Quattro.
Il bacio che non accade è spesso il più memorabile.
-Bo Fowler
Quando c'è in programma una festa, per noi ragazze è sempre un dramma sistemarci. Maddison sta davanti allo specchio per ore, cercando di arricciare i capelli biondi, con un leggero nervosismo che trasmette anche a me, nonostante sia pronta da un bel pezzo.
Ho messo un vestito con spalline spesse, che formano una croce dietro le mie spalle scoperte. Uno scollo a cuore nero, una gonna con dei pizzi più lunghi a quadretti rossa e nera, un giubbotto di pelle e degli stivali bassi, con le borchie. Ho arricciato leggermente i capelli, messo eyeliner, mascara e rossetto bordeaux scuro.
Mi siedo sul letto, osservando la mia amica che cerca di darsi ancora una sistemata. Lei porta un semplice tubino nero, che la fa sembrare quasi adulta.
«Credo di essere pronta.» farfuglia, osservandosi ancora. Nathan apre la porta, affacciandosi il capo, per vedere a che punto siamo. Poco dopo la spalanca, mettendosi a braccia conserte e guardando la sorella con aria scocciata.
«Sono già le nove, Denis ci sta aspettando.» borbotta, lanciandomi poi un’occhiata e sorridendomi appena. Ha una camicia nera, leggermente sbottonata di sopra, con i risvolti alle maniche che mettono in evidenza le vene sporgenti sulle braccia e sulle mani. Un jeans scuro, leggermente strappato e un paio di scarpe nere. È semplice, ma su di lui ha un effetto spettacolare.
«Sì, ho fatto, Nate. Dammi due secondi.» morde il labbro, nervosa.
La guardo scuotendo la testa, facendo una lieve risata. «Ti stai facendo bella per te stessa o per Addison?» ridacchio. Lei mi guarda con un sopracciglio alzato, facendo una lieve risata.
«Possiamo andare.» borbotta, scendendo al piano di sotto.
Le feste liceali. Potremmo aprire un'intera parentesi su questa argomentazione, perché ai party organizzati da noi teenager, non manca davvero nulla. La musica chiassosa e rimbombante, si può udire già all'inizio della via, e vi posso assicurare che una volta arrivati lì, la cosa andrà a peggiorare. Sembriamo quattro idioti, che fissano una villa gremita di gente, senza avere il coraggio di metterci piede.
Maddison per Addison, io perché non sono abituata a certi eventi, Denis e Nate… beh, si sono semplicemente fatti coinvolgere dai nostri problemi esistenziali.
Nathan mi prende per il braccio, sorridendo appena, osservando ancora una volta la villa davanti a sé. «Ora o mai più, Muffin.» fa l’occhiolino, camminando verso la casa.
Maddison e Denis ci seguono a ruota, in quel posto che sembra un inferno. Gente che balla appiccicata tra loro, alcool riversato sul pavimento, ragazze che baciano chiunque le capiti sotto tiro…
Non riesco neanche a dirvi che aspetto ha la casa, considerando la moltitudine di persone che la stanno momentaneamente occupando. Maddison sorride, prendendo per il braccio Denis e facendo l’occhiolino a Nathan.
«Noi andiamo a ballare, divertitevi, vedo che andate molto d'accordo.» morde il labbro, inoltrandosi tra la folla e ballando sulle note di “One Kiss” di Dua Lipa.
Guardo Nathan, notando che lui sta facendo lo stesso. Facciamo spallucce e andiamo alla ricerca di un posto meno rumoroso e chiassoso possibile. Poco prima di sederci in un divanetto, noto Ryan che parla molto animatamente, facendo in modo che chiunque nei paraggi potesse notarlo.
Scuoto il capo e prendo posto, sospirando. Da qui la visione della gente è molto ampia, posso vedere tutti, nonostante senta meno il casino.
Nathan si siede con me, sorseggiando una birra presa al bancone degli alcolici.
Una ragazza mora, molto punk e molto alternativa, sta attraversando la stanza proprio in questo momento, con quell'aria macabra e strana. «Lei è Rosie.» sussurro. «Pare che dopo il suicidio del suo ragazzo, abbia deciso di darsi all'esoterismo.» faccio spallucce, mangiando una patatina dalla ciotola appoggiata al tavolino di vetro.
