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XXXII. Creazione di Adamo

Note d'autrice: queste non sono le ultime note. Ci saranno altri due capitoli appositi, per i ringraziamenti e per delle riflessioni personali (più altri eventuali capitoli con colonna sonora, fanart, booktrailer ecc.), quindi vi consiglio di non eliminare ancora la storia dalla biblioteca ♥

Voglio solo dire che mi sembra incredibile aver finito Folie. Adesso mi sento un po' vuota. Una sensazione curiosa, che ho già provato una volta, pensando stupidamente che alla seconda storia conclusa si sarebbe attenuata... e invece.
Grazie a tutti per avermi seguita fin qui. 
Buona lettura per l'ultima volta ♥





Folie à Deux

XXXII.

Creazione di Adamo



Il monolocale di Aberdeen non le è mai sembrato così opprimente. Persino la stanza d'albergo a Londra era più spaziosa.

Quelle quattro pareti spoglie e umide, adesso, le fanno desiderare di essere ovunque meno che lì.

Lascia scivolare pigramente un braccio oltre il materasso, guardando il soffitto, e pensa: mi ha intrappolata per sempre qui dentro.

Eleanor lancia subito un'occhiata ad Alistair, seduto sul divanetto con una gamba accavallata all'altra. Si infila un cuscino sotto la schiena e continua a leggere il quotidiano che ha comprato quella mattina. Non si accorge dello sguardo di lei che lo sta quasi divorando. O fa finta di non accorgersene.

Sono tornati in Scozia da un mese e si parlano solo lo stretto necessario. Eleanor non si è mai sentita così satura di parole. Dopotutto, non c'è bisogno del linguaggio quando si può comunicare con gli occhi, con i respiri, con un tocco.

Alistair però sembra ignorare ogni suo gesto. Generalmente avrebbe pensato che questo suo comportamento potesse significare solo una cosa: rabbia. Atroce, silenziosa rabbia. Muscoli tesi, vene pulsanti, fronte corrugata. Il fatto è che Eleanor ha imparato a decifrarlo e ora non riconosce in lui alcun segno d'ira. Del resto, non avrebbe motivi per essere furioso con lei, oltre a quelli legati alla vendetta. Lei non l'ha costretto a uccidere nessuno. L'ha soltanto convinto. Al massimo, dovrebbe essere arrabbiato con se stesso.

E forse lo è.

Ma ciò che il suo corpo manifesta da giorni è stanchezza. Non fisica, ma interiore, eppure perfettamente dipinta sui centimetri quadrati della sua ruvida pelle. Il modo in cui tiene il giornale, ad esempio. Le dita che non stringono come hanno sempre stretto ogni cosa. Lo sguardo che cade sulla carta stampata come se non stesse nemmeno leggendo, ma solo guardando quella carta in quanto oggetto. E accede spesso, ormai, che guardi anche lei così, come se si fosse abituato alla sua presenza e ora la considerasse una parte dello scarso mobilio con cui interagire sporadicamente.

Al loro ritorno, Eleanor ha provato più volte a ridestarlo, in tutti i modi che le venivano in mente. Hanno fatto sesso, ancora, ma ogni volta, ogni volta, le sembrava sempre meno intenso. Una sera, Eleanor si è girata dall'altra parte del materasso e ha pianto come non faceva da tempo, a singhiozzi sonori. Lui non ha detto o fatto niente. Si è girato a sua volta, nel buio, e ha finto di addormentarsi.

Eleanor si è presto resa conto che non vuole vivere quella vita per sempre.

Rivuole loro, rivuole le Highlands e la vendetta spietata. Rivuole quel pranzo a villa Gayre, con Alistair che le punta la pistola alla testa, per rivivere tutto daccapo.

In un modo molto distorto, Eleanor potrebbe essere innamorata di lui. Ma in realtà lo odia più che mai.

Vorrebbe davvero liberarsene, anche se ha bisogno di lui quanto l'aria che respira. È povera, ricercata dalla polizia, mentalmente instabile, non autonoma. Lui, in un modo molto distorto, si prende ancora cura di lei. Ed Eleanor in fondo gliene è grata.

