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L'anello debole

Amici
Eccoci qui, testa a testa, uno di fronte l'altro.
Era davvero necessario arrivare a tutto questo?
Morti, distruzioni, violenze inaudite, anche su femmine e piccoli.
Ma si sa, la fame di potere è un tarlo che ti si insinua dentro e scava nel tuo animo rendendoti sordo a qualsiasi ragionamento, ed è quello che a noi è successo.

Ti ricordi quando piccoli correvamo nella foresta? Andavamo a dissetarci e a nuotare al fiume? Ci rotolavamo nell'erba e giocavamo alla guerra?

Ora purtroppo non è più un gioco, per colpa nostra il popolo soffre fame e sete, i raccolti sono andati persi, il bestiame da cacciare disperso, le fonti inquinate, carestia e pestilenza sono di casa tra noi.
Noi due siamo stati coloro che gli hanno spalancato le porte, ci sarà mai redenzione per ciò che abbiamo provocato?

Ti guardo e non ti riconosco, e tu... riconosci me in quest'essere abbrutito dalla morte troppe volte sfidata, con l'anima macchiata dalla crudeltà e le mani imbrattate da sangue innocente?

Amici, eravamo amici, abbiamo condiviso gli addestramenti, le frustate, le donne e gli uomini che si sono susseguiti nei nostri giacigli, come siamo finiti dal guardarci reciprocamente le spalle al volerci, reciprocamente, annientare?

Sete di potere, di successo, gelosia, voglia di prevaricare, di essere riconosciuto il migliore, ma migliore di chi, migliore di cosa?

Ricordi quel giorno? La battaglia oramai impazzava, morti e feriti ci circondavano, lamenti, urla di dolore, corpi martoriati grondanti sangue, ventri squarciati, arti recisi, organi e pezzi di cervello schizzati e sparsi sull'erba ormai vermiglia e noi, noi a fronteggiarci, la spada in mano, ricoperti di sangue di amici e nemici, sordi alla sofferenza che ci circondava, oramai più bestie che uomini.

Cosa volevi tu? Cosa volevo io?
Solo che lui ci notasse, una parola di lode, un cenno d'amore o anche solo un segno che ci dicesse: «Eccoti, so che esisti. Io ti vedo.»

Padre, Sovrano e Padrone, ecco cos'era per noi, di lui agognavamo lo sguardo che raramente si posava su noi, lui bastante a sé stesso, perfetto nella sua perfezione, come potevamo noi ambire a ciò?

Uno solo poteva essere il successore e noi figli bastardi, fino a quel momento cresciuti come amici, fummo messi uno contro l'altro, solo uno avrebbe potuto regnare.

Il torneo, lo ricordi? Due ragazzi, lontano dall'essere uomini, posti uno di fronte all'altro in un duello all'ultimo sangue e lui, lui lì, assiso sul suo trono a godersi lo spettacolo, perché non ci siamo ribellati allora? Perché aspettare tutti questi anni, tutte queste inutili morti?

Io la mia risposta ce l'ho, e tu?

Nel torneo nessuno di noi riusciva a prevaricare sull'altro, troppo simili di corporatura e consci delle mosse che l'altro avrebbe fatto, ma ugualmente con le ferite riportate nello scontro ci riducemmo quasi in fin di vita.

Io fui consegnato alla tribù di barbari di cui mia madre faceva parte e tu a un feudatario di un castello, deboli e morenti non eravamo per lui più di nessun interesse.

Entrambi ci scrollammo la morte di dosso e divenimmo quello che ora siamo, capi indiscussi del nostro Clan.

Ma quel rifiuto, quella sconfitta e vittoria parziale ancora in noi bruciava e abbiamo dato vita alla più atroce delle guerre, e lui sempre lì a guardare.

In questo insensato conflitto abbiamo perso entrambi, io un figlio e la mia anima, tu la moglie amata e il tuo cuore, di chi è la colpa se non nostra?

Ricordi quel giorno? La bestialità si leggeva sui nostri volti, finalmente di nuovo uno di fronte l'altro, io non udivo più il clangore della battaglia, ma solo il ritmo scandito dal mio cuore e l'affanno del mio respiro ed allora, solo allora ti ho rivisto nell'uomo che ora sei, ed è lì che ho deciso, non avrebbe vinto, non con me, io non sarei stato Caino.

Ricordi quel giorno? Ricordi il fragore della battaglia silenziato dai nostri cuori? Ricordi il rumore assordante della mia spada mentre toccava terra sfuggita alla mia mano aperta? Ricordi il mio sguardo? Hai riconosciuto in me il tuo amico? Io sì, finalmente ho rivisto me stesso in te, ed è per questo che ho sancito la fine di questa insulsa e insana contesa.

Ed ora eccomi qui, finalmente in pace, con la mia mano sulla tua mentre l'insano Padre, Sovrano e Padrone viene giustiziato e finalmente anche tu hai la tua risposta.

Io l'anello debole di noi due dovevo diventare quello forte, rinunciare alla contesa e sancire così la fine del tiranno.

Limiti
Guardo le mie mani sporche di sangue e piango.

Ricordo quando mi strapparono dalle calde braccia di mia madre. Mio padre era un guerriero, il più forte e spietato, il capo dei capi, aveva bisogno di un erede ed io ero dell'età giusta. Dovevo essere forgiato a sua immagine e somiglianza, peccato che io soffrissi alla vista del sangue, mi sentivo male e perdevo i sensi. Oltretutto non avevo mai staccato neanche la coda di una lucertola, la famiglia di mia madre mi aveva insegnato l'odio alla violenza e alla sopraffazione, come avrei potuto mai essere ciò che lui desiderava?

