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Epilogo

Con un gesto brusco scosto la sedia dal tavolo della cucina, facendo stridere le gambe sul pavimento di marmo, e poi mi ci lascio cadere senza alcuna grazia. Sul ripiano davanti a me sono poggiati dei fogli disposti in modo ordinato, tutti in pila l'uno sull'altro e non sparsi come li ho lasciati stamattina: evidentemente deve essere passato Rohkeus a dare una sistemata mentre io ero impegnata a fare qualcos'altro.

D'altra parte la cucina è una delle poche stanze di questo immenso castello che effettivamente usiamo, forse l'unica, oltre al bagno e alla camera da letto, in cui entriamo tutti i giorni: da sola è grande abbastanza per funzionare anche da soggiorno e ormai l'abbiamo resa abbastanza accogliente da non desiderare di passare il tempo in una qualunque delle altre fredde e inanimate camere.

Mi sistemo il cuscino sotto al sedere e allungo una mano verso la pila di fogli bianchi, prendendo quello più in alto. Poi intingo nell'inchiostro l'elegante pennino del set da scrittura di Rohkeus e comincio a riempire la pagina con la mia elegante calligrafia, dedicandomi all'aggiornamento quotidiano del mio diario nell'attesa che il mezzelfo torni dal suo giro di perlustrazione.


Anno primo

Giorno trecentosessantaquattro


Se fossi nel villaggio delle ninfe, domani compirei ventiquattro primavere.

Se abbiamo fatto bene i calcoli ormai sono qui all'inferno da due anni, ma non sembro invecchiata di una virgola; quando mi guardo allo specchio vedo ancora lo stesso identico volto che avevo il giorno in cui ho abbandonato il mio mondo, senza nessun segno che il tempo sia passato. Perché in effetti è così: qui il tempo non scorre e nessuno invecchia. Non esiste il dì né la notte e questo rende ancora più difficile cercare di tenere il conto dei giorni che nel frattempo nel mondo da cui veniamo hanno continuato ad andare avanti. Ci siamo basati sui nostri cicli di sonno e veglia per contarli, ma in realtà potremmo esserci sbagliati del tutto e magari ora Iris in realtà di primavere ne ha trenta. Se così fosse, credo che ormai nessuno potrebbe più rischiare di confonderci e scambiare l'una per l'altra.

Forse l'unica differenza che è possibile scorgere nel mio riflesso è lo sguardo, ma non potrei giurarci. A volte faccio fatica a ricordare com'ero esattamente quando mi sono ritrovata qui la prima volta, tanto che mi capita di svegliarmi la notte convinta che la mia vita precedente sia stata solo un sogno e che io abbia vissuto sempre e solo all'inferno. Talvolta invece la sogno davvero, la Comunità della Polla, e un peso mi cade sul cuore quando spalanco gli occhi e mi rendo conto che era solo frutto della mia immaginazione.

A volte Rohkeus si sveglia con me, altre non si rende conto dei miei incubi e continua a dormire al mio fianco. In ogni caso mi basta stringermi al suo corpo caldo per ricordarmi che lui è qui con me e che andrà tutto bene. Egoisticamente parlando, sono contenta che sia rimasto al mio fianco, nonostante preferirei saperlo libero. A rimanere da soli qui all'inferno si rischia di impazzire.

Stamattina, come sempre, ho fatto il giro della dispensa per controllare le nostre esigue scorte di cibo (mi sa che tra un paio di giorni dovremo nuovamente andare a caccia) e poi ho continuato le lezioni di tiro con l'arco impartite da Rohkeus. Ormai in questo sono brava, credo che da domani dovrei riprendere a esercitarmi con la spada, che invece continua a non piacermi affatto. Dopodiché, come sempre, il mezzelfo è uscito a perlustrare il territorio intorno al castello, per essere sicuro che nessuno sia entrato di nascosto nel nostro regno, anche se da quella volta in cui uno stormo di gabbiani ha fatto il nido davanti al portone non ci ha più invasi nessuno.


Allungo una mano per intingere di nuovo il pennino nell'inchiostro, mantenendo gli occhi su quello che ho scritto e rileggendo le mie parole, ma, dopo aver mosso un paio di volte il braccio in modo casuale senza incontrare quello che cerco, sono costretta a spostare lo sguardo verso la boccetta nera che si prende gioco di me e che fisso con aria omicida.

