43. Casa (parte 1)
Nota dell'autrice:
non avrei mai voluto dividere in due l'ultimo capitolo prima dell'epilogo, ma mi è venuto davvero troppo lungo e sono stata costretta ad amputarlo. Chiedo perdono.
Comunque la seconda parte è già scritta, devo solo rileggerla, quindi il prossimo aggiornamento sarà a breve.
Corriamo il più velocemente possibile in questo tunnel tortuoso e privo di diramazioni, avanzando spediti finché il fiato ce lo permette, ossia fino a quando io mi ritrovo a non riuscire più a respirare e Rohkeus è costretto a rallentare il passo per non lasciarmi indietro. Stringo la gemma con tanta forza da conficcarmi i suoi spigoli acuminati nella pelle, nel tentativo inconsapevole di scaricare su di essa la tensione.
Rohkeus è vigile e all'erta come una marmotta all'ingresso della tana, pronto a scattare al minimo segnale di pericolo: lo vedo che ascolta tutto con estrema attenzione e mi chiedo come faccia, dal momento che io non odo altro che il mio ansimare.
— Ninfa, hai pensato al fatto che questa galleria potrebbe non condurre da nessuna parte?
Annuisco con espressione colpevole, prima di aggiungere tra un respiro e l'altro: — Però mi sembra troppo ben tenuta per essere del tutto naturale.
— Hai ragione, magari è stata scavata dagli elfi in passato, ma per quanto ne sappiamo potrebbe non essere più in funzione.
— Però ci si sono infilate anche altre persone, oltre a noi... — Mentre lo dico mi domando perché lo abbiano fatto: dubito che le guardie ci abbiano visti mentre entravamo nel tunnel, quindi è improbabile che siano qui per noi. Che stiano cercando anche loro una via di fuga?
— Persone che si stanno avvicinando nuovamente — afferma Rohkeus, scattando sull'attenti e afferrandomi per un polso tanto all'improvviso da farmi quasi cadere il cristallo dalle mani. Riprende a camminare a passo sostenuto, tirandomi dietro di sé come fossi un cane disubbidiente, ma non ricomincia a correre, consapevole che non resisterei a lungo.
Miracolosamente gli elfi drow non ci raggiungono, ma la mia gioia finisce non appena ci ritroviamo davanti a un muro composto da tante pietre sovrapposte in modo casuale, come se non fosse stato costruito apposta ma causato da una frana, che ostruisce completamente la galleria. Per un istante restiamo a guardarlo, increduli.
— Ci deve essere un'altra via — sostengo, spaventata dall'eventualità molto probabile che invece non ci sia. Mi guardo attorno frenetica, ispezionando ogni angolo del tunnel, ma non trovo nulla, nemmeno un piccolo pertugio o una crepa nella pietra.
— Dobbiamo spostare i sassi e aprirci un passaggio — ordina Rohkeus, con tono cupo. Mi volto verso di lui, con la luce della gemma che va a illuminare dal basso i suoi tratti spigolosi conferendogli un'aria mistica e tremenda. I suoi occhi hanno un'espressione dura e decisa, di chi non è intenzionato ad arrendersi e preferirebbe piuttosto lottare fino alla morte, e basta questo per calmarmi. Prendo un respiro profondo, cercando di rallentare i battiti troppo veloci del mio cuore, e faccio mia la sua forza.
— Tieni questo — affermo, mettendogli in mano il cristallo e avvicinandomi alle pietre franate; di certo lui è più forte e più adatto di me a questo tipo di lavoro, ma non riuscirebbe a ottenere grandi risultati con una mano sola.
I sassi non sono tanto grandi e vengono via con facilità, ma sono tantissimi e per ogni pietra che sposto me ne ritrovo davanti agli occhi un'altra. Tuttavia lavoro alacremente, mentre Rohkeus continua a farmi luce, fino a quando una pietra più grande delle altre mi cade su un dito, facendomi gemere di dolore.
— Lascia perdere, faccio io — mi dice il mezzelfo con un tono che non ammette repliche, ma io sono decisa a non arrendermi e continuo a scavare, come se lui non avesse parlato. Allora Rohkeus poggia la gemma in terra, vicino a noi, e si mette al mio fianco, spostando quante più pietre riesce nel tentativo di darmi una mano e di finire più in fretta. Finire... Comincio a dubitare che riusciremo ad aprire un passaggio prima dell'arrivo degli elfi alle nostre spalle.
