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XII. Maja vestida y Maja desnuda



Folie à Deux

XII.

Maja vestida y Maja desnuda



Stringe convulsamente il tirabrace tra le mani. L'asta di ferro è fredda e un po' arrugginita, le fa prudere entrambi i palmi, quello sano e quello appena ustionato. Le brucia da morire.

Si morde le labbra e poi stringe i denti.

Calma. Stai calma.
Respira.

Non le importa se lui si risveglierà. Non le importa. Non ce la fa più, deve ucciderlo. E quella è l'unica occasione che le si è presentata in due giorni.

È già troppo tempo. Ore, minuti, secondi, agonia che si solidifica intorno a loro, Eleanor ha un sofferente bisogno di piantargli quel tirabrace nello stomaco. Sente già la sua carne tendersi sotto quell'asta, la pelle dilaniarsi, gli organi sgretolarsi.

E il sangue sulla sua maglietta, sul pavimento, tra le sue mani, rapido, inarrestabile.

Dà le spalle al buco creato nel muro dalla doppietta, nel caso Alistair si affacciasse a controllarla. Non riesce ancora a credere di averlo convinto. Le ha mostrato un lato del suo carattere che mai si sarebbe aspettata di conoscere tanto presto. Una parvenza - un brandello - di pietà.

Nessuno aveva mai avuto davvero pietà di lei. Lei era stata l'abbandono per i suoi veri genitori, il peso per le suore dell'orfanotrofio, l'errore per i Gayre, l'esperimento per la dottoressa Munro. Lei non era mai stata oggetto di compassione. Era stata oggetto e basta.

Mai si è sentita più giusta nella sua vita come in quel momento.

Sa già che al suo risveglio, Alistair sarà talmente arrabbiato che le risparmierà atti gentili come quello probabilmente fino alla fine della loro convivenza - ammesso che possa avere una fine.

Sta imparando a conoscerlo.

Per un momento, un brevissimo ma significativo momento, Eleanor ha sentito di essergli vicina. Ha provato gratitudine per lui. Ma se ne è pentita subito dopo.

Nessuna gratitudine. Nessun rimorso. La vendetta è più forte. Più importante.

Sente Alistair armeggiare con le chiavi dietro la porta e allora si apposta lì, sperando di coglierlo di sorpresa. Le basterà imprimere una forza adeguata a quello slancio. Lo trafiggerà e lui morirà. Il suo corpo gioisce a quel pensiero: sta sudando freddo, è in trepidante attesa.

Non c'è niente che la faccia sentire più viva della morte.

La porta si apre più velocemente di quanto avrebbe previsto. Si aspettava di veder entrare Alistair con un bicchiere d'acqua, stanco e rassegnato, con gli occhi stranamente spenti per la mancanza di riposo.

Invece lui le è addosso in meno di un secondo, la colpisce al viso con il calcio del fucile e la butta a terra tirandola per un braccio.

Stordita e distesa sul pavimento, Eleanor si tasta il labbro inferiore, laddove il dolore si irradia per tutto il volto. Non si sente più la faccia. Il labbro si è spaccato e ora sanguina, sporcandole il mento e le dita che l'hanno sfiorato.

Alistair le strappa il tirabrace dalle mani - lo teneva ancora stretto tra le dita - e lo getta lontano. Eleanor non riesce nemmeno a vedere dove, perché lui le dà un calcio nel fianco, facendola piegare su se stessa.

Lei geme e striscia appena sul pavimento per allontanarsi. Ma lui è subito su di lei, di nuovo, altri calci, la punta delle sue scarpe che piomba sulle costole, la pelle che accusa i colpi e diventa violetta, sotto la camicia.

Eleanor non riesce a reagire. Scorge soltanto, in mezzo a tutto quel dolore, il viso di Alistair accartocciato in una smorfia di rabbia. Non riesce a distinguere altro, tutti i contorni sono sfocati, lei non ha più vista e non ha più voce.

Vorrebbe urlare ma le corde vocali non le rispondono.

L'ha già ucciso e lui ora si sta ribellando. Lo capisce tra i rantoli che escono dalla propria bocca - suoni che non sembrano nemmeno appartenere a lei, che le giungono alle orecchie come qualcosa di ovattato e lontano.

« ... b-basta... » biascica, girandosi a pancia in giù e appoggiando una guancia sul bordo del tappeto. Tenta di tirarsi su, ma le sue braccia sembrano troppo deboli per sostenerla. Allora Alistair la alza di peso e la scaraventa sulla poltrona su cui era seduto prima.