— Che fai, litighi con l'inchiostro? — mi domanda Rohkeus, comparendo nella cornice della porta con un mezzo sorriso divertito sulle labbra. Sto per rispondergli piccata, quando noto che stringe in mano un cesto di vimini.

— Cos'è?

— Sei fortunata, pare che oggi qualcuno abbia sacrificato delle fragole al Principe.

Balzo in piedi e corro dal mezzelfo, strappandogli il cesto dalle mani e sorridendo raggiante davanti ai frutti maturi: non ne posso più di mangiare quella disgustosa carne che mi viene propinata tutti i giorni, ma purtroppo non è così facile trovare vegetali da queste parti.

— Sono un sacco di fragole! Dureranno per un bel po' di giorni — esclamo con voce allegra, tutta gongolante. — Grazie! — Getto le braccia al collo di Rohkeus in un rapido abbraccio e porto il mio tesoro sul tavolo, dove lo appoggio con la cura che riserverei a un uccellino appena nato.

— Lo sai che non è merito mio, dovresti ringraziare chi pensa di comprare il favore del demone con della frutta.

— Che idioti — borbotto tra me e me, mentre torno a sedermi. — Tutto a posto, là fuori?

— Sì, anche oggi qui ci siamo solo noi due — conferma, sedendosi con portamento regale al mio fianco. Poi lancia un'occhiata scettica al mio lavoro, prima di domandarmi: ­­­— Ma non ti stanchi a scrivere tutti i giorni le stesse cose?

— Te l'ho già detto, mi aiuta a non impazzire. È un modo per mantenere l'ordine nel mio cervello. E poi un giorno potrebbe anche tornarci utile, magari fra mille anni, quando tutto quello che abbiamo fatto si confonderà nella nostra testa e dovremo districarci tra milioni di ricordi.

— Non credo che sarà poi così difficile, dal momento che non accade mai niente di nuovo o di interessante.

— Oggi abbiamo trovato un cesto di fragole, ora me lo segno — ribatto, impugnando la penna e rileggendo le ultime righe per ricordarmi dove ero rimasta. Riprendo a cercare l'inchiostro alla cieca, in una serie di tentativi fallimentari. Sbuffo, alzando lo sguardo verso la boccetta incriminata nel momento in cui Rohkeus la sposta sotto il mio pennino, che riesce finalmente ad affondare nel liquido nero.

— Se avessimo gli ingredienti potremmo farci una torta, con quelle fragole — dice il mezzelfo con tono pensieroso nel momento in cui riprendo a scrivere.

— Tu sai fare le torte?

— Certo che no, ma mi sembrava un bel modo per festeggiare il tuo forse-compleanno.

— Beh, già così per me è un regalo.

Mentre continuo a scrivere, Rohkeus si slaccia il fodero della spada dalla cintura e appoggia l'arma sul tavolo, accanto al cesto. Poi si mette comodo e riprende a guardarmi.

— Mi stai consumando — lo rimprovero senza alzare gli occhi dal mio lavoro.

— Mi raccomando, segna anche questo, prima che te lo dimentichi.

— Non mi prendere in giro, è una cosa seria! — esclamo, fingendomi offesa. Abbandono il mio lavoro ed estraggo il cuscino da sotto il sedere per tirarglielo in faccia, ma lui mi blocca prontamente il polso con la sua presa forte, rendendomi inoffensiva. Cerco di liberarmi, senza successo, e così mi alzo in piedi e afferro il cuscino con l'altra mano, ma prima che possa fare alcunché Rohkeus mi ha già afferrata per la vita con il braccio destro, tirandomi a sé e facendomi cadere seduta sulle sue gambe, la mia schiena contro il suo ampio petto. Tento nuovamente di tirargli il cuscino in faccia, ma in questa posizione non è così semplice.

— Come combattente hai ancora molto margine di miglioramento ­— mi sussurra, con il suo fiato caldo che mi solleticala nuca, mentre mi arrendo e smetto di lottare.