Venni sbattuto in mezzo ad altri possibili eredi come me, tutti di età compresa tra i sei e i dieci anni. I più grandi non avevano più nulla della loro condizione di bambini, già avviati ad essere macchine da guerra.

Gli allenamenti erano massacranti.

Per essere forgiati a guerrieri dovevamo imparare a sopportare freddo, fame, privazioni e dolore, ma soprattutto dovevamo dimenticare cosa fossero pietà ed empatia.

La prima volta che svenni alla vista del sangue fu quando dovevamo imparare a sgozzare un agnello, l'istruttore sosteneva che imparato quello, con il nemico poi sarebbe stata una passeggiata.
Della punizione infertami, ne porto ancora i segni sulla schiena.

Atroce fu assistere alla violenza su un ragazzo, perpetuata da guerrieri, giunti ancora esaltati e sporchi di sangue nemico da una battaglia, allora capii che avere lineamenti femminei era il peggior dono che la natura potesse farci. Ancora ricordo le sue urla strazianti, le risa sguaiate e i commenti osceni di quegli uomini grossi il triplo di noi e noi lì costretti ad assistere impotenti ed esortati a prendere parte a quella violenza inaudita su di un essere inerme. Il volto di quel ragazzo è ormai perduto nell'oblio dei ricordi, ma l'orrore che provai e la puzza del mio vomito che mi inondava le narici, lo ricordo ancora.

Lo sapete che i metodi di tortura sono diversi a seconda del risultato che si vuole ottenere? Io no, non lo sapevo.

Finché si trattò di studiarne la teoria riuscii a superare il malessere che mi coglieva al solo pensiero del sangue e delle urla delle vittime, le frustrate ricevute e le piaghe ancora doloranti sulla schiena mi erano di sprono.
Poi un giorno arrivò al campo addestramento un carro, vennero fatti scendere uomini, bambini e donne in catene, erano prigionieri, frutto di razzie su un villaggio inerme che non aveva potuto pagare il tributo dovuto al mio onorevole Padre, Signore e Padrone.

Non riuscivo a capire perché avessero portato i prigionieri lì, in mezzo a noi, fino a che non venimmo condotti nella costruzione usata per la teoria ai metodi di tortura...

Non resistetti, mi ribellai, urlai, scalciai e fuggii lontano, fino a che stremato non venni riacciuffato. Non potevo venire ucciso, violentato o menomato fisicamente, ero comunque un possibile erede.

Rinchiuso in una fossa scavata nel terreno io e gli istruttori attendevamo la venuta del nostro Sovrano per udire il suo giudizio su di me.

Lui arrivò la mattina del settimo giorno, non giunse da solo, con sé recava un carico umano: mia madre.

Venni fatto uscire dalla fossa oramai allo stremo delle forze, digiuno, sete, intemperie e la convivenza con i miei stessi escrementi, mi avevano ridotto ad una larva umana.

Fu dato l'ordine di rendermi presentabile prima di condurmi al cospetto del Re, una volta rifocillato e pulito mi sentii subito meglio, nella mia mente di bambino ero sicuro che mio padre fosse lì giunto per mettere fine ai tormenti di tutti e ristabilire la giustizia.

Si può essere più sciocchi di un bambino che crede ancora alle fiabe?

Fui condotto in una dimora posta al limite del campo. Appena entrato notai subito quello che sapevo doveva essere mio padre seduto su un trono, sulla sua destra un tavolo e due sedie. Mi fece cenno di avvicinarmi. Come mi era stato insegnato mi inginocchiai ai suoi piedi calando il capo, mi costò estrema fatica ciò, io anelavo solo a vederlo per la prima volta in viso, a gettarmi tra le sue braccia, ringraziarlo di essere venuto a salvarci tutti da quei mostri senza cuore e pregarlo di restituirmi a mia madre.

Quando mi fu detto di rialzarmi, feci per avvicinarmi, ma lui mi bloccò con un gesto: «Mi è stato riferito che tu, uno dei miei figli è debole di cuore e di stomaco, questa è una cosa inaccettabile, i miei geni non possono contenere debolezza», disse raggelandomi, «Vediamo se posso esserti da stimolo a superare le tue debolezze e limiti».

Con un gesto imperioso della mano diede un ordine ai guerrieri che lo circondavano, questi sparirono per minuti che mi sembrarono ore e rientrarono portando il loro carico umano: una donna a me sconosciuta e mia madre. Urlando di gioia scattai per andare ad abbracciarla, ma fui bloccato da una figura possente alle mie spalle, mentre mia madre mi guardava con sguardo addolorato.

Entrambe le donne furono fatte sedere e poi incatenate alle sedie, ero sgomento, non capivo il perché di tutto questo, poi quegli... strumenti furono poggiati sul tavolo.

«A te la scelta», la sua voce era gelida, priva di qualsiasi sentimento, «ogni volta che ti rifiuterai di infliggere dolore a questa donna lo stesso dolore verrà inflitto a tua madre».

Mia madre è viva, porta ancora qualche cicatrice su di sé, ma la più grande che si porta dietro sono io.

Mi presento, Uri, mi chiamo Uri.
Ho superato i miei limiti e ora sono una bestia al pari degli altri.

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