XXII. Danse macabre
Note d'autrice: ho qualcosa da dire su questo capitolo. Primo: il titolo viene dall'omonimo poema sinfonico di Camille Saint-Saëns.
Secondo: è lungo. Credo sia il più lungo finora. Mettetevi comodi e possibilmente leggete da soli. Le scene finali sono abbastanza forti e considerando il punto di vista di Eleanor... forse un po' disturbanti.
EDIT: ascoltate "Animal" di Chase Holfelder che è 100% questo capitolo.
Folie à Deux
XXII.
Danse macabre
Chiudono la porta d'ingresso con uno scatto e il ruggito combinato di vento e pioggia finalmente si attenua.
Il pavimento intorno ai loro piedi si riempie di goccioline che grondano dai loro vestiti. Alistair abbandona il suo cappotto sull'appendiabiti ed esorta anche Eleanor a farlo.
Lei però è troppo lenta e lui si muove fin troppo velocemente - alla fine è lui stesso a sfilarle il cappotto.
« Vai in salotto e togliti i vestiti » le dice, prima di scomparire su per le scale.
Eleanor rimane imbambolata nel piccolo atrio per qualche istante. Non riflette nemmeno su ciò che ha detto Alistair - togliti i vestiti, i vestiti bagnati - e comincia, così, a muoversi meccanicamente, senza smettere di battere i denti per il freddo. Entra in salotto e si leva le scarpe, le abbandona in un angolo, sfila il maglioncino, lo appoggia sul divano, si sbottona i pantaloni, li appoggia accanto al maglioncino. Resta in biancheria intima, nonostante anche il reggiseno sia diventato umido per la pioggia. Dei brividi violenti le scivolano lungo la schiena, i capelli fradici e gocciolanti sono gelidi sulle spalle.
Alistair riappare quasi subito con due coperte di lana. È senza maglia, senza scarpe e con dei pantaloni di tuta asciutti. È la prima volta che lo vede tremare. Trema quasi quanto lei.
Si sofferma per qualche secondo di troppo sul profilo massiccio del suo petto nudo e non può fare a meno di notare che anche lui si sofferma sulla sua figura evanescente e seminuda, prima di passarle una delle coperte, quella che ha già visto qualche volta nel salotto.
Eleanor se la avvolge intorno al corpo come se fosse la propria crisalide.
Alistair, prima di fare altrettanto, accende il fuoco nel camino.
Rimangono in silenzio davanti alle braci, nel tentativo di riscaldarsi, per almeno un paio d'ore.
Alistair beve due o tre bicchierini di whiskey. Lo offre anche a lei, lei che però rifiuta, perché non ha mai toccato alcool in vita sua. Ma Alistair non fa domande, né su questo né su ciò che ha detto allo strapiombo.
Eleanor gliene è grata.
Non è pronta a parlarne.
Si sente morire. Si sente morire, da viva, come non mai.
Non immaginava che ricordare eventi cancellati della sua vita sarebbe stato peggio del ricordare le sue morti.
*
La stoffa bianca e pulita della camicia da notte le accarezza la pelle che tanto ha tremato quella mattina. Le sta un po' larga, le arriva al ginocchio senza realmente fasciare il suo corpo, le maniche spesso scivolano verso il basso lasciandole le spalle scoperte. È la stessa che indossava la prima volta che è morta.
Quando girava per villa Gayre con quella camicia da notte, si sentiva un po' come la moglie pazza e rinchiusa in soffitta di Mr Rochester in Jane Eyre. Si sentiva uscita dall'ottocento. Per questo le era sempre piaciuta. Eleanor amava distinguersi da tutti gli altri noiosi esseri umani, sotto ogni aspetto della quotidianità, sebbene fossero in pochi a sapere della sua esistenza. Aveva un disperato bisogno di essere speciale.
Ora questa necessità non esiste più.
Non esiste più perché lei è speciale, diversa, importante, e non è rimasto nessun altro a cui dimostrarlo eccetto Alistair.
In realtà non ha bisogno di dimostrarlo nemmeno a lui. A tratti sembra che Alistair la veneri, nonostante tutto.