Infatti all'improvviso il mezzelfo si blocca e mi pare quasi di vedere le sue orecchie guizzare come quelle di Gordost quando sente un rumore sospetto. Mi fermo anch'io, smettendo di produrre qualsiasi rumore, e dopo un attimo di silenzio riesco a distinguere nitidamente il rumore di passi affrettati in avvicinamento.
Mi volto verso Rohkeus, come se lui potesse avere la soluzione in tasca, ma il mezzelfo si gira a sua volta verso di me, con la mia stessa stupida speranza.
— Magari non ci faranno niente — ipotizzo, ma non credo nemmeno io alle mie parole.
— Può essere che non ci stiano cercando, ma non appena ci troveranno proveranno di sicuro a farci prigionieri — afferma lui, smontando la mia fragile speranza. — Se sono elfi, ovviamente.
— Però potrebbero anche non esserlo, magari sono altri prigionieri in fuga.
— Forse, ma non ci conterei troppo. — Mentre dice questo cerca con la mano un sasso da poter usare come arma e, dopo averne scrutato un paio, ne sceglie uno che pare soddisfarlo. Intanto io raccolgo la gemma luminosa, cercando di nasconderla nelle pieghe del vestito.
— È inutile, pare che gli elfi ci vedano benissimo anche al buio — mi sussurra il mezzelfo nel momento in cui una figura gira l'angolo, entrando nel cono di luce. Mi basta un istante per riconoscere la pelle nera e avere la certezza che non si tratta di altri prigionieri.
L'elfo si immobilizza, stupito di trovarsi davanti due schiavi in fuga, ma subito si riprende e con un paio di gesti invita i tre soldati comparsi alle sue spalle a catturarci. Due di loro si affrettano a estrarre le spade che portano alla cintura e si avvicinano a noi minacciosi.
Io cerco di indietreggiare, ma i miei piedi incontrano solo i sassi che ci precludono la fuga. In fretta mi chino e ne raccolgo uno abbastanza piccolo da riuscire a tenerlo nel palmo della mano. Mi hanno sempre detto che ho una buona mira, penso tra me e me. Probabilmente sarebbe stato meglio se Rohkeus mi avesse insegnato a tirare con l'arco piuttosto che a combattere con la spada.
Senza pensare a quello che sto facendo, lancio la pietra contro i due elfi armati, colpendone uno dritto in fronte. Lui indietreggia, sorpreso, mentre la spada gli sfugge dalle mani. Nel momento in cui un rivolo di sangue comincia a colargli dalla tempia e le sue ginocchia cedono, l'altro si scaglia verso di noi, abbassando l'arma su Rohkeus, il quale schiva il colpo con un movimento fluido e cerca di colpirlo a sua volta con la pietra che stringe in mano.
Con uno scatto fulmineo mi chino di nuovo, raccogliendo un altro sasso, ma un terzo elfo mi arriva alle spalle. Mi sposto, rotolando, un attimo prima che la lama della sua spada baci la mia pelle, e lo colpisco alle gambe con il mio peso, facendogli perdere l'equilibrio. Ma è solo questione di un attimo, poiché non faccio nemmeno in tempo ad afferrare una nuova pietra che lui si è già ripreso e troneggia su di me, ancora seduta in terra.
Con un movimento inaspettato lancio verso di lui la gemma, ma l'elfo è agile e non si fa cogliere impreparato due volte. Con un movimento dell'arma blocca la traiettoria del cristallo, che devia verso le pareti della galleria, sulle quali va a sbattere infrangendosi in mille pezzi.
I frammenti luminosi volano nell'aria, inondando me e il mio assalitore di una pioggia di stelle, che si riflettono sull'acciaio della spada che ora scende inesorabile verso di me. Immagino che dopotutto sia un bel modo per morire.
All'improvviso però un rombo fa vibrare l'aria, subito seguito da una cascata di pietre che travolge l'elfo, facendolo cadere in terra al mio fianco. Io mi accuccio in posizione fetale, cercando di proteggermi la testa con le braccia, mentre i sassi mi rotolano addosso colpendomi ovunque.
Per qualche istante il rumore della pietra che si scontra con altra pietra copre ogni suono, riecheggiando tra le pareti strette della galleria, e non riesco a capire se gli elfi sono stati tutti schiacciati o se stanno solo aspettando che usciamo da sotto i detriti per ucciderci. Nel dubbio resto immobile a occhi chiusi, fingendomi morta, mentre mi domando se il cumulo sia crollato per via delle pietre che abbiamo spostato o se ci sia un altro motivo.