La sua mente è in aperta contraddizione: sa che potrebbe andarle molto peggio di così, ma non ce la fa a continuare a esistere in quella monotonia fredda in cui si sono volontariamente immersi. La quotidianità la distrugge. Degli esseri superiori come loro meritano qualcosa di più. Non possono regredire. Necessitano di nuovi dolori da esplorare, per poi vincerli e cercarne altri, sempre di più, sempre di più.



Ora lei è seduta sul bordo del letto.

« Alistair? »

« Mh? » Non alza nemmeno gli occhi dal giornale.

Fuori, le nuvole quasi violette e il sole che si nasconde dietro di esse creano una luce immobile ed eterna. Non sembra nemmeno primavera. Un tempo senza tempo, uno spazio, il loro, senza storia.

« Vuoi ancora uccidermi? »

Lui si prende dei lunghi secondi flemmatici per rispondere. Ripiega il quotidiano accuratamente, si strofina gli occhi, si alza per bere un bicchiere d'acqua. Dopo averlo riempito, si appoggia al ripiano dell'angolo cottura e le rivolge finalmente lo sguardo. Beve un sorso. « Certo che voglio ancora ucciderti. »

« E allora fallo. Non importa che è il tuo turno, in teoria. Da quando abbiamo ucciso Ivan sembra che non ti interessi più, la nostra vendetta. Perciò te lo dico, uccidimi. Sei libero anche di scegliere il modo. »

Alistair esprime tutto ciò che deve esprimere in un sorriso stanco sopra l'orlo del bicchiere di plastica. Stanco. Eleanor sente la propria cassa toracica comprimersi.

« Sai, Eleanor? Credo che prima o poi moriremo comunque. Tu sei convinta che questo gioco possa durare in eterno, ma non è così. Stamattina mi sono guardato allo specchio e ho scoperto di avere qualche pelo bianco tra la barba e i capelli. Sto invecchiando. » Fa una pausa. « Stiamo invecchiando. Prima o poi il nostro corpo non reggerà più e ci ucciderà lui. Un cancro, magari. »

Eleanor si irrigidisce. « Non puoi saperlo. Magari, invece... »

« No » ribatte lui, gelido. « Non sei Dorian Gray, non hai venduto la tua anima al diavolo. È una constatazione. Invecchi. » Quel verbo suona strano tra i suoi denti. Sa che lui l'ha sempre vista come una bambina.

Non ha la capacità di reagire.

Alistair le si avvicina e le accosta il bicchiere alla bocca. Poi, le afferra la nuca con la mano libera e la costringe a bere fino all'ultimo sorso.



Ora sta osservando il provinciale paesaggio che le si presenta allo sguardo dalla finestra. Le imposte sono aperte e le permettono di affacciarsi su quella semplice e anonima scacchiera di isolati, tra giardini vuoti e tetti spioventi. Proprio nel vialetto dell'abitazione adiacente al loro piccolo, squadrato palazzo, in Craigton road, c'è un bambino di otto o nove anni che gioca con il proprio cane, un golden retriever che corre a prendere la pallina da tennis ogni volta che il padroncino gliela lancia.

Eleanor si ricorda di Hamlet e del suo pelo caldo. Si ricorda di quanto facesse fatica a tenerlo per il guinzaglio quando scattava verso qualsiasi distrazione, per strada, le poche volte che usciva di casa con lui. In genere era libero di giocare nel giardino di villa Gayre, ma suo padre, la persona che più si prendeva cura di lui, riteneva di doverlo portar fuori più spesso.

Ripensa anche a lui con uno strano moto di nostalgia. Non lo rivedrà mai più. Aveva già accolto questa consapevolezza, mesi addietro, ma non l'aveva mai metabolizzata. Lui, nonostante il lavoro, si preoccupava sempre di tutti. Era cordiale con i dipendenti dell'azienda, accondiscendente ai capricci di sua madre, benevolo con i domestici. Sua figlia, invece, l'adorava.

Cosa penserebbe di me se scoprisse che sono un'assassina?

Scaccia presto quella domanda dalla mente. Sa già cosa penserebbe: quello che penserebbero tutti i suoi conoscenti e tutti i suoi sconosciuti. Repulsione. Orrore. Se avesse modo di tornare nella società, sarebbe ancora più sola di adesso.

L'unico che conti davvero qualcosa è Alistair, nonostante sembri non voler più collaborare con lei.