«Il ragazzo si è suicidato? E perché?» spalanca la bocca, osservando la ragazza che sta facendo palloncini con il chewingum, nascondendo quelle labbra colorate di nero.
«In realtà non si sa. Ci sono molto teorie a riguardo, molti pensano che sia stato a causa delle cose strane che seguiva. Faceva parte di sette sataniche o robe del genere, almeno così dice la gente. Io non ci credo. Suppongo che Dave avesse qualche problema di salute, ragion per cui prese una decisione drastica.» spiego, indicando poi un ragazzo dai ricci biondi. «Lui è Carl, il ragazzo più intelligente del mio corso.» sorrido.
«Carl, eh? Bel nome, Carl.» annuisce. Poi mi guarda e io faccio lo stesso, scoppiando a ridere insieme. «D'accordo, fa schifo.» borbotta, ruotando gli occhi.
Nel frattempo, “Obra Maestra” di Romeo Santos, risuona da sottofondo, rendendo tutto meno… imbarazzante. Il moro fa cenno con il capo, verso Ryan, che ci sta fissando con uno sguardo strano. «Ryan Walker. Cosa sai dirmi di lui?» passa il pollice sotto il naso, grattandosi, per poi mordersi le labbra inconsapevolmente.
Sospiro, cercando di nascondere il disagio. «Poco. Lo conosco dall'inizio del liceo, ma non abbiamo avuto modo di farlo a fondo.» sussurro, guardando verso la porta. Jason sta entrando proprio in questo momento, ed è bellissimo. Mi alzo, senza farci caso e Nathan fa lo stesso con me. Si mette dietro al mio orecchio, schioccando la lingua sul palato.
«È la tua occasione, bambina. Invitalo al ballo, o lo chiamo io e lo porto qui.» sussurra. Mi volto, osservando il suo sorriso beffardo, rimanendo di nuovo a pochi centimetri da lui. Distolgo lo sguardo per un attimo, per poi sentire un coraggio improvviso. Lo guardo negli occhi.
«Caffè, no. Non osare.» dico a denti stretti.
Lui sposta gli occhi sulle mie labbra, mordendo le sue. «E se osassi?» sussurra. Mi allontano, di colpo, schiarendomi la voce.
Lui mi guarda confuso, scuotendo la testa. Forse non sono stata solo io ad accorgermi di qualcosa di strano, considerando la sua faccia. «Andiamo a cercare gli altri?» dico con lo sguardo basso e la faccia in fiamme.
«Credo sia meglio, sì.» sussurra, cominciando a camminare.
Il resto della serata, non è stato granché. Io e Nathan ci siamo uniti agli altri, a mezzanotte Maddison era già ubriaca e Denis era sparito chissà dove. Adesso è l’una di notte, Maddison è in macchina che dorme, Denis è chissà dove, e noi ci troviamo seduti su un divano a mangiare patatine. Prospettiva interessante per una festa, vero? Il resto della casa, o almeno quella ci entra, è spostato nella cucina, dove a giudicare dalle incitazioni, sta accadendo una rissa. Non ci scomodiamo a vedere, nonostante Nathan si fosse alzato per informarsi, l’ho rifatto sedere spiegandogli che probabilmente è qualcuno che gioca a football.
«Non osare, figlio di puttana!» una voce. Quella di Denis. Spalanco gli occhi, guardando Nathan e scuotendo la testa.
«Denis!» diciamo in coro, correndo in cucina e cercando di sovrastare la folla.
Quello che mi appare davanti è una scena pressappoco inverosimile. Il mio migliore amico, sta facendo a botte con Chuck Harris, ed a giudicare da come sono messi, il giocatore di football le sta prendendo solo adesso. Denis ha un occhio nero, un labbro sanguinante e i capelli fuori posto. Continua a dare pugni al ragazzo, senza arrestarsi. Nathan si mette in mezzo, cercando di dividere i due.
