(153: L'altra faccia del male)
Massimo si svegliò, riscosso dalla luce del Sole che filtrava dalla finestra, rimasta aperta. Si era addormentato sul divano, con il maggiordomo stretto tra le braccia. Lo guardò: sembrava un angioletto, mentre dormiva, finalmente rilassato, senza quella faccia composta che doveva ricostruire ogni giorno. Ora finalmente capiva... capiva perché il povero maggiordomo, la notte, piangeva.
Anche lui, scosso dai movimenti del Conte, si svegliò. Si stropicciò gli occhi, perché si sentiva avvolto da un calore piacevole, sentiva un battito che non era il suo e non ricordava bene cosa fosse successo la notte prima. O forse aveva paura che fosse solo un sogno, o peggio: che il Conte si pentisse e lo facesse soffrire di nuovo.
"Oh... Massimo... cioè, mio signore... cosa ci facciamo qui insieme?" chiese confuso, riconoscendo il viso del Conte.
"Ma quale signore! Ieri ci siamo detti che ci amiamo, niente signore!"
Evaristo improvvisamente ricordò: il signor Fritzenwalden aveva detto al Conte delle cose e lui si era dichiarato, così, di getto.
"Non sei pentito? Sei sicuro?" chiese, incerto, Evaristo. "Sai che io non sono una donna, non è vero?"
"Lo so... tu sei l'amore... e magari, per merito tuo, imparerò a rispettarle, le donne, una buona volta. Flor ha ragione... sono un insensibile, immaturo e tutta quella serie di epiteti che mi ha rivolto. È vero che Fritzenwalden è migliore di me, su questo... ed è vero che sarò legato a lui per sempre." gli disse Massimo.
"Dovremmo andare a ringraziarlo. A ringraziarli, a dirla tutta." disse Evaristo.
Massimo sorrise. Forse Evaristo aveva ragione.
"Ehm... sì Evaristo, però... prima ho bisogno di fare una cosa molto più importante."
"Importante, dici?" chiese Evaristo, ma il Conte non gli lasciò il tempo di dire altro: si gettò sulle sue labbra e prese a baciarlo fino a rimanere senza respiro. Doveva recuperare il tempo perso a folleggiare con innumerevoli donne delle quali, per inciso, gl'importava poco o niente.
Poi, quand'ebbero finito di baciarsi, seppure a malincuore, i due si alzarono.
Appena usciti dalla playroom, i due si trovarono faccia a faccia proprio con Flor e Fede.
"Signorina Flor... signor Fritzenwalden!"
Evaristo, più espansivo con loro di quanto fosse il Conte, stava per abbracciarli, ma poi, per la solita storia del "cameriere inferiore", si trattenne.
"Eh no! Stavi andando bene, quindi finisci quello che hai iniziato, Evaristo!" esclamò Fede, gioviale, facendosi avanti.
"Lei... lei non sa... che regalo mi ha fatto, signore!"
"Oh, no! Non ho fatto niente, io!" si schermì Fede.
"Niente? Mi hai aperto gli occhi, Fritzenwalden... e poi, mi hai salvato la vita" disse Massimo.
"Grazie anche a lei, signorina" disse Evaristo, rimanendo dov'era. Fu Flor ad abbracciarlo, ma lui non si sottrasse.
"A me? Perché, cosa...? E poi smettila di chiamarmi signorina! Come te lo devo dire che io sono Flor, al massimo Florencia o Floricienta, ma non signorina?"
"Io sono un cameriere, si... cioè... Flor."
"E perché, chi credi che sia, io?" chiese lei.
"Io sono figlio di un ex taxista... poi è diventato imprenditore, ma quando sono nato non potevamo mica permettercela, una casa come questa." rivelò Fede.
"Oh, sì... me l'avevi accennato!" esclamò Flor, orgogliosa. "Pensa: tu hai origini povere e sei diventato ricco; io avrei dovuto essere ricca e sono nata povera. Però... sai, a volte io vorrei che non avessimo tutto questo... quadri, vasi, denaro... almeno la strega la smetterebbe di perseguitarci."