— Non è colpa mia, è il maestro a non essere un granché. — Lo sento ridacchiare e di riflesso anche le mie labbra si aprono in un sorriso, mentre lui allenta la presa su di me per permettermi di girarmi verso il suo viso.

Poi, all'improvviso, i suoi lineamenti vengono illuminati da un'intensa luce bianca proveniente da un punto imprecisato alle mie spalle e i suoi occhi si spalancano sorpresi. Smettiamo subito di ridere e balziamo entrambi in piedi. Con un gesto rapido prendo la spada dal tavolo e la sguaino, per poi passarla a Rohkeus che la afferra al volo e la tiene dritta davanti a sé, pronto a difendersi o ad attaccare, mentre io mi riparo alle sue spalle, consapevole dei miei punti deboli.

Davanti a noi, nel bel mezzo della cucina, è comparsa quella che sembra a tutti gli effetti una lastra di nebbia di forma ovale. Ha le dimensioni di uno specchio a figura intera e fluttua davanti ai nostri occhi, mentre piccoli vortici dall'andamento ipnotico ne decorano la superficie. Dal suo interno si sprigiona la luce che ho visto danzare all'improvviso sul volto di Rohkeus ed è così intensa che sono costretta a socchiudere gli occhi per non restare accecata.

In un primo momento non accade nulla, ma nessuno di noi ha il coraggio di avvicinarsi a quella strana apparizione. Restiamo immobili e in guardia, i muscoli tesi pronti a scattare. Poi però un'ombra appare al di là della nebbia e si fa sempre più grande, come se qualcosa proveniente dall'altra parte si stesse avvicinando.

Faccio un balzo indietro nel momento in cui la figura attraversa il velo di fumo: cerco di distinguerla, ma è in controluce e tutto quello che riesco a vedere è che possiede due braccia, due gambe e una testa, cosa che all'inferno non è mai scontata. Solo quando cala un po' la luminosità alle sue spalle riesco a distinguere il vestito verde muschio che le fascia il corpo snello e i capelli bianchi intrecciati intorno al capo a formare una specie di corona.

Il primo pensiero che mi balena in testa è che quelle trovate da Rohkeus devono essere fragole avvelenate che hanno liberato nell'aria vapori tossici, perché ciò che ho davanti agli occhi non può che essere una visione.

— Lympha, Rohkeus, andiamo — esclama concitata la figura, allungando una mano verso di noi. La voce è incredibilmente uguale a quella di Iris, almeno per come me la ricordo, così come l'aspetto, tanto che non riesco a fare altro che fissarla con gli occhi spalancati, incapace di muovermi.

Vedo il mezzelfo davanti a me impugnare più saldamente la spada, mantenendola puntata verso la visione e senza abbassare la guardia: anche lui deve essere giunto alla conclusione che tutto ciò non può essere reale.

La figura lascia ricadere mollemente la mano lungo il fianco, in un gesto carico di delusione.

— Lym, non mi riconosci? — Non riesco a distinguere il volto, ma dal tono di voce non faccio nessuna fatica a immaginare l'espressione accorata che tanto spesso ho visto tratteggiarsi sui lineamenti di mia sorella.

— Tu non puoi essere reale — rispondo, tentando di convincere tanto lei quanto me. Non posso cadere in questa trappola, chiunque sia l'artefice di questa messinscena non riuscirà a ingannarmi: io non voglio diventare il pasto di nessuno.

La vedo portarsi una mano al volto, cercando di ragionare in fretta: probabilmente non aveva previsto tutta questa resistenza. — Per tutti i fiumi, Lym, ti prego! Sono io, Iris, fidati di me, non abbiamo tanto tempo. Callàis non è ancora capace di tenere il portale aperto a lungo, dobbiamo uscire dall'inferno prima che si chiuda.

— Io mi fido — afferma all'improvviso Rohkeus, abbassando l'arma, mentre io lo fisso sbalordita.

— Potrebbe essere uno scherzo, un modo per fregarci e ucciderci — lo rimprovero, stupita dalla facilità con cui ha ceduto.

— Potrebbe, ma chi mai dovrebbe volerci uccidere? Con un metodo così complicato, tra l'altro. È molto più probabile che sia vero e non voglio perdere l'occasione di andarmene, non ora che avevo smesso di sperarci.