Nonostante tutto.
Eleanor è in piedi nel corridoio e osserva il rettangolo buio della porta aperta della sua stanza. Lo intravede, sotto il vano della finestra, seduto e con lo sguardo rivolto verso il vetro - verso la luna? Verso le stelle opache?
È buio, è dannatamente buio, ma Eleanor decide di entrare lo stesso, trascinandosi con i piedi nudi accanto a lui.
Alistair non la guarda subito. Ci mette qualche secondo per metabolizzare la sua presenza.
Lei non dice nulla e si siede all'altra estremità della poltrona rettangolare e sottile inserita sotto la finestra a golfo, appoggiando la schiena al muro come ha fatto lui e attirando le gambe al petto.
Lui finalmente alza gli occhi su di lei. Il suo volto è illuminato per metà dalla luce blanda della luna, mentre l'altro lato è una tavolozza di ombre che si accavallano sugli zigomi, sul profilo del naso, sotto il mento, tra le sopracciglia e le palpebre. Eleanor riesce ancora a distinguere, però, il colore delle sue iridi, che la mettono inevitabilmente in soggezione.
Come può pensare quando lui la guarda così? Come può non volersi avventare su di lui per graffiargli il viso e staccargli la pelle di dosso?
Ci sono momenti in cui la vendetta preme per esplodere in modo più violento, momenti in cui Eleanor vorrebbe non sapersi controllare.
« Non vai a dormire? » le chiede dopo qualche secondo.
Eleanor inclina un po' la testa e appoggia una tempia contro il vetro. « Tra poco. E tu? »
« Quando avrò abbastanza sonno e quando avrò smesso di pensare a quello che hai detto stamattina. »
« Cosa? »
« Che hai ricordato qualcosa di orribile. »
Eleanor si stringe di più a se stessa, senza replicare.
« Non vuoi dirmi cos'è? » le domanda Alistair piuttosto schiettamente.
« È così importante per te saperlo? »
Le labbra di lui si piegano in un lieve sorriso amaro. « Sei rimasta solo tu di importante nella mia vita, che lo voglia o no. »
Quella risposta le fa venire la pelle d'oca. È, paradossalmente, la cosa più bella che qualcuno le abbia mai detto. Il fatto che provenga da Alistair le fa quasi paura.
Restano in silenzio per una decina di minuti, senza muoversi da lì, continuando ad osservare il cielo notturno finalmente sereno e limpido. Le ultime gocce di pioggia si lasciano scivolare sulla superficie della finestra, a volte scontrandosi, a volte proseguendo solitarie.
Poi Eleanor decide di confessarglielo.
« Ho delle amnesie, su determinati eventi della mia vita. »
Alistair sembra stupito del fatto che sia riuscita a riprendere il discorso. « In che senso? »
« Quando ho subìto... dei traumi... ho dimenticato i dettagli più importanti delle situazioni che li hanno scatenati. Non ricordo com'era fatto l'uomo che mi ha stuprata. Non ricordo degli episodi all'orfanotrofio immediatamente precedenti alla mia adozione. Certo, ero piccola... ma avevo comunque nove anni. Dovrei ricordarmelo. Dovrei... dovrei sapere com'è fatta la persona che sarebbe dovuta morire al tuo posto. »
« Come fai a non dubitare che quella persona sia proprio io, se non ti ricordi niente? »
Quella domanda le causa una brevissima sensazione di orrore. « Non lo so... io... io credo che... che fosse più magro. Non eri tu. Lo so e basta. »
« Beh, grazie per la fiducia. Anche se non serve a molto. »
Eleanor fa una breve pausa. « Alistair? »
« Sì? »
« Stamattina ho ricordato un dettaglio importante, allo strapiombo. Se riuscissi a ricordare tutto... »
Alistair si sporge con il busto verso di lei, improvvisamente con uno sguardo più attento e consapevole. Ha capito. Ha già capito cosa sta per domandargli.
« ... se davvero ci riuscissi, mi accompagneresti ad ucciderlo? »
Lui si immobilizza e serra la mascella.
