6.[Epilogo] Il bambino e il capitano.
La sabbia della baia situata vicino al faro era ancora bianca e finissima, proprio come sei anni prima; quel pomeriggio, come ogni giorno, la sua superficie era intarsiata d’impronte.
Le orme affrettate di un bambino percorrevano la spiaggia, inseguite a poca distanza da quelle un po’ esitanti di una donna.
A metà baia le impronte del ragazzino si facevano più incerte, mentre azzardavano qualche passo verso un paio d’orme più grandi, spesse e ben definite.
Erano le impronte di un bimbo sperduto, che frugava la baia alla ricerca di una mano forte e robusta da stringere: una mano da capitano, come quella del padre che non aveva mai avuto.
A Finnick Sebastian erano sempre piaciute le persone silenziose. Si trovava bene in loro compagnia, perché erano un po’ come lui, che aveva sei anni ma parlava molto meno rispetto ai bambini della sua età che conosceva. Di domande ne aveva molte, ma non sempre trovava la persona giusta a cui farle; il più delle volte preferiva passeggiare lungo la riva, guardare il mare dagli scogli o ascoltare le favole di Adrian, il guardiano del faro.
Forse era per quello che il signore che era venuto a trovarli quel giorno assieme a Johanna, la sua madrina, lo incuriosiva così tanto. Non aveva quasi aperto bocca per l’intera mattinata e, subito dopo pranzo, si era allontanato in direzione della baia.
Johanna gli aveva proposto di portarsi dietro Sebastian, ma dopo un attimo di esitazione l’uomo aveva fatto segno di no con la testa, mormorando qualcosa che il bambino non era riuscito a comprendere.
Alla baia, quel pomeriggio, Sebastian ci era andato lo stesso, accompagnato dalla madre.
Appena arrivato aveva incominciato a scorrazzare per la riva, improvvisando una gara di corsa con degli avversari immaginari.
Annie cercava di stargli dietro come poteva, fermandosi di tanto in tanto per riposarsi e guardarlo giocare.
“Finnick!” lo richiamò dopo una mezzoretta, indirizzandogli un’occhiata apprensiva. “Dove hai già fatto finire la maglietta?”
Il bambino fece spallucce, indicando poi un fagotto di stoffa appallottolato sulla sabbia; non gli piaceva disobbedire, ma ancor meno gli piacevano i vestiti. Preferiva giocare a torso nudo e lasciare che il vento gli facesse il solletico, evitando così che la sabbia gli si appiccicasse alla maglietta.
Corse in direzione della scogliera, riconoscendo la persona appollaiata su una delle rocce: era l’amico di Johanna. Sebastian non voleva disturbarlo, ma la curiosità era troppo forte perché riuscisse a ignorarla. Si arrampicò su uno degli scogli più bassi, cercando di non muoversi troppo in fretta per non attirare la sua attenzione, ma l’uomo lo notò subito.
Sebastian si morse il labbro con espressione colpevole, quando lo sguardo di quel signore così silenzioso si posò su di lui; tuttavia, l’uomo non disse nulla. L’occhiata che gli stava rivolgendo non era infastidita, come quelle che gli rifilava qualche volta Johanna quando faceva finta di trovarlo antipatico. Tuttavia, Sebastian si accorse che sembrava preoccupato e quel dettaglio lo confuse. Gli sembrava un tipo tosto, il genere di persona che non si lasciava spaventare facilmente. Era alto e aveva l’aria forte e coraggiosa, da comandante.
“Sei un capitano?” azzardò, non riuscendo a trattenersi.
L’uomo aggrottò appena le sopracciglia, rivolgendogli un’occhiata sorpresa.
“Come?”
“Sembri un capitano” ammise timidamente il bambino, giocherellando con un risvolto dei suoi jeans. “Anche loro hanno un cappello.”
Il suo interlocutore accennò un lieve sorriso, sistemandosi la visiera del berretto.
“Sono un soldato” rispose poi, appoggiandosi i gomiti sulle ginocchia. “Faccio il pilota militare.”
Sebastian gli rivolse un’occhiata ammirata: non aveva mai incontrato nessuno che sapesse pilotare.
“Io da grande sarò il capitano di una nave” rivelò poi, mettendosi a gambe incrociate sulla roccia. “O il guardiano del faro” si sentì in dovere di aggiungere, poiché ancora non era riuscito a decidere quale dei due lavori lo attirasse di più.
L’uomo annuì, ma non disse nulla. Distolse lo sguardo e si concentrò sul mare, ristabilendo un silenzio che Sebastian non impiegò molto a rompere.
“Sei amico di Johanna?” chiese. Guardandolo bene si accorse che non sembrava molto vecchio: non aveva nemmeno la barba. Forse era addirittura più giovane della sua mamma.
Lo vide esitare, prima di rispondere.
“Qualcosa di simile.”
“Non ti piacciono tanto i bambini, vero?” domandò ancora Sebastian, notando la sua espressione nervosa.
“In realtà mi piacciono, ma non sono molto bravo con loro” ammise lui, stringendosi nelle spalle.
Sebastian aggrottò le sopracciglia. A lui non sembrava che se la cavasse poi così male: gli era simpatico e non si era arrabbiato, né gli aveva chiesto di andarsene, nonostante il ragazzino stesse continuando a fargli tutte quelle domande.
“Non sei un papà?” chiese a quel punto, spolverandosi la sabbia dai pantaloni. “Quanti anni hai?”
L’uomo abbozzò un mezzo sorriso.
“Venticinque. E no, non ho figli.”
“Però il papà ce l’hai?” insistette Sebastian, indirizzandogli un’occhiata pensierosa; era una domanda che faceva spesso, quella.
Ancora una volta il giovane lo squadrò sorpreso, prima di scuotere la testa.
“No, non più.”
Il ragazzino sorrise con fare comprensivo.
“Ecco perché hai gli occhi così tristi” commentò, facendo spallucce. “Sei come me: anche io non ho un papà e certe volte mi sento un po’ solo.”
Lo disse con semplicità, anche se non l’aveva mai ammesso a voce alta: sapeva che, se sua madre l’avesse sentito, ne avrebbe sofferto molto. E anche l’uomo sembrò rabbuiarsi, ascoltando quelle parole. La sua espressione s’indurì, come se fosse arrabbiato, ma i suoi occhi erano tornati a sembrargli tristi.
“Mi dispiace tanto, Sebastian” mormorò, distogliendo lo sguardo dal bambino.
Non lo disse nel tono di voce compassionevole con cui ogni tanto gli parlavano gli sconosciuti, quando accennavano alla morte di suo papà. Aveva pronunciato quelle parole come se stesse davvero chiedendo scusa a Sebastian. Sembrava si sentisse in colpa per qualcosa, un po’ come capitava a lui quando la sera andava alla baia di nascosto e si vergognava di se stesso, perché sapeva che non avrebbe dovuto farlo.
Il bambino fece spallucce, prima di arrampicarsi sulle rocce per andare a sedersi di fianco a lui. Cercò di incrociare il suo sguardo, ma l’amico di Johanna continuava a fissare il mare, come se tutto a un tratto si sentisse troppo triste o arrabbiato per parlare con qualcuno.
Al ragazzino ricordò un po’ il protagonista della sua favola preferita: Capitan Sebastian. Durante una delle sue disavventure, il capitano e la sua ciurma erano stati sorpresi dalla tempesta e l’uomo, pur salvandosi, era stato costretto ad assistere alla morte di alcuni dei suoi marinai senza riuscire a fare niente per salvarli. Nel racconto si diceva che, da quell’episodio, gli occhi del capitano si erano fatti più spenti, pieni di rabbia e tristezza. Un po’ come quelli del giovane soldato-pilota seduto vicino a Sebastian.
“Ogni tanto io e la mamma cerchiamo le sue impronte, qui alla baia” rivelò a quel punto, tornando a voltarsi verso di lui. “Quelle di papà, dico. Le troviamo quasi sempre: forse ci sono anche quelle del tuo.”
Il silenzio tornò a frapporsi fra di loro. Sebastian cercò d’ingannarlo guardando il mare, ma continuava a indirizzare occhiate incuriosite in direzione del ‘capitano silenzioso’. Avrebbe voluto fargli altre domande, ma non era sicuro che lui avesse voglia di rispondere.
Alla fine fu l’uomo a rivolgergliene una.
“Sai pescare?”
Il ragazzino esitò, prima di stringersi nelle spalle.
“Più o meno…” ammise, arrossendo leggermente. “…Non sono molto bravo. La mamma non mi ha mai insegnato.”
“Ti va di imparare?” chiese il suo interlocutore, tornando a guardarlo negli occhi.
Il volto di Sebastian si illuminò.
“Tantissimo! Mi puoi insegnare?”
L’uomo gli sorrise.
“Dai, andiamo a procurarci qualche rete e delle esche” propose infine, scendendo giù dallo scoglio. Tese le braccia per afferrare il ragazzino e Sebastian si lasciò posare a terra.
“Lo sai?” esclamò poi il bambino, quando i due incominciarono a camminare lungo la riva. “Non mi hai ancora detto come ti chiami”.
Il soldato annuì.
“Hai ragione. Mi chiamo Gale, capitano.”
Sebastian gli sorrise.
“Beh, sai, Gale capitano…” esordì ancora, schermandosi gli occhi con la mano per poter guardare in alto, verso di lui. “…Secondo me saresti bravo a fare il papà.”
Il giovane soldato lo guardò interdetto per un po’, prima di sorridergli. Strinse la mano che il bambino gli stava porgendo e proseguì assieme a lui lungo la riva.
“Gale capitano?” esclamò il ragazzino dopo un po’, chinandosi per raccogliere una conchiglia.
Il giovane gli rivolse un’occhiata divertita.
“Solo Gale” lo corresse, sfilandosi il berretto. “Il capitano sei tu”.
Mise il cappello in testa al bimbo che gli sorrise riconoscente, sistemandoselo sui capelli.
“Posso raccontarti una storia?” chiese a quel punto il piccolo. “Parla di un capitano che si chiama Sebastian, come me. La conosci già?” aggiunse, accorgendosi che il giovane gli aveva rivolto una strana occhiata, quando aveva menzionato il suo eroe preferito.
Il soldato non disse nulla per un po’; infine scosse la testa.
“No, non la conosco. Raccontala, ti ascolto.”
L’espressione di Sebastian si ravvivò ulteriormente. Prese fiato e strinse più forte le dita di Gale, prima di incominciare a raccontare.
“C’era una volta un capitano di nome Sebastian…” esclamò, indicandosi, quando pronunciò il proprio nome. “…Ed era un capitano coraggioso e invincibile. Un giorno…”
Ripresero a camminare lungo la riva, camminando l’uno di fianco all’altro.
Le impronte continuarono a intarsiare la sabbia, raccontando la loro storia: erano un bambino e una persona adulta che si tenevano per mano.
Una vecchia favola risuonava per la baia, mescolandosi al sussurro del vento.
In lontananza, appena visibile, si stagliava l’albero di una barca a vela.
Le onde si infrangevano sugli scogli.
«È come se fossi Finnick, se guardassi scorrere in un baleno le immagini della mia vita.
L’albero di una barca a vela, un paracadute argentato, Mags che ride, un cielo rosa,
il tridente di Beetee, Annie nel suo abito da sposa, onde che si infrangono sulle rocce.
Poi è finita.»
Il Canto della Rivolta. Suzanne Collins
Note conclusive.
Ed ecco qui la seconda parte, con la conclusione di questa storia. Ho deciso di dare al racconto una struttura circolare e di inserire, quindi, per la scena iniziale (quella con child!Finnick e i suoi genitori) e quella finale (Gale e Sebastian), le stesse frasi di chiusura.
Il nome completo di Sebastian è Finnick Sebastian, ecco perché la madre lo chiama Finnick, mentre il bambino preferisce essere chiamato con il secondo nome. Sebi è anche il protagonista della mia mini-long, Il Figlio di Peter Pan, per questo in questo racconto ho inserito qua e là qualche riferimento alla favola di Peter.
Per quanto riguarda Gale, spero che la sua presenza nel racconto non risulti fuori luogo! So che è un personaggio poco apprezzato dagli amanti della saga, ma ci tenevo a inserirlo, perché mi ha sempre intrigato molto un ipotetico confronto fra lui e Finnick. Inoltre, Gale è il mio personaggio preferito e so che di norma, invece, non è molto apprezzato, quindi ci tenevo molto a includerlo nella vicenda. Nel mio head-canon personale lui e Johanna vivranno assieme al Distretto 2 (anche se nella scena di chiusura di questa storia sono ancora solo amici/conoscenti), quindi lui avrà spesso a che fare con il piccolo Sebastian. Ci tenevo che il bambino avesse anche una figura maschile nella sua vita e Gale, avendo praticamente cresciuto tre fratellini, l’ho sempre immaginato molto a suo agio con i bambini. Tuttavia, l’episodio delle bombe sui ragazzini di Capitol City (e, soprattutto, la morte di Prim) l’ha scosso molto, quindi fatica a stare a contatto con i piccoletti. Il rapporto con Sebastian (e, soprattutto, la nascita di suo figlio Joel) lo aiuterà un po’, in questo.
Penso di aver detto tutto! Questa è in assoluto la prima Finnick!centric che scrivo, quindi spero di non aver combinato dei pasticci, ma sono davvero contenta di aver provato a scrivere qualcosa su di lui, perché grazie a questa storia (e alla long su Sebastian) sto incominciando ad apprezzare un personaggio che fino a ora mi non era mai stato fra i miei preferiti. *Laura viene investita da una raffica di tridenti e zollette di zucchero*
Spero tanto che questa seconda parte vi piaccia!
Un abbraccio e a presto!
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