Alistair le si affianca presto alla finestra. Il vento quel pomeriggio è clemente. « Sull'Herald ho letto che la polizia ha una pista per l'omicidio di Ivan Radivilov. Un anonimo ha fornito la testimonianza di averlo visto l'ultima volta alla Royal Opera House con una ragazza dal lungo abito nero. Credo che presto la rintracceranno. Com'è che si chiamava, Edith Ferguson? »

Eleanor rabbrividisce e gli rivolge un'occhiata piccata. « Smettila. » È da giorni che la tiene informata sulle indagini della polizia e lei gli ha chiesto più volte di evitarlo, senza risultati. La cattiveria di Alistair attualmente consiste in un malsano piacere provocato dal vederla in preda all'ansia.

« Te l'ho detto: non ci troveranno. Sono stato attento. Anche se ricostruissero il nostro identikit con la receptionist dell'albergo... persino se collegassero la morte di Ivan a quella di McNeal nelle Highlands brancolerebbero nel buio. Dobbiamo solo restare qui, nascosti. »

Eleanor sospira, affranta. « Sono stanca di nascondermi. »

« Io mi nascondo da molto più tempo di te. Ti ci abituerai. »

Sanno entrambi che è una bugia. Nessuno dei due si è mai sentito così, vuoto e misero.

Ripiombano in un silenzio teso, finché Eleanor non sente di dover dire tutto quello che ha elaborato in quel mese di mutismi: « Mi odi » biascica prima.

« Come? »

« Mi odi » ripete lei. E trema, mentre parla. « Lo vedo in ogni tuo singolo gesto. Non è solo la voglia di uccidermi... no, è qualcosa di più forte. Qualcosa di più... spaventoso. »

« Ti sbagli. Quello che provo nei tuoi confronti non ha parole per essere espresso. Ma ciò che tu stai vedendo è l'odio che provo verso me stesso. » È serio, lapidario come sempre, ma profondamente, visibilmente scosso. Ha le braccia incrociate e gli occhi assenti, puntati sui tetti grigi. Forse è il momento giusto per quel discorso. « Tu sei il cibo di un masochista, Eleanor, lo capisci? E per inciso, il masochista sono io. Un morto vivente che vaga alla ricerca di un senso. »

« Non c'è bisogno di cercare un senso... Tu... tu pensi troppo. »

« Non è questo il punto. Tu mi stai usando, mi hai sempre usato, e io ancora non riesco a incolparti completamente. Perché incolpo me. Ed è giusto così. Non avrei dovuto fare tutto ciò che ho fatto per te. »

« Tutto ciò che hai fatto per me? Mi hai minacciata, rapita, picchiata, uccisa! »

« Gran parte di tutto questo l'hai voluto tu. Non puoi negarlo » replica lui e sebbene le parole siano arrabbiate, il suo tono non è mutato rispetto a poco prima. « E comunque mi riferivo all'aver coperto due omicidi per te. All'aver rinunciato a un altro tipo di vita, per te. Per te, Eleanor, per te sono diventato ciò che sono. »

« Non puoi rinfacciarmelo così... L'autore delle tue azioni sei tu. »

« Non ti sto incolpando, infatti. Tu sei una dimensione distante da me. Sto dicendo che io non avrei dovuto. Che la colpa è mia. Cosa vuoi di più? »

Eleanor si sente improvvisamente indebolita da quell'autocommiserazione spietata. Dovrebbe dirgli qualcosa di consolatorio, ma in fondo non ci riesce, non se non è in grado di provare rimorso e non se gli dà, in parte, ragione. « Ti ho già detto una volta cosa pensavo. Che siamo uguali » prova a dirgli, stringendo le mani sulle sue braccia incrociate. « Siamo entrambi innamorati del dolore. Ecco. Non poteva andare diversamente. Hai fatto quello che ti hanno dettato i tuoi istinti repressi. Non puoi incolparti così per aver seguito per una volta l'istinto e non la ragione. »

« Non posso incolparmi? » chiede lui retoricamente. « Hai idea di ciò che stai dicendo? Hai idea di ciò che abbiamo fatto? »

« Oh, Alistair, non crederti moralmente superiore, per favore. È stupido, in questo momento. »

Alistair stira le labbra e scioglie la stretta delle proprie braccia. Le afferra i polsi, ma non troppo forte. Non stringe, come lei aveva previsto. Il dolore che hanno sempre provato toccandosi adesso è come flebile e lontano, un ricordo più che è una realtà. Forse è sempre stata un'allucinazione tattile.

