VI. Lilith
Note d'autrice: Come avrete potuto notare, stavolta l'aggiornamento settimanale non è andato a buon fine. Ora che mi hanno dato l'orario definitivo dell'università ho capito che posso anche spararmi - Alistair aiutami tu, grazie.
Per il prossimo capitolo spero di farcela, anche se non sono la persona più affidabile del mondo.
Detto ciò, il titolo del capitolo si riferisce all'omonimo quadro di John Collier, raffigurante questa controversa figura religiosa (da molti considerata un demone).
Beh... spero vi piaccia!
Folie à Deux
VI.
Lilith
Domenica, giorno del Signore.
I suoi genitori l'hanno portata alla messa delle nove alla Saint Mary's Roman Catholic Cathedral, in una zona centrale di Edimburgo. In realtà è stata lei a convincerli, il giorno prima. La dottoressa Munro ha sconsigliato di lasciarla sola - dopotutto è ancora sotto la custodia legale di sua madre e suo padre, nonostante sia maggiorenne da più di un anno -, ma ha consigliato anche di farle prendere un po' d'aria. E lei ha colto l'occasione per presentarsi in segreto all'appuntamento di Alistair Lane, dicendo ai suoi di aver bisogno di frequentare di nuovo la chiesa. Almeno di domenica.
Essendo cresciuta in un collegio cattolico di suore in Ucraina, alla fine i Gayre non hanno avuto di difficoltà ad accettare di accompagnarla in città. Loro non sono mai stati una famiglia di credenti, eppure adesso farebbero di tutto per la propria bambina psicopatica. Anche assecondare le sue impulsive e fantomatiche necessità religiose.
Eleanor è felice di aver imparato a manipolarli, con gli anni. Non le importa poi molto della messa, in fondo, né del crocifisso che ora sembra fissarla insistentemente, né delle preghiere che suonano come una lugubre cantilena tra le bocche dei fedeli. Non c'è musica, solo parole, solo frammenti taglienti di speranza in quelle voci divenute coro.
Una di quelle voci è sua. Ripete le parole quasi meccanicamente, puntando lo sguardo in quello del Cristo di legno lavorato appeso alla croce. Eleanor sa che la sta giudicando. È illuminato dalla luce psichedelica che entra dalle vetrate colorate, un caleidoscopio di lame blu, verdi, rosse.
« Pater noster qui es in caelis, santificetur nomen tuum. »
Sono una sua pari, pensa con freddezza. Sono quasi un dio.
Eleanor si porta le mani giunte alle labbra e continua la preghiera in sussurri sempre più impercettibili. Le sembra comunque che siano più forti delle parole di tutti gli altri. Come se ci fosse soltanto lei, tra le pareti di quella cattedrale, come se tutte le panche fossero vuote e lei fosse sola dinanzi al giudizio universale.
E non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male.
*
Durante l'inverno ha nevicato pochissimo. Tuttavia, gli ultimi giorni sono stati fortunati, in questo senso: Eleanor ha sempre amato la neve. Passeggia con i suoi genitori lungo Princes Street, osservando alla sua sinistra lo spettacolo che le restituiscono i giardini inondati di un bianco quasi accecante. La neve non è alta, ma ha colorato quella che prima era una vivida macchia verde al centro della città. Gli alberi sono quasi tutti spogli e i rami svettano neri, nudi, verso un cielo muto. Da lontano il castello di Edimburgo si erge in tutta la sua maestosa e disarmante semplicità. I bastioni sono ricoperti dalla stessa neve che ha accarezzato i tetti di tutti i palazzi, le mura acquistano un aspetto materno, come se stessero proteggendo il complesso centrale dai dolori di febbraio.
Eleanor non solo ama la neve, ma ama quella città. Non si è mai sentita fino in fondo di chiamarla casa, ma è a tutti gli effetti ciò che di più vicino ad una casa abbia mai avuto. Anche se probabilmente non è vero, crede di conoscerne ogni angolo, ogni strada e ogni discesa a memoria. Ha imparato la sequenza di tutti i negozi di Princes Street, da quelli di souvenir alle librerie, dalla caffetteria allo store musicale. Veder passeggiare la gente in tranquillità di solito la rilassa.
