November Rain
Anna
È il 30 Novembre. Piove a dirotto. Il vento di mare soffia implacabile e io, implacabile come lui, vago senza ombrello, fradicia fino alle ossa, in cerca del regalo perfetto, perfetto per te.
Giro per i vicoli e le strade della mia città già addobbata a festa che, come una vecchia puttana, per attirare nuovi clienti, deve mascherare la vera sé stessa, brillando di luci e nastri colorati che servono a distrarre e convogliare lo sguardo del passante su altro che non siano viso e mani, ormai, macchiate e segnate da cicatrici indelebili inferte da chi ne ha sfruttato e sfregiato, senza coscienza, bellezza e gioventù. In questo periodo sono banditi lerciume, miseria del corpo e dell'anima, putridume e nefandezze. Attirare il turista e illudere il cittadino, che ciò che è nascosto sotto il letto sia inesistente, questo lo scopo.
Il mio sguardo saetta sulle vetrine addobbate a festa e, a tradimento, un'immagine sconosciuta di me stessa mi colpisce, facendomi sobbalzare.
I riccioli neri ridotti a una massa informe, attaccati al viso; il mascara a formare un alone nero attorno ai grandi occhi blu, il rossetto portato via dalla lingua che, saettando a dissetarsi di pioggia, lascia nuda la carnosità delle labbra; il maglioncino rosa antico, reso trasparente dal suo essere zuppo, lascia intravedere il reggiseno in pizzo nero che copre il seno generoso; la gonna a tubino è tutt'uno con i fianchi e il didietro ancora alto e sodo, mentre gli stivali con il tacco alto sembrano pluviali che non riescono a contenere la troppa pioggia che in esse si riversa.
Allungo una mano e con un dito ridisegno i contorni di quest'essere che sembra in ritardo con il giorno di Halloween, dimmi: - Dov'è la tua felicità, dov'è la famiglia che sognavi, dov'è la tua vita?
Vorrei avere una giustificazione da fornire a me stessa: Ero ubriaca, non mi è piaciuto, non lo rifarei, è solo colpa dell'astinenza prolungata da sesso, non ti amo più, mi ha drogato, mi ha costretta, ricattata o chissà che altro.
No, no, no e ancora no, è stato un gioco di seduzione a cui non mi sono sottratta, lo volevo, volevo lui, volevo dimenticarti, volevo tornare a vivere. -
Dopo innumerevoli rifiuti e mesi passati ad annusarci come animali girandoci intorno, ho accettato il suo invito a teatro e alla cena a casa sua che, poi, sarebbe seguita.
È stata una serata magnifica, niente silenzi imbarazzanti o chiacchiere inutili per riempirli, abbiamo riso, scherzato e parlato, spaziando tra gli argomenti più disparati.
Si è dimostrato anche un cuoco discreto, certo il pollo e le patate erano di rosticceria e il dolce al cioccolato fondente di "Gay Odin", ma l'insalata e la scelta del vino, perfetti.
Poi mi ha invitata a ballare, porgendomi la mano, sulle note di: "The scientist" dei Coldplay, lasciarmi circondare dalle sue braccia, è stato naturale, schiudere le labbra e mischiare il mio sapore al suo, è stato naturale, infilare le mie mani sotto la sua camicia, è stato naturale, permettere alle sue mani di carezzarmi il ventre, è stato naturale, spogliarsi ed esplorarsi a vicenda, lo è stato, le mie unghie a graffiare la sua schiena, la sua bocca ad esplorare il mio seno, le mie gambe ad allacciarsi intorno al suo bacino, il suo sesso che penetrava il mio e il mio che ricorreva il suo fino a esplodere insieme, è stato naturale.
E ora eccomi qui, come ogni anno, da diciotto anni, il 30 di Novembre, giorno del nostro anniversario, alla ricerca di lui, del regalo perfetto, del dono che abbia la capacità di dirti ciò che io non riesco a esprimere a parole, ma che nel pensiero è chiaro: - Scusa, ti amo; scusami amore, perdonami; amami, nonostante per una notte mi sia dimenticata di te; è vero ti ho tradito, ma non sfuggire alla mia carezza; toccarmi, ti prego, toccami ancora. -
Purtroppo so che non accadrà, non sentirò il tuo tocco, non udrò da te né parole di perdono, né di rabbia o di rammarico, ma io implacabile come il vento cerco il regalo adotto a te e, come sempre, il 25 mattina te lo porterò, mi inginocchierò vicino a te e te lo poserò accanto, ma, come sempre da cinque anni oramai, le tue mani non lo toccheranno e i tuoi occhi non lo vedranno.