Poi però il rumore di una spada che cozza contro qualcosa di duro mi fa spalancare gli occhi e cerco subito Rohkeus con lo sguardo, ma la prima cosa che vedo è Gordost che, con il suo peso, tiene fermo in terra un elfo drow, ringhiando davanti al volto spaventato di quest'ultimo. La scena è illuminata da una forte luce azzurra proveniente dal passaggio ora aperto, che dà evidentemente sul mondo esterno.
Alle spalle del lupo, Callàis è impegnato con un altro soldato a cui tiene fermi i polsi con una presa ferrea; le spalle dell'elfo sono contratte e lui si contorce, cercando di sfuggire all'incantesimo di morte della ninfa, ma perde sempre più forza fino ad accasciarsi a terra, accanto alla sua spada abbandonata nella polvere. Solo a quel punto il ragazzo lo lascia andare, pulendosi poi sulla casacca le mani, che hanno perso la tonalità nera che avevano l'ultima volta che le ho viste.
Si avvicina a passo lento all'ultima guardia cosciente, ancora sdraiata sotto Gordost, e i suoi occhi azzurri lampeggiano nella penombra della galleria, conferendogli un'aria inquietante. Poi si inginocchia accanto al lupo e prende il viso dell'elfo tra le mani, ma io distolgo lo sguardo prima di poter scorgere l'espressione di dolore e disperazione che il tocco di Callàis non può che provocargli.
Mi rivolgo quindi all'apertura che ora si è creata nel tunnel e alla quale si affacciano due figure che, dopo essersi assicurate dell'assenza di pericolo, mi si avvicinano svelte.
— Lym, tutto a posto? Ti sei fatta male? — mi domanda Iris, mentre mi aiuta a togliermi di dosso i sassi più grandi. Alveus, al suo fianco, mi guarda con aria preoccupata, mentre stringe tra le mani il libro di Rohkeus, ora tutto rovinato e coperto di fango.
Mi tiro subito in piedi, guardandomi intorno. Le guardie sono tutte fuori gioco: quella che ho colpito in testa con il sasso non si è ancora ripresa, l'elfo che mi ha attaccata è rimasto schiacciato sotto un grande sasso e alle ultime due ci hanno pensato Gordost e Callàis. Evidentemente, la zona dove stava combattendo Rohkeus non è stata tanto colpita dalla frana, dal momento che lui è in piedi sano e salvo e sta accarezzando Gordost, che gli gira intorno festoso. Un sorriso involontario mi si apre in viso al vederli di nuovo riuniti.
Poi il mezzelfo solleva lo sguardo verso il ragazzo biondo e la sua espressione, rilassata fintanto che stava coccolando il lupo, si fa imperscrutabile. Se è sorpreso di vederlo qui all'inferno, come di certo deve essere, lo nasconde bene.
— Ninfa — dice Rohkeus con tono sprezzante, in un saluto rivolto a Callàis. Questi si alza dal pavimento di pietra su cui era ancora inginocchiato e si prende un attimo prima di rispondere.
— Mezzelfo — ribatte quindi, con espressione fintamente solenne, salvo poi aggiungere con un sorriso di scherno. — Sono così contento di rivederti.
Rohkeus ignora la provocazione e si volta verso noi tre, fermi a fissarlo. Il suo sguardo scivola sul mio corpo verificando che io sia tutta intera e senza ferite, per poi spostarsi su Iris al mio fianco. Le sue sopracciglia si sollevano appena in un impercettibile moto di stupore, e il cuore prende a martellarmi in petto.
In un istante mi accorgo di temere questo incontro, di avere paura che, nel momento in cui Rohkeus conoscesse Iris, potrebbe preferirla a me, come hanno fatto le persone per tutta l'infanzia e come temo possano fare ancora. Ma questa volta non potrei accettarlo: al solo pensiero che mia sorella, seppur involontariamente, possa portarmelo via sento qualcosa rompermisi nel petto. Devo fare un bel respiro e ricordare a me stessa che non c'è motivo per cui ciò possa accadere, ma, per quanto mi impegni, questa paura irrazionale non vuole saperne di abbandonarmi.
Intanto il mezzelfo continua a fissarci, e mi domando cosa veda, ora che ci ha davanti entrambe. Quanto è possibile capire di una persona con un semplice sguardo?
Ma lui non dice niente e per un attimo resta fermo, indeciso su cosa fare.
— E così tu sei il famoso Rohkeus — afferma mia sorella, rompendo per prima il silenzio. — Ho sentito tanto parlare di te. Ammetto però che ti immaginavo più alto — aggiunge poi, con un timido sorriso in volto, nel tentativo di stemperare la tensione che aleggia nell'aria.
— Io invece ti immaginavo esattamente così — ribatte il ragazzo, essenziale come sempre.
