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XVII. Nocturne op.9 no.2



Folie à Deux

XVII.

Nocturne op.9 no.2



Primo novembre, otto e quindici di sera. Fuori piove a dirotto.

Quando poggia le dita sui tasti del pianoforte, Alistair si blocca.

Ha dovuto spolverarlo, perché ha avuto l'impulso di provare a suonare qualcosa prima di cena, ma adesso non sa da dove cominciare. Non suona da almeno dodici anni. Negli ultimi appartamenti in cui ha vissuto non c'erano né pianoforti né tastiere.

Ha dimenticato la maggior parte dei suoi pezzi preferiti, gli vengono in mente soltanto frammenti di accordi che si susseguono senza portare da nessuna parte. Canzoni, melodie, componimenti... è tutto sfocato nella sua testa.

Sua madre gli aveva trasmesso la passione per il pianoforte quando frequentava ancora gli ultimi anni delle elementari. Lei era un'insegnante di musica e aveva sempre voluto che il suo unico figlio imparasse a suonare qualche strumento.

Suo padre era morto quando lui aveva soltanto due anni. Alistair, di conseguenza, aveva sempre avuto un rapporto speciale con sua madre, una donna molto energica che non si era mai risposata. Era stata energica, in effetti, fino a sette anni prima, quando era finita in coma per un incidente d'auto. Non si è più svegliata da allora e Alistair ha sempre voluto trovare un modo per porre fine alle sue sofferenze.

Dopo aver inscenato la sua stessa morte e dopo aver dato vita ad Andrew Peterson, però, non ha potuto fare molto, né ha avuto modo di tornare al Brighton General Hospital. Non la vede, seppure immobile in un letto collegato a una macchina che la tiene in vita, da quattro anni. L'ultima volta che era stato a Brighton era con Sophie, qualche mese prima della tragedia.

Se potesse, staccherebbe volentieri la spina a sua madre anche adesso. Un altro omicidio, la buona morte che il Regno Unito non vuole accettare.

Potrebbe essere condannato per così tanti crimini, ormai, che ne ha perso il conto.

Fissa con sguardo vacuo i tasti bianchi e neri del vecchio pianoforte a muro nel salotto, finché non sente una familiare sensazione di avvicinamento sotto la pelle.

Paradossalmente, è felice che il suo corpo lo avverta della presenza di Eleanor quando è nei paraggi.

Un tuono rimbomba in lontananza, mentre la pioggia sferzante continua a battere sui vetri delle finestre.

« Cosa stai facendo? »

Se l'aspettava questa domanda da lei. È curiosa - lui la incuriosisce.

Alistair non si volta e prova a risponderle cominciando a suonare. Qualche nota di Beethoven, per ricordarle la prima volta in cui lui l'ha uccisa.

Ovviamente Alistair non ricorda quell'evento - evento che sarebbe stato la liberazione della sua vita - ma, stando a quanto lei gli ha raccontato, sa che è avvenuto sulle note di Für Elise, Per Elisa. Un piccolo, meraviglioso concerto di sangue.

Eleanor gli si avvicina, accostandosi alla sua sinistra, e lo osserva, anche quando Alistair si perde in una cacofonia indesiderata.

Batte un pugno sui tasti, causando rumore e non musica. « Dannazione » dice tra i denti, frustrato. È decisamente fuori allenamento.

Si gira verso Eleanor, nota che ha la pelle d'oca sulle braccia, lasciate scoperte dal maglioncino a collo alto senza maniche.

« Non sapevo suonassi il pianoforte » gli dice lei, con un'espressione sorpresa e, forse, sincera.

« Ci sono tante cose che non sai di me. »

È incredibile che siano trascorse due settimane dall'inizio della reclusione - chiamarla convivenza gli sembra troppo assurdo - e che lui non l'abbia più toccata dopo quel tentativo di preliminari finito in maniera poco chiara.

Il senso di colpa per ciò che si era promesso di non fare l'ha sopraffatto per i giorni a venire e lo perseguita ancora. Dopo aver recuperato la chiave del sottoscala ha messo la sua camera a soqquadro, ha cercato in ogni tasca e in ogni cassetto, sotto il materasso, dietro l'armadio, ma non ha trovato altre armi o oggetti pericolosi che lei potesse aver rubato. L'ha lasciata libera di girare per casa e lei non ha più provato ad ucciderlo, così come ha fatto lui.

Fino a qualche mese prima non avrebbe mai immaginato di potersi trattenere tanto.

È quasi perplesso dal comportamento che hanno assunto entrambi. Ma è sicuro che Eleanor stia ancora progettando qualche modo atroce per ammazzarlo.

