrai alla partita con Jason, giusto?» chiede passandosi una mano tra i capelli.
«Sì, sembra proprio di sì. Dovresti esserne contento, sei stato tu alla festa a dirmi che dovevo fare qualcosa per prendere confidenza con lui. L’ho fatta, sono stata brava.» dico sorridendo appena.
Lui annuisce, assorto, per poi allungarsi e prendere una penna dalla scrivania, che usa per giocare. «Sì, hai fatto bene, stai piano piano imparando. Credo che dovrei darti giusto qualche dritta per far in modo che la tua uscita vada a buon fine.» replica.
«Se proprio ci tieni…» borbotto facendo una smorfia.
Lui fa lo stesso, stringendo la penna tra le mani. «Non lo baciare, non lo toccare e ancora meglio non starci a più di un metro. Fatti desiderare, Sophie. Così magari ti invita anche al ballo.» fa l’occhiolino.
Alzo un sopracciglio, ridendo. «Ma che appuntamento di merda è? In ogni caso, io al ballo voglio andarci con te, non con Jason. Ovviamente, ammesso e concesso che tu non sia troppo impegnato con quella tua amica.» dico imitando un conato di vomito.
Lui scoppia a ridere, passandosi la lingua tra le labbra. «Abby? È una ragazza meravigliosa, lo sapevi?» dice beffardo. Che voglia di prenderlo a schiaffi.
«Perché mi stai dichiarando guerra, caffè? Qualcosa ti turba?» alzo un sopracciglio, guardandolo male.
«A me? No, tesoro. Abby è una mia amica di vecchia data, nulla di particolare.» dice divertito, facendo l’occhiolino. «Certo, è bellissima, lo so ma…» si interrompe, vedendo che io balzo in piedi infuriata.
«Allora fai una cosa, Nathan, resta con Abby e non rompermi i coglioni.» dico facendo per uscire. Lui mi blocca dal polso, voltandomi verso di sé, attaccando i nostri corpi pericolosamente.
«Se tu magari mi facessi finire, isterica. Stavo dicendo che è bellissima ma non potrei mai guardarla con occhi diversi.» spiega ridacchiando, guardandomi le labbra.
Chiudo gli occhi, sospirando, poi mi sposto. «Sai cosa? Avrei voluto tanto darti un altro bacio ma non te lo meriti. Abby magari lo sa fare meglio, visto che è così bella.» sorrido beffarda ed esco dalla stanza, raggiungendo gli altri.
Il tempo a Ronwood è strano, dopo una giornata di caldo primaverile, è arrivata una tempesta forte e burrascosa. Una ragione in più per rimanere sotto le coperte, in effetti. Ho la luce spenta, la finestra serrata e il computer acceso. Ho deciso di fare una maratona di Harry Potter, visto che come al solito, la mia insonnia è particolarmente rompiscatole. Mi stringo le coperte alle spalle e tengo gli occhi sbarrati a causa dell'incontro di Harry con il basilisco. So già come va a finire, ma per è sempre un trauma. Chiudo gli occhi quando il serpente spalanca le sue enormi fauci, e li riapro subito dopo, sentendo il telefono squillare. Chi mai potrebbe scrivermi alle tre del mattino?
“Ti stavo pensando.” è Nathan.
“Smetti di farlo, allora.” scrivo velocemente, posando il telefono.
“Non vuoi che ti pensi?” risponde subito dopo.
“No, pensa ad Abby, non hai detto che è meravigliosa? Ho sonno, ciao.”
“Tu non vai mai a dormire a quest'ora.”
“Ma tu sì, giusto? Allora perché non vai?” rispondo, sobbalzando per un tuono potente che rimbomba in tutta la casa.
“Non posso farlo sapendo che sei arrabbiata con me.”
“Fatti perdonare allora. Oppure sparisci. Decidi tu.”
Il ragazzo visualizza e non risponde, così faccio spallucce e torno di nuovo al mio film, senza staccare gli occhi dal pc. Sbuffo, quando sento di nuovo il telefono squillare. Apro il messaggio, bloccando il film.
“Affacciati.”
Alzo un sopracciglio e sguscio via dal letto, mettendo una giacca. Apro la finestra e lo vedo lì, sotto la pioggia, che mi sta guardando. Sorrido e scuoto la testa, prendendo il telefono.
“Ti beccherai la febbre.” scrivo.
“Non fa nulla, voglio vederti.”
“Non ero sul serio arrabbiata con te, cretino.”
“Almeno ho una ragione in più per essere qui.”
Sorrido di nuovo e metto le scarpe, correndo di sotto. Apro la porta dell'ingresso, la pioggia è rumorosa, l'aria è gelata. Lui sta guardando ancora verso la mia finestra, non mi ha ancora vista. Gli vado incontro, correndo, mentre sento l’acqua sotto i piedi schizzarmi sulle caviglie. Gli salto letteralmente addosso, appendendomi al suo collo. Lui si volta sorpreso e senza dargli la possibilità di replicare, unisco le sue labbra alle mie.