Come una bambola di pezza, Eleanor vi ricade scomposta, senza quasi riuscire a muovere gli arti. Le sembra che qualcosa stia per esplodere dentro di lei, ma che sia bloccato da un lucchetto. La rabbia, la frustrazione, il terrore più puro che l'essere umano possa provare, la sensazione di essere totalmente inerme e senza vie di fuga.

Eppure non riesce a muoversi, non riesce a dirigere il proprio corpo.

Vorrebbe urlare.

Vorrebbe tanto.

Ma nessuno la sentirebbe.

Alistair si abbassa su di lei e stringe le mani attorno ai braccioli di velluto della poltrona. Respira velocemente, il petto gli si alza e abbassa ad un ritmo rapido e il suo sguardo si pianta come uno spillo in quello di Eleanor. « Non osare farlo mai più » dice, con un tono gelido e vibrante, faccia a faccia con lei. « Ti succederà questo e molto peggio se decidi di continuare così. »

Eleanor non può alzarsi, né può distogliere lo sguardo. È la sua preda ed è appena stata intrappolata.

« Sono più forte di te, Eleanor, sarò sempre io a farti più male. »

La sua mente è sorda a quelle parole. Lui parla, ma lei si focalizza su un solo pensiero: Alistair ha ragione, ucciderlo non basterà più, non basterà mai.

Dovrà trovare un modo diverso di annientarlo. Glielo promette con il pensiero. Gli promette che non si arrenderà, che anche se lui è il più forte tra i due lo farà diventare il più debole, a qualsiasi costo.

« ... l'hai detto anche tu... » prova a dire, nel frattempo. « ... non... non riesco a controllarmi. »

Alistair le afferra le guance e lei sente dolore anche se non la sta più picchiando. Implode in quel contatto, non riesce più a ragionare lucidamente. È inchiodata dalle sue mani.

Toccarla gli dà potere. Gli piace.

Gli piace...

« Io ci sto provando » dice, ma il tono straripante d'ira non è cambiato. « Vedi? Potrei fare a pezzi la tua graziosa testolina proprio in questo momento. Un colpo di fucile, il tirabrace, le mie stesse mani. E invece mi sto trattenendo. Perché a differenza tua, sto provando a gestire questa situazione. Non serve a niente girare in tondo e tu non l'hai ancora capito. Sono più forte e sono anche più intelligente di te. Devi controllarti. »

Gli piace toccarla. Gli piace umiliarla. Gli piace farla sentire un verme strisciante sotto il suo sguardo.

Lo vede.

Per un istante si domanda come facesse sua moglie a gestire una persona del genere.

Lei non è stata cambiata dalla vendetta. Il suo carattere le è rimasto nonostante tutto. E per quanto Alistair possa essere stato traumatizzato, per quanto possa odiarla, anche lui conserva qualcosa del suo carattere precedente a quell'inferno. Alterna crudeltà e pietà, follia e buonsenso, repulsione e... desiderio.

Sophie Lane poteva tanto essere una donna forte e indipendente quanto una moglie succube e remissiva.

In qualche modo Eleanor vuole scoprirlo. Qualsiasi informazione su di lui le tornerà utile per fargli del male. Il dolore fisico non lo ferma, non lo rende più indifeso. Il suo passato, invece...

« Ci proverò » mormora lei alla fine.

Alistair non le crede ed è evidente. Forse non le crederà mai. Continua a guardarla come se volesse ucciderla con gli occhi, come se le stesse strappando la pelle di dosso. Le passa sul labbro spaccato il pollice della mano che le stringe la mascella. Lei mugugna leggermente, le brucia.

Tutto brucia in lei, in quel momento.

« Stabiliamo delle regole, allora » dice lui alla fine, tornando in posizione eretta. Fa qualche passo e gira in tondo intorno al tavolino di legno tra la poltrona e il divano.