Giulio
Dicembre è arrivato e io sono dopo un anno che mancavo di nuovo a casa a Napoli, se speravo di sfuggire all'assalto della famiglia sbagliavo di grosso.
Già a Novembre zia Concetta ha iniziato a telefonarmi per assicurarsi che fossi da lei per il pranzo del 25 o per la sera della Vigilia, poi la cugina Annalisa, mio fratello Francesco, mia sorella Giovanna, mio cugino Renato, i miei amici: Valentina, Claudio e Fabrizio, per non parlare dello zio Gaetano, della mia vecchia tata Rosinella e degli storici vicini di casa dei miei, i Signori Cuomo.
Finito? Magari! L'elenco è lungo, ma non starò qui ad annoiarvi con una sfilza di nomi di persone a voi sconosciute.
Per grazia di Dio i miei genitori sono in crociera, un mio regalo preventivo per evitare l'invito a stare da loro, messo all'ingrasso per tutta la durata delle feste, invito al quale mi sarebbe stato quasi impossibile sfuggire.
Però, a quanto pare, hanno sparso la voce per tutto il parentado: l'ordine è di non lasciarmi in pace durante tutto l'arco del periodo natalizio e sottopormi ad un tour de force culinario con il rischio di spedirmi al Cardarelli per indigestione.
Mia madre si sarà disperata con sua sorella: «Giulio, povero figlio mio, un anno in Giappone, alghe, pesce crudo e riso in bianco, 'na schifezza, se tu lo vedessi su Skype, se fatto secco, secco, le guance incavate e gli occhi da fuori, che ti devo dire Conce'... uno scheletro!»
Vallo a spiegare a mammà che non sono dimagrito nemmeno di un grammo e che la cucina giapponese non è solo Sashimi, già se l'è segnata al dito che ho accettato l'incarico per una compagnia di aerei così lontana, figuratevi se le dicessi che la cucina napoletana non mi è mancata... apriti cielo.
Ma non mi sono ancora presentato, vero? Vi chiedo scusa, rimedio subito: il mio nome è Giulio, sono un meccanico aeronautico, lavoro che adoro perché mi permette di viaggiare accettando incarichi in giro per il mondo e, soprattutto, mi permette di sfuggire alla mia amatissima, ma asfissiante famiglia.
Sono un uomo che sa di piacere, ma che ha sempre cercato la persona con cui poter avere quello che i miei fratelli e i miei genitori hanno.
Non amo le avventure di una notte e via, non che disegni il sesso, se capita nessun problema, ma il rispetto per la propria persona viaggia anche attraverso il rispetto per l'altro, per questo non mi piace illudere nessuno, non mi sono mai innamorato e l'ho sempre messo bene in chiaro, o almeno, non mi ero mai innamorato fino ad un anno fa.
Alla veneranda età di quarantatré anni ho perso letteralmente la testa e il cuore per lei, Anna, donna bellissima dentro e fuori, con cui ho passato un'unica e indimenticabile notte, poi ho provato a cercarla, chiamarla e contattarla tramite conoscenze comuni, ma quando ho capito che il mio atteggiamento stava passando i limiti mi sono imposto di fermarmi e ho accettato un incarico in Giappone.
Questa volta la scelta di andare per un anno così lontano è stato dettato dalla necessità: mi serviva però mettere quanto più spazio possibile tra me e lei, mi illudevo bastasse questo a farmela dimenticare, non è servito a nulla, una volta ho tentato anche di obliarne il ricordo tra le braccia di un'altra, ma niente da fare, solo il corpo era partecipe, mentre cuore e mente erano altrove, una tristezza che non vi dico, fino alla sua comparsa non mi ero mai reso conto di quanto il sesso fine a se stesso possa essere sterile, ma ora anche questo non ha più sapore senza di lei, eppure l'ho avuta per una sola notte.
Se chiudo gli occhi riesco ancora a sentire il sapore della sua bocca, il gusto della sua essenza che mi cola sul mento, a ricordare la consistenza dei suoi seni tra le mani, a vedere il colore rosa scuro dei suoi capezzoli irti, ad ammirarne la curva della schiena mentre il suo calore mi avvolge.
E ora eccomi qua, dopo un anno, di nuovo a casa. Questo Natale il mio unico desiderio era starmene rintanato in casa a commiserarmi e a pensare alla mia miserabile situazione, invece grazie ai miei, mi sono ritrovato con tutti questi inviti piombati addosso e non facilmente aggirabili.