« Dovresti raccontarmi di te, qualche volta. »

Alistair si fa sfuggire un sorriso storto. Un lampo e poi un altro tuono, più forte del precedente. « Certo, non vedo l'ora. »

Eleanor sospira. « Come vuoi. » Si siede sulla panca imbottita accanto a lui e lui la lascia fare.

La guarda, domandandosi per l'ennesima volta come faccia ad assumere atteggiamenti spesso così diversi tra loro. Lo provoca, lo evita, lo odia, lo desidera, lo respinge.

Adesso probabilmente lo sta studiando. Sta cercando delle reazioni in lui. Osserva.

Alistair spera di non dargliela vinta. È un continuo gioco perverso e lui ha perso già troppe volte.

« Stanotte non hai urlato » le dice. È un pensiero ad alta voce. Anche lui vuole scoprire il suo modo di reagire, anche lui è curioso.

Eleanor abbassa la testa e incurva appena le spalle, come se fosse sul punto di piegarsi su se stessa. I capelli le scivolano ai lati delle guance, cadendo disordinati sul petto.

« La crisi di astinenza dai farmaci. Forse sta passando » spiega, con un tono che lui si aspettava affranto, imbarazzato, ma che invece mette in luce quell'evidente traccia di rabbia che non scompare mai dalla sua voce, nemmeno quando è tranquilla come in quel momento. Non hanno parlato quasi per niente in quei giorni e Alistair ha pensato fino ad adesso che le ripetute urla notturne di Eleanor fossero causate dagli incubi.

« Ne prendevi davvero così tanti da andare in crisi d'astinenza? »

« No, ma erano abbastanza forti. A volte dormivo per venti ore di seguito. » Eleanor alza lo sguardo su di lui. « Anche tu non sai tante cose di me. »

Le loro spalle sono quasi incollate, su quella panca. Gli fa abbastanza male, ma può permettersi di ignorare il dolore e concentrarsi su tutto il resto.

« Immagino » ribatte.

Qualche secondo di silenzio denso.

« Suona qualcos'altro » lo esorta Eleanor.

« Non so cosa. Dopo il liceo ho smesso di suonare con frequenza per mancanza di tempo. Verso i vent'anni ho abbandonato del tutto. » Vorrebbe pentirsi di questa parte di lui che le ha appena confessato, ma non ci riesce. « Vuoi suonare tu? » le chiede poi, neanche tanto ironicamente.

« Non ne sono capace. Anzi, speravo... speravo che potessi insegnarmi. »

Alistair inarca le sopracciglia. « Sì, proprio un bel modo per passare il tempo assieme. »

Eleanor incrocia le braccia. « Ok, sarebbe strano, ma sono anni che voglio imparare. »

« Direi che non sono proprio la persona adatta. »

« D'accordo, ma... almeno un Notturno di Chopin sai suonarlo? La musica mi manca più di ogni altra cosa. »

Alistair punta di nuovo lo sguardo sui tasti, che sfiora poi con le dita, ma senza premerli. Si rende conto che Eleanor è quasi affascinata dalle sue mani. « Il più famoso... devo cercare di ricordarlo. »

Afferra con la mente qualche nota che fa capolino nella nebbia dei suoi pensieri.

Sta per iniziare a suonare, quando tutte le luci della casa si spengono di colpo, lasciandoli nel buio soffocante di quelle colline isolate.



Novembre si è insediato in quell'anno nella maniera più fredda e indesiderata.

Non assisteva a una tempesta del genere da anni. La pioggia si è tramutata in una bufera che si sta abbattendo su quella casa nascosta dal mondo e che ha fatto saltare il contatore della corrente.

Alistair ha recuperato a tentoni una torcia che tiene in cucina e ha provato a riavviare la corrente, senza successo. Dovrà aspettare che la tempesta finisca. I cavi sono già un po' danneggiati e probabilmente non vale la pena di insistere.

Anche il riscaldamento autonomo si è spento. La casa si manterrà calda ancora per una mezz'ora, poi dovranno provare ad accendere il camino, anche se con tutta quella pioggia potrebbe entrare acqua dal comignolo e far estinguere il fuoco in fretta.

Eleanor lo segue nei suoi spostamenti senza dire una parola. Gli sembra ansiosa.

« Cosa facciamo? » gli chiede, quando entrano di nuovo in cucina.

« Ho delle candele. »

Aveva previsto che sarebbe accaduto qualcosa del genere, prima o poi, così si è procurato tutto il necessario.

Recupera una scatola di candele nuove da un pensile, un piatto e un accendino. Sistema quattro candele nel piatto e poi le accende, posandole sul tavolo. Spegne la torcia per non consumarne le batterie.