Eleanor è ancora dolorante e non si muove. « ... ad esempio? »

« Semplicemente ignoriamoci e vediamo cosa succede. »

« Sei... » prova a cambiare posizione sulla poltrona, ma il fianco destro le fa troppo male per permetterglielo. Se le si fosse incrinata qualche costola sarebbe la fine, non potrebbe raggiungere nessun ospedale in tempi ammissibili. Agonia prolungata, dolore che ribolle fino ad estinguersi e lei con esso. « Sei un po' masochista, Alistair. È impossibile e lo sai. »

« Niente è impossibile. » La fulmina di nuovo con lo sguardo, adesso è quasi febbricitante. « Usa il frigo, il bagno e la tua stanza quando vuoi. Puoi anche scendere qui in salotto se non ti vengono altre cattive idee. Ma azzardati anche solo a- »

« Ma scusa, se dobbiamo... ignorarci... perché siamo venuti fin qui nelle Highlands, allora? » riesce a domandare Eleanor con un tono appena più alto. Lo sta odiando come non l'ha mai odiato finora.

« Lo sai perché. Per tenerti d'occhio. Per isolarci e non farci disturbare da nessuno. »

Lei ora riesce a raddrizzare la schiena e si tiene il fianco con le mani, mentre sul suo volto si scolpisce un'espressione sofferente. « Tu sei pazzo. »

Alistair incrocia le braccia e corruga la fonte. « Non ho mai negato di esserlo. »


*


Sta quasi galleggiando nell'acqua. La vasca è abbastanza piccola e stretta, ma lei non vuole alzarsi da lì. Ha perso la cognizione del tempo e ora sta perdendo anche percezione del proprio corpo.

Non vede più la luce del sole entrare dalla piccola finestra rettangolare in alto di fronte alla vasca, così capisce che la sera si sta avvicinando.

L'acqua si raffredda al passare dei minuti, ma ad Eleanor sembra non importare. Il freddo è il male minore.

Il livido viola che si dirama sul suo fianco le causa ancora delle fitte di dolore, insieme al labbro spaccato - non è nemmeno riuscita a mangiare quelle fette di pane bianco che Alistair le ha lasciato sul tavolo della cucina, prima di salire in camera.

Forse morirà davvero di fame, prima o poi.

L'ustione sul palmo della mano si è rivelata più lieve del previsto, ma dopotutto anche quello è un male minore.

Il vero dolore non riguarda il suo corpo. Il male è dentro la sua testa.

Sta pensando ininterrottamente da ore. Le sembra di avere un chiodo piantato tra le tempie per quanto il suo cervello sta lavorando.

Sta cercando dei modi per fare del male ad Alistair senza ucciderlo. Le si presentano ogni volta nuove infinite ipotesi, scenari aperti, orizzonti spaventosi e lei non sa che fare.

L'idea di farlo soffrire fisicamente le dà piacere anche al solo pensiero, ma sa di avere poche possibilità di riuscirci, soprattutto dopo quella mattina. Alistair è oggettivamente più forte. Gliel'ha detto anche lui, ma lei lo sapeva già.

Allora deve trovare il modo per andare più a fondo, per essere ancora più crudele, non importa che causi un dolore fisico o radicato interiormente.

Pensa, pensa...

Ha pensato di accecarlo con la chiave della sua stanza - così non morirebbe, ma sarebbe sempre in difficoltà. Tuttavia lui, come reazione estrema, potrebbe togliersi la vita e non svegliarsi più. Cosa farebbe lei, a quel punto?

Le è venuto in mente che potrebbe essere lei a suicidarsi, per lasciarlo a brancolare nel buio, ma così non ricaverebbe alcun vantaggio personale, alcun piacere.

Ha persino pensato di scappare e correre sull'autostrada a chiedere aiuto, incolparlo di sequestro di persona e vederlo marcire in carcere. Ma in quel caso Alistair potrebbe avere delle prove a sua difesa, potrebbe portare alla luce ciò che lei ha fatto quattro anni fa.

Avrei il manicomio assicurato se accadesse davvero, pensa, ancora, mentre sente delle goccioline gelide scivolare dai suoi capelli bagnati lungo la linea della schiena.

Troppe variabili e troppe incognite.

Si rannicchia nella vasca attirando le gambe al petto. Abbraccia se stessa in quella posizione e poggia il mento sulle ginocchia piegate. Il suo sguardo è perso nel vuoto di quel triste bagno piastrellato di mattonelle grigio-bianche con evidenti tracce di ruggine e macchie di umidità sul soffitto.

L'acqua le lambisce il busto e la schiuma si dirada via via per trasformarsi in bollicine solitarie che verranno infine inghiottite dal sifone.

La porta non è chiusa a chiave. Eleanor non ha la chiave del bagno.

Alistair potrebbe entrare in qualsiasi istante e trovarla lì, nuda, ancora più vulnerabile di quanto sia già.