« Ma sono stanco! » Ora alza la voce, per disperazione. Se fosse meno rigido probabilmente piangerebbe. « Questo non sono io. Questa non è vita. »

« Lo so » risponde lei, con sorpresa di Alistair, in un respiro tremante quanto le sue mani. « Sono stanca anch'io. Sono ancora così giovane, ma mi sembra di aver già vissuto per duemila anni. E se penso al futuro... » Sospende volutamente la frase. Il futuro? Un'accozzaglia disordinata di domande senza risposta. Stai invecchiando, Eleanor. Un giorno morirai. Un cancro, magari. Morirai. Morirai anche se non vuoi morire così. Morirai anche se vuoi essere immortale. « La verità è che siamo soli e terrorizzati. E ci sono solo poche cose che possiamo fare. »

Ha finalmente portato il discorso dove desiderava.

Aspetta con trepidazione le conclusioni di Alistair. Forse lo convincerà, ancora una volta.

Lui le accarezza il dorso della mano coi pollici e chiude gli occhi. « Suppongo che una di queste sia suicidarci. »

« Sì » concorda Eleanor. « Per vedere cosa succede. Per evolvere. »

« Non possiamo essere sicuri di cosa ci accadrà. »

« Se ci risvegliassimo di nuovo, avremmo delle risposte. E se morissimo davvero... »

« Sarebbe insieme » conclude lui.

« E per sempre, questa volta. »


*


Il giorno dopo Eleanor percepisce qualcosa di elettrico nell'aria. Non è davvero spaventata, ha solo il desiderio di sperimentare.

Quella notte, mentre entrambi non dormivano nel letto dandosi le spalle, ha pensato di lasciar suicidare solo Alistair. Se quella fosse una morte definitiva, sarebbe il miglior modo per vincere. Ingannarlo.

In realtà non può permetterselo. Alistair è stato furbo e ha previsto questa sua possibile mossa. « Dobbiamo farlo contemporaneamente » le ha detto all'alba. « E devo essere sicuro che tu non abbia voglia di farmi brutti scherzi. Quale metodo ti viene in mente? »

Alla fine hanno deciso di tagliarsi le vene. È probabilmente l'unico metodo che hanno per assicurarsi la morte reciproca: se uno dei due si tirasse indietro all'ultimo secondo, l'altro sarebbe in grado di fermarsi in tempo per non morire.

Alistair è uscito per comprare due lamette per temperamatite. Piccole, rettangolari, affilate. Presto tornerà.

Eleanor gira per l'appartamento a piedi nudi, osservando i più futili dettagli a cui non aveva mai prestato attenzione: l'estremità scheggiata dell'ampio armadio alla destra del letto, una macchia d'origine ignota sulle tende in controluce, un difetto di fabbrica del tavolino pieghevole. Si è abbandonata al suo imminente, sconosciuto destino.

Come qualunque persona normale.

Alistair ci mette più tempo del previsto. Torna poco più tardi delle dieci, scuro in volto, con le occhiaie in evidenza. Non solo non ha dormito quella notte, ma anche le notti precedenti. Eleanor è felice di non riuscire a provare senso di colpa, è felice di non essere ridotta allo stesso modo.

« Adesso? » le domanda lui.

« Quando, altrimenti? »

Aprono il pacchetto di lamette e si siedono a gambe incrociate ai piedi del letto, uno di fronte all'altra. Non sanno bene come procedere da quel momento. Eleanor prova a tirarsi su le maniche della camicia da notte, anche se le ricadono ripetutamente sugli avambracci.

« Spogliamoci » suggerisce allora.

E così fanno. Eleanor resta in biancheria - un reggiseno bianco completamente ricamato a cui lei ha sempre tenuto e degli slip celesti - mentre Alistair si toglie soltanto la camicia e resta a petto nudo.

Si risiedono.

Si guardano negli occhi.

« Alistair... »

In verità non c'è nient'altro da dire.

Niente che possa colorare moralmente quella situazione, a differenza di ciò che pensa lui.