Ma quella volta no.
Cammina sotto il braccio di sua madre e lo stringe appena, con la guancia vicino alla sua spalla, come se ogni sguardo estraneo fosse una minaccia, come se qualunque passante potesse essere il suo più grande nemico.
Sa che si sbaglia.
Il suo nemico è sempre lo stesso da quattro anni, solo che ha cambiato volto e colpa.
Eleanor ha avuto vari piccoli problemi in quattro anni di grandi problemi. Problemi relazionali e personali, che l'hanno condotta dalla dottoressa Munro quando non aveva ancora compiuto sedici anni. Solo di recente aveva ripreso a camminare per strada senza sussultare ad ogni occhiata, così passeggiare per le vie di Edimburgo le risultava di nuovo l'attività più piacevole del mondo, ma adesso Alistair Lane e l'ansia di rivederlo hanno risvegliato in lei quel primordiale e incontrollato istinto di difesa che tanto aveva provato a reprimere con la terapia.
Difesa da qualsiasi cosa. Perché lei si è sempre sentita una misera goccia in un oceano selvaggio. E per quattro anni è uscita di casa soltanto per raggiungere lo studio della psichiatra o per prendere un po' d'aria - espressione frequente della Munro, tra l'altro. Prendere un po' d'aria. Come se l'aria si potesse catturare e conservare.
Come se respirare fosse facile.
Come se la paranoia fosse un raffreddore da curare con qualche stupido antibiotico.
Eleanor stava imparando a tornare una ragazza normale prima della comparsa di Alistair. La terapia procedeva bene, fino a qualche mese prima.
Poi si è disintegrato tutto davanti ai suoi occhi.
Perché ormai esiste solo lui, nella sua mente. Solo la vendetta. Solo la voglia di rinascere infinite volte per vederlo morire in infiniti modi diversi.
Una ragazza normale dovrebbe spaventarsi a questi pensieri.
Lei invece se ne compiace.
Lei non sarà mai una ragazza normale.
Si ferma improvvisamente nel centro del marciapiede, facendo bloccare anche i suoi genitori.
« Posso portare Hamlet nei giardini? » domanda, accarezzando le orecchie dell'husky grigio che suo padre tiene al guinzaglio. Maschio, tre anni, schivo, sterilizzato e con un corpo scattante.
Eleanor lo guarda e per un istante si inquieta per quanto i suoi occhi somiglino a quelli di Alistair. Non ci aveva mai pensato. Due fari freddi nel buio. Una finestra di gelo sul mondo.
Hanno adottato Hamlet quando era soltanto un cucciolo di due mesi, come regalo di compleanno per una Eleanor sedicenne e depressa. La Munro disse che l'avrebbe fatta sentire meno sola.
Così non è stato.
Eleanor ha giocato con Hamlet o si è presa cura di lui un numero di volte esauribile sulle dita di una mano. Non gli ha mai voluto bene come una padroncina dovrebbe voler bene al proprio cane.
Il signor Gayre si volta verso sua moglie. « Va bene » risponde, grattandosi appena la nuca.
Se non avesse la reale necessità di raggiungere i giardini si arrabbierebbe con lui. Con loro.
Perché la accontentano sempre, anche quando non dovrebbe essere accontentata? È pericoloso farla camminare da sola, non lo capiscono?
A volte Eleanor si sente una loro marionetta, altre volte, più spesso, il loro burattinaio. Eppure i coniugi Gayre hanno costruito un fiorente impero industriale in Scozia, dovrebbero essere persone sveglie e poco malleabili. Forse non l'avrebbero mai dovuta adottare. Forse una figlia era la debolezza che mancava ad entrambi.
Peccato che si sono andati a scegliere la paranoica sociopatica.
