(49: Dolore e affetto materno)
Reina, sentendosi dare la risposta che meno desiderava, si gettò sul pavimento e cominciò a torturarsi i capelli con le mani, tirando contemporaneamente calci alle assi squadrate del pavimento.
"Reina, smettila!" disse Fede per poi dirigersi verso Reina e fermarla per le braccia. "Così non fai altro che indebolirti, lo capisci? Cerca di calmarti..."
"COME FACCIO A STARE CALMA SE HO APPENA SCOPERTO CHE MIA SORELLA HA UNA MALATTIA PROBABILMENTE..." Fede le mise una mano sulla bocca, con delicatezza, e le disse: "Shh, non gridare, ti prego! Lo so che stai male, ma lei non lo sa ancora... non possiamo dirglielo così."
E detto questo, con l'altra mano prese ad accarezzarle il viso contratto e l'aura angelica che faceva parte di lui, almeno in parte, la calmò.
"Dovrebbe uscire di qui, Fede, è troppo scossa!" disse Sofia avvicinandosi a sua sorella per abbracciarla. "Ed io so bene perché lo è fino a questo punto! Reina, il passato fa male, ma in questo modo ti stai solo distruggendo! Vieni, andiamo fuori."
"No!" disse l'altra, rimanendo a terra.
"V-va bene... ma ora calmati."
Reina fece un cenno d'assenso, poi si alzò e andò a baciare la fronte di sua sorella mentre quest'ultima era ancora ignara di tutto.
Quel bacio che le diede riuscì a calmarla, come se Flor fosse un angelo, una speciale acqua purificatrice o qualcosa di simile. Subito dopo si diresse fuori dalla stanza ospedaliera, correndo come se qualcuno la stesse seguendo.
Sofia aveva perfettamente ragione: Reina stava soffrendo perché rischiava di perdere sua sorella in breve tempo e il nitido ricordo della sua falsa malattia si dipingeva a chiari colori nella sua testa.
Ricordava perfettamente ogni più piccolo dettaglio di quel periodo che prima le sembrava un'ascesa verso il potere e ora le sembrava un pozzo oscuro, profondo e orribile, e la cosa non la rendeva affatto felice, anzi, la faceva sentire ancora peggio di quanto non si sentisse già dopo aver appreso la notizia di una malattia che era toccata ad una persona che non la meritava affatto. Una donna in dolce attesa, innamorata di un uomo al punto tale da sopportare tutte le angherie sue e di sua madre pur di raggiungere la felicità, e al punto di lasciarlo per il solo nobile scopo di proteggerlo dalla donna che le rendeva ancora la vita tanto difficile.
"Flor... tu non lo meriti!" sussurrò Reina.
Lacrime copiose si fecero largo nei suoi occhi, bagnando tutto il suo volto e impregnandole le guance d'acqua.
"Perché non te la prendi con me... perché? Perché punisci Flor?" domandò, rivolgendo uno sguardo al cielo. "Fatine(" Nessuno rispose alla sua domanda fatta al vento. "Accidenti! Se volete tanto bene a Flor si può sapere per quale diavolo di motivo la fate ammalare, eh? Prendetevela con me se volete, ma lei lasciatela stare!"
All'improvviso, mentre Reina si crogiolava in quel dolore accentuato dai sensi di colpa che non accennavano ad allentare la loro morsa su quel cuore tormentato, una mano si posò con delicatezza sul suo volto fradicio a causa delle innumerevoli lacrime versate.
"Non fare così, ti prego!" disse una voce dolce e materna. "Vedi, nessuno ti sta punendo e allo stesso modo nessuno sta punendo Flor."
"Allora perché? Perché mia sorella è malata mentre ha delle povere creature che crescono in lei? Perché le è negato il più prezioso di ogni diritto: quello di essere felice con la persona che ama di più al mondo? La stessa persona che ha sopportato di tutto, addirittura il più estremo dei dolori, ed ha dovuto scontrarsi con la legge della natura solo per amore dei suoi fratelli e di mia sorella. Te lo ricordi, Margarita, non è vero? Tu l'hai visto, non puoi averlo dimenticato! Ti prego, aiutami!"
Margarita prese la mano della giovane, distrutta da un dolore che non poteva scacciare come le era spesso accaduto, e tracciando dei simboli circolari sul dorso di quella stessa mano, con un affetto che Reina poté quasi definire materno, disse: "Tesoro, adesso calmati. Vedi, questi non sono castighi. Sono soltanto prove. Prove alle quali tutti noi siamo sottoposti e tutti si sentono spaesati nell'affrontarle, ma io sono convinta di quello che ti dico: tu troverai la forza di combattere attraverso le tue lacrime."
Quel: "Tesoro" le sembrò molto diverso da quello che più e più volte le aveva detto quella donna che purtroppo o per fortuna era sua madre. Il tono dolce di Margarita stava a significare che la donna dava parecchio peso a quella parola.
Regalava quella parola alla sua bambina, perché sapeva che con quelle parole dolci sarebbe riuscita a darle un minimo di conforto per questa o quell'altra cosa che accadeva nella vita travagliata della ragazza.
Poi, quando un triste giorno se n'era andata, in cuor suo aveva continuato ad accompagnare Flor con quel: "Sesoro" che fino a qualche mese prima la ragazza non poteva udire, ma che ora le era percettibile. E aveva sentito la necessità di dare conforto a Reina con quelle carezze e quella dolcezza materna che le mancava da anni.
"Margarita!" la chiamò Reina, abbracciandola stretta. O meglio: in realtà non abbracciava lei, ma un corpo etereo, fatto d'aria. "Perché ti stai occupando di me visto che io... non lo merito?"
"Se ti sentisse Flor ti direbbe un bel po' di cosette a riguardo, mia cara" rispose la donna, ridendo. "Lei detesta il tuo continuo sminuirti. Sai, sei cambiata un bel po' dall'ultima volta che tu e tua madre avete parlato con la stessa calma con la quale adesso stiamo parlando io e te."
"Grazie davvero per quello che mi hai detto" le disse la giovane stringendola più forte.
"Ogni volta che avrai bisogno guarda il cielo, io ci sarò." le promise lei prima di tornare da dove era venuta.
Reina rimase in quel cortile, a fissare il vuoto lasciato da quella donna.
Adesso capiva perché Flor sentisse a tal punto il bisogno della sua mamma e perché invocasse sempre il suo appoggio quando era in difficoltà. Una madre ti dà tutto, a volte la sua stessa vita.
<"...Le mamme... che non solo ci hanno tenuti nelle loro pance, ma ci hanno amati e protetti come il loro sogno più bello. Ci hanno messo le scarpette di cristallo perché camminassimo in questa vita come se fossimo... principi e principesse... e hanno inventato per noi migliaia di balli di palazzo per farci diventare persone migliori... qualcuna di loro... un giorno se n'è andata via... con la sua bacchetta magica. Ma da qualche posto incantato, nel regno delle Fate, continua a guardarci e coccolarci perché possiamo essere sempre più felici"...>
Reina ricordò le parole di sua sorella, dette in modo tanto sentito quel giorno in cui la famiglia Fritzenwalden aveva recitato nello spettacolo: "Cenerentola", stravolgendolo.
Quel giorno non aveva dato peso a quelle parole così sentite, considerando sua sorella come la solita, stupida sognatrice, quella che vorrebbe essere come Cenerentola, ma in quel momento vedeva l'evento sotto una luce molto diversa...
"Perché non puoi essere come lei, mamma?" si chiese tra le lacrime. "Fin da piccolissima mi hai vestita da reginetta di bellezza, con un cervello adatto solo a prudurre idee per ferire la gente. Flor è cresciuta con il sogno di un ballo a palazzo, del principe che le promette amore eterno, ed è sempre stata tanto buona! E Sofia... quella poveretta che da parte mia e tua ha subito praticamente di tutto. Tu mi hai anche detto che lei era nata solo per tenere papà legato a te! Ed io ero sul punto di fare lo stesso!"
"Anche tu sei buona!" le disse una voce che conosceva bene.
Reina si voltò, un po' scossa, e vide il volto angelico di sua sorella. Le si avvicinò, abbracciandola, e la ragazza le fece appoggiare la testa sul suo petto affinché potesse piangere e gettare fuori tutto il dolore che la logorava da tanto tempo. Il peggiore dei tipi di dolore è quello "in incubazione", perché basta una notizia a farlo emergere, tutto d'un colpo, e a gettarti nel più profondo sconforto. Le due ragazze lo sapevano bene.
"Se la mamma ha deciso di non aiutarci, allora ci aiuteremo l'una con l'altra, e ci sarà Margarita" disse Sofia. "Sono sicura di potermi fidare pienamente di lei. È una mamma, la mamma di Flor, e non ci abbandonerà."
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