« Possiamo anche cenare. Il fornello va a gas. »



Oltre alle candele, a illuminarli è la luce lontana dei lampi che irrompe dalla finestra della cucina sopra il lavello a intervalli irregolari, come il flash di una macchina fotografica.

« Immagina cosa si prova ad essere colpiti da un fulmine » dice a un tratto Eleanor, infilzando un pezzettino di carne con la forchetta.

Sono seduti al tavolo uno di fronte all'altra, con una cena modesta davanti. Alistair ha preparato del petto di pollo impanato - e surgelato, naturalmente - in padella, con fagioli e cipolle. Non le ha nemmeno chiesto se le piacessero.

È la prima volta in due settimane che cenano insieme. Sono entrambi dritti sulle sedie e mangiano lentamente, osservandosi di sottecchi.

« Eleanor, non dovresti darmi queste belle idee, sai? »

Le labbra di Eleanor si piegano nel primo, piccolo, spontaneo e paradossale sorriso che le abbia mai visto in volto.

Se pensa al fatto che entrambi hanno delle posate in mano gli vengono i brividi. Potrebbero alzarsi in quello stesso momento, afferrare il coltello e piantarlo nella gola dell'altro.

Immagina il tavolo ricoprirsi di sangue zampillante, il corpo di uno dei due riverso sulla superficie e che si perde negli ultimi versi di sofferenza prima di spegnersi.

Immagina, ancora, il sorriso vittorioso di Eleanor, ben più largo di quello che gli ha appena rivolto. Oppure i suoi occhi aperti nel vuoto, se a morire fosse lei. Sarebbe comunque troppo bella per essere descritta con la sola immaginazione.

La morte è bella grazie a lei.

Con lei, l'omicidio non appare il supremo atto immorale, la colpa suprema dell'umanità, ma, anzi, lo spettacolo più glorioso concesso dalla loro sepolta natura animale. Semplice, disarmante arte.

Sa che anche lei sta pensando le stesse cose.

Il suo sguardo è sempre indecifrabile, ma risveglia ogni volta in lui tutti gli impulsi nascosti del suo corpo e della sua mente.

E così, non solo immagina di ucciderla, immagina di buttare i piatti a terra, di prenderla per i fianchi, di strapparle i vestiti e di costringerla sul tavolo, con una mano stretta intorno al suo collo e le sue gambe strette intorno alla propria vita. Nuda, come non l'ha dimenticata, come non avrebbe mai dovuto vederla.

La luce delle candele crea nuove ombre ondeggianti sul suo viso, facendola apparire un degno ibrido tra un angelo e un demone. La vede portarsi la forchetta alla bocca e masticare la carne con flemma.

« A proposito di belle idee... » dice, dopo aver ingoiato, « stavo pensando a come stabilire una tregua. »

Alistair alza un sopracciglio. « Una tregua? »

Eleanor annuisce, posando la forchetta nel piatto. « Quello che stiamo facendo non mi sembra abbastanza. Non mi — non ci soddisfa. Fa soltanto più male, trattenerci. »

« E cosa avresti in mente? Ti ho detto già che non ti darò mai nessun'arma. »

« No, ascoltami » controbatte lei, stringendo le mani fra loro sul tavolo. I suoi occhi sono accesi di determinazione, bagnati dalla luce che gettano le fiamme tremolanti delle candele, incandescenti. « Non hai mai pensato, prima che cominciasse tutto, a un bel modo per morire? »

Anche Alistair abbandona il cibo, concentrandosi unicamente sulle parole di Eleanor. « Cosa? »

« Un bel modo... un modo in cui ti piacerebbe morire. »

« Prima che cominciasse tutto la morte era solo un pensiero lontano per me, Eleanor. »

La vede vacillare per qualche secondo. Parte della determinazione scompare. Pausa. « Credevo fossimo più simili. Io ho sempre pensato tantissimo alla morte. »

È delusa dal fatto che Alistair fosse una persona tanto diversa da lei. Non sa come prendere quest'informazione.

« E pensavi anche ai modi in cui ti sarebbe piaciuto morire? »

Eleanor tira fuori dalla tasca dei suoi pantaloni neri un fogliettino ripiegato in quattro e glielo passa, facendolo scivolare sul tavolo.

Alistair lo apre con un'espressione perplessa.

Una lista.

Una lista di modi poetici per morire.

È una cosa orribile e meravigliosa al contempo. Sta cominciando a capire dove vuole arrivare. « Quando l'hai scritta? »

« Ieri. Ho trovato dei fogli e una penna nel salotto. »

La penna, maledizione. Anche la penna poteva essere una potenziale arma, dovevo nasconderla.

Legge la lista velocemente, senza leggerla davvero.

Eleanor sembra aspettare un suo responso.

« Cosa vuol dire tutto questo? » chiede lui, ripiegando il foglietto.