Con i miei fratelli e amici, ho risolto: ci vedremo tutti insieme il 26 a casa mia, quando i bambini si saranno calmati dall'eccitazione dovuta all'aspettativa e ai regali ricevuti e resteranno senza fare storie dai nonni, non che non ami i miei nipoti o i bambini dei miei amici, anzi li adoro e, per un breve istante, lo scorso anno, avevo avuto l'illusione di aver trovato finalmente la persona con cui condividere una gioia così grande, finalmente dopo quarantatré anni di vita, dopo che avevo perso le speranze di potermi innamorare anche io come tutti i comuni mortali, il mio cuore si era messo a ballare la macarena al tocco delicato di Anna, ma lei dopo avermi illuso, è sparita senza rendersi più rintracciabile e io dopo averle tentate tutte per avere con lei almeno un chiarimento, mi sono arreso e ho deciso di accettare l'incarico di un anno in Giappone.
Fortunatamente, per il 24 sera sono riuscito a sfuggire a due inviti dicendo che sarei andato in chiesa alla messa di mezzanotte e poi subito a dormire, perché il giorno dopo ero reperibile, quindi dovevo essere riposato e pronto a raggiungere l'aeroporto di Capodichino perfettamente lucido, scusa tra l'altro comodissima per poter fuggire, all'occorrenza, anche dal pranzo a casa di zia Concetta appena fossi giunto a saturazione, ma prima mi sarebbe toccata la cena della vigilia a casa di zio Gaetano che, messo sull'avviso dai miei cugini, aveva così esordito: «Giulio, bello d'ò zio, non ti preoccupare, abbiamo fatto, vengono tutti da me 'a sera della Vigilia, così non ti devi stressare ad andare a casa degli altri per poter portare i regali alle creature».
Cartoccio di dolci in una mano e bottiglia di vino nell'altra eccomi alla porta di mio zio, il frastuono delle voci arriva fin qui, la speranza che nessuno oda il campanello e che io possa tornarmene alla quiete di casa mia subito scema, il trambusto di venti e più voci che parlano tutte insieme e scalpitii di passi di bambini mi fanno capire che il mio arrivo non è passato inosservato, al solito sono l'ultimo ad arrivare in queste occasioni per potermi liberare di tutti i saluti, i baci e gli abbracci in un'unica, tremenda, volta.
Zii, zie, cugini, cugine, acquisiti e nipoti, una bolgia di trenta persone tutte stipate in un unico ambiente, tutti che mi parlano contemporanea e che mi sommergono di domande.
Mentre stiamo per metterci a tavola il campanello squilla ancora, «È una mia amica e collega», esordisce mia cugina Annalisa, «per motivi di lavoro non è potuta tornare a Procida a casa dai suoi e ho pensato di invitarla, mica vi dispiace vero?» Diniego di tutti e manovre belliche per aggiungere un posto a tavola, mentre Annalisa fa ritorno con la sua ospite.
Anna... è Anna, il cuore sembra volermi uscire dal torace.
Appena mi nota sbarra gli occhi, arrossisce e mi porge la mano tremante.
«Noi ci conosciamo già», dico agli altri, «Anna, è un piacere e una sorpresa rivederti».
Mia cugina sembra aver visto Sant'Antonio e manovra affinché veniamo fatti sedere accanto, Anna cerca di deviare, ma non si può sfuggire alla mia famiglia quando ha mire matrimoniali su due persone, e io in questo caso, non potrei esserne più felice.
Mentre mangiamo, le sussurro all'orecchio quello che ho tenuto dentro per tutto questo lunghissimo anno: la frustrazione per essere stato usato e poi gettato via, quello che mi aveva fatto sperare l'incontro con lei, il desiderio che mi suscita la sua vicinanza, non mi importa di poter risultare ridicolo, questa potrebbe essere la mia unica possibilità.
Mentre facciamo una pausa tra le mille portate, Anna va in bagno e mia cugina mi affianca: «Giulio, vacci piano con Anna, sono passati sei anni dalla sua perdita, ma ancora non lo ha superato, ma vedo come ti guarda e come tu la guardi, se ci tieni a lei non mollare, è una donna fantastica, ne vale la pena», altro che piano, io con lei vorrei andare alla velocità della luce, ma rispondo e ne sono convinto: «Lo so e lo farò Annalisa, lo farò», mentre vedo Anna tornate.
Ed ora eccomi qui il 25 dicembre dell'anno successivo, grazie a te sono riuscito a sfuggire anche alle grinfie di zia Concetta, appena ha saputo da mia madre cosa volessi chiederti oggi, ha deposto le armi.
Ti osservo da lontano, ti lascio tutto il tempo che ti occorre per salutarlo, parlarci, rimproverarti di colpe che non hai, chiedere un'approvazione che non ha ragione di essere chiesta, sarebbe inutile qualsiasi cosa ti dicessi, ma tu sai, come lo so anche io, che questa sarà l'ultima volta per voi, da oggi in poi ci sarà solo "noi".
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