Quel pensiero la atterrisce.

Eleanor ha sempre avuto vergogna della propria nudità, in particolare dopo lo stupro. Si è sempre sentita sporca e a disagio. Ha sempre evitato di guardarsi interamente allo specchio.

Odia quelle curve un po' sformate, quel seno che non le appartiene, troppo rotondo per essere sostenuto da spalle piccole e deboli, i fianchi morbidi e voluttuosi, solcati da qualche rada smagliatura che si perde nel biancore della sua pelle, le maniglie dell'amore accentuate e le natiche vergognose.

Vergognosamente belle.

« Dove lo nascondevi questo culo bello sodo, eh, ragazzina? »

A volte le tornano in mente stralci di quella scena. Non ricorda nemmeno perché fosse lì, in quel vicolo, in quella zona, di sera tardi. Una festa di una compagna di classe, forse? Ha rimosso quasi tutto, a parte il dolore. A volte ricorda la puzza di alcool che si insediava nelle sue narici. L'odore e la consistenza dell'asfalto. I graffi sulle braccia. Frasi che lui ripeteva come un mantra, gli ansiti, le urla soffocate.

Eleanor affonda per un attimo la testa nell'acqua per cancellare quelle sensazioni che tornano a galla nei momenti più sbagliati. Riemerge e si passa le mani sul volto. Preferisce ricordare gli occhi freddi di Alistair che la giudicano quando muore, piuttosto che quello.

Eleanor ha dimenticato il volto dello stupratore - forse non l'aveva mai nemmeno guardato - ma è certa che Alistair non fosse il colpevole. È certa che quel circolo vizioso sia partito da un suo errore.

Il vero stupratore è ancora in circolazione.

Eppure lei continua a volersi vendicare di Alistair. Alistair che, tecnicamente, non le ha fatto niente.

Non è stato lui a stuprarla.

Se lei non avesse contattato quel sicario e gli avesse dato la targa di una macchina a sua insaputa rubata, la macchina di Alistair, loro due non si sarebbero mai nemmeno conosciuti.

Si alza dalla vasca con quel pensiero che pulsa nella sua mente.

Ma nulla.

Il senso di colpa non arriva. La vendetta non si assopisce.

Vuole ancora distruggerlo.

Per un istante si immagina Alistair che la stupra davvero. L'aveva immaginato anche quella mattina, quando aveva scoperto di avere la camicia in parte sbottonata.

Mi ha toccata. Gli piace toccarmi.

Nonostante ciò, le ha espressamente detto che non sarebbe mai capace di toccarla così. Di violarla così. Di tradirsi così.

Adesso Eleanor sente un'idea valida e terribile prendere vita dentro di lei.



Si è asciugata velocemente con l'unico telo che aveva portato con sé nel borsone. Ha lasciato i vestiti puliti nel bagno, i capelli sono ancora bagnati.

È ferma davanti alla porta della stanza di Alistair e ha bussato. Una, due volte.

È nuda. Non ha indossato niente.

Nuda ed esposta.

Nuda.

Il disagio per il proprio corpo non è sparito, ma è stato sotterrato dalla vendetta. La vendetta sarà sempre più forte e ammaliante di qualsiasi altro sentimento, in lei, in loro due.

Alistair non le risponde.

Si impone di bussare una terza volta, ma prima prova ad aprire la porta da sola.

Sorprendentemente, la porta non è chiusa a chiave.

Eleanor risucchia un piccolo verso di sorpresa e il suo cuore comincia a batterle in gola, così tanto che l'aria fatica a passare.

È l'istinto a guidarla, un impulso che non si sarebbe mai aspettata di poter assecondare, una necessità.

Si infila nella stanza di Alistair senza fare rumore. Richiude la porta, si osserva intorno. Quella camera è più grande della sua, ma conserva lo stile anticato e la carta da parati ingiallita. Su un lungo scrittoio di mogano è appoggiato il mazzo di chiavi.

Alistair è steso sul letto matrimoniale, sopra le coperte. Se non lo sentisse respirare, se non sentisse l'elettricità sottopelle che la lega a lui, penserebbe che sia morto.

Lo guarda con insistenza per qualche secondo, mentre i lividi le mandano delle fitte insistenti - come se la stessero ammonendo, come se le stessero dicendo non lo fare!

Alistair sembra non essersi accorto di lei.

Sta dormendo.

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