Sapeva che l'avrebbe messo in crisi, con quella richiesta. Uccidere l'uomo che meritava davvero di morire o restare nel giusto, senza coinvolgere nessun altro, oltre loro due?
« Eleanor... » È a corto di parole e non riesce a pensare, il suo cervello si è incrinato. Lei lo sa, lo sa perché lo capisce - ha imparato a capirlo. Prima del loro incontro, Alistair non avrebbe mai acconsentito ad una cosa del genere. Prima del loro incontro Alistair era una brava persona. Adesso lei l'ha trasformato.
Alistair vuole andare ad uccidere quella persona. Lo farebbe con le sue stesse mani. Ma qualcosa lo lega ancora alla sua morale nebbiosa e inconcludente.
Dovrebbe lasciarsi andare.
Con lei.
« Di' solo sì o no » lo esorta Eleanor.
« Potremmo denunciarlo alla polizia, anche anonimamente. »
« No. »
« Eleanor, cosa faremmo se anche lui avesse la nostra stessa capacità? Non ti basta tutto quello che dobbiamo già passare? »
« Non mi interessa. »
« Non ti interessa? »
« Quante possibilità ci sono che possa risvegliarsi anche lui? Tu dovrai solo aiutarmi a cercarlo e accompagnarmi. Lo farò da sola. Al massimo quella dannata per sempre sarò io. »
Alistair evidentemente non riesce a credere a quello che sta dicendo - no, no, ci crede eccome, sa che lei ne è capace.
Non ci sono eventualità che la spaventano. Vuole farsi giustizia da sola, perché ha un modo tutto suo di vedere il mondo. Perché le piace il sangue. Perché ci sono persone che meritano di vivere e persone che meritano di morire. E, come ha scoperto nell'ultimo anno della sua vita, persone quasi divine che possono vivere e morire tutte le volte che vogliono.
Eleanor abbraccia la vendetta anche quando non è guidata dal risveglio. Perché è dentro di lei, sedimentata, ramificata, è sempre stata dentro di lei.
« Alistair... » continua lei, provando a convincerlo. « Pensa a tua moglie e a tuo figlio. Glielo devi. Siete tutti e tre morti per sbaglio. Toccava a lui, non a te. A lui. »
In quella posizione indifesa, gentile come una bambina, fragile come la porcellana, il viso dolce e pallido, le mani piccole e affusolate strette tra loro, i piedi bianchi appoggiati sulla poltrona... nessuno immaginerebbe, a guardarla, che una ragazza come lei possa fare richieste tanto sbagliate e orrende.
Orrende alle orecchie di chi, poi?
« Non parlare di loro » ribatte bruscamente Alistair. « Non parlarne più. Ci ritorneremo quando ti sarai ricordata di quest'uomo. Cercarlo sarà quasi impossibile, tra l'altro. Dovremmo spostarci e... pagare qualche hacker, forse. »
« Quindi è un sì? » Non si aspettava che il suo tono potesse diventare così speranzoso.
« È un cerca di ricordare e basta. Poi ne riparleremo. »
Eleanor prova ad accontentarsi e annuisce. Sa di averlo già convinto, nel profondo. Alistair ha bisogno di uccidere quell'uomo almeno quanto lei.
È l'ultimo tassello, l'ultima pennellata necessaria per completare il quadro di quell'inferno. Dopo, tutto sarà perfetto. Tutto avrà senso.
Deve soltanto riuscire a ricordare un volto e un nome, facendo riemergere tutto il terrore che ha sepolto dentro di sé, lasciandosi travolgere, affondare, pugnalare dalla memoria.
« Alistair... »
Suona già come un'altra richiesta.
Allunga di poco un piede sulla poltrona, sfiorandogli una gamba.
Forse c'è un modo per ricordare più in fretta.
Lui guarda le sue gambe e poi la guarda di nuovo negli occhi. La scruta, attento, cercando di interpretarla, di capire i suoi gesti e il suo tono di voce, sempre più supplichevole, sempre più ammaliante. Istintivamente le accarezza la caviglia con una mano e subito arriva quel pizzicore che entrambi associano ormai più al piacere che al supplizio.