E ciò che pensa lui in quel momento è l'enigma più complesso che lei potrà mai concepire. Indecifrabile, come la prima volta che l'ha visto. Quelle iridi brutali. Quel viso contratto in un dolore ancestrale. Vede il labbro inferiore tremargli.

« Sei pronto? » Lei, paradossalmente, è tranquilla. Curiosa, soprattutto. Il suo temperamento attenua appena il nervosismo di Alistair. Vuole infondergli la stessa calma.

Lui prende tempo. Resta in silenzio, regolarizza il respiro, tasta la moquette sotto le sue mani.

A cosa stai pensando?

Guardami,

guardami.

Il suo sguardo è finalmente vivido come quando la guardava e la desiderava nelle Highlands: è lo stesso sguardo di ogni volta che l'ha baciata, leccata, accarezzata, venerata.

Seguimi un'ultima volta.

Quello sguardo affonda in lei. Nei recessi di lei. Negli orrori di lei. Si aggrappa, graffiante, a ogni sua convinzione e consolida la loro connessione infinita. È quella la vera immoralità: il loro legame figlio del caso, che esisterà per sempre, sia quel che sia.

Seguimi...

Allinea la lametta verticalmente sul proprio braccio sinistro, lungo le vene in attesa.

Una luce blu-rossa vortica per un secondo nel monolocale. Eleanor crede di esserselo immaginato. Un fascio di colore rapido come un flash, sulla superficie dell'armadio.

Viene investita da un intenso brivido che parte dalla base del collo e si trasforma in pelle d'oca.

Prova a ignorarlo.

Deve essere stato frutto della sua mente. Del suo inconscio che le dice: no, non vuoi davvero suicidarti.

Prova a convincersi, a tornare concentrata.

Eppure...

Eppure, sente dei rumori lontani provenienti dall'altro lato della palazzina, su Springfield road. Auto che frenano di colpo, passi rapidi di persone che corrono compatte. C'è movimento ai piani inferiori.

« ... che succede? » si sforza di domandare con voce strozzata. La reazione di Alistair la calmerà. La calmerà e potranno tornare alla loro morte perfetta. Lui sa sempre cosa fare. Lui ha sempre tutto sotto controllo.

La reazione di Alistair...

Alistair abbassa lo sguardo.

Un solo gesto. Quasi casuale, in qualsiasi altro contesto. Eleanor capisce che qualcosa si è incrinato.

Ormai lo conosce. Lo comprende.

Ma comprende cosa sta accadendo quando è troppo tardi.

La porta dell'appartamento si spalanca dopo poco con un rumore violento, di legno e ferro che sbatte contro il muro, di cardini che cedono e di intimità che viene distrutta. Eleanor sobbalza e si volta verso la fonte di quell'assalto.

Una squadra di quattro poliziotti irrompe nel loro mondo. « Mani sopra la testa! » grida uno di essi, seminascosto dal casco blu, tutti con le pistole puntate su di loro. Appena vedono che sono armati - armati - altri due poliziotti si precipitano ad afferrarli per le braccia, da dietro.

Le sembra di diventare sorda e all'inizio non sente nemmeno le mani che la toccano. È passata un'eternità da quando si è fatta toccare l'ultima volta da una persona diversa da Alistair.

Comincia a dimenarsi da quell'abbraccio di schiavitù prima ancora di accorgersene.

E presto, una rabbia che esplode da ogni suo singolo nervo. Quando si rende conto che Alistair non oppone alcuna resistenza, che, anzi, getta la lametta e si lascia ammanettare docilmente, la sua schiena si inarca verso di lui, in una danza mai destinata a compiersi.

« Li hai chiamati tu! » urla, con una voce acuta e vibrante. Lo capisce con perspicacia eppure con immenso ritardo.

Un'onda di odio e consapevolezza spazza via ogni altro sentimento.

Alistair.

Alistair l'ha tradita.

Alistair l'ha venduta alla polizia.

Alistair è solo l'ennesima persona che l'ha rovinata.

Si dimena con maggior forza, si dimena dalla presa del poliziotto, contro il suo giubbotto antiproiettile, si dimena con la propria arma ancora tra le dita, fino a non toccare con i piedi per terra. « Li hai chiamati tu! Sei un bastardo! SEI UN BASTARDO! »

E riesce incredibilmente a liberarsi, folle, con i muscoli doloranti, con lo shock e il panico che si amalgamano in un confuso liquido davanti ai propri occhi, offuscando i corpi in movimento intorno a lei.

Prova in uno scatto a fiondarsi su Alistair, brandendo la lametta in direzione della sua gola, così lo ammazzerà, lo ammazzerà e torneranno indietro e lei scapperà lontano, lontano da tutti, ma soprattutto lontano da lui, vile servo della società del rimorso, bastardo, traditore, bugiardo, bugiardo bugiardo bugiardo. Ma un dolore acuto e improvviso alla spalla la fa cadere a terra, tra i singhiozzi disperati e le urla isteriche dettate da quel feroce voltafaccia. Calore e dolore, da ferita d'arma da fuoco, già sperimentato altre volte - cosa ne sanno tutti? Cosa ne sanno? Lasciatemi! Lasciatemi andare!

Altre mani la afferrano e la trascinano, il proiettile conficcato nella spalla, la stanza che gira su se stessa e lei che continua a dimenarsi e scalciare, gridare e afferrare con le unghie. « Hai confessato tutto! Li hai chiamati tu! » in una cantilena straziata.

« Eleanor Gayre ed Andrew Peterson, siete in arresto » le giunge alle orecchie tra le proprie urla. Il suo cervello collega tutto nonostante il panico: è stato a una cabina telefonica, quella mattina, e ha confessato l'omicidio di Domnhall McNeal e di Ivan Radivilov. Ha dato il loro indirizzo, spacciandosi ancora una volta per Andrew. Come avrebbe spiegato, del resto, tutto ciò che riguarda i loro risvegli risultando credibile? Per fargli sfondare la porta, poi, deve aver detto una mezza verità, come sto per suicidarmi o sto per uccidere anche lei.

E avrebbe dovuto farlo. Ucciderla.

Sarebbe tornato tutto alla loro meravigliosa normalità.

Eleanor cerca di guardarlo, ma Alistair non la guarda più. Quello di prima è stato lo sguardo definitivo. L'ultimo.

Non è nemmeno riuscita a toccarlo. L'ha sfiorato, in quell'aria elettrica, l'ha quasi raggiunto. Un taglio alla giugulare e sarebbero tornati indietro. Un taglio e sarebbe stata ancora una volta padrona del tempo e dello spazio, superiore a chiunque. Una distanza brevissima, dalle proprie dita alla sua gola.

Un solo taglio.

Perché l'hai fatto?

Noi due... noi due... non doveva finire così... 

... Alistair...

Persino i suoi pensieri sono intervallati da singhiozzi. Le fa così male il corpo, ogni parte del corpo, che tutto ciò che riesce a vedere sono chiazze sfocate. Il mondo è collassato.

Li trascinano giù per le scale, lasciando scie scarlatte con il sangue di Eleanor, accompagnati dal suo pianto ininterrotto. Li portano in strada dove facce preoccupate s'insinuano per analizzare la scena, li caricano su due auto diverse senza ulteriori spiegazioni. Quella con Alistair parte immediatamente verso il centro, via, via, lontano anni luce da lei, quella con Eleanor fa un'inversione e si dirige nella direzione opposta, verso l'ospedale.

Sul marciapiede, il golden retriever dei vicini abbaia.

Accade tutto così velocemente.

Stordita, sorda, cieca a ogni cosa che non sia la voglia di uccidere ogni essere umano rimasto sulla terra.

Si ritrova, quasi per magia, a pancia in giù su una barella, tra infermieri e poliziotti, accerchiata da sconosciuti che non sono Alistair - che credono di conoscerla: assassina. Sei un assassina. Un giorno morirai. Sola, in una cella. Stai invecchiando. Morirai. Sociopatica senza cuore. Morirai.

Nessuno sa che non può morire.

Nessuno sa che lei è già morta, decine e decine di volte. Insieme a lui.

Lui che l'ha tradita, che non è riuscito a reggere tutta quella sconvolgente immensità, per lui, con lui e da lui, compagno di delizia e sofferenza, nemico, alleato, amante, padre, estraneo.

Qualcuno, un'altra faccia indistinguibile con una mascherina, le infila un'ago nel braccio per anestetizzarla.

Senza musica. Senza arte.

Eleanor si addormenta piano, cercando di stringere, nel vuoto, una mano che non c'è.

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