Sì, avete letto bene. Io, Sophie Cooper, ragazza timida e inesperta con qualsiasi cosa sia riconducibile al sesso maschile, sto baciando Nathan Coleman sotto la pioggia, fregandomene dell’acqua che ci sta inzuppando da capo a piedi, rimanendo ancora uniti per qualche minuto. Il ragazzo intreccia le sue mani alle mie, staccandosi e appoggiando la sua fronte alla mia. Sorride, guardandomi negli occhi, stringendo ancora la mie mani.
«Sei folle.» sussurra.
«Io, vero?» dico ridendo, dandogli un altro piccolo bacio.
«Ci stai prendendo gusto, eh?» sorride, staccando una delle mani e accarezzandomi il viso.
«Portami via, Nathan.» dico guardandolo negli occhi.
Lui si stacca di colpo, alzando un sopracciglio. «E dove vuoi andare?» chiede curioso, aprendo la macchina con il bottoncino delle chiavi.
«Dovunque, basta che sia lontano da qui.» sussurro.
Lui annuisce, andando verso l'auto, aprendomi la portiera. «Prego, signorina Muffin.» ride.
«Signorina Muffin non si può sentire, lo sai?» dico prendendo posto. Lui ride, salendo sul posto del conducente.
«È figo, ho ragione io.» borbotta accendendo la macchina e partendo verso una meta sconosciuta.
Mi rannicchio sul sedile, ho un freddo pazzesco. In effetti, essere bagnata da capo a piedi non aiuta. Lo guardo mentre guida concentrato, prendendo una strada deserta, di campagna. Arriccio il naso in una smorfia, ridacchiando.
«Vuoi uccidermi e gettare il mio corpo in questi folti alberi?» chiedo divertita, vedendo che sta prendendo la strada per una collina.
«Qualcosa di meno macabro, Muffin.» fa un conato di vomito, fermandosi su una collina che mostra tutta la città. Spegne la macchina, allargando le braccia. «Considerando che siamo letteralmente bagnati, che fuori sta diluviando, e che la tua richiesta d'aiuto è stata detta con poco anticipo, questo è il massimo che posso offrirti per stasera.»
Guardo la luna piena e rossa, nonostante il tempo terribile che sta inondando la città. «È bellissimo.» sussurro, sospirando.
«Stai bene?» chiede curioso, accendendo una sigaretta.
«Credo di no.» rispondo facendo una smorfia.
Lui annuisce, accarezzandomi la mano. «Vuoi parlarne?» chiede.
«Ti è mai capitato di volerlo fare?» lui mi guarda strano, spalancando gli occhi.
«Che… che cosa?» deglutisce.
Scoppio a ridere, scuotendo la testa. «Scappare via, intendo. A volte dimentico che non sei dentro la mia testa e non puoi capire.» rido di nuovo.
«Pensavo fossi impazzita di colpo.» tira un sospiro di sollievo. «Comunque sì, capita a tutti, credo.» aggiunge.
«Mi prometti una cosa?» chiedo guardando la sua mano con aria assorta.
«Se non si tratta di dividere il cibo, perché no.» sorride leggermente, guardandomi.
«Quando farò diciotto anni, mi porterai via da Ronwood? Dovunque, anche in un paesino vicino.» sorrido leggermente.
Il ragazzo mi guarda dolcemente, annuendo. «Ti porterò dove vuoi. Andremo alle Hawaii, ai Caraibi, in Spagna… ti piace la Spagna?» chiede sorridendo.
«Nathan, devo dirti una cosa…» dico seria, mettendomi rigida sul sedile.
Lui diventa serio di colpo, schiarendosi la voce. «Ti ascolto.» sussurra, tenendo la sigaretta tra i denti.
«Ho ucciso mia madre.» dico, chiudendo gli occhi.
Lui si volta di scatto, con il volto pallido e la bocca spalancata. «In che senso hai ucciso tua madre? Che vuol dire?» chiede con voce tremante, corrucciato.
Rimango a fissare il paraurti davanti a me e faccio un sospiro, mordendo il labbro. «Mia madre non stava bene. Credo avesse una sorta di depressione, quella che viene dopo i parti. È stata la gravidanza di Isaac, a procurargliela. Era una donna meravigliosa, ma a volte era molto strana. Tendeva sempre a voler stare da sola, di solito scoppiava a piangere e si faceva del male con qualsiasi cosa trovasse sotto mano. Cercava di proteggerci a tutti i costi, ma forse doveva proteggersi da sé stessa…» sussurro, lasciando cadere una lacrima.