"Strega? Quale strega?" chiese il Conte.
"È una lunga storia, Conte Minimo" risposero in coro Flor e Fede.
"Cioè, Massimo" si corresse subito il giovane.
"Capisco... comunque... ehm, grazie... grazie a tutti e due" disse Massimo. "Siete una bellissima coppia, davvero. Mi avete insegnato tanto, essendo semplicemente voi stessi."
Stavano per dire altro quando Amalia li raggiunse.
"Oh... signor Fritzenwalden... c'è una persona che la cerca... dice che è... per... perché? Oh, no, non ricordo... non mi ricordo!" E cominciò a piangere.
"Oh, povera Amalia... tranquilla, va tutto bene! Grazie mille" le disse Fede. "Dimmi: dove si trova questa persona?"
"L'ho fatto accomodare... in salotto... sì, in salotto!" esclamò Amalia. "O forse in cucina? Oh, no!"
E giù di nuovo a piangere.
"Bene, facciamo così. Io vado a vedere sia in salotto che in cucina... d'accordo? E via quelle lacrime, che la vita è meravigliosa!" disse Fede, sorridendo e asciugandole le lacrime.
"Vedete perché amo quest'uomo?" chiese Flor... poi uno strano presentimento si affacciò nella sua mente, com'era già accaduto diverse volte, e gli disse: "Amore, ti accompagno."
Non gli diede il tempo di controbattere: gli andò dietro senza aspettare una risposta. La "visita" attendeva in salotto, con Greta che faceva da anfitrione.
"Commissario... buongiorno!" disse Fede.
"Salve, signor commissario... cosa la porta qui?" chiese Flor.
"Buongiorno, signori Fritzenwalden... avrei bisogno di parlarvi di alcune cose in merito alle indagini richieste... da lei, nello specifico." disse l'uomo, indicando Fede.
Il giovane, guardando il viso del commissario, capì che non prometteva nulla di buono.
"Bene... prego, venga. Ne parleremo in privato, se per lei non è un problema." disse Fede.
Flor, senza dire una parola, decise di andare con loro.
Il giovane era teso. Flor lo vide distintamente stringere i pugni lungo i fianchi, per qualche attimo. Qualcosa non andava e lei sapeva che il giovane non sarebbe stato in grado di sopportare quel qualcosa da solo: non perché non fosse forte, ma perché ne aveva già provate troppe, di batoste da sopportare da solo, anche per proteggere i suoi fratelli. Non sarebbe rimasto da solo, stavolta... e Fede, che voltandosi l'aveva vista, lo sapeva e la ringraziò silenziosamente. Flor combatteva da un mese con una costante tristezza, ma in qualche modo ne stava uscendo. A volte ancora andava nel panico per le piccole cose, ma forse la sua febbre di un giorno intero l'aveva aiutata.
Entrarono nello studio, come ai vecchi tempi, e si chiusero la porta alle spalle. Sedettero alla scrivania: da un lato Flor e Fede, da quello opposto il povero commissario, che non osava guardare in faccia i due giovani. Se l'avesse fatto, probabilmente, avrebbe mostrato loro che carico enorme portava sulle spalle.
"Abbiamo fatto analizzare l'elicottero di suo padre" disse il commissario, cercando di nascondere il lieve tremito della sua voce. Flor guardò il suo Fede, per un secondo, e gli afferrò la mano. Lo sapeva: stavolta la sua natura angelica non gli sarebbe bastata per mantenere il controllo, una volta saputo quello che doveva sapere. "Immagino lei sappia" continuò l'uomo, "che è possibile, anche dopo tempo, vedere se il motore di un elicottero è stato manomesso."
"Sì... sì, signor commissario, certo" rispose Fede. La tensione lo avvolgeva, sentiva i polmoni compressi e il cuore che gli sbatteva violentemente contro le scapole e le costole, come un'anguilla che si dibatte.