Le sue parole si fanno strada nella mia mente e io vorrei credergli, lo vorrei con tutta me stessa, ma come ha detto lui ormai entrambi abbiamo smesso di sperare di poter uscire dall'inferno e questo rende ancora più incredibile quello che ho davanti agli occhi. Perché se fosse un imbroglio non potrei sopportare la delusione di vedere morire la speranza un'altra volta.

— Sono pronto a rischiare, ninfa, mal che vada moriremo, ma almeno ci abbiamo provato. — Ora Rohkeus si è voltato verso di me e mi fissa con sguardo serio e deciso, osando addirittura dare le spalle alla visione.

A un tratto, la lastra di nebbia lampeggia, come se fosse sul punto di spegnersi, e tutti e tre ci giriamo a guardarla spaventati.

— Oh, non mi interessa se non mi credi — esclama Iris con una punta di panico nella voce impaziente, poi si avvia a passo deciso nella mia direzione e mi afferra per un polso. Le sue dita fresche mi stringono la pelle accaldata, mentre mi faccio trascinare verso il portale senza opporre resistenza.

In un istante decido che sì, potrebbe essere un inganno, ma se Rohkeus si fida allora mi fido anch'io.

Con ancora la spada in mano, seppur abbassata, il mezzelfo mi si affianca e io faccio giusto in tempo a vedere la sua espressione speranzosa prima di saltare dentro la nebbia.

Per un attimo mi sembra di precipitare nel nulla, come se fossi fatta di vento e non avessi alcun peso, ma poi mi ritrovo catapultata su una superficie dura e umida, sulla quale sarei caduta di faccia se la mano di mia sorella non mi stesse stringendo ancora il polso.

Per attutire il colpo, le ginocchia mi si piegano in automatico e mi ritrovo seduta su quella che sembra erba bagnata di rugiada. Iris mi lascia andare nel momento in cui Rohkeus viene sbalzato accanto a me e sollevo lo sguardo giusto in tempo per vederlo rotolare nel prato. Dietro di lui, si alzano maestosi e bellissimi gli alberi di una foresta, la cui ombra però non riesce ad arrivare fino a noi, che a quanto pare siamo nel mezzo di una radura.

Mi alzo in piedi di scatto e faccio un giro su me stessa, riempiendomi gli occhi con tutto ciò che mi circonda: le foglie, i rami, i prati verdi e i fiori che li decorano con tutti i loro colori, il cielo azzurro e il sole che mi inonda il viso. Assorbo tutto come se fossi una spugna e ne sono così sopraffatta che non riesco a fare altro che continuare a girare e a sorridere.

Questo non può essere un inganno.

Tutto ciò che pensavo non avrei mai più rivisto ora si dispiega davanti a me ed è così bello da ferire gli occhi.

— Rohkeus, siamo fuori! — urlo, saltandogli al collo e stampandogli un bacio sulle labbra, mentre lacrime di felicità mi accarezzano le guance. Poi in un attimo mi stacco, voltandomi verso mia sorella che mi fissa con un sorriso che le va da orecchio a orecchio.

— E tu sei Iris — esclamo, incredula, abbracciando anche lei in un moto di gioia. Mia sorella ricambia il gesto, stringendomi forte come se temesse che un alito di vento possa portarmi via un'altra volta.

— E per me niente abbracci? — chiede una voce maschile alle mie spalle, derisoria, facendomi voltare nuovamente.

— Ne vuoi uno? — domando a Callàis, che ci fissa con le mani affondate nelle tasche e sul volto un sorrisino che per una volta sembra sincero, ma che si trasforma in un'espressione disgustata non appena sente le mie parole.

— Certo che no, non ci provare neanche, o ti rispedisco all'inferno.

— Adesso ci spiegate cosa è successo? — domanda Rohkeus, placandomi prima che, preda della troppa gioia, mi getti al collo di Callàis nonostante le sue proteste. Mi afferra per un polso e mi tiene tranquilla accanto a sé, mentre scruta le altre due ninfe in cerca di risposte.

— Se vuoi te lo spiego io, Rohki.