«E cosa c'entra questo con la sua morte?» chiede interessato e spaventato allo stesso tempo. «Perché dici di essere stata tu ad ucciderla?»
«Avevo dieci anni. Solo dieci. Papà ci aveva portati al parco, la mamma non voleva venire. Quel giorno era luglio, il sole era alto e avevo giocato con Isaac tutto il pomeriggio. Nonostante avesse sedici anni, con me di tempo ne passava un sacco. Giocavamo spesso, mi raccontava le sue avventure al liceo e io ridevo sperando che un giorno potessi viverle anche io. Alle sei tornammo a casa, corsi verso papà ma scivolai, sbucciandomi il ginocchio. Nonostante la gamba sanguinante, non volevo farmi toccare. Era la mamma quella che curava le mie ferite, non papà. Non appena varcai la porta di casa, corsi in camera da letto, dove lei di solito passava il suo tempo. Era lì, gli occhi sbarrati e vitrei, persi in un dolore che nessuno di noi aveva mai compreso. La chiamai più volte, gridando, battendo i pugni sul pavimento, ma mamma non rispondeva più, non avrebbe potuto più farlo. Pochi giorni dopo, grazie all’autopsia, scoprimmo che ingerì grandi quantità di pillole antidepressive. Avvelenamento da farmaci intenzionale. Sentivo questa parola detta dai medici e poliziotti ogni santo giorno. Avvelenamento da farmaci intenzionale, ma cosa voleva dire? Io non ne avevo idea. Avevo solo dieci anni, ero spaventata e gli psicologi mi facevano domande a raffica su come mi fossi sentita quella sera. Io non sapevo nulla, Nathan. Sapevo solo che mia madre era stanca, avevo deciso di riposare e io non l’avevo salvata. Mia madre non poteva stare da sola, se io non fossi andata al parco quella domenica, lei sarebbe rimasta in vita, con me. L’ho uccisa.» tiro su con il naso, guardando Nathan. La cosa che non mi aspetto è che i suoi occhi sono pieni di lacrime. Sta piangendo, con le iridi completamente rosse e il respiro corto. Scuote la testa freneticamente, prendendo le mie mani e baciandole.
«Non…. non posso immaginare una piccola te che spera in una risposta da parte della madre. Non… non hai colpa, okay? Lei era m-malata e tu non potevi saperlo. È ingiusto che una bambina di dieci anni debba vivere queste cose. Sei una forza della natura, Sophie, sei ancora in piedi. E sono sicuro che lo pensa anche lei, che è fiera di te.» dice asciugando gli occhi.
Mi avvicino a lui, asciugando un’altra lacrima che gli scorre sulla guancia. «Dopo la sua morte, mi sono promessa di aiutare chiunque avesse dei problemi. Non so se ho fatto un buon lavoro, in tutti questi anni, ma spero che abbia dato la speranza a qualcuno di combattere ancora, di vivere.»
Lui sorride teneramente, accarezzandomi il viso. «Sei speciale, Sophie. Sei davvero speciale.»
Sorrido anche io, guardandolo tristemente. «Mi accompagni a casa? Vorrei dormire.» sussurro.
Lui annuisce, mettendo in moto la macchina. Arriviamo a casa dieci minuti dopo, il ragazzo si ferma davanti casa mia, sospirando. «Ricorda che io ci sono sempre, okay? Ti ammiro molto. Buonanotte, Muffin.» mi dà un bacio sulla guancia, accarezzandomi il viso.
«Anche io per te. Buonanotte caffè.» dico scendendo dalla macchina.
Corro dentro il giardino, per evitare di bagnarmi. Una volta che apro la porta, lui se ne va, così la chiudo e vado verso la cucina. Accendo la luce, asciugando gli occhi, sbiancando di colpo. Mio padre è lì, incazzato nero, che mi sta aspettando.
-Spazio Autrice.
*Musica da film horror*
Ciao, miei piccoli Muffin! Come state? Io non molto bene, sono a letto da ieri pomeriggio perché per qualche strana ragione sovrannaturale mi fanno male le gambe, e mi costa anche fare un passo. In ogni caso, ecco a voi il nuovo capitolo! Diciamo che è folata di aria gelata sul viso. Nathan che ha praticamente lanciato una sfida velata a Ian, Sophie e la sua gelosia per Abby e poi la scena in macchina che come avete visto, per Nathan è stata una botta in testa. Certe confessioni Sophie poteva pure evitarle, però! 😂 Ma non è finita qui, perché nel prossimo lei dovrà affrontare Ian e le sue domande strane, che per carità, essendo un padre merita di fare. Vi accenno che avranno un discorso semplice ma che colpirà dritto al petto di Sophie e che questo porterà un po' di problemi ai due ragazzi. Non mi dilungo troppo e vi lascio con questo capitolo! Ci vediamo mercoledì, a presto! ❤️
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro