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36. Turchese

Fisso mia sorella con espressione scioccata, come se d'improvviso le fossero spuntate due teste, e forse anche in quel caso mi sarei stupita meno. Iris senza poteri? È inconcepibile, non riesco in nessun modo ad accettarlo o anche semplicemente a realizzarlo: ho sempre identificato mia sorella con la sua magia, quasi fosse il tratto che maggiormente la caratterizzava, e ora che non ce l'ha più, ora che è come me una ninfa senza magia, non so più come dovrei guardarla.

Anche per Alveus deve essere una notizia difficile da digerire perché per qualche istante nessuno dice nulla, mentre il silenzio si gonfia tra noi come un'enorme bolla di sapone. Alla fine a farla esplodere è proprio Iris, incapace di sopportare un momento di più i nostri sguardi sconvolti. — Che c'è? Tutti abbiamo sacrificato qualcosa per poter entrare qui.

Di sicuro la sua non voleva essere un'accusa nei miei confronti, ma io la percepisco come tale e abbasso lo sguardo, colpevole; benché Iris abbia già ampiamente chiarito che non mi perdonerà mai per aver spedito Alveus all'inferno, non è tanto sadica e meschina da rigirare così alla leggera il coltello nella piaga. O almeno credo: al momento mi domando quanto io abbia frainteso mia sorella in tutti questi anni e quanto in realtà la conosca.

Lei è ancora in piedi davanti a noi, mentre con le mani tortura la stoffa martoriata dell'abito, e aspetta una nostra risposta. Nei suoi occhi leggo la tristezza per ciò che ha perduto, ma anche il desiderio di smettere di parlarne perché ormai ciò che è fatto è fatto.

— Ma esattamente in cosa consisteva il tuo patto? — le chiedo.

Lei sospira, grata del fatto che finalmente almeno uno di noi due abbia riacquistato la parola, e si morde il labbro prima di rispondere, forse cercando le parole giuste. — Se avessi sacrificato il mio potere, il demone mi avrebbe concesso dieci giorni per trovare Alveus e poter così lasciare l'inferno insieme a lui, altrimenti sarei rimasta prigioniera del suo regno — spiega, mentre tira su la manica dell'abito e ci mostra dieci cerchi neri, in tutto e per tutto uguali ai miei.

La fisso senza parole, gli occhi spalancati che si muovono alternativamente tra il suo volto e il suo braccio. Non posso crederci: il Principe è stato così sadico da proporci lo stesso identico patto, sapendo che nessuna di noi due sarebbe mai riuscita nell'impresa.

Per la prima volta mi domando chi o cosa sia realmente questa entità chiamata demone o Principe, e mi sento stupida per non essermi interrogata prima al riguardo: perché si divertente tanto a vederci soffrire? Cosa vuole da noi?

— Lym, tutto bene? — chiede mia sorella, scuotendomi per la spalla. Annuisco e poi le mostro a mia volta il braccio, con tutti i cerchietti neri in fila come soldatini ubbidienti.

Alveus fa un verso di sorpresa, ma Iris non batte ciglio. — Lo so, li avevo già visti quando ti ho liberata dalla prigione — afferma con tono serio.

Il ragazzo invece mi domanda: — Ha fatto anche con te lo stesso patto?

— Già.

Per un attimo restiamo in silenzio, poiché in effetti non c'è altro da aggiungere, ma alla fine Alveus lo spezza con un'altra domanda: — Ma esattamente cosa è successo?

Entrambe ci voltiamo a guardarlo allibite: come può non saperlo? Ma riflettendoci, in effetti, nessuno ha fatto in tempo a spiegarglielo. Tutto quello che sa è che nel bel mezzo della sua cerimonia di nozze si è d'improvviso trovato in un regno infernale, poi in qualche modo è diventato uno schiavo della regina finché non siamo comparse magicamente noi due a salvarlo. Deve essere parecchio confuso.

Prendo un profondo respiro e mi metto a sedere, seguita a ruota da Iris; poi mi faccio coraggio per iniziare a raccontare, per la prima volta, la mia storia dall'inizio alla fine. Ammetto che la cosa mi spaventa, ma Alveus merita di sapere la verità.

Apro la bocca un paio di volte, ma poi la richiudo, non sapendo da dove cominciare. Dall'inizio, certo... Ma qual è l'inizio? Il primo patto con il Principe? Probabilmente ancora prima, quando io e Iris abbiamo smesso di parlarci. Ma quando è successo esattamente? In definitiva, ogni evento della mia vita ha portato a questo momento e non è facile stabilire cosa ora io debba raccontare e cosa no.

— Ti ricordi il tuo undicesimo compleanno? — domando infine ad Alveus, che annuisce con un mezzo sorriso, forse ripensando a quella che ai suoi occhi è stata una festa bellissima. Lui non sa delle vecchie ninfe e della loro cattiveria, non sa di Callàis e della sua crudele vendetta nei confronti di Iris, non sa di come io ho taciuto diventando sua complice.

Non lo sa perché io non gli ho mai raccontato niente di tutto ciò, né della mia invidia, né del mio senso di inferiorità, né del mio voler essere a tutti i costi la migliore. Per tutto il tempo che siamo stati insieme ho sempre finto che tutto andasse bene e che la mia vita fosse perfetta, restando fedele al personaggio che mi ero autoimposta di essere, come se la mia esistenza fosse tutta una grande recita.

Ora non so spiegarmi perché l'abbia fatto: sono sicura che Alveus non mi avrebbe mai giudicata e che, anzi, si sarebbe preso cura delle mie debolezze come fossero le proprie. Forse temevo che, se avesse scoperto che non ero davvero quella che fingevo di essere, se avesse scoperto che ero peggiore di quanto apparivo, mi avrebbe messa da parte, scegliendo Iris al posto mio.

In ogni caso decido di partire proprio da quella festa e da come mi ero sentita dopo aver sentito le crudeli parole delle due vecchie ninfe; da lì il racconto va avanti dapprima in modo incerto, per divenire sempre più rapido e veloce, con le parole che si accavallano una sull'altra per la fretta di uscire dalla mia bocca, come se condividere con Alveus e Iris il peso di quanto mi sono tenuta dentro per anni potesse renderlo più sopportabile, e forse è davvero così.

Nessuno dei due mi interrompe finché arrivo al momento in cui io e mia sorella ci siamo ritrovate nel castello della bhanrigh. — Il resto lo sai già — concludo, e sollevo su di loro lo sguardo. Per tutta la durata del racconto l'avevo tenuto fisso sul torrente turchese che scorre in mezzo al fango e sussulto per la sorpresa quando mi rendo conto che gli occhi di Alveus sono bagnati di lacrime, che scintillano come perle.

— Oh, Lym, perché non me lo hai detto prima? — mi chiede con voce dolce. Poi si avvicina a me, con cautela, forse temendo una mia fuga, e mi abbraccia stringendomi forte.

Sono allibita: non capisco perché non sia arrabbiato, ora che sa che è solo colpa della mia stupidità se lui si trova qui all'inferno. Non può avermi già perdonata, impossibile, nemmeno Iris è stata capace di tanto.

Mi crogiolo un attimo nel suo abbraccio, che fino ad ora non mi ero mai permessa di sentire veramente a causa della corazza che mi ero costruita attorno; è caldo e rassicurante, tanto che per un attimo mi pare di essere tornata a casa. Poi però mi faccio coraggio e glielo chiedo: — Non sei arrabbiato?

— Arrabbiato? E perché? — mi domanda lui, sorpreso, facendo emergere l'ingenuità che da piccola scambiavo per stupidità.

— Per averti spedito qui, ovviamente — ribatto, staccandomi dal suo abbraccio per poterlo guardare in faccia.

— Ah, ma io sono qui proprio perché tu non mi hai spedito qui.

Resto un attimo interdetta, voltandomi verso Iris con sguardo interrogativo e ricevendo in cambio la stessa espressione confusa, poi domando: — Come, scusa?

— Il Principe alla fine mi ha rapito proprio perché tu non hai mandato nessuno all'inferno. Non sei abbastanza cattiva da aver desiderato realmente di sacrificare la vita di qualcuno.

Questa versione dei fatti non mi era mai passata per la testa e, a giudicare dall'espressione sorpresa dipinta sul suo viso, nemmeno Iris ci aveva pensato. Tuttavia non mi convince.

— Ma io ho stretto il patto — insisto, non so per quale motivo; dovrei essere contenta che Alveus non ce l'abbia con me e stare zitta, è masochista mettere alla prova la sua fiducia nella mia presunta bontà.

— Ma eri una bambina! — esclama, come se questo giustificasse tutto. Probabilmente per lui è davvero così, ma non per me.

— Però, Lym — interviene Iris — se tu avessi parlato a qualcuno dei tuoi problemi, alla mamma magari, avremmo potuto aiutarti e non saresti arrivata a questo punto...

— Iris, non serve buttare altro sale sulle ferite — la interrompe Alveus, guardandomi con aria dolce. Lei però lo ignora e finisce il discorso: — Io avrei voluto aiutarti. Perché non me lo hai permesso?

Non c'è risposta a questa domanda, o forse in realtà ce ne sono troppe; quindi resto zitta e lascio che sia il silenzio a parlare per me. Gordost mi si mette più vicino e poggia il suo grande muso sul mio grembo, fissandomi con occhi tristi. Gli accarezzo distrattamente la testa in mezzo alle lunghe orecchie pelose e poi riporto l'attenzione delle altre due ninfe al presente.

— E quindi ora che facciamo? Come lo troviamo Rohkeus?

Al sentire il nome del mezzelfo, il lupo raddrizza il collo, pronto a scattare. Iris invece sospira, sconsolata: forse aveva sperato che nel frattempo avessi cambiato idea e non fossi più decisa a trovarlo, anche se il mio racconto non dava adito a dubbi. Ovviamente ho taciuto alcuni dettagli, come il bacio ubriaco il cui pensiero mi tormenta, ma ho calcato abbastanza sul fatto che mi ha aiutato in più di un'occasione e che in pratica gli devo la vita.

— Dev'essere una persona molto speciale — afferma infatti Iris, come concludendo i miei pensieri. — Non è da te fare tutto questo per qualcun altro.

— Ma lei ha sempre aiutato gli altri — interviene Alveus. — In tutte queste primavere è sempre stata pronta a intervenire ogni volta che qualcuno aveva bisogno del suo aiuto, per via del suo potere di guarigione o per qualunque altra cosa.

Iris sorride al sentire la sua fervida difesa nei miei confronti, mentre i suoi occhi si tingono di un misto fra tenerezza e tristezza.

— Non essere sciocco — lo contraddico, con un tono più duro di quanto volessi. — Lo facevo per me, non per gli altri.

Subito mi sorprendo per le parole che mi sono uscite di bocca e mi chiedo se, ora che ho raccontato per una volta tutta la verità, sarò spinta a raccontarla sempre. Ne dubito, ma il solo pensiero mi fa rabbrividire.

Lui rimane a bocca aperta, sorpreso dalla mia risposta che sicuramente non si aspettava, ma io non gli lascio il tempo di ribattere nulla e mi rivolgo a mia sorella.

— E comunque sì, è una persona importante, lasciarlo qui è fuori discussione — concludo con un tono che non ammette repliche, infastidita dal fatto che lei stia nuovamente tentando di uscire dall'inferno alle spese di qualcun altro. Alle spese di Rohkeus.

Iris mi fissa con gli occhi stretti e l'aria sospettosa, come se mi stesse vivisezionando, ma decido di ignorarla e mi concentro sulle questioni pratiche.

— Il Principe ci ha concesso ventotto giorni per poter uscire dall'inferno. Se non sbaglio prima di venire imprigionata erano passati circa quattro giorni da quando Rohkeus aveva stretto il patto... — Lascio la frase in sospeso, sperando che mia sorella abbia un'idea più chiara dei giorni che sono venuti dopo e che io non sono più stata in grado di contare.

Lei annuisce, comprendendo le ragioni del mio silenzio, e completa il conto. — In prigione sei stata al massimo due giorni, e altrettanti ne abbiamo passati nel castello, contando anche il rogo finale.

— Quindi in totale sono passati sì e no otto giorni. Se i calcoli sono corretti ce ne restano ancora venti — concludo infine. — Di tempo ne abbiamo abbastanza, il problema è come fare per trovare Rohkeus.

Mi ritrovo a cercare l'anello-bussola con un gesto involontario, trovando invece il dito nudo e freddo, mentre mi sforzo di pensare a una soluzione.

— L'ultima volta che l'ho visto eravamo davanti al castello degli elfi, lo stesso luogo dove abbiamo poi ritrovato Gordost, quindi sono spinta a credere che si trovi ancora lì.

— Ma allora perché non ci ha raggiunti insieme al lupo? — mi domanda Iris. — Non ha senso, soprattutto se è così propenso ad aiutarti come hai raccontato, motivo per cui credo che non sia più lì. Anche perché hai detto che lui e Gordost sono inseparabili.

Non le rispondo subito, perché probabilmente ha ragione: se Rohkeus non è venuto a salvarmi è perché non era presente all'evento o, se invece c'era, non era libero di muoversi e agire a suo piacimento.