Chuck dice qualcosa, che non riesco ad intuire bene per via della folla acclamante. Anche Nathan lo sta guardando con la bocca spalancata, ma quello che succede in questo istante, è davvero incredibile.
«Adesso basta!» urla Denis, tirando dalla tasca un coltellino. In questo preciso momento, il mio cuore si è fermato e il respiro pure. Scuoto la testa, sentendo gli occhi lucidi e indietreggio scomparendo tra la gente. Mi dirigo verso l’uscita a passo spedito, tormentandomi la testa. Perché quell’arma? Cosa mi nasconde?
«Sophie aspetta!» Nathan urla il mio nome, respirando a fatica. Probabilmente avrà corso.
«Voglio tornare a casa.» dico, senza voltarmi. Il moro sospira pesantemente, facendo dei passi verso di me.
«Andiamo a casa, okay? Andiamo a casa. È tutto finito.» dice, appoggiandomi le mani sulle spalle.
Chiudo gli occhi, stringendo i pugni e voltandomi verso di lui. Denis è a pochi passi, che ci osserva con il volto basso. Lo rialza poco dopo, i suoi occhi sono pieni di lacrime, devastati. «Non ora, Sophie. A casa. Giuro, ti dirò tutto. Non qui, però.» sussurra. I due ragazzi passano avanti, lasciandomi indietro sotto mia richiesta.
Cammino fissando il pavimento, fermandomi poco prima di arrivare alla macchina, prendendo respiro. «Perché?» chiedo. I due si voltano. Nathan sembra più serio che mai, mentre Denis è sconvolto.
«Perché cosa, Sophie?» chiede il greco, a bassa voce.
«Perché porti un coltellino addosso?» chiudo gli occhi, stringendo i pugni e lasciando cadere una lacrima.
Il ragazzo sospira, avvicinandosi a me e cercando di toccarmi. Indietreggio, creando un cerchio perfetto tra noi due, finendo senza accorgermene accanto a Nathan, che mi guarda con tristezza. «Non osare toccarmi! Non provare a farlo fin quando non mi dirai cosa cazzo mi nascondi!» urlo. Il mio sguardo è un fuoco, non riesco a percepire neanche la mano di Nathan che tocca la mia spalla.
Lui chiude gli occhi, deglutendo. «L’azienda di papà sta fallendo e io ho provato ad aiutarlo in qualche modo.» borbotta, guardandosi le scarpe.
Scuoto la testa, mordendo il labbro. «No, non può essere. Non dirmi che è quello che immagino!» lo guardo sconvolta, facendo una risata sarcastica.
«Avevo altra scelta? A sedici anni nessuno ti prende per lavorare, Sophie!» esclama disperato.
«Potevi chiedermi aiuto. Sai che non avrei rifiutato mai. Con chi hai fatto il debito? Da chi devi difenderti?» domando, asciugando le lacrime.
Nathan sospira, stringendo gli occhi e bloccando Denis che sta cercando di parlare. «Ascoltami, Muffin. Forse tu non hai capito bene, quello che Denis sta cercando di dirti…» sussurra.
«È tutto apposto. Ha fatto un debito che deve ripagare ma non può, così di conseguenza ti porti il coltellino dietro per… per cosa?» chiedo confusa, guardando Denis.
Il greco scuote la testa. «È questo il punto. Io spaccio droga, Sophie. E i soldi che devo sono per il mio fornitore, una persona molto pericolosa.» sussurra.
Lo guardo con un’espressione delusa, spezzata, scuotendo la testa. «Mi hai rotto, Denis.» sussurro, lasciando cadere altre lacrime.
«Lo so, ma credimi, ne uscirò vivo. Tutto andrà per il verso giusto, non ti preoccupare.» spiega tirando su con il naso. «Io sono sempre io e vi starò accanto nonostante tutto.» borbotta.
«Nonostante tutto? Ho solo sedici anni, Denis! Io non sono abituata a tutto questo! Alle feste, alla droga, all'alcool… non sono cose che mi appartengono! Né loro, né la gente di cui ne fa parte.» lo guardo con rabbia, mordendo il labbro per il nervoso.
«Io ne faccio parte, Sophie.» dice asciugando una lacrima.
Chiudo gli occhi, asciugandoli in fretta. «Infatti hai smesso di appartenermi da questo preciso istante. Hai finito, Denis Doukas. Non penso che tu possa far più parte della mia vita.» dico seria, cercando di non piangere.
Il padre di Denis arriva proprio in questo momento, suonando il clacson per richiamare il figlio. Lui mi guarda, scuotendo la testa, piangendo. «Non… non abbandonarmi.» mi implora, congiungendo le mani.
Il mio istinto è quello di abbracciarlo forte e di rassicurarlo che ci sarò sempre. Ma non posso, deve capire da solo i suoi errori. «Sei stato tu ad abbandonare te stesso.» pronuncio, non nascondendo un lieve tremolio alla voce.
Il ragazzo annuisce, salendo in macchina e andando via. Io rimango a fissare il punto in cui lui era stato poco prima, con sguardo perso. «Come ti senti?» sussurra Nathan, accarezzandomi il braccio.
Mi volto, scoppiando a piangere e affondando, per la prima volta, tra le sue braccia. Lui mi stringe, mettendomi una mano sulla nuca, dandomi dei baci sulla fronte.
«Andrà tutto bene. Ce la farà.» sussurra, accarezzandomi la testa. Rimango in silenzio, lasciando che siano le mie lacrime a parlare per me.
La notte ti dà molto da pensare e onestamente di pensieri ne ho già molti. Mi arrampico sul davanzale della finestra, prendendo un libro ancora non iniziato dalla libreria, per leggerlo. Ho finito di piangere circa mezz'ora fa e questa cosa mi fa sentire più stanca del dovuto. Sbadiglio, osservando il cellulare che si illumina a causa di un messaggio.
Lo prendo curiosa, entrando su WhatsApp e sorridendo di colpo. Nathan mi ha scritto.
“Muffin.”
“Ehi.” rispondo.
“Stai bene?”
“Domanda di riserva?”
“Mi dispiace che tu stia così. Posso fare qualcosa?”
“Starmi vicino.” scrivo senza pensare, inviandolo.
“Okay, allora cercherò di fare il possibile.”
“D'accordo.”
“Sei a casa?”
“Sì, e tu?”
“Con Jared, il mio migliore amico. Non lo conosci ancora, veramente.”
“Ogni giorno sei sempre un mistero, Nathan Coleman. Credevo non avessi amici qui.”
“Credi male. Ci sono molte cose che non sai di me.”
“Non ho fretta di saperle. Fra amici ci si racconta di tutto, ma con calma.”
“Sì, è così. Ti stavo pensando, comunque.” leggo il messaggio spalancando gli occhi, arrossendo di colpo.
“Anche io, credo. Cioè, non lo so, ma prima ti pensavo.” rispondo, mangiucchiando le unghie.
“Sul serio?”
“Sul serio.”
“E perché prima e non ora?”
Rido leggermente, scuotendo la testa. “Perché adesso stiamo parlando, idiota di un caffè.”
“Allora non dovrei scriverti più, così non smetti di pensarmi.”
Spalanco gli occhi di nuovo. «Che?» sussurro, deglutendo. “Sei ubriaco?”
“No.” risponde subito dopo.
“Ehm… d'accordo, caffè.”
“Che libro leggi?”
Alzo un sopracciglio, confusa. “Come fai a sapere che sto leggendo?”
“Ti sto guardando.”
Abbasso lo sguardo, notando lui davanti casa mia, appoggiato alla carrozzeria della sua macchina con un sacchetto in mano. Sorrido.
“Dovrei scendere?”
“O mi fai salire, a te la scelta. Giuro di avere buone intenzioni, devo solo parlarti.”
Mi passo una mano sul viso, guardandolo di nuovo e vedendo che mi sorride. “Cristo, so che sarà imbarazzante per me. Sai arrampicarti dalla finestra?”
“Speravo che qualcuno prima o poi me lo chiedesse! Dammi due secondi. Giuro di fare il bravo.”
