Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

38. Rosa in boccio

Il primo ad avanzare oltre gli aguzzi denti di pietra della porta è Callàis e lo fa con passo deciso, privo di una qualunque esitazione. Lo stesso non si può dire per me, che mi fermo un attimo sull'uscio prima di convincermi a seguirlo, inquietata e intimorita dalla minacciosità dell'ingresso: c'è qualcosa in questo arco, in queste pietre e in queste statue che parla direttamente alla mia paura, cercando di convincermi a scappare lontano da qui. Ma io non accetto suggerimenti dalla paura, non posso permettermelo.

— Non siamo obbligati a farlo — mi sussurra Iris, affiancandomi, come se mi avesse letto nel pensiero.

— Come tu non eri obbligata a seguire Alveus all'inferno. Sai che in realtà non abbiamo nessuna scelta.

Lei mi fissa con espressione corrucciata, come se stesse cercando di risolvere un complicatissimo rompicapo, quale probabilmente io sono per la maggior parte della gente e a volte anche per me stessa.

— Ed è la stessa cosa? — mi domanda.

— Perché no? — ribatto di getto, salvo poi soffermarmi a pensare a ciò che implicano le mie parole. Ovvio che Iris si è precipitata all'inferno per salvare Alveus: ne è innamorata praticamente da sempre. Ma il rapporto tra me e Rohkeus è completamente diverso, quindi in effetti non è la stessa cosa; il motivo per cui devo trovarlo è che non posso lasciarlo all'inferno e tradirlo così, giusto? Lo chiedo a me stessa, e subito mi rispondo: giusto. Io amo Alveus.

Alveus, che ha in me una fede incrollabile e che mi sostiene sempre.

Alveus, che sto trascinando in giro per l'inferno, mettendolo in pericolo, mettendo in pericolo tutti, per salvare Rohkeus.

Se avessi accettato la proposta di Iris e noi tre e Gordost fossimo fuggiti, avrei salvato due persone e un lupo, anche se Rohkeus sarebbe stato condannato per sempre. Così invece non è detto che qualcuno di noi riesca a tornare a casa. In fin dei conti, quanto la mia decisione è stata altruistica?

Potrei cambiare idea ora, fermare tutti i miei compagni di viaggio e dire loro: "Basta, tornate a casa". Lascerei il mio posto a Callàis, anche se al mio posto lui non farebbe altrettanto, e io rimarrei qui a cercare Rohkeus, nonostante sia probabile che non voglia più parlarmi una volta saputo cosa ne è stato del suo patto.

Forse sarebbe la cosa giusta da fare. Forse. Ma non posso, non ci riesco.

Quindi faccio un passo avanti e varco l'uscio, con Iris sempre al mio fianco, ma riusciamo ad avanzare solo per la lunghezza di un paio di braccia che subito la terra comincia a tremare.

— Che succede? ­— domanda Alveus alle nostre spalle, con la voce resa stridula dalla paura.

— Callàis? — lo interpello io, e lui si volta al suono del suo nome, in viso un'espressione sorpresa e vagamente spaurita.

— E io come faccio a saperlo? — risponde in tono acido. Poi spalanca gli occhi e grida: — Attenti! Dietro di voi!

Io e Iris ci giriamo nello stesso momento, giusto in tempo per veder volare verso di noi un mostruoso essere di pietra con le ali e abbassarci di scatto, evitandolo per un soffio. La creatura vira con un poderoso colpo d'ali appena prima di schiantarsi contro le pareti grezze del tunnel, punta su di noi le sue orbite di pietra ombreggiate dalle sopracciglia sporgenti e ci attacca di nuovo.

D'istinto mi metto davanti a mia sorella, facendole scudo con il mio corpo e, raccolto un sasso dal suolo, lo scaglio con violenza contro il mostro, colpendolo in testa. L'essere sbanda, perdendo per qualche istante la traiettoria, ma essendo di pietra non può sentire male e così, con un'altra virata, si rimette in posizione d'attacco.

— Sono le statue che c'erano sull'arco d'ingresso — sento esclamare Callàis, ma la sua voce mi giunge ovattata e lontana, nient'altro che un sottofondo ai miei pensieri, poiché tutta la mia attenzione è concentrata sulla creatura che ora ci guarda maligna. Rimane un istante sospesa in volo, poi si scaglia su di noi. Cerco freneticamente in terra un sasso grande abbastanza da infastidirla, ma lei mie dita afferrano solo sabbia e polvere.

All'improvviso Iris si staglia davanti a me e colpisce la creatura con la bisaccia che aveva in spalla, ormai piena solo di bottigliette senz'acqua che nell'impatto si infrangono con un tintinnio di cristalli. Il mostro sbanda di nuovo, ma sappiamo entrambe che questi nostri patetici tentativi non bastano per sconfiggerlo.

Con la coda dell'occhio vedo che Alveus e Gordost sono alle prese con altre due statue volanti, mentre Callàis accorre in loro aiuto.

Il mio cervello gira veloce, mentre tutti i suoni intorno a me scompaiono: sento solo il cuore che scandisce il ritmo della battaglia e il mio respiro affannoso, che cerco inutilmente di calmare. Non abbiamo speranza di vincere usando la forza, quindi non ci resta che giocare d'astuzia. Io non conosco nessuna tecnica di combattimento, ma se fossi un guerriero, se fossi Rohkeus, cosa farei?

Mentre schivo un nuovo attacco della creatura, sento risuonarmi in testa gli insegnamenti che mi ha impartito il mezzelfo quella volta che, nel suo castello, ha tentato di insegnarmi l'arte della guerra.

Se il tuo avversario è fisicamente avvantaggiato cerca i suoi punti deboli: tutti ne hanno uno. Ma quali possono essere le debolezze di una statua?

La osservo attentamente, mentre trovo un nuovo sasso sul terreno e glielo tiro in testa, distraendola per qualche istante.

Una creatura di pietra non può certo morire, ma può rompersi, se colpita con la giusta forza.

Forza che però io ovviamente non possiedo.

Ma una creatura di pietra è anche pesante, e le cose pesanti hanno più difficoltà a fermarsi o a cambiare il proprio moto.

Afferro Iris per un polso e me la trascino dietro, mentre corro verso la parete del tunnel. Mi fermo ad appena un palmo dal muro irregolare e poi mi volto a fronteggiare il mostro, obbligando mia sorella a fare lo stesso. Sento i suoi occhi indagatori che mi pungono la pelle, cercando di capire cosa mi passi per la testa, ma decide di fidarsi di me e non fa domande.

La statua vira, volando vicino al soffitto, e ci punta nuovamente con i suoi occhi di pietra. Sbattendo con forza le pesanti ali, si avvicina a noi prendendo velocità. La guardo approssimarsi, e conto gli attimi.

Tre.

Il rumore delle sue ali che sbattono risuona nel tunnel e mi rimbomba nelle orecchie, mischiandosi al battito del cuore in una cacofonia asincrona.

Due.

Fisso lo sguardo nelle orbite vuote del mostro, valutando, calcolando e sperando di non sbagliare. Ormai è tanto vicino che riesco a distinguere le venature che gli attraversano il volto deformato da un ghigno abbozzato.

Uno.

Sento il respiro di Iris farsi più veloce e sincopato a causa della paura, ma non cerca di liberare il polso ancora stretto nella mia presa. La lascio andare e le poggio una mano sulla spalla.

Zero.

Con un movimento rapido spingo mia sorella di lato, a destra, mentre io mi lancio sulla sinistra. Cado malamente in terra, sfregando le ginocchia sulla roccia, ma mi volto subito verso il punto in cui io e Iris eravamo fino a un attimo prima e dove ora la statua tenta di fermare la sua corsa, senza successo. Con un grande rumore va a sbattere contro la parete del tunnel, spaccandosi e sbriciolandosi in una nuvola di polvere. I suoi frammenti cadono sul suolo, qui un'ala, lì l'altra e tra di esse pezzi di testa e di busto. Il naso tozzo rotola vicino ai miei piedi, fermandosi con le narici all'insù.

— Per tutti i fiumi! — esclama Iris, senza riuscire ad aggiungere nient'altro.

Mentre ancora mi sto riprendendo dallo scontro, un grido mi fa girare verso Callàis, che è stato scaraventato in terra da uno degli altri due mostri di pietra. Tenta di difendersi, ma l'unica arma che possiede sono le sue mani nude, che possono essere letali per un essere vivente ma non per una creatura di roccia.

Il mostro prova ad azzannarlo con i suoi denti aguzzi, ma prima che riesca a raggiungere il suo collo Callàis afferra con le mani le due arcate dentali della statua, mettendo tutta la forza che possiede nel tentativo di tenerle aperte. Dell'acqua comincia a colargli lungo i polsi, bagnandogli le maniche della casacca: forse così avrà salva la vita, ma perderà senz'altro le dita.

Mi alzo più in fretta che posso per andare ad aiutarlo, magari sfruttando di nuovo la mia idea, dal momento che si è rivelata vincente. Intanto cerco l'ultimo mostro e noto che Gordost con il suo peso è riuscito ad atterrarlo e ora sta tentando di farlo a pezzi con i suoi artigli.

Alveus per fortuna è salvo, in piedi alle spalle del lupo, e si guarda intorno con aria smarrita e corrucciata. Un attimo prima che io raggiunga Callàis abbassa lo sguardo sulle proprie mani, come se non le riconoscesse, e il suo viso si distende, rischiarato da un'idea.

— Lym, ferma! — mi impone con un tono serio e deciso così strano per lui che mi blocco sul posto. Sposto lo sguardo alternativamente da Callàis ad Alveus, indecisa su cosa dovrei fare, ma poi vedo il mio promesso sposo stringere le mani a pugno lungo i fianchi e chiudere gli occhi, e rimango a fissarlo.

Un rumore che inizialmente non riesco a definire rimbomba nel tunnel, prima piano poi sempre più forte, ed è solo quando la fonte del suono mi appare davanti agli occhi che la riconosco per quella che è: acqua.

Acqua limpida e cristallina, depurata dal sangue rosso con il quale scorre nel fiume là fuori e che ora si avvicina rombando a noi.

Mi sposto di lato e mi rannicchio vicino al muro per non essere travolta, mentre il torrente mosso dalla volontà di Alveus entra con violenza nella grotta, travolgendo tutto quello che incontra. Mi aggrappo con le mani a una sporgenza della roccia, preparandomi a vincere la resistenza dell'acqua che immagino cercherà di trascinarmi con sé, ma il liquido mi scorre sulla pelle leggero come una carezza. In qualche modo Alveus è in grado di manipolare la forza dell'acqua a suo piacimento, e il risultato è che sono fradicia ma illesa.

Gordost libera con un balzo la sua preda un istante prima che l'acqua lo sommerga e si accuccia al mio fianco, mentre la statua viene trascinata via dalla corrente e va a sbattere contro la creatura che sovrasta Callàis, che a sua volta ritrae le mani dalle pungenti fauci di pietra. I due mostri cozzano con forza uno contro l'altro, frantumandosi, e vengono poi sbattuti violentemente contro una parete.

Così come è arrivata l'acqua si placa, ritirandosi e rivelando i frammenti delle tre statue che ci hanno attaccati, che ora giacciono come reliquie in mezzo alle pozzanghere.

— State tutti bene? — ci domanda Alveus, preoccupato. Lui è ancora lì, in piedi e perfettamente asciutto, senza nemmeno una gocciolina d'acqua a pendergli dai capelli.

— Per tutti i maledettissimi fiumi! — esclama Callàis, mentre si rialza a fatica dal punto in cui è stato atterrato, zuppo dalla testa ai piedi. — Se lo raccontassi in giro nessuno mi crederebbe.

— Nessuno ti crede mai, indipendentemente da quello che dici — sottolineo io, mentre Alveus domanda: — Che sei stato attaccato da delle statue o che ti ho salvato io?

Callàis alza gli occhi al cielo, mentre i boccoli biondi gli gocciolano sulla faccia. — La seconda, ovvio.

Tutti puntiamo gli occhi sul mio promesso sposo, come se davanti ai nostri occhi fosse comparso un miraggio, tanto che lui abbassa lo sguardo e nasconde le mani dietro la schiena.

— Beh, non andiamo avanti? — chiede, nel tentativo di dirottare la nostra attenzione su qualcos'altro.

— Per di qua — risponde subito Callàis, indicando il fondo del tunnel con il mento e infilando le mani nelle tasche dei calzoni. Una smorfia di dolore gli si dipinge sul viso.

— Fammi vedere — gli ordino, avvicinandomi e sfiorandogli il braccio, ma lui si ritrae come se fossi velenosa.

— Non ho bisogno del tuo aiuto — esclama infastidito, prima che la sua espressione si rilassi e un sorrisino di scherno gli sbocci sul viso. — Tanto tu cosa puoi fare? Curarmi con la tua magia?

— Ma va' a farti mangiare dai ragni, Callàis! — sbotto, perdendo la pazienza. — Tieniti le tue ferite così come sono, se è quello che vuoi.

Lo supero, ignorandolo completamente, e mi avvio verso l'oscurità in fondo alla galleria, con Gordost che mi affianca dopo un paio di passi. Butto una rapida occhiata alle mie spalle, per verificare che gli altri due mi stiano seguendo, e li vedo camminare uno a fianco all'altro, Iris che controlla preoccupata che Alveus stia bene e lo ringrazia per averci salvati tutti. L'espressione sul volto di mia sorella è così dolce e limpida che mi trovo costretta a distogliere lo sguardo, incapace di fissarli ancora.

Il tunnel si addentra nella roccia per molti passi, ma alla fine giungiamo a una porta, anch'essa in pietra, che si spalanca senza problemi sotto la spinta della mia mano e ci rivela un ambiente grandioso: migliaia di candele dai bagliori rossastri volteggiano sospese nell'aria e illuminano la biblioteca più spettacolare che io abbia mai visto. File e file di scaffali in pietra nera si estendono in tutte le direzioni, ben oltre il punto in cui il mio sguardo riesce a spingersi, ma nel complesso sono abbastanza bassi, dato che superano la mia altezza solo di qualche spanna. Al contrario, il soffitto della grotta è altissimo, tanto che si perde nelle tenebre che le candele fluttuanti non riescono a rischiarare.

Le pareti inoltre sono impregnate della stessa acqua che scorre nel fiume al di fuori, quasi fossero fatte di spugna e non di pietra, e il fluido rossastro gocciola in scanalature nel pavimento che corrono come fiumi sinuosi tra gli scaffali, dando al luogo un aspetto alquanto sinistro. Tra uno scaffale e l'altro sono poi disposti, a distanza irregolare, tavoli ricolmi di bevande e cibi di tutti i tipi, il cui scopo forse è allietare con uno spuntino gli occasionali visitatori intenti nella lettura dei volumi.

La biblioteca è deserta e l'unico rumore che si sente è il gocciolio dell'acqua alle pareti. In cerca di conforto affondo le dita nel pelo di Gordost, caldo e rassicurante.

Alveus si mette alla mia sinistra e mi poggia una mano sulla spalla, per richiamare la mia attenzione prima di parlare. — Sarebbe davvero fantastica, se non fosse così inquietante, non trovi?

Annuisco, mentre lui mi fa scivolare la mano lungo il braccio, fino a intrecciare le sue dita con le mie. La sua presa, così famigliare e dolce, sembra incredibilmente fuori posto qui all'inferno, dove più che la tenerezza e la bontà contano la forza d'animo e il coraggio, ma allo stesso tempo mi fa venire un groppo in gola al ricordo di tutte le altre volte in cui ci siamo ritrovati così, insieme. Ricambio la stretta, in un muto ringraziamento per esserci sempre per me, anche ora che non lo merito.

— Come lo troviamo il libro giusto? Qui ce ne sono tantissimi — interviene Iris, spostando in fretta lo sguardo da noi a Callàis.

— Sono tutti disposti in ordine alfabetico per nome, dobbiamo solo raggiungere la sezione "R", che potrebbe essere piuttosto lontana — risponde lui, stringendo gli occhi per scrutare gli scaffali in lontananza, come se potesse scorgere il libro da qui.

— Allora andiamo — sprono gli altri, lasciando la mano di Alveus e incamminandomi, salvo poi fermarmi dopo pochi passi non sapendo bene dove dirigermi. Callàis mi supera, a passo spedito e con le mani in tasca, pronto a farci da guida.

— Ma secondo voi questa roba si può mangiare? — chiede il mio promesso sposo, soffermandosi a guardare le prelibatezze disposte su di un tavolo.

— Io non mi fiderei — risponde dubbiosa Iris, ma Callàis la mette subito a tacere, affermando con nonchalance: — L'altra volta ho mangiato e bevuto, e non mi è successo nulla. Quindi fa' un po' come vuoi.

Alle sue parole gli occhi Alveus si illuminano e il ragazzo fa subito segno a mia sorella di avvicinarsi, in modo da poter riempire la bisaccia che lei indossa e che subito lui si offre di portare al suo posto. Quando la borsa è piena, Alveus afferra a piene mani altri grappoli d'uva dagli acini grossi e succosi e ce li porge, in modo da poterli mangiare durante la ricerca.

Accetto la sua offerta, anche se sono un po' scettica sull'inoffensività di questo cibo, ma non appena metto in bocca il primo acino ogni dubbio evapora, lasciando posto solo alla dolcezza della frutta, che mi esplode succosa in bocca.

Prima di arrivare allo scaffale cercato, facciamo in tempo a mangiare anche fragole, mirtilli e melograni; poi finalmente Callàis si ferma davanti a una fila di libri che a me paiono uguali a tutti gli altri, con i loro dorsi coperti di scritte incomprensibili in bella vista, e afferma: — Eccoci.

Inghiotto l'ultima manciata di semi di melograno in tutta fretta e mi sporgo impaziente verso il ripiano da lui indicato.

— Qual è? — domando.

— Dipende.

Sbuffo, alzando gli occhi al cielo. — Da cosa?

— Come fa di cognome?

Stringo forte le palpebre, per favorire la concentrazione e richiamare alla mente il complicatissimo nome del mezzelfo. — Terävästä Terästä. Perché, quanti Rohkeus ci sono?

— Oltre a lui, altri quattro — risponde lapidario, mentre estrae un volume dalla copertina nera decorata con eleganti scritte argentate. Quasi glielo strappo di mano, aprendolo subito alle prime pagine, ma ovviamente non riesco a leggere niente.

Alveus cerca a sua volta di guardare al di sopra della mia spalla e così Iris, mentre Callàis passeggia svogliato per il corridoio, buttando distrattamente l'occhio sugli altri libri che ci circondano.

— È lui? — domanda Alveus con tono preoccupato, indicando una figura che mostra il mezzelfo intento a confabulare con Huba. È un'immagine relativa alla sua vita prima di finire all'inferno, ma da allora è rimasto praticamente immutato e quindi annuisco.

Il ragazzo mi prende il libro dalle mani e se lo avvicina alla faccia, per vederlo meglio. Sto per riprendermi il volume, quando Callàis emette un verso strozzato che ci fa girare tutti verso di lui.

— Che succede? — gli domando alla vista del suo volto pallido e privo di espressione. Afferra un libro dallo scaffale e lo estrae con cautela, come se stesse maneggiando un serpente velenoso. Poi sussurra: — Rosa.

— Rosa? Come tua madre? — interviene Alveus, ma l'altro ragazzo pare non sentirlo. Ci avviciniamo a lui, nel tentativo di capire cosa sta accadendo.

Callàis apre il libro alle prime pagine, ricoperte dai soliti simboli arzigogolati. — Cosa dice? È davvero tua madre? — gli domando, in maniera forse un po' invadente, ma odio non sapere cosa significa tutto ciò.

— Nome: Rosa. Specie: ninfa — comincia a elencare Callàis in modo automatico, leggendo la prima pagina, quella che contiene le informazioni generali. — Età: cinquantaquattro primavere. Stato: sposata. Marito: Arbor. Figli: Callàis, Nox. Segni particolari: nata sterile.

Nel leggere l'ultima informazione gli si spalancano gli occhi, come se lo avesse punto uno scorpione.

— Nata sterile? Che significa? — chiede Alveus.

— Che non può avere figli — affermo, senza pensare.

— Lo so cosa vuol dire! — sbotta lui. — Intendo dire, come può essere sterile? — spiega poi, indicando Callàis con il libro di Rohkeus, che ancora tiene in mano. Ma nessuno sa rispondergli.

Con eccessiva lentezza, Callàis gira pagina, fragile come non l'ho mai visto, probabilmente combattuto tra il desiderio di sapere e quello di non sapere. Le facciate due e tre riportano un fittissimo testo e un'immagine di Rosa da giovane, affacciata a una finestra e con l'espressione triste.

In un attimo quello stesso disegno pare uscire dalle pagine, rimanendo sospeso in una nuvola al di sopra del libro, e la donna prende vita. Si stringe le braccia al petto, mentre una ciocca dei capelli biondi e a boccoli come quelli di Callàis le piove sul viso, nascondendo lo sguardo malinconico. Dall'interno della stanza provengono voci gioiose, ma lei pare fuori luogo in mezzo a quei rumori festosi.

Rosa, che fai qui tutta sola? — domanda la voce di un uomo, verso il quale subito lei si gira, sobbalzando. Lui la abbraccia da dietro, stringendola forte a sé. — Non ti va di festeggiare con noi? La piccola Sidera è così bella, fa davvero tenerezza. E poi ride così tanto, anche se è nata solo da qualche giorno.

Rosa fa un sorriso forzato, guardando negli occhi quello che solo ora riconosco essere suo marito, ma poi subito abbassa lo sguardo sulle loro mani intrecciate e una lacrima le riga il viso.

Su, tesoro, non piangere, toccherà anche a noi. Solo che non è ancora arrivato il nostro momento — la incoraggia Arbor, asciugandole il volto con la manica della sua casacca da festa. Lei annuisce, anche se poco convinta, e scioglie le braccia intrecciate di lui.

Credo di voler andare a casa, ora — afferma con voce flebile.

Lui sospira. — Va bene, andiamo — dice, mentre fa per allontanarsi e andare a salutare gli ospiti, ma la moglie lo ferma, afferrandolo per una manica.

Oh, no, non voglio rovinarti la festa. Tu resta pure, posso andare da sola.

Lui esita, combattuto tra la voglia di rimanere a divertirsi e il desiderio di non lasciare sola Rosa in un momento di debolezza.

Davvero, non preoccuparti — fa lei, abbozzando un sorriso che pare convincerlo. Così, mentre lui torna dagli altri invitati, Rosa si avvia verso casa, con gli occhi bassi e tirando calci alle foglie secche che ricoprono il sentiero. Sovrappensiero cammina fino allo spiazzo su cui si affacciano la Roccia e la biblioteca e qui si ferma di colpo, sollevando lo sguardo sull'edificio.

Fissandolo, assottiglia gli occhi in un'espressione che la rende incredibilmente simile a Callàis e si avvia verso la porta, che come sempre è aperta. Entra di soppiatto, tentando di far il meno rumore possibile, e si avvicina a passo sicuro a uno scaffale, come se sapesse perfettamente dove cercare. Ne estrae un vecchio volume usurato, se lo stringe al petto e, guardandosi intorno con aria furtiva, abbandona la biblioteca e si dirige nel bosco.

All'inizio cammina lentamente, ma poi il suo passo si fa più veloce, come se avesse fretta di allontanarsi dal villaggio. Gli uccelli notturni la fissano dall'alto dei loro rami; un gufo bubola e una civetta stride, mentre occhietti luminosi si affacciano dai cespugli ai piedi degli alberi.

A un certo punto Rosa rallenta, forse per prendere fiato o forse per analizzare l'ambiente circostante, che scruta stringendo gli occhi a due fessure. Continua ad avanzare fino a raggiungere una radura che ha ai miei occhi qualcosa di famigliare e lì si ferma, come se avesse trovato quello che cercava.

Cosa sto facendo? — domanda a se stessa, stringendo più forte il libro al petto. Prende un ultimo respiro profondo, apre il volume e lo appoggia al suolo; poi, guidata dalla luce della luna piena, raccoglie una piccola pila di rametti a cui dà fuoco per ricavare una stecca di carbone con la quale, seguendo le istruzioni riportate sulle pagine, disegna un cerchio nero circondato da strani e inquietanti simboli.

E all'improvviso tutto acquista un senso: la radura, il cerchio nero... È lo stesso posto in cui io ho evocato per la prima volta il Principe. Non mi ero mai posta il problema di chi avesse disegnato il cerchio, ma ora sto comunque ricevendo la risposta.

Finita la sua opera Rosa si alza in piedi, spazzolandosi con le mani la gonna bianca ora sporca di terra, ed esclama con voce decisa: — Principe, eccomi.

Un vapore rossastro si alza dal suolo, avvolgendo la figura della donna in un abbraccio di sangue, e la ben nota voce del demone echeggia nell'ambiente. — Cosa vuoi, piccola ninfa?

Un figlio.

Il Principe ride, mentre Rosa si stringe le braccia al petto, come se quelle risate la stessero ferendo dentro.

Non puoi averne, e lo sai benissimo.

Ti prego — lo scongiura lei, quasi piangendo. — Sono disposta a pagare qualunque prezzo.

Un brivido mi attraversa il corpo al riconoscere le parole che io stessa ho pronunciato tanti anni prima e che sono state la mia sventura. Ferma! vorrei gridarle, ma questa è solo una proiezione di ciò che è già stato e nessuna mia azione potrà mai impedire ai fatti di svolgersi di nuovo davanti ai miei occhi.

Sei fortunata che io ti trovi così patetica e divertente — le risponde il demone. — E così sia: da ora potrai avere tutti i figli che vorrai, ma il primo dovrà essere mio. Io darò un figlio a te e tu ne darai uno a me. Accetti, piccola ninfa?

Rosa esita e per un attimo mi illudo che risponda di no, ma lei solleva la testa, scrollando i boccoli biondi dietro le spalle, e afferma decisa: — Accetto.

Il tuo ventre si gonfierà, come un fiore pronto a sbocciare, e porterai dentro di te il frutto del tuo amore e del tuo peccato — afferma la voce del Principe, sancendo così il patto.

Il vapore rosso si fa più fitto e converge, con ampie volute, a un'estremità della radura, dove si trova una creatura avvolta nell'ombra. Non appena il fumo gli lambisce le gambe, egli si avvicina, distaccandosi dagli alberi e permettendo alla luna di bagnarlo con la sua luce, che mette in mostra il corpo nudo e snello di un ragazzo sormontato da una testa di cerbiatto.

Rosa rabbrividisce, ma non abbassa lo sguardo e continua a fissare negli occhi la strana creatura che le si approssima. Quando sono ormai a un palmo l'uno dall'altro, il demone la fa sdraiare in terra con un gesto deciso e al contempo seducente e le alza il vestito, mettendo in mostra la biancheria ricamata che le sfila con una mano, mentre con l'altra...

Callàis chiude di scatto il libro, facendoci sobbalzare per lo spavento e fermando la scena a metà. In effetti non c'è bisogno di guardare come andrà a finire, perché tanto lo sappiamo tutti, e nessuno più di Callàis stesso.

Per un po' il silenzio regna sovrano, ma alla fine sussurro, esitante: — Cal...

Lui si volta verso di me con occhi fiammeggianti. — Cosa vuoi, Lympha? Vuoi farmi la morale? O forse ci penserà Iris? Tanto lei è brava in queste cose — esplode lui, lanciando il libro in fondo al corridoio.

Dai, Callàis, non preoccuparti — continua poi in falsetto, imitando il modo di parlare di mia sorella. — O forse no, non lo dirà, perché io sono solo io, la ninfa scontrosa e difficile, quella che non piace a nessuno, nemmeno a sua madre. Perché io sono Callàis, il mezzo demone.

— Cal, smettila — cerco di calmarlo. — Tu non sei come il Principe.

— Ah no? E che ne sai tu, Lympha? Cosa ne sai tu di me? — urla, fuori controllo.

— Ti conosco meglio di chiunque altro e lo sai — ribatto, anche se non so se sia la cosa giusta da dire o addirittura se ci sia una cosa giusta da dire, in questo momento.

Lui ride, con quella sua solita risata soffiata che mette i brividi. — Certo, tu mi conosci, come no. Tutti pensate di sapere ogni cosa di me, siete stati bravi a catalogarmi come "mostro" per tutta la vita, ma evidentemente non abbastanza. — Ride di nuovo, prima di continuare. — Come sempre io vado oltre le aspettative, faccio quello che nessuno ha mai osato fare e sono quello che nessuno è mai stato.

— Ti prego, calmati — esclamo, nel tentativo di tranquillizzarlo, mentre Iris e Alveus rimangono paralizzati, non sapendo che fare.

— Come se voi poi foste tutti perfetti. No, non lo siete. Nessuno di voi lo è. Ma vi piace crederlo. Siete finti. Finti! Siete tutti finti. Vi odio!

Cerco di abbracciarlo, una mossa che non ho mai osato in tutta la mia vita, ma in questo momento ne sento il bisogno poiché lui ne ha bisogno; gli serve qualcuno che lo stringa a sé e che lo aiuti a tenere insieme i pezzi aguzzi in cui la sua anima si sta rompendo. Lui però mi allontana in malo modo, afferrandomi per le spalle, che sfrigolano e bruciano sotto il suo tocco di morte.

— E tu, Lympha, sei la più finta di tutti. Che fai, non lo dici al tuo promesso sposo?

Urlo dal dolore, mentre mi divincolo dalla sua presa.

— Cosa? — domando, quando lui mi lascia andare.

— Ci sono tante cose, scegli tu da dove partire. Magari dal fatto che hai baciato il tuo mezzelfo.

Per un attimo il gelo cala su tutti i presenti. Poi la voce di Alveus si alza sul silenzio di tomba.

Cosa hai fatto?


Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro