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La ragazza. Il molo.

Ogni notte lei andava sul molo, una striscia di legno come un ponte tibetano, che di giorno si scaglia sul mare azzurro e limpido e di nessuno.
Lei però non avvertiva nessuno e tantomeno produceva alcun suono quando si alzava, si vestiva e chiudeva la porta dietro di sé.
La prima sera appariva come in trance, arrivata sul molo passeggiò avanti e indietro, e tornò dentro.
La seconda sera, invece, sembrava solo in un leggero stato di dormiveglia e si indirizzó spedita verso la fine di questo. Guardò il mare e sembrò che un vento quasi la chiamasse a sé, ma lei superò la tentazione e ritornò quasi di corsa.
La terza sera era completamente sveglia e cosciente della situazione, faceva attenzione ad ogni piccolo gesto - anche se non ce n'era bisogno alcuno - e camminò irrequieta verso le tegole di legno che la richiamavano ogni volta. Arrivata alla battigia si calmò - tanto era tesa che una volta giunta la calma la si vedeva pure dalla più alta finestra della casa - .
Sembrava quasi che lei e il molo fossero vecchi amici, da come aveva il passo cadenzato e il leggero dondolio che faceva. Arrivata alla fine un vento le spumó la chioma nel cielo stellato, lei si beó di quell'attimo e in un attimo si slacciò la veste e si tuffò nel mare nero d'inchiostro.
I capelli si aprirono a ventaglio mentre la pelle si vedeva a tratti, lambita dalle onde.
Era felice e rilassata. Dopo un'ora o due tornò al molo, si asciugò con l'accappatoio sotto la vestaglia e fu in camera prima che sorgesse il sole.

Nessuno l'aveva mai vista, né si era accorto della sua assenza, gli unici testimoni delle sue girovagate notturne - se così si possono definire - erano le stelle, la luna, il cielo, la battigia, la porta che non l'aveva mai tradita e il molo.

Continuò così, non si sa quanto a lungo, non si sa perché.

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