Pochi minuti dopo, il ragazzo entra piegandosi in due e imprecando a bassa voce, gettando il sacchetto sul pavimento, reggendosi con le mani sul davanzale. Cade letteralmente sulle ginocchia, sbuffando. Cerco di non ridere e mi siedo sul letto, mentre lui si rimette in piedi sbattendo le mani per pulirsele. Si guarda intorno, corrucciato. «Riesci a dormire con quei cosi che ti fissano?» indica i poster.
«Rupert Grint, l'attore più bello che abbia mai visto.» dico fiera, lui ruota gli occhi.
«Che demente.» scuote il capo e mi indica il sacchetto sul pavimento. «Ti ho portato i muffin.» fa l’occhiolino.
«Se il primo ragazzo oltre mio fratello e mio padre ad entrare qui, quindi distanza di sicurezza. Siediti sulla poltrona e grazie per i muffin.» indico la poltrona di fronte a me, lui ride, eseguendo il mio ordine.
«Comprensibile.» muove la mano in modo strano, mentre io tiro fuori il muffin dalla busta.
«Allora, uomo tenebroso e pieno di misteri, cosa ti porta qui?» dico ironica, spezzando un pezzo di muffin con le mani e chiudendo gli occhi. «Mh, fammi indovinare. Preso da Daisy.»
«Sì, quando ho detto a Jason che era per te, mi ha subito dato quello a vaniglia. È il tuo preferito?» domanda, incrociando le braccia.
«Assolutamente sì! Non l’hai mai provato?» dico, mettendomi con le gambe incrociate.
«No.» scuote la testa. Mi alzo, spezzandone un pezzo e avvicinandomi a lui.
Mi abbasso di poco, anche perché avendo i pantaloncini rischio di far vedere troppo. «Apri la bocca.» sorrido.
Lui mi guarda per un attimo, interdetto e sorpreso allo stesso tempo. Poi, con riluttanza, fa come dice. Gliene dò un pezzo, dandoglielo direttamente io. Quando mi accorgo del gesto, arrossisco di colpo e noto di come lui comincia a diventare rigido.
«È… buono.» farfuglia. Torno indietro, imbarazzata, lui sembra confuso e scosso allo stesso tempo.
«Cosa… dovevi dirmi?» chiedo, sedendomi sul letto. Lui mi sta ancora fissando, senza parlare, percorrendo il mio corpo con i suoi occhi.
«Sì, io… volevo parlarti a proposito di quello che è successo stasera.» sussurra.
Sbianco, deglutendo. «Senti se ti riferisci a quando eravamo vicini, io non...non avevo intenzione di baciarti.» borbotto, imbarazzata.
Lui alza lo sguardo, aggrottando la fronte. «Che? Io volevo parlarti di Denis.» sussurra, confuso e divertito allo stesso tempo.
«Di Denis? Ma certo! Cioè, anche io intendevo quello. Cioè, quando ti ho abbracciato…» mi ingarbuglio, cercando di uscire fuori dalla mia figura di merda colossale.
«Hai parlato a proposito di un bacio, Muffin.» dice serio.
«Bacio? Che sbadata! Volevo dire… abbraccio, non bacio...» sussurro.
«D'accordo, questo mi costringe a tirare fuori l'argomento più avanti. Denis adesso è più importante, ma non credere di averla scampata. Ad ogni modo, so come aiutarlo.» risponde serio, facendo poi un lieve sorriso.
Arrossisco spalancando gli occhi. Parlarne? Ma è scemo? Io non voglio. Cristo, che impedita che sono! «Come?» chiedo non guardandolo neanche in faccia.
«Puoi guardarmi, non ti mordo.» ride. «Comunque, credo di conoscere qualcuno che può tirarlo fuori di lì. E per i soldi, posso pensarci io.» sussurra.
«Perché conosci gente del genere?» chiedo.
«Vecchi conti del passato. In ogni caso, se tu ti fidi di me, posso assicurarti che tutto andrà per il verso giusto.» spiega.
Scuoto la testa. «Non voglio che ti metti in mezzo in certe situazioni. Neanche per aiutare Denis.» dico contrariata.