— Potrebbero averlo imprigionato — tenta Alveus, intromettendosi nel discorso.

— Non credo. Ricordo che la bhanrigh, prima di mandarci al rogo, non ci ha messe in prigione perché la reputa un luogo non più sicuro. Deduco quindi che ora le celle siano tutte vuote.

— E allora dov'è? — chiede mia sorella, dando voce alla domanda che mi aleggia nella testa da quando Gordost mi ha salvata, nella radura. Scuoto il capo sconsolata, con i capelli induriti dal fango che mi ondeggiano sulle spalle e davanti al viso, espandendo intorno a me un forte odore di bruciato. Alla fine rispondo in un sospiro: — Non ne ho idea.

— Alveus, non è che tu hai sentito qualcosa dalla bhanrigh, quando ancora eri nel castello? — interviene Iris, cercando di fare la domanda con il tono più neutro possibile, come se non stesse andando a toccare un argomento delicato e imbarazzante.

Lui nega, scuotendo vigorosamente la testa. — No, io non ero il suo... consigliere, ecco. Non mi ha mai rivelato le sue intenzioni o le sue mosse.

Certo che no, tu gli servivi solo per divertirsi a letto. Questo pensiero mi colpisce con violenza e cattiveria, ma cerco di levarmelo subito dalla testa. Con esso però mi si è affacciata nella mente anche un'altra domanda, che non c'entra molto con il nostro discorso, ma gliela pongo lo stesso perché si tratta di una cosa che mi preme sapere.

— Ma tu, quando hai fermato la bhanrigh dal tagliarmi la testa, avevi già in mente un piano?

Alle mie parole i tratti del suo viso si deformano, come se un dolore improvviso lo avesse colpito dall'interno, e abbassa lo sguardo prima di rispondermi. — No, in realtà non so perché l'ho fermata. L'ho fatto così, senza pensare... Non ti avevo davvero riconosciuta in quel momento, o almeno non consapevolmente. Perdonami.

— E allora cos'è che ti ha risvegliato?

— Non lo so, io... — mormora, con i capelli che gli coprono il viso, ma si ferma a metà frase, come colto da un pensiero improvviso. — Mi è venuta in mente una cosa che mi ha raccontato un altro favorito. Lui sosteneva che la bhanrigh ha ottenuto il potere di incantare le persone dal Principe. Un patto, insomma: lui le ha donato la magia ammaliatrice e in cambio la regina ha rinunciato alla vista.

— E quindi? — domando, cercando di capire.

— Quindi il demone potrebbe aver messo una scappatoia all'incantesimo, è questo che vuoi dire? — ragiona Iris ad alta voce.

— Sì. — Alveus solleva il capo e annuisce vigorosamente. — E un'altra voce che girava tra i favoriti era di non tradire la bhanrigh, per nessuna ragione. Solo che era inutile sottolinearlo perché i favoriti, noi, ecco... — Si impappina, imbarazzato. — Ecco, i favoriti non desiderano affatto tradire la bhanrigh, piuttosto si farebbero ammazzare. E come dire a un cerbiatto di non volare: mai gli passerebbe per la testa di farlo.

— Quindi forse il tradimento spezza l'incantesimo — concludo. — E io potrei averlo rotto quando ti ho baciato. E perché non ha funzionato subito?

Lui si stringe nelle spalle.

— Magari c'è solo bisogno di un po' di tempo affinchè diventi efficacie — ipotizza Iris.

— Può essere. In fondo è stato solo quando vi ho viste bruciare che mi sono svegliato completamente dal mio incanto.

— A proposito, non pensavo che il tuo potere fosse così forte — gli dico, mentre metabolizzo le sue rivelazioni. — Finora lo avevi usato solo per fare specchi, innaffiare i fiori o cose del genere, ma quello che hai fatto prima è stato grandioso.

Lui si guarda le mani, stupito e meravigliato. — A essere sincero neanche io credevo di poter fare niente di simile. Non avevo mai pensato che la mia magia fosse anche in grado di ferire e, al limite, uccidere.

A quell'ultima parola ritrae le mani, nascondendole dietro la schiena, come se tutto d'un tratto ne avesse paura. Penso a tutte le volte che quelle stesse mani mi hanno accarezzata e a come, con un semplice gesto, avrebbe potuto porre fine alla mia vita. Rabbrividisco, ma si tratta solo di un attimo perché, nonostante tutto, in Alveus c'è qualcosa che mi impedisce di esserne spaventata.