Gli sta per chiedere: puoi baciarmi?
Le basterebbe qualche secondo in più di coraggio per pronunciare quella domanda. Gli istanti necessari per far arrivare il pensiero alla voce e la voce alla gola.
Alistair si piega in avanti, appoggiando un ginocchio sulla poltrona, le afferra il viso e raggiunge le sue labbra prima che possa farlo lei, baciandola come se fosse diventata una necessità fisica.
La coglie totalmente di sorpresa, già ansioso, già affamato. Viene investita dal suo respiro e dalla sua bocca, dal suo corpo che si muove nervoso su di lei.
Eleanor non si accorge di aver risposto a quel bacio ancor prima di ordinare alla sua mente di farlo.
Incerta, inesperta, all'inizio. La barba corta di Alistair le pizzica appena le guance, la sua lingua ha ancora un sentore lontano di alcool e cerca la sua, subito, con veemenza. Le sue labbra sono morbide, ma decise contro le proprie, che sono invece sottili e screpolate.
I pensieri di Eleanor scattano in un picco incontrollato diventando caos denso nella sua mente, poi si spengono di colpo. Quell'energia che è sempre stata incastrata nei recessi del suo corpo prende il sopravvento, più forte, più forte, più forte di lei.
Gli stringe la schiena, senza smettere di baciarlo, aggrappandosi alle sue spalle con le unghie, quasi come... un abbraccio. Un'urgenza.
Si rende conto che il ginocchio di Alistair è posizionato tra le sue gambe e la voglia spasmodica di strisciargli addosso la spinge ad avvolgergli le cosce intorno alla vita. Quella posizione scomoda in cui si sono ritrovati non basta più.
Alistair si separa brevemente dalle sue labbra e la prende in braccio, così, afferrandole le cosce e tenendola stretta quando si alza.
Pochi istanti e poi la butta sul letto senza grazia ed Eleanor capisce subito che anche quello sarà violento, violento e folle, ma capisce anche di non aver mai desiderato niente così disperatamente in vita sua, oltre alla vendetta.
Sa che è sbagliato, sa che non dovrebbe succedere. Ma non le importa. Vuole che si facciano del male anche così. Sentirà dolore, ne è cosciente, e Alistair non farà nulla per alleviarglielo.
Si ripete che è un altro passo in avanti per manipolarlo e forse anche per ricordare qualcosa del suo stupratore. Si ripete che è lui a dipendere da lei, che è stato lui a baciarla, che è stato lui a desiderarla per primo.
Che è lui il debole.
Eppure non può fare a meno di essere tesa.
Guarda Alistair dal basso, lo vede togliersi la maglietta, rivelando il petto ampio costellato di sottili peli neri, per poi gettarla lontana da loro. Torna ad ammirarla con uno sguardo ferino, lei che è rimasta immobile sul materasso, con le gambe leggermente divaricate, i capelli sparsi come onde sulle coperte e la camicia da notte che si è arricciata intorno al bacino.
Non vede l'ora di contorcersi sotto di lui.
Sente la pelle ribollire. Il respiro già affannato, ma caparbio. Vuole le sue dita di nuovo dentro di lei. O la sua lingua. Vuole le sue mani strette intorno al seno e i suoi morsi sul collo.
Per la prima volta, Alistair non è combattuto. Anzi, sembra piuttosto deciso e impaziente. Come se avesse aspettato troppo.
Si abbassa su di lei e le sfila velocemente gli slip, senza smettere di guardarla negli occhi.
« Cosa vuoi che ti faccia, Eleanor? »
Eleanor deglutisce. « Fammi male » le viene naturale rispondere.
« Male? Quanto male? » Sta sorridendo, nel buio, quel buio che rende tutto così allettante.
« Quanto ne vorresti anche tu. »
Lo sa, lo sa che lo vuole quanto lei. Lo sa che se lo meritano. Che non potrebbe essere altrimenti.