«Io ne ho ventidue, lui sedici. Rischia molto più di me e poi mi sono già mosso, non posso più tirare indietro tutto. Quello che ti chiedo è di stargli vicino, almeno fin quando non avrò capito per chi lavora.» sospira.
«Nathan, io non posso. Mi sento tradita in tutto e per tutto da lui e comprenderai che non è facile. Dammi tempo, magari domani cambio idea e sono super amica con lui, ma non stasera. Non ora. E se sei venuto per dirmi questo, puoi anche andare via, sul serio.» mi passo una mano in viso.
«No, io sono venuto per starti vicino. Capisco cosa hai provato sapendo ciò che fa, ma se sentiamo solo cappuccetto rosso, la colpa sarà sempre del lupo cattivo.» sbuffa.
Balzo in piedi, stringendo i pugni. «Stai volendo insinuare che io sto esagerando? Che non sto dando il giusto spazio al mio migliore amico per potersi esprimere?» dico fredda, guardandolo con superiorità.
Lui mi guarda confuso, alzandosi in piedi. «Cosa? No! Sto solo dicendo che devi provare a capirlo.» spiega con calma, sospirando.
Rido sarcastica, facendo una smorfia. «Certo. Ma chi prova a capire me? Chi ci ha mai provato davvero, Nathan? Io devo essere quella comprensiva, quella che perdona tutti, quella che c'è per tutti! Ma per me, Nathan? Per me chi c'è?» dico con rabbia.
Lui sospira di nuovo, prendendomi le mani, guardandomi negli occhi. «Io, Sophie. Per te ci sono io.» sorride.
Chiudo gli occhi, lasciando cadere una lacrima. «Sono stanca, Nathan. Stanca.» mordo il labbro, lasciando le sue mani e sedendomi sul letto. «Ogni giorno cerco di dare il meglio per gli altri, cerco di accontentare chiunque. Poi arrivo a fine giornata, senza forze, a non avere niente per me stessa. Nessuno a chiedermi come sto, se sono felice… nessuno a chiedermi se tutto questo che sto vivendo mi fa stare bene, lo comprendo. Faccio tanto per gli altri e loro fanno niente per me. E devo pure sopportare certe verità scomode…» singhiozzo, passandomi una mano sul labbro per asciugare le lacrime.
Lui piega le ginocchia, per arrivare alla mia altezza. Asciuga una lacrima e mi sorride tristemente. «Ehi, io so quello che stai vivendo.» sussurra.
Scuoto la testa freneticamente. «No, non puoi saperlo.» tiro su con il naso.
Lui appoggia la sua fronte sulla mia, ma per come mi sento in questo momento, non sto provando neanche un minimo di imbarazzo, è come se cercassi questo contatto. «I tuoi occhi, Muffin. Ricordi che ti ho detto ieri notte? Che i tuoi occhi parlano per te, e lo stanno facendo anche adesso. Lo fanno tutti i giorni.» dice, allontanandosi poi di colpo con espressione confusa e sconvolta allo stesso tempo, scuotendo il capo. «Io sono con te, okay?»
Annusico. «Okay.» rispondo, sospirando.
Si siede sul pavimento, con i piedi appoggiati su di esso e la gambe aperte, appoggiando la mano che penzola sul ginocchio sinistro. «Quando avevo la tua età, credevo di poter fare qualsiasi cosa. Non ero quel tipo di ragazzo impegnato allo studio o che viveva per rendere orgoglioso i genitori. Sono cresciuto per strada, da solo. Ero ribelle, incazzato con il mondo, sempre chiuso in me stesso. Avevo tanti amici, molti dei quali oggi non ricordo nemmeno il viso. Tranne che per Jared. Sapevo di condurre uno stile di vita sbagliato, di deludere mia madre ogni singolo giorno. Tornavo a casa tardi, ubriaco o fatto, mi facevo una tipa diversa al giorno e credevo che la mia vita fosse completa. Fin quando, varcando la porta di casa, mi sentivo vuoto. Come se mi mancasse qualcosa.» dice con aria assorta, guardando il nulla alla sua destra. Lo guardo interessata, cercando di capire dove volesse andare a parare. «Lo so, ti starai chiedendo cosa c'entra tutto questo con te, e in parte hai pure ragione. Questo è per farti capire che non serve accontentare la gente per non sentirsi bene con sé stessi. Prendi me, ho fatto tutto pensando solo a me stesso, ma il risultato a fine giornata era sempre quello.» si passa la lingua fra la labbra, per inumidirle.