— Ho una proposta — interviene Iris, all'improvviso. — Adesso ci puliamo un po' dal fango e da tutto lo schifo che abbiamo addosso, dopodiché mangiamo, ci riposiamo un attimo e poi, a mente lucida, decidiamo da che parte andare. Affare fatto?

Io non sono d'accordo, credo che fermarci sia un'inutile perdita di tempo e che sarebbe meglio metterci subito alla ricerca di Rohkeus, ma ricordo troppo bene cosa è successo l'ultima volta che non ho dato ascolto a un consiglio del genere, nella città dei mezzelfi, e così annuisco controvoglia, imitata subito da Alveus, che aspettava la mia risposta prima di dare la sua.

E così ci laviamo nel torrente, pulendo i capelli e i vestiti, e facendo la conta dei danni: per fortuna il rogo non ci ha lasciato particolari cicatrici, solo qualche arrossamento qua e là e un taglio di capelli casuale. Mangiamo ciò che Iris aveva rubato dalle cucine della bhanrigh e che aveva poi messo al sicuro nella sua borsa, che le guardie non si sono premurate di toglierci prima di legarci al palo, ma cerchiamo di fare economia e di lasciare quante più cose possibili per i prossimi giorni poiché non abbiamo idea di quando troveremo di nuovo qualcosa da mettere sotto i denti. Alla fine ci sdraiamo alla base di un albero, sotto il quale il terreno è asciutto, e cerchiamo di prendere sonno.

Appoggio la testa sul pelo morbido e caldo di Gordost, con Alveus premuto contro la mia schiena. Non credevo davvero che sarei riuscita ad addormentarmi, ma subito le palpebre mi diventano pesanti e, cullata dal rumore dell'acqua, scivolo nel mondo dei sogni.

Mi risveglio di colpo, dopo non so quanto tempo, con il sapore delle labbra di Rohkeus sulle mie e il braccio di Alveus che mi stringe la vita. Mi porto le mani alla bocca, cercando di pulirle con il palmo, mentre le ultime immagini del sogno mi scivolano dietro le palpebre che ho richiuso e che ora tengo serrate. Rivedo il mezzelfo che mi fissa con i suoi occhi seri e stranamente dolci, come in realtà non sono mai stati, e che mi bacia prima che io prenda fuoco.

Cerco di calmare il respiro affannato e mi tolgo di dosso il braccio di Alveus, cercando di non svegliarlo. Mi imbarazza averlo così vicino e così innamorato, mentre io ho appena sognato di baciare un altro. Lo so che era solo una sciocca fantasia onirica, che è il pensiero di quando l'ho baciato io che mi tormenta, ma non posso fare a meno di sentirmi sporca dentro.

Spalanco gli occhi, ritrovandomi a scrutare l'immenso cielo azzurro intenso che ci sovrasta, mentre lo sciabordare dell'acqua mi aiuta a ritrovare la calma e a rilassarmi. Ci metto poco a rendermi conto che qualcosa non va. Mi metto a sedere con uno scatto e mi guardo intorno, in allerta; il fiume, che prima scorreva alla nostra sinistra, ora fluisce placido a destra e anche gli alberi scheletrici che ci circondano hanno cambiato posizione.

Quando non guardi, l'inferno cambia e si sposta.

Me ne ero completamente dimenticata e mi sento stupida per averlo fatto. Avrei dovuto pensarci e insistere per partire subito, fintanto che i nostri punti di riferimento per tornare indietro erano ancora validi, perché ora non ho la più pallida idea di come fare per raggiungere il castello degli elfi drow e trovare Rohkeus.

E se Iris lo sapeva e ha fatto apposta a farci dormire per avere una scusa per lasciare l'inferno senza il mezzelfo? Questa domanda mi attraversa la mente, ma subito mi pento per averlo anche solo pensato: ovviamente non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Da quando credo che lei abbia una mente così perversa ed egoista? Questa è più una cosa che avrei potuto fare io, a essere onesta con me stessa.

— Santissimi fiumi! — esclamo, balzando in piedi e svegliando tutti quanti. Alveus mormora qualcosa, ma poi si gira dall'altra parte, mentre Gordost e Iris si fanno subito vigili e attenti.

— Lym, che succede? — mi domanda infatti mia sorella, preoccupata.

— Guardati intorno!