« Tu mi uccidi nei modi che decido io e io ti uccido nei modi che decidi tu. Questa è la proposta. »

Ad Alistair stanno sudando le mani. « E la chiami tregua? »

Lo sguardo di lei si incattivisce appena. Si sta innervosendo. « È la cosa migliore che abbiamo pensato in due settimane. È la soluzione perfetta. Potremmo quasi... essere amici. »

Non sta dicendo sul serio. Sa benissimo che Eleanor non vuole essere sua amica. E nemmeno lui lo vuole. Si vogliono troppo male per provare qualcosa di diverso dall'odio.

Eppure la sua proposta potrebbe essere considerata estremamente intelligente, sotto certi aspetti. Consente loro di sfogarsi, di accontentarsi e di soffrire molto meno di quanto farebbero da vittime dei raptus di follia dell'altro.

Alistair è quasi certo che Eleanor sia arrivata a elaborare questa tregua prima di lui soltanto perché è molto più masochista.

Un altro fulmine si schianta a poche centinaia di metri dalla casa, facendo vibrare le pareti. Entrambi sobbalzano, Alistair va a controllare alla finestra, ma non riesce a vedere nulla per quanta pioggia vi batte sopra.

« Chissà per quanto continuerà ancora » mormora, sovrappensiero.

Anche Eleanor si è alzata, non ha finito di mangiare.

« Il pollo lo lasci? » le chiede.

« Ho un po' di nausea. »

Alistair sparecchia rapidamente, abbandonando piatti, posate e bicchieri nel lavello.

Eleanor non smette di osservarlo. Lui sa che sta ancora aspettando una sua risposta.

« Devo pensarci » dice lui, dopo minuti di silenzio. « Non sono sicuro sia una buona idea, quella di progettare le nostre morti. Tanto io non ricorderei di averti uccisa comunque. »

« Qualche volta potremmo morire insieme » replica lei prontamente. « Come nel bagno della Munro. Anche se non ricordo l'esatto momento in cui sei morto, è l'unica volta che ricordo di averti ucciso. »

« Devo pensarci » ripete.

Eleanor gli si avvicina e gli sfiora un braccio. Un dolce formicolio nelle ossa. « Pensa... pensa a quanto sarebbe bello... »

Alistair ricambia quel gesto, posando le mani su entrambe le sue braccia nude e accarezzandole lievemente. Il formicolio si trasforma in scintille.

« Lo so. »

Eleanor chiude gli occhi. « Ho freddo. »



Un'ora dopo sono di nuovo nel salotto. La tempesta si sta calmando, la pioggia è meno violenta, anche se il vento non ha smesso di ululare e di penetrare negli infissi.

Eleanor è stesa sul divano sotto una coperta di lana, a pancia in giù e con la testa verso il camino acceso - le perdite dal comignolo si sono rivelate trascurabili - e continua a riempire la sua lista mentre Alistair ha ripreso a suonare il pianoforte.

Il Notturno più famoso di Chopin, come le aveva promesso silenziosamente.

Ha fatto pochissimi errori, si è lasciato trasportare dalle note che aveva dimenticato di sapere a memoria. È rilassato, è rilassato anche se la vicinanza di Eleanor lo turba.

Lei lo sta ascoltando. Non dice nulla, ma sa che è bene attenta. Quella musica dolce e nostalgica le sta facendo venire in mente altri modi per morire - come sei strana, Eleanor, nessuna ragazza al mondo penserebbe cose così macabre ascoltando Chopin... nessuna ragazza al mondo le penserebbe e basta.

Annegamento.

Avvelenamento.

Olocausto.

Non posso sacrificarti a nessun dio, Eleanor, perché Dio non esiste.
Tu credi di essergli simile, ma sei soltanto un'arrogante bambina che vuole giocare con la resurrezione.

...

No, no, forse un po' Dio lo sei.

« Credo sia passata la mezzanotte » dice soltanto, quando lui ha finito di suonare. « Auguri a noi. » Si stiracchia, poi si stende su un fianco e finalmente lo guarda. Sente il suo sguardo pungergli la schiena.

« Auguri? Perché? »

Si volta anche lui e non può fare a meno di constatare che in quella posizione lo sta implicitamente invitando a stendersi lì, accanto a lei, attaccato a lei, sottomesso a lei. I capelli, più rossi che mai in quella luce infernale, le cadono eleganti sulle spalle e sui cuscini intorno, la coperta è caduta in parte sul pavimento. Si sorregge sul fianco con il gomito e allunga distrattamente l'altro braccio sulle gambe.

È una maledetta, splendida statua greca, sempre.

« È il due novembre » si spiega, con un sorriso quasi invisibile. « Per i cattolici, il giorno dei Morti. »

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