— Iris, piacere — si presenta quindi lei, allungando una mano verso il mezzelfo. La sinistra. Le labbra di Rohkeus a questo punto si stirano in un sorriso appena accennato, stupito e compiaciuto per questa accortezza e per il fatto che mia sorella l'abbia compiuta senza il minimo tentennamento, come se fosse la cosa più normale del mondo. Gliela stringe con una presa forte e la mano piccola e delicata di Iris quasi sparisce in quella grande e tozza di lui.
Poi il mezzelfo la lascia andare e si volta verso il ragazzo alla mia destra.
— Alveus — dice quindi, con un tono a metà fra un'affermazione e una domanda, anche se non c'è alcun dubbio sulla sua identità. I suoi occhi d'argento scrutano la ninfa come se la stessero sezionando, in cerca di chissà cosa, e vedo il ragazzo rabbrividire sotto quello sguardo indagatore. — Non pensavo che alla fine ti avremmo trovato davvero.
Alveus deglutisce, probabilmente cercando qualcosa di appropriato da dire al ragazzo che gli ha rubato la promessa sposa senza però risultare scortese. Immagino che non si trovi in una posizione facile e me ne dispiaccio, preda di un fastidioso senso di colpa.
— Per fortuna ti sbagliavi — risponde infine. Resta un attimo in silenzio, come se stesse ponderando le parole, e poi aggiunge: — Rohkeus.
Il nome del mezzelfo gli esce con un tono strano, come se gli fosse rimasto incastrato in gola e fosse riuscito a fatica a tirarlo fuori, ma in realtà non c'è cattiveria nella sua voce, solo un'immensa tristezza venata di rassegnazione che rimane a galleggiare nel silenzio che segue la sua affermazione. E in effetti non c'è nient'altro che i due ragazzi si possano dire.
— Come siete arrivati qui? — domando quindi, spostando su altro l'attenzione generale.
— Seguendo la bussola sul libro, ovviamente — mi risponde prontamente Alveus, lieto della mia intromissione. — Iris lo ha raccolto dal fango quando lo hai perso.
Come a testimonianza delle sue parole allunga verso di me il volume, che Rohkeus afferra con espressione interrogativa.
— Questo lo immaginavo, ma come siete fuggiti da Measan-Ura? — ribatto.
— In realtà, le guardie ci hanno fatti uscire dall'ingresso principale insieme agli altri schiavi e, una volta fuori, abbiamo cercato di dileguarci.
— E non vi hanno fermati?
— Certo che lo hanno fatto, solo che è stato Callàis a fermare loro.
Tutti ci voltiamo verso la ninfa, che ci fissa con aria soddisfatta da sotto gli spettinati boccoli biondi che gli piovono sul volto.
— A proposito, vedo che la tua faccia si è ripresa bene — interviene quindi il ragazzo rivolto a Rohkeus, che d'istinto si porta la mano alla guancia che Callàis gli aveva sfregiato.
— Il tuo interessamento mi commuove — ribatte il mezzelfo, mettendo in quelle parole una certa dose di disprezzo. — Io invece vedo che alla fine sei riuscito a entrare all'inferno, esattamente come volevi. Spero tu possa ritenerti soddisfatto.
Questa volta è il turno di Callàis di atteggiare il viso a una smorfia di biasimo, che subito però trasforma nel suo solito sorrisino con l'abilità di un prestigiatore. — È stata una bella esperienza, ma adesso non vedo l'ora di abbandonare questo posto.
Un manto di silenzio, spesso come una coltre di neve in inverno e altrettanto gelido, cala su tutti i presenti. Guardo di sottecchi i miei compagni, il cui viso serio e pensieroso non lascia nessun dubbio sul fatto che tutti stiamo pensando la stessa cosa: e adesso? Come facciamo a uscire tutti dall'inferno?
In realtà so che non è possibile, che si tratta solo di una mia suggestione perché Iris e Alveus ancora non sanno i dettagli del patto; loro di sicuro sono convinti che la nostra disavventura sia finita e che possiamo finalmente tornarcene a casa. Immagino invece che i miei stessi pensieri stiano attraversando le menti di Rohkeus e Callàis, che sono certa abbia letto del patto nel libro della mia vita.
— Abbandoniamo questa galleria e parliamone in un posto sicuro — interviene il mezzelfo, come se avessi effettivamente posto la domanda. — Gli elfi drow non possono morire e non sappiamo quanto a lungo resteranno svenuti.
Quindi si avvia verso l'uscita, con il libro stretto in mano e Gordost che cammina docile alle sue spalle, e noi non possiamo fare altro che seguirlo.
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