« Veniamo con te? » le chiede sua madre. « O te la senti di fare due passi da sola? »
« Non sarò sola » dice lei, accennando ad Hamlet con un sorriso costruito ad hoc. In teoria non sto neanche mentendo. Non sarò sola. « Ho diciannove anni, mamma, me la cavo. »
« Lo so che hai diciannove anni, ma... dopo quello che è successo in queste settimane... »
« Lasciala andare, tesoro » la interrompe il marito con un sospiro mesto. « Cosa vuoi che sia un giro per i giardini? »
Eleanor cerca di mantenere quel sorriso forzato, all'apparenza speranzoso e grato. « Quindi posso? »
Sua madre si sfrega la radice del naso tra indice e pollice, tesa. « Una ventina di minuti vanno bene, mentre noi diamo un'occhiata ai negozi? »
Lei annuisce.
« Allora ci vediamo a mezzogiorno meno dieci all'entrata del museo. Non correre, mi raccomando, potresti scivolare con quella neve. »
I suoi stivaletti di camoscio in cui sono infilati i jeans creano deboli suoni soffocati a contatto con il prato innevato. Cammina a passo veloce e Hamlet non fatica a seguire la sua andatura, con il muso puntato a terra per captare ogni odore nuovo e diverso. Eleanor lo tiene stretto al guinzaglio mentre cerca con lo sguardo sotto ogni albero e su ogni panchina, in mezzo alla gente, in disparte, ovunque.
Dove sei?
Fatica a riconoscere quel volto in mezzo a tante persone. È domenica mattina e il parco è abbastanza frequentato, soprattutto da anziani, bambini e sporadici turisti.
Eleanor si stringe nel proprio cappotto nero - lo stesso che aveva indossato l'ultima volta che era stata dalla Munro - e prosegue, ignorando il fatto di essere arrivata con mezz'ora di ritardo.
Forse è andato via. Forse per sempre.
Si sente investire da un'enorme ondata d'ansia. Teme che sia andato via, che non l'abbia mai cercata. E il solo pensiero la fa sentire male. Non lo vede da qualche giorno e non sa ancora decidere se la faccia stare peggio la sua vicinanza o la sua lontananza. Ha bisogno di vederlo. Di ascoltare cos'ha da dire, se sa qualcosa di quello che le è successo.
È l'unica persona in grado di capirla. L'unica persona con cui voglia parlare in assoluto.
Del resto, non potranno farsi del male a vicenda davanti a tutti, lì nei giardini. È un buon posto per parlare. Parlare è l'unica ragione per cui ha deciso di presentarsi a quell'incontro.
Non può e non vuole restare all'oscuro di tutto, nell'attesa di un'altra morte.
Non ha nemmeno paura di lui come prima.
Vuole solo capire com'è possibile che lui sia Alistair Lane. Persino al telegiornale, quattro anni prima, annunciarono la sua morte. Suicidio-omicidio con moglie e figlio.
A quanto pare, lui è tornato dalla morte esattamente come lei.
Ma c'è ancora qualcosa che le sfugge.
Quando lo riconosce, seduto su una panchina in una zona più appartata dei giardini, sotto un frassino spoglio, Eleanor si sente mancare il respiro. La sua presa si indebolisce sul guinzaglio di Hamlet, i piedi si bloccano nella neve come sabbie mobili. È vestito, naturalmente, con abiti meno formali, un giubbotto blu scuro e un paio di jeans altrettanto scuri. Non ha sciarpe o cappelli e lei per un istante si domanda come faccia a sopportare il freddo pungente.
Anche lui l'ha riconosciuta. È evidente perché la sta guardando, ma non le fa alcun cenno per invitarla a sedere accanto a lui, perciò Eleanor si siede di sua spontanea iniziativa. Prima di dire qualsiasi cosa, toglie il guinzaglio ad Hamlet e lo lascia libero di correre per il prato.
La panchina è larga. Le loro spalle non si sfiorano nemmeno. Eppure Eleanor sente di nuovo quell'elettricità vibrarle sotto la pelle, come se il suo corpo la avvertisse, in quel modo, della vicinanza del suo assassino.
Un'energia calda e vivida, a tratti più insopportabile dell'ultima volta in cui si sono visti.
« Sapevo saresti venuta » dice Alistair ad un tratto, girandosi con il busto verso di lei. Lei è immobile e non ha la minima idea di dove cominciare quella conversazione che potrebbe degenerare da un momento all'altro.
« Come... come lo sapevi? »
« In realtà non lo sapevo. Ma avresti deluso molto le mie aspettative nel caso non ti fossi presentata. »
Eleanor coglie dentro di sé, tra i vari impulsi, l'improvviso desiderio di strappargli gli occhi dalle orbite. Non riesce a sostenere il suo sguardo. Quegli occhi sono più minacciosi di qualsiasi arma.
Si stringe le mani tra loro e cerca di contenersi.
« Ho bisogno di parlarti » gli confessa, non senza risentimento.
Alistair alza un sopracciglio e corruga appena la fronte. Quell'espressione lo fa sembrare più grande di quanto non sia già. Quanti anni ha, trentacinque, quaranta? Più passa il tempo, più le sembra soltanto una figura atemporale, distante da qualsiasi stereotipo o canone sociale. Alistair è un mondo a parte, è l'antieroe tormentato della letteratura europea da lei tanto amata. È l'enigma.
« Ti stupirà, Eleanor, ma anche io ho bisogno di parlarti. »
Quella risposta le accende una nuova fiamma di rabbia nel petto. Non sa reagire alla sua calma. Non sa reagire a lui e basta.
La prima richiesta di Eleanor irrompe sulla sua bocca prima di poter essere fermata. « Spiegami cosa ci succede. Se non lo sai, dimmi se hai... se hai delle teorie o cose del genere. Poi ti dirò cos'è successo quattro anni fa e cosa ha portato alla tua morte. » Fa una breve pausa, mordendosi il labbro inferiore - le sembra quasi che Alistair sia stato catturato da quel gesto. « Credo che le due spiegazioni siano strettamente connesse. »
« Questo è certo » ribatte lui. « Com'è certo il fatto che ogni volta che ci avviciniamo proviamo dolore per la vicinanza stessa dell'altro. Lo provi anche tu, non è così? »
Eleanor ha un leggero sussulto. « Più la vicinanza aumenta... più... » non finisce nemmeno la frase che Alistair le sfiora una guancia con il pollice. Eleanor sussulta di nuovo. La pelle toccata dal suo dito quasi brucia. Esattamente come quando l'ha premuta contro il muro nel bagno della Munro. Esattamente come quando l'ha fermata dalla sua fuga disperata sotto la pioggia.
Autentico, malsano dolore.
Alistair ritira la mano e il suo sguardo si incupisce. « Fa male anche a me. È perché tu sei l'oggetto della mia vendetta. Tu devi morire per mano mia. »
Eleanor si sente già stordita. Da quel dolore. Dal suo sguardo. Dalla sua voce calda eppure accusatrice. « E tu per mano mia. »
« A quanto pare. » Alistair infila le mani all'interno delle tasche del giubbotto e rilascia una nuvoletta di respiro denso. « Quello che ho potuto capire da quanto è successo ad entrambi è che noi due - forse anche altre persone, ma concentriamoci su di noi - abbiamo la capacità di... risvegliarci se la nostra morte è causata da qualcun altro. Se veniamo uccisi. Soltanto che quando ci risvegliamo la vendetta verso tale persona è l'unica cosa a cui riusciamo a pensare. E non possiamo fare altro che assecondarla perché il nostro corpo si ribella alla coscienza. Sai a cosa mi riferisco, immagino. »
Eleanor lo fissa con il respiro mozzato. Quelle informazioni le fanno girare la testa. « Al fatto che a stento riusciamo a controllarci in presenza dell'altro? »
Alistair abbozza un'espressione divertita e disturbata al contempo. « Il controllo... quello non fa più parte di noi. Più passa il tempo, più ho voglia di ucciderti nei modi peggiori. Credo che il sentimento sia ricambiato. »
Lei non sa cosa rispondere. Sì sì sì dannatamente sì. Ma lo pensa soltanto. Non ha abbastanza coraggio per dirlo.