Alistair sale sul materasso, si posiziona tra le sue gambe e le sfila la camicia da notte dall'alto.
Eleanor, davanti al suo sguardo, non ha vergogna di restare nuda. Le piace essere guardata così, da lui, lui che poi le afferra i fianchi e glieli stringe fino a farle male, come le ha promesso silenziosamente. Perché anche il più piccolo tocco è una ferita, persino quel bacio brucia ancora sulle labbra. Le affonda i polpastrelli nella carne morbida e da lì prosegue molto più freneticamente.
Si abbassa sulla sua pancia e le lascia una scia rapida con la lingua, salendo fino allo sterno, assaggiando il sapore amaro della sua pelle. Ritorna alla sua bocca, se ne impossessa di nuovo, smettono di riflettere di nuovo per poi tornare ad ansimare e ansimare l'uno sulle labbra dell'altra, respirandosi, scoprendosi.
E mentre la bacia, la sua mano torna a sfiorarle l'intimità, già umida e pronta. Si lascia sfuggire un gemito soffocato da un altro bacio.
« Dio, sei così bagnata... »
La sua voce - inevitabilmente compromessa, più roca, più estranea - la fa andare in visibilio, insieme a quella mano, quelle movenze che fanno piegare i suoi muscoli in preda a un piacere sofferente, quelle dita che dopo poco risalgono per sfiorarle la bocca e infilarcisi. Eleanor, istintivamente, le succhia e le lecca, due dita bagnate del suo stesso sapore.
Quel gesto sembra accendere ancora di più l'eccitazione di Alistair. Si rialza dopo qualche momento e finisce di spogliarsi.
Eleanor chiude gli occhi. Sa che sta per succedere. Sa che stavolta Alistair non si tratterrà.
Quando sente di nuovo il suo peso sul materasso e le loro gambe vicine, si morde il labbro inferiore a sangue per prevenire il dolore.
Alistair la penetra senza avvertirla, strappandole comunque un gemito più forte degli altri. Si stende su di lei e comincia a muoversi, a spingere senza delicatezza, ad affondare quasi ferocemente dentro di lei, duro e bollente. Eleanor si aggrappa alle sue spalle e avvicina la bocca al suo orecchio.
« ... più... veloce... » gli sussurra, ansando. « ... più veloce. »
Decide che quello è il dolore che preferisce in assoluto.
Alistair aumenta la velocità delle spinte, i loro bacini cominciano a fare rumore scontrandosi e quel rumore di pelli si condensa con i versi di piacere di entrambi, con il sudore e la rabbia.
Lui si sostiene in quella posizione con le braccia contratte dallo sforzo. Eleanor non può vedere la sua espressione perché ha infossato il viso nell'incavo del suo collo, dove sente il battito irrefrenabile del suo cuore, e perché continua a tenere gli occhi chiusi, ma la immagina, immagina la venerazione che sta provando in questo momento.
Gli morde una spalla quando il dolore comincia a farsi insopportabile. Lo morde e questo, con sua grande sorpresa, la eccita.
La eccita la sua pelle sotto i denti, il fatto di poter silenziare altri gemiti osceni tenendo la bocca così occupata, il poter passare la lingua sopra i segni appena lasciati.
Alistair grugnisce di dolore - anche a te fa male, vero? Non vedi quanto è giusto, quanto è bello? - e per tutta risposta la fa staccare dalla propria spalla e le avvolge una mano intorno alla gola, tenendola giù sul materasso. Stringe, stringe, stringe e lei si sente mancare l'aria, ma non si dimena, come una ragazzina ubbidiente.
Alistair riprende a spingere, più lentamente ma con più vigore, con scatti violenti, più violenti di quanto avrebbe voluto, e stavolta Eleanor decide di tenere gli occhi aperti per non perdersi nulla di quella scena e per ammirare il suo viso sfregiato dalle ombre del desiderio. È sempre la sua faccia, ma è più anomala, quasi ultraterrena.
La sta dominando ed è in effetti quello che lei aveva chiesto implicitamente, di essere una vittima indifesa.
Vittima, come in principio.
