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(50: Crolli e incubi)

Mentre Reina e Sofia erano fuori dall'ospedale, Fede era rimasto accanto a Flor, la quale si stava molto lentamente risvegliando dal suo torpore.
"Buongiorno, amore mio." le disse Fede accarezzandole piano i capelli.
Questi erano disordinatamente sparsi sul cuscino mentre gli occhi di Flor vagavano per la stanza, smarriti come non lo erano mai stati prima di allora.
"Fede..." gli sussurrò Flor.
"Dimmi piccola" le disse lui, spostando le mani dalla sua testa alla mano di lei che gli era più vicina e stringendola fortissimo. Percepiva che la domanda che lei stava per porre sarebbe stata una freccia piantata nel suo cuore che, purtroppo, già sanguinava per conto proprio.
"È vero che io sono... malata?"
Le parole che uscirono dalle labbra tremanti della ragazza si udirono appena, ma quel flebile sussurro sembrò un grido di dolore alle orecchie del povero giovane. Il più atroce grido che gli fosse mai toccato sentire.
"Dimmi soltanto la verità." gli disse Flor. "Magari, se tu me lo dicessi, potrei aiutarti a sopportare il dolore."
A lui serviva un aiuto, ma non si sarebbe mai sognato di chiederlo a lei.
"Perché mi stai facendo questa domanda?" chiese con esitazione.
"Ho sognato mia sorella che piangeva e diceva che io ero malata... che avevo una malattia terminale."
A quelle parole il giovane non trovò più la forza sufficiente a trattenere delle lacrime che già da tempo premevano per venire fuori.
"Amore... ehi!"
Flor sapeva che in teoria non avrebbe potuto chiamarlo in quel modo, ma non le importava più. Lui stava male e lei non aveva la minima intenzione di badare a quelle che in quel momento per lei erano soltanto delle formalità.
Delle ridicole formalità.
"Amore calmati. Sono qui!" gli disse, tentando di tirarsi su a sedere per abbracciarlo e ottenendo scarsi risultati.
"Piccola mia... perdonami... io non volevo." le disse lui.
"Lo so Fede... lo so. So che hai tentato di proteggermi, ma sono felice di sapere che tu sei qui, accanto a me, e che non mi abbandonerai in questo momento... anche se come amico."
"Non è sufficiente! Tu non hai bisogno di questo." saltò su Fede.
La ragazza non osò replicare, ma in cuor suo sapeva che lui aveva ragione, anche se giurò a se stessa che avrebbe fatto di tutto per farselo bastare.
Lui non meritava che gli cadesse un altro peso sulle spalle, ancora meno se si trattava del peso causato dai suoi "capricci" come lei voleva considerarli.
In realtà, però, quelli non erano capricci.
Quello che lei provava per lui, purtroppo o per fortuna, era... Amore. Amore con la A maiuscola, o forse con tutte le lettere maiuscole. Loro si amavano e la distanza era un sacrificio impossibile, sia per lui che per lei.
"Non prendiamoci in giro." le disse Fede. "Nessuno dei due ce la farà mai a stare lontano dall'altro, no!"
"Ma ci tocca... almeno... per i nostri bambini" sussurrò Flor.
"Lei non potrà mai più toccarti, piccola. Te lo giuro" le disse Fede. "Tu hai sempre avuto... una volontà di ferro, ma invece di utilizzarla per cercare di allontanarti da me... utilizzala per guarire..."
"Lo farò per entrambe le cose. Non posso stare con te... per quanto io lo desideri."
"Flor, ascolta: io ti amo e tu mi ami, giusto?"
"Che domande mi fai? Ho dovuto legarmi le mani per non cercare di raggiungerti quando te ne sei andato via."
"Allora smettiamola con questa messinscena."
Il giovane abbracciò la ragazza e avvicinò le labbra a quelle della ragazza, baciandola dolcemente.
Improvvisamente la ragazza assunse un'espressione che stava a significare che aveva dolore da qualche parte.
"Che cos'hai?" le chiese Fede.
Lei reggeva un amuleto nella mano destra, ma il dolore al braccio era così forte da farglielo cadere di mano.
"Attenta!" le disse lui, afferrando al volo l'oggetto e stringendoselo forte al petto.
"Piccola, ehi!"
"Niente. Non è niente, Fede!"
Anche lei stava mentendo, ma al contrario. Lei mentiva dicendo di non sentire dolore, di stare bene, e lui provava molta ammirazione per lei, ma si notava che stava molto male.
"Dov'è che ti fa male?" chiese lui cercando di mantenere la calma, anche se non si capiva se fosse più lui o lei ad agitarsi e innervosirsi.
"Il braccio, ma non fa niente."
Lui annuì, però non ci credeva.
Non credeva che quel dolore che la ragazza sentiva non fosse niente di grave come sosteneva Flor.
Si chinò su di lei e le posò le labbra sulla fronte. Flor si passò le mani sulle guance per attenuare l'emicrania, ma sembrava inutile.
"Quando mi faranno uscire?"
"Non lo so... ancora meno dopo l'attacco che hai avuto poco fa."
Lei annuì senza proferire altre parole.
Lasciò che fosse il silenzio a parlare per lei.
Lasciò che la stanchezza la trasportasse di nuovo, anche se, una volta crollata in un sonno profondo, si pentì subito.
Il suo sogno fu una maledizione per lei.
Flor vagava per un luogo che le sembrò fosse un cimitero, guardandosi intorno circospetta e chiedendosi cosa ci facesse in un posto simile.
Improvvisamente notò i suoi familiari, tutti in lacrime, come quel lontano giorno in cui c'era stato il funerale di Fede. Giorno tanto lontano da poter essere, in teoria, dimenticato, ma Flor non poteva dimenticare che aveva rischiato di perderlo per sempre. Quella storia era il suo costante tormento.
Si avvicinò ad una lapide e vide che tutte le persone che amava erano abbracciate e accarezzavano quella lapide come se fosse stata la cosa più preziosa mai capitata loro tra le mani.
"Perché te ne sei andata così? Perché mi hai lasciata proprio quando potevamo ricominciare da zero? Perché?"
Le parole pronunciate da Reina colpirono molto Flor e per un istante pensò di gridare che lei non era andata da nessuna parte... poi percepì una mano passarle attraverso. Era quella di Roberta!
Si avvicinò titubante alla lapide e vide che c'era una foto che la ritraeva e sotto di essa c'era un'iscrizione: "Ciao, Floricienta. Sei parte di noi. Sarai sempre parte di noi: la nostra fata, il nostro piccolo angelo e la nostra protettrice. Il tuo sorriso sarà in noi: la tua voce sarà parte di noi."

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