"Vede... i suoi sospetti erano fondati. Purtroppo il motore è stato danneggiato. La riserva di carburante era pressocché scarsa e il resto... era acqua. Il motore era quasi fuso, quando l'abbiamo controllato, le leve di emergenza completamente distrutte, il paracadute era stato tolto."
Il giovane sussultò. Davanti ai suoi occhi si profilava chiarissima l'immagine dell'incidente di suo padre, anche se, in teoria, lui non l'aveva visto cadere dall'elicottero.
"Ehi! Resta con me, amore... resta con me." disse piano Flor, ridestandolo dal suo incubo ad occhi aperti. Poi si rivolse al commissario, con voce tremula: "Mi perdoni, però... vede, le... le sofferenze del mio Freezer... mi scusi, del mio compagno... sono anche le mie... e... ecco, insomma... ha un'idea di..."
"Di chi sia stato, signorina?" chiese il commissario.
"Sì... sì, precisamente."
"Sì, ce l'abbiamo... e temo che non sarà piacevole per voi scoprirlo, signori."
"La prego, non ci giri intorno! Me lo dica, per favore!" supplicò il Freezer, sulla soglia delle lacrime.
"Amore, tranquillo. Lui non... non vuole farti male, credimi!" sussurrò Flor. "Te la senti di sapere?"
Lentamente, il giovane riuscì ad annuire.
"La maggior parte delle telecamere di sicurezza erano state disattivate... ma questa persona ne ha dimenticata una. Il filmato, poi, era stato tagliato, ma chi l'ha fatto ha dimenticato di tagliare un momento preciso... quello in cui, a questa persona, è caduto il copricapo che le nascondeva il volto. È la signora... Marialaura Torres..."
"No! No, la prego, si fermi!" supplicò Fede. "Non ce la faccio a continuare... non..."
"Mi dispiace davvero, signor Fritzenwalden."
Ma il giovane sembrava non sentirlo. Era pallido, tremante, con gli occhi rivolti al vuoto. E con quel vuoto, avrebbe voluto prendersela. A quel vuoto rivolse le parole: "Strega, assassina, maledetta...", prima che la voce gli si spezzasse in gola... prima che crollasse in ginocchio, perdendo la presa dalla mano di Flor.
"Signor Freezer!" esclamò lei. "Sono qui... ci sono io con te, tranquillo."
"Vuole... vuole che chiami un'ambulanza?" chiese il commissario, facendo l'atto di aiutarlo ad alzarsi, impresa impossibile per quanto tremavano, sia lui che il giovane.
Flor avrebbe voluto urlare, fare del male alla strega, ma poi ricordò come si gestiva, quando riusciva a mantenere la calma, il suo principe, sfruttando il buon vecchio signor Freezer.
Si sorprese di se stessa quando, quasi senza tremare, disse: "No, non si preoccupi... ci penso io a lui, stia tranquillo. E... e grazie... per aver indagato, voglio dire."
"Se ha bisogno d'aiuto, non esiti a chiamarmi" disse l'uomo, alzandosi dalla sedia, pallido e sconvolto. Lasciò la stanza, ma rimase vicino alla porta e poté esser certo di quanto Flor amasse quell'uomo.
"La mia... ma... madrina... lei... è stata lei... me l'ha portato via..." biascicò Fede.
La ragazza spinse da una parte le sedie che prima occupavano loro due, si mise in ginocchio vicino a lui e gli spostò delicatamente le mani dal viso, stringendole forte tra le sue. Stavolta fu lei a permettergli, con quella stretta forte, seppur tremula, di riprendersi.
"Sfogati con me, mio principe." disse sottovoce. "Sfogati con me, ti aiuterò io."
Il giovane si lasciò andare sul suo petto, respirando a fatica, e la ragazza prese a coccolargli la testa e le spalle, curve sotto il peso di un dolore troppo forte per lui.