Ma la prossima volta toccherà a lei.
Perché ci sarà una prossima volta, è abbastanza ovvio.
« ... A-Alistair... » riesce a dire, con voce soffocata. La sta quasi strozzando. Forse vuole che muoia. E lei lo accontenterà. Morirà, se è quello che vuole, adesso. « ... ah... »
Non si è mai sentita così inerme e così vogliosa di esserlo. Abbandonata a lui. Accogliente.
Il ventre le manda delle fitte pungenti, alternando dolore e piacere, stilettate e vampate di calore, mentre delle goccioline di sudore le si formano all'attaccatura dei capelli. L'aria passa a fatica nella sua gola.
Poi lui si ferma e allenta la presa sul suo collo, solo per dirle: « Girati. »
Le fa spazio per girarsi sul materasso e lei non prova nemmeno a opporsi, si affretta ad assecondarlo, nonostante le gambe e la schiena le facciano malissimo. È come se fosse ancora vergine, è del tutto disabituata e inesperta.
Con la guancia appoggiata sul materasso, le labbra schiuse e le mani strette convulsamente alla coperta, Eleanor non ha più la visuale di lui, del suo corpo robusto che prevarica su di lei. Ora Alistair è in ginocchio tra le sue gambe ed Eleanor scopre di volerne di più. Più dolore. Più perversione. Più follia.
« Alistair... entra... dietro » sussurra. Non sa in che altro modo dirglielo. Ma lui capirà, oh sì se capirà.
Eleanor durante l'adolescenza ha sentito dire che il sesso anale è una cosa particolarmente dolorosa, se non controllata. Aveva sentito le suore dell'orfanotrofio pronunciare la parola sodomia una volta, ma all'epoca non aveva idea di cosa significasse.
Sporco, sporco e anticonvenzionale e sbagliato.
Alistair esita soltanto un secondo. Non può vedere la sua espressione, ma se la immagina, di nuovo.
Deve essere contento di aver trovato una vittima come lei. Deve essere contento di essere finito in quella situazione con lei.
Nessuno è come lei. Nessuno gli avrebbe chiesto di farlo.
Alistair le stringe le natiche e gliele allarga, facendosi spazio. Quando sente la sua erezione entrare, seppur piano, è costretta a emettere un lamento quasi vicino al pianto, mentre i suoi muscoli sussultano e si tendono.
Vorrebbe dirgli non troppo veloce, stavolta, ma non ci riesce.
Le sue dita si stringono intorno alla coperta fino a sbiancare quando lui comincia a spingere. I lamenti diventano presto delle grida.
Nessuno la sentirà, tanto.
Nessuno sentirà la sua voce, né il rumore degli schiaffi di Alistair sul suo culo, né quel dolore che la riporta inevitabilmente allo stupro, solo che stavolta lei lo vuole, lo vuole ed è paradossale perché dovrebbe essere terrorizzata e invece si sta piegando a tutte le fantasie che ha dovuto sopprimere per un'intera esistenza, felice.
L'attrito con il suo corpo è quanto di più vicino alla morte possa sperimentare senza effettivamente morire. Quell'unione le dà una sensazione celestiale di completamento.
È assuefatta.
E gliela farà pagare. Un giorno gliela farà pagare, anche se è stata lei a volere tutto quello. Gliela farà pagare perché gli dimostrerà che lei comanda.
Non ha dimenticato la vendetta. Non può dimenticarla adesso, con Alistair che si arrampica sulla sua schiena con le mani, che si piega contro di lei, che la distrugge come un giocattolo vecchio.
Finisce tutto troppo in fretta. Alistair viene prima di lei, sulla sua schiena, ma il corpo di Eleanor continua ad essere rigido e infuocato sotto il suo, sfinito, ma ancora integro.
Ha vinto.
Tiene ancora la faccia affondata nel letto quando sente Alistair allontanarsi e raggiungere il bagno, senza una parola. Rimane così per minuti e minuti senza muovere più un muscolo.
Dopo un po' si addormenta.
Ed è così che si conclude la danza macabra dei loro corpi.
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