«E hai trovato ciò che riesca a colmare quel vuoto?» domando, tirando su con il naso.
Lui alza lo sguardo, guardandomi sottecchi e facendo un mezzo sorriso. «Credo proprio di no, sai?»
«Però tu, bene o male, hai vissuto la tua vita. Non ti sei messo in ombra per la tua famiglia o i tuoi amici.» sussurro.
Lui sorride leggermente, stringendo le labbra per poi mordicchiarle nervosamente. «E perché non lo fai anche tu. È la tua vita, Sophie. Nessuno può decidere per te. Vuoi fare qualcosa? Falla. Fottitene delle conseguenze o di chi ti dice che è sbagliato. Nulla lo è, se ti rende felice.» sussurra.
Sospiro, chiudendo gli occhi. «Forse la mia è solo paura. Forse non mi sento così tanto grande come credo di essere.» borbotto, arricciando il dito in una ciocca di capelli. Lui mi guarda per un po’, serio, corrugando la fronte.
«La paura è il più grande nemico dell'essere umano. Avendo paura di qualcosa, le dai potere, la rendi ancora più grande, cattiva. Devi affrontarle, queste paure. Cosa racconterai ai tuoi figli, un giorno?» mi guarda serio.
«E tu?» chiedo.
«Io avrò molto da raccontare. Smettila di pensare a me, a Denis, a Maddison o a chiunque altro. Pensa a te. Per esempio, perché non parli con Jason? O perché non metti fine una volte per tutte al calvario che stai vivendo con Ryan? Perché non chiudi quei cazzo di libri e cominci a vivere davvero? La cultura serve, è vero. La scuola serve. Ma è la strada ad insegnarti davvero qualcosa, le esperienze. Devi vivere, Sophie. Devi imparare a dire di no, a pensare ogni tanto di cosa avresti bisogno tu.» mi sorride leggermente, alzandosi. «Ho finito, Muffin. Credo di poter andare a dormire.» si stiracchia.
«No, non andartene.» sussurro, fissando il pavimento.
Lui alza lo sguardo, socchiudendo la bocca, fissandomi incredulo. «Vuoi che resti qui?»
«Non so cosa voglio, Nathan.» mordo il labbro, nervosa. Lui chiude gli occhi, sospirando.
«Comincia a chiedertelo.» sussurra, sedendosi sulla poltrona. «Rimango un altro po’, se ti fa piacere.»
«No, cioè… sì, mi fa piacere.» sussurro. Mi sono accorta solo ora della mia richiesta, mi sento una stupida.
«Questo è un chiaro segno di paura. Sophie, ascoltami, chiedermi di restare non significa voler fare sesso, okay? Perché lo so che lo stai pensando. Mi stai semplicemente chiedendo di farti compagnia, e io sono felice che tu lo stia facendo.» sorride leggermente.
Spalanco gli occhi, di colpo, arrossendo. «Sì, credevo che tu avessi capito una cosa del genere… cioè, volevo dire che…»
Lui scuote il capo, sorridendo. «È tutto okay. Iniziamo da adesso ad affrontare le tue paure. A quale bacio ti riferivi, prima?» chiede interessato, osservandomi.
Sospiro, scuotendo la testa e ruotando gli occhi. «Senti, ho frainteso, okay? Quando eravamo alla festa di Josh, nello stesso frattempo in cui era entrato Jason...c'è stato un momento. Ma niente di che, d'accordo? Solo che tu mi guardavi le labbra e io, ho pensato che…» mi interrompe con un gesto della mano, alzando un sopracciglio.
«Hai pensato che volessi baciarti.» sussurra.
«Sì e no. Cioè, io non so come funzionano queste cose, quindi non so cosa pensare o che conclusioni trarre.» sospiro, mettendomi a braccia conserte.