« Il nostro... problema... consiste nel fatto che ci siamo fatti uccidere dalla persona sbagliata. Cioè dalla persona con la nostra stessa... abilità. Capisci adesso in che situazione siamo, Eleanor? »
« ... non possiamo morire? »
« Non per mano dell'altro. Ci risveglieremmo all'infinito e ci dispereremmo perché non c'è modo di porre fine alla nostra vendetta. »
Il silenzio si abbatte su di loro dopo quella constatazione. È Eleanor, stavolta, a guardarlo più insistentemente, con gli occhi carichi di panico. Vorrebbe alzarsi e andare via, ma allo stesso tempo è come incollata a quella panchina. A lui. Ha così tante domande da fargli... e in più gli ha promesso una spiegazione in cambio.
« Mi fa piacere che la stiamo prendendo con le buone » dice lei a quel punto con un filo di voce, incrociando le braccia al petto e stringendosi a se stessa. « È meglio collaborare, no? » È spaventata e lo sa. E odia doverlo mostrare al suo carnefice.
Alistair riprende la sua espressione severa, che evidenzia ancora di più i tratti marcati del viso. « Eleanor... guarda che non ti ammazzo davanti a tutti solo perché mi devi una spiegazione. Non sarò mai gentile con te, non importa ciò che mi dirai. Non mi importa di niente. »
Eleanor sente il sangue defluirle dal volto. Cosa si aspettava? « Allora prima della mia spiegazione ho qualche domanda. »
« Ad esempio? » Il suo tono è più freddo che mai.
« Ad esempio... cosa succede se moriamo di cause naturali? O di malattia? »
Alistair per un secondo appare perplesso. « Non mi è mai successo, non so dirtelo. Credo moriremmo normalmente. Non avremmo nessuno di cui vendicarci, dopotutto. »
« E in caso di suicidio? »
« In quel caso... saresti tu stessa la persona ad aver causato la tua morte. Potresti doverti suicidare all'infinito. Ma non so risponderti nemmeno in questo caso. »
Eleanor cerca di prendere un respiro più lungo ed efficace degli altri. « E... sai qualcosa su come avviene il risveglio? Cioè... torniamo indietro nel tempo? E perché ricordiamo? »
Alistair socchiude appena le palpebre, come se fosse semplicemente stanco. Stanco di vivere. « Me lo chiedo anche io da quattro anni. Credo abbia a che fare più con una sorta di salto dimensionale, piuttosto che con un riavvolgimento del tempo. Quando avevo vent'anni seguii un anno di fisica all'università, ma non mi ha mai aiutato molto. » Sembra pentirsi subito dopo di quello che ha detto. È stato troppo personale.
Eleanor si sente ancora più vuota e stordita. Alistair era una persona qualunque, prima di tutto quello. Non era un assassino. Lavorava, era un padre. E ora è qui a parlare di morte e dimensioni. Con lei.
Il solo pensiero le fa venire il ribrezzo di essere nata. Non riesce a credere a nulla, nemmeno a se stessa. L'unica cosa che la guida al momento è questa maledetta vendetta. Cosa darebbe in quel momento per avere una pistola, un coltello, o addirittura un'altra forcina...
Ricorda ancora come il sangue di Alistair era sgorgato dalla sua gola. Darebbe qualsiasi cosa per vederlo di nuovo. Per sentirne l'odore metallico sotto le narici. Per sentirsi le dita viscide e appiccicate di linfa vitale.
Sono pazza.
Un altro lungo momento di silenzio.
« Alistair... » comincia, prima di rendersi conto che lei pronuncia quel nome con un suono piuttosto slavo rispetto all'inglese comune, con la "r" più marcata. Non è come la "r" scozzese, è comunque più dolce, ma più strascicata. È la prima volta in quattro anni che dice quel nome ad alta voce. « Alistair, non credi... non credi che potremmo essere simili a Dio, per quello che ci succede? » È una domanda ingenua e arrogante contemporaneamente, ma è comunque carica di insicurezza e paura. Alistair non sembra esserne stupito, come se se l'aspettasse e avesse già la risposta pronta.
« No, anzi, probabilmente siamo più umani di chiunque altro » dice infatti. « Siamo prodotti dell'istinto. Al massimo, se ti piace di più, siamo figli di Satana. »
Eleanor sente un brivido caldo sfrigolarle sulla schiena. In effetti, si sente più simile a Lilith che a Maria. Ribelle alla natura. Audace. Pronta.
(E non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male. Amen.)
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