"Lei... lei mi consolava, quando sono tornato, ti rendi conto? Mi diceva: "Andrà meglio, caro... vedrai, il dolore ti passerà..." Ma quel dolore non passava mai, i miei ragazzi crescevano e io dovevo fare lo scemo per tenerli in riga. E quella mi consigliava di mandarli... in collegio... avrei dovuto capire che non voleva bene a me, ai miei fratelli... avrei dovuto capirlo, maledizione! E invece me la sono messa in casa, quella maledetta assassina... in casa... capisci, Flor? Ho dato i miei fratelli in pasto al lupo!"
Flor lo lasciò dire. Era del tutto inutile spiegargli che non era colpa sua, che lui non poteva sapere chi fosse davvero quella donna... neanche Flor se n'era accorta... pensava fosse una persona orribile, ma non fino al punto di manomettere l'elicottero su cui viaggiava una persona che lei conosceva.
"E Robertina... le ho gridato contro quando la strega mi ha raccontato tutte quelle stupide storie sui regali, e su Del... su Reina... dovevo capirlo... una bambina che si è presa cura di me quando mi sono ubriacato... perché avevamo litigato, ricordi? Una bambina che fa questo non avrebbe mai potuto dire le cattiverie di cui parlava quel mostro!"
Ogni parola che il giovane pronunciava, autoflagellandosi, per Flor era un pugno in faccia. Ma nonostante il dolore, sapendo che il giovane aveva bisogno di sfogarsi, lo lasciò parlare.
"E le tue piccole bugie... questo è mille volte peggio, Flor... era lei, quella sadica... è sempre stata lei... e voleva ripetermelo, quel giorno! Voleva ripetermi quello che tu e i ragazzi avevate fatto... dovevo saperlo, che voleva torturarmi."
"Ti prego, smettila di dire queste cose!" supplicò Flor. "Non è colpa tua, amore mio!"
"È colpa mia... Maya aveva ragione, accidenti! Altro che maleducata! Era solo... sincera..."
"Io so com'è... quando scopri che le persone di cui ti sei circondato non sono come sembrano, voglio dire... ricordi la cassetta in cui Reina e quella strega... dicevano peste e corna su di me? Mi sono sentita tradita, perché mi avevano trattato bene per tanto tempo per poi pugnalarmi alle spalle... certo, a te la strega ha fatto... un'altra cosa... anche peggiore, e poi tu la conosci da più tempo... però... quello che voglio dire... è che tutti possiamo sbagliare, tutti possiamo fraintendere, lo sai..."
"Ho bisogno di te, Flor" disse sottovoce il giovane, mentre le lacrime gli scorrevano lungo le guance coperte solo da un accenno di barba. "Promettimi che non mi abbandonerai, ti prego!"
"Se avessi voluto farlo, non ti avrei lasciato adesso, ma molto prima" disse lei, aumentando la stretta sulle sue mani. "Senti? Mi senti? Eh?"
"Cara... cara, piccola Flor... grazie!" singhiozzò il giovane, disperato, stringendosi a lei. Ora lo sapeva sul serio: Flor non l'avrebbe lasciato solo... chi non ti ama, non ti conforta nel tuo momento d'inferno.. non trattiene le lacrime per farle versare a te, o non piange con te, come invece faceva lei. I due erano legati da un filo rosso... il filo rosso che ti lega per sempre. Spesso basta stringere la mano di una persona per sentire che è una persona bella, buona... e in effetti, si poteva dire che durante il loro primo incontro, quando Flor era stata sommersa dalla schiuma e Fede le aveva preso la mano per tirarla su, aveva sentito una specie di elettricità pizzicargli la pelle... un'elettricità piacevole... quando, invece, Flor l'aveva bloccato per impedirgli di ricorrere alla spada con il suo amico Matias, e poi per dargli addosso per i guai che le aveva combinato, il giovane era stato avvolto da un intenso senso di pace e calore... tanto da calmarsi. E ora, nello studio, inginocchiato a terra, con il volto bagnato di lacrime, lui quella ragazza ce l'aveva di fronte e lei gli teneva forte le mani, come per dirgli che, in ogni caso, qualunque cosa fosse accaduta, lei sarebbe rimasta con lui.
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