«Avresti dovuto chiedermelo, non rimanere con il dubbio. Ti avrei risposto e non ti avrei preso in giro. So come funziona con te, non sai. E il tuo non sapere, ti confonde.» spiega.
«Sì, più o meno. Ma adesso ho capito che non volevi. Era solo una curiosità, comunque.» farfuglio.
«Una curiosità che avevi il diritto di sapere. Sei una ragazza meravigliosa, Sophie, ma il tuo essere completamente ignorante sui modi di fare dei ragazzi, ti potrebbe portare guai.» sospira.
«Ecco perché li evito.» ridacchio. «Senti, possiamo cambiare argomento?» mordo il labbro, imbarazzata.
«No.» sorride leggermente. «Tu cosa volevi fare, Sophie?» chiede.
Spalanco la bocca, scuotendo la testa freneticamente. «Io?» dico agitata.
«Tu.» risponde lui tranquillo. «Volevi baciarmi o no?» chiede.
Spalanco la bocca ancora di più, guardandolo sorpresa. «Non sono domande da fare ad una ragazza.» dico cercando di nascondere l'imbarazzo.
Lui scoppia a ridere, scuotendo la testa. «Sai cos'è il bello di te?» sussurra alzandosi, «che sei tanto, tanto ingenua.» ridacchia.
Mi alzo anche io, ridendo. «Ingenua a chi?»
«Oh, Muffin. Sai cosa me lo dimostra?» borbotta avvicinandosi a me, indietreggio e scuoto la testa, senza rispondere. «Il fatto che io non ti abbia mai dato conferma o meno sul tuo dubbio riguardo al bacio, e tu non me l’hai chiesto.» sussurra.
«Dovrei farlo, adesso, vero?» chiedo incerta, respirando a fondo.
«O potrei direttamente dimostrarlo.» si avvicina ancora di più, ad un centimetro dalle mie labbra. Mi mette le mani sulle guance, guardandomi. Per un momento, penso di volerlo, di lasciarlo fare. Così, chiudo gli occhi, respirando a fondo. Lui sospira, accarezzandomi il viso. Si avvicina ancora di più, sento il suo respiro sul mio viso.
Avete presente quando la vita è bastarda? Ecco. Bussano alla porta. Adesso. Ci voltiamo entrambi, io deglutisco. «Amore, posso entrare?» signori e signore, mio padre!
Spalanco gli occhi, indicando l'armadio a Nathan, che cerca di non ridere e si nasconde, lasciando una fessura aperta. «Arrivo papà!» apro la porta, facendolo entrare.
«Tesoro ti sentivo parlare da sola, tutto bene?» domanda, entrando.
«Cosa? Oh, ehm… sì. Stavo provando la canzone che dovrò cantare al ballo, sai Whitney Houston. È molto difficile. Tutto apposto. Vuoi che ti prepari un tè? Non riesci a dormire?» dico di fretta.
«No, ero andato in bagno. Beh, in ogni caso, riposati. È tardi. Domani è domenica, avrai tutto il tempo per provare, d'accordo?» sorride, dandomi un bacio sulla fronte. «Buonanotte, bambina mia.»
«’Notte, papà.» sorrido anche io. Non appena esce, Nathan apre l'armadio ridendo come un pazzo. Lo guardo con un sopracciglio alzato, ruotando gli occhi. «Hai finito?»
Lui si blocca, sorridendo. «Buonanotte, Muffin.» mi dà un bacio in guancia. «Ci vediamo domani?»
«È una domanda o un'affermazione?» ridacchio, evitando il suo sguardo.
«Dipende da te.» fa spallucce.
«A domani.» lo bacio in guancia, all'improvviso. «Notte caffè.» lui sorride enormemente, sgusciando via dalla finestra. Mi affaccio, per assicurarmi che non si sia fatto nulla e quando lo vedo percorrere il vialetto e girarsi per guardarmi, agito la mano a mo’ di saluto. Poi, chiudo la finestra, spengo la luce e mi metto a letto, fissando il soffitto.
Un’altra ragione per restare sveglia tutta la notte: Nathan Coleman.
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