Lei si strofina gli occhi, per pulirli dalla patina lasciata dal sonno, e comincia a scrutare attentamente l'ambiente circostante. All'inizio non nota niente e ha già aperto la bocca per domandarmi cosa dovrebbe guardare quando improvvisamente il viso le si illumina di comprensione, mentre dalle sue labbra esce solo un: — Ah.

Gordost balza subito sulle quattro zampe, annusando il terreno in cerca delle tracce del nostro passaggio, ma è evidente che non riesce a trovare nulla.

— E adesso? — chiede Iris, mordendosi le labbra e facendosi pensierosa.

Già, e adesso? Come possiamo trovare Rohkeus nell'immensità mutevole dell'inferno senza avere la più pallida idea di che direzione prendere, ora che anche tornare indietro da dove siamo venuti è impossibile?

Gordost intanto è ormai arrivato sulla sponda del fiume, quando d'un tratto alza la testa, le orecchie ben tese a captare qualcosa. Alveus sbadiglia e mi chiama con la voce impastata dal sonno, ma io lo zittisco subito con uno "sh" che non ammette repliche e lui si fa muto.

Restiamo tutti e tre in tensione a fissare il lupo, che si mette in posizione difensiva e mostra le zanne, ringhiando piano rivolto verso un punto a valle del fiume, che però da dove sono non riesco a scorgere. Cerco con la mano il coltello che mi ero legata intorno alla coscia, ma mi rendo subito conto con un moto di fastidio che è rimasto sul pavimento della stanza della bhanrigh.

Mi chiedo cosa si paleserà ora davanti ai nostri occhi: spero che sia meno pericoloso di quanto faccia intendere Gordost, perché altrimenti, ora che Rohkeus non è con noi a difenderci, siamo perduti.

Sento un rumore di passi nell'acqua prima ancora di vedere chi li produce, anche se il suono è in parte sovrastato dal ringhio di Gordost, che ora si è alzato di volume, mentre le orecchie dell'animale si sono appiattite sul capo.

Solo a questo punto lo vedo: avanza nel mezzo del torrente, che gli bagna le gambe fino ai polpacci, e non sembra per nulla intimorito dal grande lupo nero che lo sta puntando con odio. Al contrario, rivolge all'animale un sorrisino di scherno non appena lo riconosce.

La luce intensa proveniente dal cielo lo illumina come se ci fosse una torcia puntata su di lui, rendendo ancora più brillante la tinta turchese della sua casacca, dello stesso colore degli occhi penetranti. Visto così, in quella profusione di azzurri e con i boccoli biondi che gli accarezzano il viso sottile, sembra quasi una divinità delle acque scesa in terra.

— Per tutti i fiumi! Callàis? Che ci fai qui? — gli domando, sconvolta. Lui ride dell'espressione ridicola che deve avere assunto il mio volto.

— Finalmente, Lym! Ce ne ho messo di tempo a trovarti — mi dice con finta enfasi, senza smettere di sorridere. — Sai, non è stato per niente carino da parte tua lasciarmi lì così e sparire, insieme al tuo scontroso amante e al suo altrettanto scontroso cane.

— Amante? — è tutto quello che riesce a ribattere Alveus, che continua a far passare lo sguardo dall'uno all'altro, non sapendo cosa pensare.

— Sì, un tipo basso, col naso storto, e massiccio come un armadio, non te ne ha parlato? — domanda lui malizioso, con finta ingenuità.

Alveus boccheggia, probabilmente cercando di dare un senso alle parole dell'altro ragazzo, mentre Iris si mette al mio fianco, guardando Callàis come se d'improvviso gli fossero venuti i capelli verdi.

— Callàis? — domanda incredula.

— L'unico e inimitabile. Dimmi un po', hai forse donato la tua vista al Principe? — le risponde, godendosi la propria grandiosa entrata in scena e ignorando del tutto Gordost che gli gira intorno con aperta ostilità, in dubbio se saltargli al collo subito o aspettare ancora un po'.

— E che ci fai qui? Come hai fatto a trovarci? E perché?

— Si accettano scommesse. Chi indovina vince un bacio.

Ma nessuno dice più niente: siamo tutti in attesa di una spiegazione, tuttavia Callàis rimane in silenzio, giocando con noi come fa il gatto con il topo un attimo prima di mangiarlo. Gli leggo negli occhi turchesi il divertimento sadico di lasciarci in sospeso, mentre la consapevolezza di avere la situazione in pugno lo riempie di soddisfazione, come se almeno per una volta nella vita fosse davvero lui l'eroe della vicenda.


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