— Huba? — esclama il mezzelfo sbalordito, mentre la strega e Alveus si avvicinano. Erano seduti su un tronco nascosto nel sottobosco, dove i giochi di luce e ombre che screziano il terreno non mi avevano permesso di scorgerli prima.

— Adesso sono ancora più confusa — ammetto, fissando la donna come se fosse una qualche specie di volpe a due teste. — Cosa ci fa lei qui? — domando rivolta a Iris, ma non faccio in tempo a dire nient'altro che Alveus mi abbraccia, stringendomi forte e sé. La mia faccia affonda nella sua casacca che sa di terra e fiori, rendendomi impossibile parlare, e mi lascio cullare, beandomi di questa libertà ritrovata per miracolo.

— Sono così contento di rivederti — mi sussurra lui all'orecchio, con voce commossa.

— Non sei più arrabbiato con me? — chiedo, staccandomi leggermente dalla sua stretta per poter riprendere a respirare.

Lui sospira e mi risponde, con una nota malinconica nella voce: — Ormai sono passate più di due primavere: me ne sono fatto una ragione.

— Più di due primavere? — esclamo, sorpresa, realizzando che il mio calcolo dei giorni non deve essere stato del tutto corretto.

— Già, potremmo dire due primavere e qualche settimana, per essere precisi.

Mi volto di nuovo verso Iris, analizzando minuziosamente il suo volto, e mi rendo conto con sollievo che il tempo trascorso non è poi così tanto se confrontato con gli anni che una ninfa può vivere: non noto nessuna ruga sul suo volto giovane e bello, e realizzo che nonostante tutto ci assomigliamo ancora incredibilmente.

Poi scuoto la testa, tornando al presente. — Quindi cosa è successo? Cosa ci fa qui Huba?

— Dopo che tu hai fatto la tua mossa stupida di sacrificarti per permetterci di uscire all'inferno... — comincia a spiegare Iris, lasciando però la frase in sospeso e mordicchiandosi il labbro in un atteggiamento pensoso. — Anche se in realtà non ho mai capito bene cosa avessi in mente: pensavo che volessi salvare Rohkeus, non trattenerlo con te all'inferno. Comunque, al di là di questo che poi mi dovrai spiegare, stavo dicendo che quando ci siamo ritrovati qui solo noi tre e il lupo non potevamo certo lasciarvi marcire nel regno del demone per sempre...

— E Gordost dov'è? — la interrompe il mezzelfo.

— È in giro nel bosco da qualche parte — risponde Huba, mettendogli una mano sul braccio come a verificare che Rohkeus sia reale e non solo frutto della sua immaginazione. — Probabilmente è a caccia, ma di sicuro si farà vedere prima di notte.

— Fa sempre così — interviene Alveus. — Da quando è tornato dall'inferno non si è mai allontanato dal nostro villaggio, dove ci ha portati il portale del Principe, in attesa del tuo ritorno, credo. — Si ferma un attimo, tirando un calcio distratto all'erba verde della radura, prima di continuare. — Soprattutto da quando abbiamo cominciato gli esperimenti con i portali non è passato giorno senza che si facesse vedere almeno una volta.

— Esperimenti con i portali? — chiedo, sempre più stupita.

— Esatto. In effetti l'idea che, se Callàis era stato in grado di aprire un portale una volta, potesse farlo di nuovo ci è sembrata troppo ragionevole per essere falsa — riprende Iris. — Quindi siamo tornati alla sorgente del fiume, dove lo aveva fatto la prima volta, ma mentre eravamo all'inferno il villaggio era stato colpito da un temporale particolarmente intenso e quindi gran parte del cerchio che aveva disegnato Rohkeus era stato cancellato. Ci abbiamo provato comunque, ma non è successo nulla, neanche quando abbiamo tentato di riscrivere i simboli seguendo i segni che si intravedevano ancora.

— Ma non potevate usare il cerchio con cui io e te siamo entrate all'inferno?

— Sì, ma anche in quel caso i simboli erano parzialmente cancellati... Ironico, lo so: quel cerchio ha resistito per anni da quando è stato disegnato e proprio in quel momento doveva arrivare la pioggia a eliminarlo. Comunque è andata così.

— Io resto convinto che non sia stata la pioggia a cancellarlo — si intromette Callàis, incrociando le braccia al petto, al che Iris alza gli occhi al cielo.

— Perché mai qualcuno avrebbe dovuto farlo? — risponde lei, col tono esasperato di chi ha già affrontato questa discussione un migliaio di volte.

— Qualcuno che sapeva della sua esistenza e soprattutto era a conoscenza del suo scopo, come la vecchia Aranea. — Iris apre la bocca per ribattere qualcosa, ma lui la blocca prima che possa dire alcunché. — Magari pensava di chiudere una volta per tutte il passaggio per l'inferno, non mi sembra tanto insensata come cosa.

— Ma allora perché non lo ha fatto prima, se sapeva dov'era?

— E Huba cosa c'entra? — domanda Rohkeus, cercando di dare un taglio a questo inizio di litigio che ha tutta l'aria di non portare da nessuna parte. La strega ha ancora la mano poggiata sul suo braccio, ma a differenza dell'ultima volta che l'ho vista la sua vicinanza al mezzelfo non mi dà più tanto fastidio.

— Ora ci arriviamo — risponde Callàis, infastidito dall'interruzione.

— Abbiamo provato ad aprire un portale usando quel che rimaneva del cerchio nella radura, ma come immaginerete non è successo niente — continua il suo racconto Iris. — Dopo un po' di tentativi falliti, ci è venuto in mente che la madre di Callàis aveva utilizzato un libro per evocare il demone e così siamo andati a cercarlo, ma ovviamente era scomparso dagli scaffali della biblioteca

— Lo aveva tenuto lei? — le chiedo, cercando di capire.

Mia sorella annuisce, come a legittimare la mia domanda. — Ce lo siamo chiesti anche noi e così siamo andati a parlarle.

— Io sono andato a parlarle — rettifica Callàis, mentre un velo d'ombra gli cala sugli occhi.

— Le avete detto che sapete cosa ha fatto? — Nel fare la domanda mi protendo verso gli altri, trattenendo il fiato nell'attesa della risposta.

— Non immaginarti chissà quale scena drammatica — mi smorza il ragazzo. — Le ho semplicemente chiesto dove fosse il libro con cui ha evocato il demone che mi ha generato.

— Semplicemente, certo, una domanda che si fa tutti i giorni — ribatto sarcastica, alzando un sopracciglio. — E lei come ha reagito?

— Mi ha guardato come se fossi un mostro appena uscito dall'inferno: con quegli occhi a palla e la bocca spalancata, senza riuscire a parlare, sarebbe stata una scena comica se non fosse stata tragica. Comunque il libro lo aveva bruciato dopo la sua scappatella con il Principe, quindi anche questa pista si è rivelata fallimentare.

— A questo punto ci siamo ricordati della strega che aveva aiutato Rohkeus durante il suo primo patto, quello che lo ha portato all'inferno — riprende Iris, ma viene subito interrotta da Callàis, che specifica di nuovo: — Io mi sono ricordato della strega.

Mia sorella sbuffa e alza nuovamente gli occhi al cielo, infastidita. — Va bene, Callàis si è ricordato della strega, anche perché era l'unico ad aver visto la storia di Rohkeus nel libro della tua vita, Lym. E abbiamo pensato che, come il mezzelfo, anche lei sapesse disegnare il cerchio.

— E quindi sono venuti a cercarmi — sintetizza Huba, prima che il racconto delle ninfe diventi troppo lungo.

— E non è stato semplice trovarla! — si intromette Alveus. — Tutte le informazioni che avevamo riguardo ai mezzelfi e alla loro città erano vecchie di secoli, così come le cartine con le vie per raggiungerli. Nemmeno Aranea ha saputo aiutarci e così abbiamo dovuto affidarci a quelle antiche indicazioni e alla fortuna.

— Tesori miei, va bene che posso vivere mille anni, ma vorrei evitare di passarli tutti a raccontare questa storia — li rimprovera la strega, puntandosi le mani sui fianchi.

— Va bene, va bene — cede il ragazzo dagli occhi verdi. — Alla fine l'abbiamo trovata.

— E tu ti ricordavi come si disegnasse il cerchio? — domanda Rohkeus, stupito.

— Certo che no, Rohki caro! Anzi, sono stupita che tu sia stato in grado di disegnarlo correttamente, dopo così tanto tempo. Però avevo ancora i libri e gli appunti che avevamo usato quella volta e sono stata in grado di riprodurlo.

— Esatto, è tornata con noi al villaggio delle ninfe e ci ha dato una mano — le dà manforte Alveus.

— Per la precisione, state calpestando la mia opera d'arte — puntualizza lei, con la sua voce roca. Abbasso lo sguardo, notando che effettivamente sull'erba sono tracciati dei segni con la cenere che vanno a formare il cerchio di evocazione.

— E così Callàis alla fine è riuscito ad aprire un portale — conclude Iris, soddisfatta come se fosse stato merito suo.

— E perché all'inferno non aveva funzionato? — chiedo, con la confusione dipinta in viso.

— I simboli devono essere precisi affinché siano efficaci: probabilmente, se Rohkeus lo avesse disegnato con la mano destra e non con la sinistra, avrebbe funzionato — mi spiega mia sorella. Fa un attimo di pausa, ma poi aggiunge subito, rivolta al mezzelfo: — Con questo non voglio assolutamente dire che sia colpa tua, sia chiaro.

Lui annuisce, come a farle intendere che non si è offeso, e le fa cenno di continuare.

— Comunque, anche dopo che Callàis è riuscito a creare un portale abbastanza stabile da permettermi di passare, non sapevamo dove cercarvi — riprende lei. — Quindi abbiamo aperto un passaggio che ci ha portati alla Biblioteca delle Anime, dove abbiamo recuperato il libro di Lympha, e poi lo abbiamo usato per rintracciarvi.

— E così eccovi qui — conclude il racconto Alveus, allargando le braccia verso di noi come a mostrarci a un grande pubblico e guardandoci con occhi che sprizzano gioia, quasi fossimo il più bel capolavoro che sia mai stato prodotto in questo mondo.

Per un po' nessuno dice niente, mentre io cerco di metabolizzare tutte le informazioni appena ricevute, ma il mio cervello fatica a metterle in ordine e dar loro un senso perché mi sembra tutto troppo incredibile.

— A questo punto possiamo tornare al villaggio. — Alveus spezza il silenzio, sorridendomi con aria incoraggiante.

— Bravi, riportate a casa le pecorelle smarrite — afferma Callàis, dandoci le spalle e avviandosi da solo verso gli alberi.

— Tu non vieni? — Lo blocco, mettendogli una mano sulla spalla.

— No.

— Dalla sua discussione con la madre, non passa molto tempo al villaggio con le altre ninfe. Certo, non che prima fosse un esemplare di animale sociale — mi spiega Iris, motivando in modo più esaustivo la risposta del ragazzo.

— Se qualcuno vuole parlare con me, sa dov'è casa mia e può venire a cercarmi.

— E tua madre ti cerca spesso?

Lui sbuffa, voltandosi di tre quarti nella mia direzione, mentre il suo solito sorrisino sarcastico gli si apre sul viso. — Non lo ha mai fatto, perché dovrebbe cominciare ora? — Poi si scrolla di dosso la mia mano, cercando di allontanarsi, ma io lo fermo di nuovo, afferrandolo per un polso.

— Grazie, Callàis — gli dico, riconoscente. — Tieni pronti i biscotti ché verrò presto a trovarti.

Lui si toglie la mia mano dal braccio come se fosse un insetto disgustoso e si incammina senza dire niente, ma io faccio in tempo a vedere il suo sorriso sincero prima che il ragazzo sparisca tra gli alberi.

— È fatto così, ma non è una cattiva persona, in fondo — lo giustifica Alveus, come se ce ne fosse bisogno. Poi batte le mani una volta, per richiamarci all'ordine. — Su, andiamo, ché ormai è ora di pranzo.

Io e Rohkeus ci facciamo trascinare fino al villaggio senza opporre resistenza, ognuno perso nei propri pensieri, ma io mi blocco di colpo non appena intravedo le prime case.

— Io non so se ce la faccio — dico con una voce tremula che mi fa sentire patetica, scuotendo il capo, mentre il mezzelfo mi si affianca.

— Perché? — chiede Iris, guardandomi con espressione corrucciata.

— Non lo so... È passato così tanto tempo, magari la gente mi ha dimenticata, oppure non è ancora riuscita a perdonarmi.

— Non preoccuparti, non abbiamo raccontato a nessuno la verità in ogni suo piccolo dettaglio, nessuno è arrabbiato con te — cerca di consolarmi Alveus, allungando una mano e poi ritraendola, indeciso se posarmi un braccio sulle spalle o meno.

— Oh, per favore, Lym, andiamo: c'è chi non vede l'ora di riabbracciarti — conclude Iris, afferrandomi una mano e tirandomi dietro di lei, mentre io cerco di liberarmi dalla sua presa.

Attraversiamo così il centro del villaggio, mentre ogni persona che incontriamo si gira a guardaci stupita.

— Iris, lasciami! — le impongo, rivolgendo lo sguardo verso Rohkeus in cerca d'aiuto, ma lui è troppo impegnato a scrutare tutti con occhi truci per badare a me. Poi, all'improvviso, una donna grida il mio nome, facendo bloccare di colpo sia me che mia sorella.

Mi volto nella direzione da cui proviene la voce: a pochi passi da noi, mia madre mi guarda incredula con gli occhi spalancati e le labbra socchiuse, mentre alle sue spalle un gruppetto di donne si bisbiglia alle orecchie chissà quali supposizioni su di me e sul mio improvviso ritorno.

Fisso i miei occhi sul suo volto, che sembra infinitamente stanco e provato, come se non dormisse bene da mesi, ma per il resto uguale a come lo ricordavo. Un ricciolo chiaro, sfuggito alla stretta crocchia che porta sulla nuca, le accarezza la guancia, ma mia madre non fa niente per rimetterlo a posto. Ogni cosa sembra aver perso importanza per lei, la cui attenzione è totalmente catalizzata su di me.

All'improvviso, rompendo la situazione di stallo, si porta le mani alla bocca, con gli occhi che le si riempiono di lacrime, e mi si avvicina di corsa senza badare a nient'altro di quello che le accade intorno.

In un attimo mi ritrovo tra le sue braccia, mentre le sue lacrime mi bagnano il viso.

— Per tutti i fiumi, Lympha, sei proprio tu? — mi domanda con voce rotta, allontanandosi giusto il tempo necessario per vedermi in faccia e passarmi le mani sulle guance, a incorniciarmi il volto.

— Mamma — sussurro io, e lei mi stringe di nuovo a sé, cullandomi come quando ero bambina. In quell'abbraccio ritrovo tutto il calore che ero certa non avrei provato mai più, l'affetto incondizionato che solo una madre può dare e che nulla potrà mai far tramontare.

Ricambio il gesto, stringendola forte e giurando di non lasciarla andare mai più.

E in questo istante ogni cosa è perfetta: tutte le persone a cui tengo sono qui, insieme a me, sane e salve, e mi pare così incredibile che temo di star sognando.

Sciolgo l'abbraccio e mi volto verso Rohkeus, che è rimasto in piedi alle mie spalle di fianco a Huba. La strega mi sorride ammiccando e dà una leggera spintarella al mezzelfo, facendolo avanzare nella mia direzione. Lui si volta un istante a guardarla male, ma poi riporta gli occhi su me e mia madre e raddrizza la schiena in un portamento regale.

Lo vedo stringere più forte la mano sull'elsa della spada, in cerca di coraggio, come se si stesse preparando ad affrontare chissà quale ardua prova, e non posso fare a meno di sorridere: non pensavo sarebbe bastata una ninfa innocua come mia madre per metterlo in soggezione. Sarà bello vedere come impareranno a conoscersi e ad apprezzarsi a vicenda, perché sono sicura che accadrà.

Un sacco di domande mi si affollano nella mente, ma per adesso le metto da parte, godendomi il momento, tanto avrò tutto il tempo per trovare le risposte. Magari domani, o tra qualche giorno.

Il futuro splende davanti a me, brillante in tutte le sue infinite possibilità, e io farò di tutto per renderlo meraviglioso.

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